Iniziamo dal commento finale, che ci si potrebbe aspettare dopo una corposa analisi, il Mahabharata proposto dalla Ippocampo Edizioni in veste graphic novel è un vero capolavoro.
Jeanl-Cluade Carrière metabolizzò il materiale epico-mitologico del mondo indiano per creare una sontuosa messinscena teatrale che stupì il suo pubblico nel 1985 presso Avignone, spettacolo che affascinò i presenti per più di nove ore. Dall’esperienza avignonese il regista Peter Brook, già responsabile della direzione nella versione teatrale, trasse nel 1989 un film colossale di sei ore[1], avvalendosi in oltre dell’ausilio essenziale di antropologi e specialisti come: Madeleine Biardeau e Georges Dumézil; nello stesso anno Jean-Claude Carrière adattò nuovamente il corpus indologico del Mahabharata per crearne una condensazione romanzata[2], progetto che si è rivelato utile anche per questa neonata elaborazione “fumettistica”.
La ricezione del Mahabharata in Italia è certamente stata più fredda, se si esclude ovviamente il film di Brook, colpa del testo lunghissimo del poema indiano, infatti abbiamo soltanto delle versioni monche e non integrali che riguardano il Bhagavadgītā[3] ovvero il Canto del Signore/Divino/Beato, uno dei testi sacri (e più breve) della religione e dell’ortodossia hindu. Per dovere di cronaca segnalo una recente edizione “tronca” del Mahabharata della Luni Editrice tradotta in ottava rima da Kerbaker, mentre altri volumi che cercano di promuovere il testo integrale sono sotto l’egida delle case editrici La Comune e Crisalide, ma certamente alcune scene sono state tagliate.
Torniamo all’edizione della Ippocampo, se lo “script” è quello di Carrère (tradotto con classe da Fabrizio Ascari) l’evoluzione artistica è frutto del lavoro di Jean-Marie Michaud, che con la sua abilità è riuscito ad evocare i sontuosi scenari esotici dell’India primordiale, le potenti divinità del pantheon hindu e il cosmo interiore dei personaggi umani.
Codificare nel dettaglio, quindi con un approccio filologico, il Mahabharata non è semplice, quindi basterà dire che a differenza della “pura” cultura vedica non ha una natura orale ma scritta, e rientra nella categoria sacrale degli Smrti (insieme di testi sacri) e più precisamente degli itihāsa ovvero i testi epici e avventurosi, caratterizzati da imprese belliche, evoluzioni morali-ascetiche degli eroi e dal contatto con le sfere superiori del creato.
La narrazione del graphic novel è affidata a Vyasa (il narratore-compilatore anche nell’originale testo epico indiano) il quale detta il poema al dio-scriba Ganesha/Ganesa e narra le vicende dei suoi discendenti, Vyasa infatti diede i natali a due clan cugini di stirpe lunare i Kurava e i Pandava. C’è da notare che oltre ad essere il narratore e il capostipite delle famiglie belligeranti Vyasa è anche un avatar del dio Visnù la figura che assume il ruolo di protettore del mondo e del dharma, quindi il “demiurgo” detentore della stabilità naturale e cosmica.
I due clan rivali sono governati da due re, i Pandava obbediscono a Pandu, il re pallido, mentre i Kaurava sono leali a Dhritaeshtra il sovrano cieco. Mentre i Kaurava sono cento fratelli di origine semplicemente umana i Pandava sono degli eroi semi-divini e sono soltanto cinque. Yudhishthira figlio del dio Dharma e detiene la figura del leader, Nakula e Sahadeva sono i gemelli che incarnano le forze della natura figli di Ashvin, Bhima è il forte nato dal volere di Vayu e Arjuna discende da Indra ed è uno dei personaggi principali dell’intero poema. Riassumere le vicende del poema, e del graphic novel, non è per niente semplice, e soprattutto non è il focus di tale articolo, quindi semplificando basterà dire che i due clan lottano per raggiungere il potere e prevaricare la famiglia rivale. Ovviamente il tutto è arricchito da faide interne, tradimenti, sotterfugi, giochi politici, amori e violenze di ogni tipo.
Uno dei momenti più iconici dell’intero poema è la partita a dadi dove i Pandava capitanati da Yudhishthira vengono sfidati dall’erede Kaurava Duryodhana. La partita essendo truccata da Duryodhana costa molto ai Pandava che perdono il il regno, la propria libertà e infine la sposa Draupadi (ammogliata con tutti e cinque i fratelli).
