Tra i personaggi di Howard, Bran Mak Morn è quello con il profilo psicologico più fosco. Costui è il re dei Pitti, una confederazione di tribù barbariche che si è opposta all’invasione romana della Britannia, riuscendo addirittura a sfondare il limes settentrionale e a varcare il Vallo di Adriano, nel IV secolo d.C.[1].
Partendo da questo setting storico, l’Autore immagina che Bran sia costretto ad affrontare l’invincibile esercito romano con una manciata di uomini. La situazione è resa ancor più disperata dal fatto che le varie tribù della Caledonia sono poco organizzate e divise in molteplici fazioni perennemente in guerra le une contro le altre.
A tutta prima emerge un profondo sentimento di avversione che il re Pitto prova nei confronti dell’Urbe. A essere messo sotto accusa è il sistema di governo: «Roma è cortese, con gli ambasciatori barbari. Ci alloggiano in case splendide, ci offrono schiavi, assecondano i nostri vizi con donne, oro e vino, ma intanto ridono di noi: la loro stessa cortesia è un insulto, e talvolta, come oggi, il loro disprezzo supera ogni ipocrisia[2].»
In secondo luogo, a dispetto dei fasti e delle ricchezze, la società romana viene considerata perversa e decadente: «Ricordava orge scatenate, col vino che scorreva nelle fontane; romane dal bianco seno che, sazie di amanti civili, guardavano con desiderio i vili barbari; ludi gladiatorii, e altri giochi in cui i dadi rotolavano tintinnando e grossi mucchi d’oro cambiavano velocemente di mano[3].»
In terzo luogo, vengono esaltate le qualità dei popoli del nord come i Germani e i Celti, dotati di una tempra d’acciaio rispetto ai Latini, agli Africani e agli Asiatici, considerati dei debosciati da una corrente di pensiero[4] assai in voga all’epoca del Maestro di Cross Plains.
Ad aggravare ulteriormente la situazione vi è il fatto che Bran, giunto a Eboracum in missione segreta travestito da diplomatico, subisce le reiterate provocazioni di Tito Silla, governatore romano della Britannia, il quale crocefigge un suo suddito e lo costringe ad assistere al supplizio. Il re Pitto è oltraggiato, ma non può vendicare immediatamente l’offesa con il ferro della sua spada perché Tito Silla è protetto da una folta schiera di guardie del corpo. Il problema si pone per il fatto che il nostro non può nemmeno uccidere il nobile in battaglia dato che questi, consapevole dei rischi, delega ai propri generali le azioni militari intorno al Vallo di Adriano.
Ne consegue che Bran, in preda alla frustrazione, capisce che l’unico modo per lavare nel sangue l’onta subita è quello di domandare aiuto ai Vermi della Terra. Lo stregone Gonar, Sacerdote della Luna, ormai deceduto da anni, appare in sogno al sovrano Pitto cercando di dissuaderlo dalle sue intenzioni e lo avverte del grave rischio a cui potrebbe essere sottoposta la sua gente nel caso in cui fossero evocate quelle creature. Accecato dalla collera più nera, Bran decide però di procedere comunque nelle sue pratiche occulte.
Pertanto si reca presso la dimora di Atla, strega della Brughiera di Dagon, per chiederle di invocare questi esseri immondi. Giunto dinanzi alla donna, osserva che essa manifesta le fattezze tipiche della corruzione in quanto presenta lineamenti serpentini, orecchi a punta e occhi gialli dal taglio obliquo. È evidente che Howard abbia attinto dalle fonti del folclore per tratteggiare Atla, che fisicamente possiede il signum diaboli[5], dato il suo aspetto è repellente e psicologicamente mette in atto una condotta licenziosa[6]: «Dammi i tuoi baci ardenti e il tuo rude amplesso di barbaro. Poi, nei lunghi anni futuri, non mi strazierò il cuore invidiando le donne umane dal bianco seno, perché avrò un ricordo che poche tra loro potranno vantare: i baci di un Re! Una sola notte d’amore, o Re, e ti condurrò alle porte dell’Inferno[7]!»
