I cosiddetti “ medieval romance “ di ispirazione scottiana plasmarono la concezione vittoriana dell’eroe, non più il borghese figlio delle rivoluzioni ma il cavaliere errante del passato. Il paradossale parallelismo è evidente, da un lato un mondo “gotico” e romantico, animato da tensioni immaginarie e primordiali, dall’altro lato l’epoca dell’acciaio, del vetro, del vapore e del carbone. Nonostante l’apparente “progresso” industriale Victor Hugo dirà “veritable épopée de notre âge”, vedendo nel finto medioevo di Walter Scott una vera rinascita e il sostanziale ritorno a una chivalrous golden age. Oscar Wilde sentenziava che “la Vita imita l’Arte” e il neonato medievalismo vittoriano iniziò a imitare gli eroi delle pagine di Ivanhoe. Sono passati alla storia i tornei cavallereschi nel 1839 in Scozia e nel Royal National Amphitheatre of Arts di Astley, dove tra fangosi insuccessi e trionfali esibizioni il torneo cavalleresco divenne un nuovo protagonista dell’intrattenimento.
Le arti figurative, assetate dal mitico return to Camelot ovvero dalla materia di Bretagna di re Artù e i suoi cavalieri, alimentarono il mito della Tavola Rotonda trasformandola a modello ideale di perfezione preraffaelita. Quindi si può affermare che nel 1840 la scuola di Dante Gabriele Rossetti “inventò” il Medioevo. Nasce una sorta di utopia neo-medievale, una rincorsa agli antichi valori di religiosità, coraggio e spirito patriottico. Il Medioevo era un ideale reale e tangibile, non una pallida nostalgia di un passato eroico e misterioso (come lo intendevano i romantici). Il ritorno al feudalesimo per esempio era la cura ai mali della modernità, questa la visione distorta del medievalismo vittoriano. La visione del revival cavalleresco non esaurì la sua forza di fascinazione fino alla prima guerra mondiale, quando la cavalleria inglese venne definitivamente surclassata dai mezzi bellici alla Somme e Verdun.
Tra i personaggi di spicco della scena del revival medievale vittoriano è presente William Morris. Uomo eclettico e sensibile, personaggio fondamentale per il medievalismo quanto per la letteratura fantastica. Era uno dei sostenitori dell’utopia preraffaelita e strenuo nemico di quella modernità cannibale intenta a divorare lo spirito “genuino” del popolo inglese. In scritti polemici e divulgativi dello stampo di Come potremmo vivere e Arte e socialismo. Nel 1880 pubblica la sua prima opera “fantasy” The Wood beyond the World, riproposta nel 2019 dalla Gondolin Edizioni, un’avventura epica situata in un mondo completamente diverso dal nostro. Morris combatte la razionalità borghese moderna ancorata alla fede del progresso con un suo mondo mitico e “romantico”. La vera rivoluzione di Morris non si limita a trasporre le vicende narrativa in un other world ma in un mondo credibile, ricco, dettagliato, e coerentemente sviluppato. L’impresa pionieristica di Morris non può essere vista come una semplice prosecuzione del romanzo cavalleresco o del romanzo soprannaturale gotico ma come l’iniziazione di un genere indipendente. L’ambientazione fantastica di Morris è una profonda rottura dalle esperienze immaginarie precedenti, perché senza era legato alle convenzioni del romanzo storico o cavalleresco può utilizzare senza timore il meraviglioso.
Il mondo medievale fantastico delineato da Morris è una realtà in cui esplodono i colori come i sentimenti. Il mosaico di bianco, oro, rosso, viola, nero, si anima attraverso l’accentuarsi dei sensi dell’udito e della vista, dal clangore delle spade alle tinte degli stendardi, dal canto soave alla tavolozza del pittore.