Inoltre una delle scene più intense dipinta da Jean-Marie Michaud è la denudazione di Draupadi, la sposa Pandava, la quale, avvolta in una veste di seta bianca, viene oltraggiata dalla violenza di Duhshasana (Kaurava). Costui impiega tutta la sua forza e verve nel tirare il vestito di Draupadi, ma come una matassa di Penelope il vestito è infinitamente lungo e il pavimento del palazzo dei re è ricoperto dalla stoffa del bianco abito. Il prodigio è ovviamente opera di Krishna il “dio supremo” se non anche un altro avatara di Visnù, patrono dei Pandava. L’episodio, già ricco di pathos, è ritratto con molta originalità da Michaud che in due pagine ci presenta una sequenza di pose-atteggiamenti che emulano lo scorrimento dei fotogrammi di una pellicola, il tutto serve ad unire il dinamismo violento della scena alla tristezza melodrammatica di una donna che viene offesa nella sua femminilità di “sposa vinta al gioco”. Draupadi in poche tavole da regina diventa un oggetto ed è reso evidente dall’estetica evocativa di Michaud.
Il Mahabharata poi diventa sempre più avventuroso e ricalca quei tropi che saranno poi ben presenti nella narrativa fantastica, la ricerca di alleati/aiutanti dotati di poteri sovrannaturali, gli oggetti magici (come le armi sacre o formule proibite) capaci di uccidere gli dei e i cammini iniziatici tanto cari a Campbell nell’Eroe dei mille volti. Se nella tradizione omerica/occidentale l’epica viene vista come il palcoscenico mito-poietico dove l’eroe trascende i limiti dell’umanità e viene aiutato dagli dei per raggiungere questa meta, nel racconto indiano gli eroi proiettano la propria volontà verso altre sfere. L’obiettivo è quello di raggiungere il dharma, la consapevolezza dell’essere, l’unione cosmica tra il creato e il divenire, uno stadio così alto e puro di meditazione capace di far fiorire la primavera anche nelle notti più oscure.
Uno dei momenti più sword&sorcery del poema sovviene durante lo scontro notturno tra le due famiglie rivali, i Pandava in netta difficoltà davanti alla mattanza perpetrata da Karna (figlio del dio sole e alleato con i Kaurava per uccidere la famiglia che non lo ha accolto) sono costretti a chiedere aiuto a Krishna, il quale intercede per i suoi protetti ed evoca una bestia nata dal seme di Bhima e partorita dal ventre bestiale della Rakshasa[4] il bestiala Ghatotkacha. L’immondo demone troll-ombra è gigantesco e viene scagliato contro Karna, possessore dell’arma divina Shakti, affidata a lui dal dio Indra, capace di uccidere qualsiasi cosa ma utilizzabile una sola volta. Il demone entra nel vivo della battaglia e semina panico e distruzione facendo puntare l’ago della bilancia a favore dei Pandava. Ghatotkacha si moltiplica in una nube di ombre differenti, digrigna i denti dalla sua massa nera come la mezzanotte e uccide ogni cosa sul suo cammino, diventa una moltitudine di animali pericolosi o serpenti velenosi. Karna, il paladino del nemico, si trova costretto a sbarazzarsene con la sua arma divina perché tutto il resto è inutile. La sua lancia di Indra abbatte il pantagruelico demone nero ma allo stesso tempo segna la vittoria dei Pandava, ora che Karna non più la sua arma invincibile nessuno può battere il nobile Arjuna. I Kurava sono destinati a perdere.
Una vittoria amara, una vittoria di Pirro, il sangue scorre come un fiume nella piana dove le famiglie vedono i propri cari perire e divorati dalla notte eterna. Il Mahabharata dell’Ippocampo riesce sontuosamente nell’impresa, è un graphic novel– evento, un must have assoluto per tutti i cultori dell’epica, dei mondi lontani e della fantasia eroica che si colora di spiritualità ancestrale.
NOTE
[1]Per conoscere nel dettaglio le vicende culturali e aneddotiche inerenti al film di Peter Brook consiglio un agile saggio: C., Benedetto, Il Mahabharata cinematografico di Peter Brook, Torino, Ananke Lab, 2015.
[2] Invece per la versione scritta di Carrère e tradotta dallo stesso Brook: The Mahabharata, Londra, Methuen Publishing, 2017.
[3]A cura di S. Radhakrishnan, Bhagavadgītā, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1974.
[4]Nella mitologia hindu sono creature demoniache e cannibali che vivono nelle foreste