Dopo aver goduto del caldo abbraccio della strega, Bran viene a conoscenza del rituale necessario a evocare i Vermi della Terra ma, per fare ciò, deve recarsi presso il Tumolo di Dagon, scendere nelle profondità telluriche e appropriarsi della Pietra Nera. É bene ricordare che nella tradizione, il viaggio nel mondo sotterraneo costituisce una seconda nascita e una preparazione all’iniziazione dell’eroe[8] il quale, grazie all’aiuto di un soggetto che rappresenta il suo destino, varca la soglia che gli permette di accedere all’universo del soprannaturale.
Tornato da Atla, Bran le comunica di essere in possesso della Pietra Nera e la strega pertanto evoca i Vermi della Terra. Una volta che essi compaiono sul luogo, il sovrano apprende che questi ofidi in epoca preistorica erano i veri padroni della Britannia. Si tratta infatti degli uomini rettile che i Pitti hanno combattuto e sconfitto, esiliandoli nell’abisso. Trovatosi dinanzi a quell’orrore, il nostro ne rimane profondamente turbato e domanda loro l’uccisione di Tito Silla. L’esecrabile omicidio viene completato, ma Bran è consapevole che tale scelta costituisce un’atroce condanna per il popolo dei Pitti, atteso che queste creature, a fronte della loro impresa, pretendono un pesante tributo di sangue.
Da un’attenta lettura dell’opera viene alla luce una profonda commistione con i miti di Cthulhu di H.P. Lovecraft, non solo perché vengono citati R’lyel, la città sommersa dove «il morto Cthulhu attende sognando[9]» e Dagon[10], ma soprattutto perché mai come in questo caso un eroe howardiano diventa vittima dei mostri, perdendo la propria sanità mentale. Conan, Kull, Solomon Kane e gli Asi di James Allison riescono sempre a prevalere sui loro nemici e a mantenere la loro presenza di spirito.
Inoltre, non può passare inosservato anche il fatto che un eroe di sword and sorcery fa volutamente ricorso a divinità malefiche per riuscire a sconfiggere il proprio nemico. Nessuno prima del re Pitto era arrivato a tanto. Generalmente, i barbari di Howard fanno affidamento sulla propria possanza fisica e sulla propria astuzia per affrontare gli avversari. Conan (ma anche Kull e gli Asi di James Allison) preferisce il ferro della spada alla magia, mentre Solomon Kane, puritano inglese ossessionato da lotta alle forze infernali, prova repulsione per tutto ciò che richiama anche lontanamente la stregoneria. Invece il sovrano Pitto vende letteralmente l’anima ai demoni perché impossibilitato a uccidere Tito Silla, e pertanto può essere equiparato sotto certi aspetti al Vathek di William Beckford[11], che per soddisfare la propria cupidigia diventa prigioniero all’Inferno.
NOTE
[1] Cfr. Claudio Azzara, Le invasioni barbariche, Mulino, Bologna 2003, p. 59.
[2] Robert E. Howard, I Vermi della Terra, in Robert E. Howard, Tutti i cicli fantastici. I Cicli Celta e di Faccia di Teschio, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton, Roma 1995, cit. p. 65.
[3] Robert Ervin Howard, op. cit, cit. p. 69.
[4] Cfr. Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma 2010, p. 210.
[5] Cfr. Giuseppe Faggin, Le streghe, Neri Pozzi Editore, Milano 1995, p. 54.
[6] Cfr. Giuseppe Faggin, op. cit., p. 60.
[7] Robert E. Howard, op. cit., cit. p. 74.
[8] Cfr. Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Lindau, Torino 2012, p. 95.
[9] Howard P. Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, in Howard P. Lovecraft, Tutti i racconti, Mondadori, Milano 2015, cit. p 333.
[10] Cfr. Howard P. Lovecraft, Dagon, in Howard P. Lovecraft, Tutti i racconti, Mondadori, Milano 2015, p 25.
[11] Cfr. William Beckford, Vathek, Marsilio, Venezia 1996.