Nel Bosco oltre il Mondo prendono vita le avventure di Walter, giovane benestante in bilico tra la realtà tangibile e un mondo più sfumato, quasi onirico, che in verità si trova oltre i confini della ragione umana. Morris segue i classici schemi elaborati in futuro da Propp nella Morfologia della Fiaba e come tanti romanzi fantasy ricalca le costruzioni narrative che poi saranno concretizzate nel saggio L’eroe dai Mille volti di Joseph Campbell. Walter inoltre ricalca, senza saperlo, i personaggi delle cosiddette “robinsonate” ovvero quei protagonisti dei romanzi d’avventura (che emulano di proposito il capolavoro di Defoe) che si perdono o vengono travolti dalla cattiva sorte e dalle forze della natura per poi sopravvivere col proprio ingegno. Se le robinsonate avevano un contesto reale, seppur esotico e remoto, il fantasy di Morris propone un arco narrativo simile ma in un’ambientazione fantastica e riccamente variopinta, come la tavolozza che lo stesso Morris usava. Walter lascia la propria casa, un padre affettuoso e i suoi beni pur di conoscere qualcosa in più della semplice realtà cittadina che lo attanaglia, così navigando in lungo e largo, magari guidato da “idee” ed “echi” di un’altra dimensione fantastica, giungerà al cospetto di quelle terre che sono situate oltre il Bosco. Quindi Morris non ci presenta una mera robinsonata, ma chiede al lettore uno sforzo immaginativo più complesso, potremmo azzardare una walterata, ovvero l’avventura nei reami fantastici. De facto l’esperienza di Walter sarà ricalcata da ben molti personaggi della fantasy, basti pensare ai bambini delle Cronache di Narnia, che per vivere un’avventura non striminzita nei contorni del “reale” abbandonano tutto per oltrepassare il portale dell’Armadio. O lo stesso Bilbo Baggins, personaggio fittizio in un mondo fantastico ma incatenato in una bolla borghese, decide di lasciarsi alle spalle la felicità domestica e quotidiana (anche se all’inizio è forzato dalla sua Compagnia) per tuffarsi in luoghi e vicende che nemmeno osava immaginare.
Il romanzo di Morris quindi si connota dei tratti salienti del romanzo di formazione, ovvero la maturazione del protagonista che avviene con esperienze e incontri edificanti, mettendo Walter in una sfera antropologica che potremmo definire da “Riti di passaggio” come avrebbe approvato Van Gennep. Il viaggio nel Bosco oltre il Mondo è un rito di passaggio per modellare Walter, da semplice cittadino che ristagnava in un’oasi di modernità velenosa, in un vero uomo dedito ai più intimi bisogni del cuore e della morale cristiana e guerriera.
La trama si infittisce quando Walter deve sottostare agli ordini di una grande Dama del mondo fatato che sembra incarnare i tropi di quelle donne altere dei romanzi cortesi, bellissima, superba e manipolatrice. Per lei il giovane eroe compierà delle prodezze che lo metteranno in pericolo, leoni, mostri e quant’altro. Ma la verità è che Walter desidera solamente un locus con cui passare il tempo insieme alla Fanciulla, la sua amatissima compagna che incarna i topoi dell’essere fatato e sfuggente ma che dona serenità eterna all’uomo che riesce a conquistarla. La Gondolin edizioni ci permette di leggere un testo rimasto fin troppo sotto l’attenzione degli “addetti ai lavori”, ma che tutt’oggi offre al lettore, generalista e non, uno spiraglio meraviglioso sulle emozioni umane e i regni della fantasia.
Bibliografia
R.Bordone, Lo specchio di Shalott, l’invenzione del Medioevo nella cultura dell’Ottocento, Napoli, Liguori, 1993.
Iacono, Il medievalismo vittoriano: un sogno d’ordine, 2018, http://www.festivaldelmedioevo.it/portal/il-medievalismo-vittoriano-un-sogno-di-ordine/.
Morris, La terra Cava, presentazione di O. Palusci, Milano, Nord, 1998.
Morris, Il Bosco oltre il Mondo, Verona, Gondolin Edizioni, 2019.
C., Saccoccia, Il Crocevia dei Mondi, Casale Monferrato, Italian Sword&Sorcery Books, 2019.