
Poul Anderson è principalmente conosciuto per la fantascienza e per le sue mirabili “incursioni” fantasy quali La Spada Spezzata. Meno noto è l’adattamento in chiave moderna di un’antica saga: La Saga di Hrolf Kraki.
Le Fonti
Il ciclo di Hrolf Kraki non proviene dalla Valle del Reno, bensì è di origine nordica. Tale ciclo di storie è contemporaneo, nel proprio nucleo originario, a Beowulf e al Canto dei Nibelunghi, che hanno conosciuto molta più fortuna relegando nel dimenticatoio le gesta di Hrolf e del suo clan. Con Beowulf, inoltre, tale saga condivide più di un personaggio: il re Hrothgar, il cui castello Beowulf liberò dal mostro, è lo zio di Hrolf.
L’opera di Anderson
Recuperare questo corpus narrativo, ordinarlo e riadattarlo è sempre stato uno dei desideri di Anderson, pur consapevole che, complici la frammentarietà dei racconti e le contraddizioni presenti, avrebbe dovuto basare certi passaggi della trama più sulla sua fantasia che non su delle fonti certe.
Il risultato di questo adattamento è dunque positivo? Assolutamente sì.
Anderson riesce a far immergere il lettore in un mondo oscuro in cui riti sanguinari, guerre, stupri sono la normalità e in cui Hrolf Kraki appare come una luce in tempi oscuri, un Re Artù per la Danimarca.
La saga non è però incentrata sulla sua figura, ma sul clan degli Skjoldungar e sulle vicende personali dei condottieri che circonderanno Hrolf Kraki. Ciò non deve stupire: nel tipo di società in cui i protagonisti vivono e dove sono state raccontate queste storie, l’uomo è prima di tutto il proprio sangue e i propri compagni e in un secondo momento se stesso. Pertanto anche un grande condottiero come Hrolf trova la propria dimensione solo nel rapporto con gli altri e il contesto in cui vive.
L’immersione in un mondo tanto antico e per certi versi alieno è ancora più straordinaria se si pensa che Anderson ha voluto cedere a meno compromessi possibile, mantenendo i nomi originali e non utilizzando escamotage narrativi per rendere più digeribile la storia al lettore moderno. Anderson si è limitato ad adattare il linguaggio e a legare gli eventi, non romanticizzando le storie d’amore né perdendosi in superflue analisi psicologiche che male si sarebbero adattate a un’opera così.
Conclusione
Anderson, da moderno bardo, ci regala un’opera da troppo tempo dimenticata e che merita una lettura.
Vorrei concludere con un verso del Bjarkamaal, un canto di guerra citato nel libro, che ben si adatta anche a tutti i guerrieri della sword&sorcery che continuiamo a celebrare:
“Se pure le nostre vite avranno fine, non tutto sarà perduto,
ché la memoria non è sepolta sotto il tumulo.
Fintanto che la Storia del Mondo sarà indimenticata,
alto sotto il cielo, rimarrà il nome dell’eroe.”