
Un mendicante cieco e il suo fedele amico a quattro zampe raccontano la loro storia ad un gruppo di donzelle: come fu che il principe Ahmad (John Justin), e il giovane ladro Abu (Sabu Dastagir), caddero nella trappola del perfido visir Jaffar (Conrad Veidt), che utilizzò la sua magia nera per conquistare l’amore della bella principessa (June Duprez).
Uscito nel 1940 Il Ladro di Bagdad sbanca i botteghini internazionali, vincendo 3 Oscar (Fotografia, Scenografia ed Effetti Speciali); ma non tutto fu rose e fiori.

Il produttore ungherese Alexander Korda aveva un obiettivo chiaro e ambizioso: rifare a colori e con il sonoro il suo film preferito Il Ladro di Bagdad (1924) di Raoul Walsh col grande Douglas Fairbanks come protagonista. Il film è un classico dei classici tanto da essere conservato nella Biblioteca del Congresso degli USA.
Il progetto doveva essere affidato alle sole mani di Ludwig Berger, ma quando Korda vide il girato del tedesco capì che non c’era alcun accordo con la sua visione dell’opera, tanto che fu lo stesso Korda a modificare successivamente le scene di Berger che venne allontanato. Ecco dunque subentrare Michael Powell che girò buona parte del film, se non fosse per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che obbligò la produzione a spostarsi in California dove Tim Whelan e William Cameron Menzies portarono a conclusione la vicenda.
Il cinema fantastico, prima di trovare nel Mediterraneo la sua culla d’oro, e nell’Italia la sua genitrice di fiducia, era legata a doppio filo con le fantasie de Le Mille e Una Notte e il mondo anglosassone. Però come avevo già detto QUI, il fantastico era considerato “roba per bambini” ed in questo senso il film eccelle recuperando quel gusto fiabesco e mitico che ogni padre e ogni madre ben conoscono grazie alla lettura della sempre più dimenticata favola della buona notte.
Ed è esattamente questa la funzione del film: una favola per tutti i giovani che di lì a poco se la sarebbero dovuta vedere con la notte più oscura del Novecento, la Seconda Guerra Mondiale.

La trama quindi vede scontrarsi il terribile Jaffar, armato delle più potenti stregonerie e delle più cattive intenzioni, contro Abu, giovane scapestrato furbo e determinato e Ahmed il principe dal cuore d’oro. Ma è proprio il giovane a vivere le più stupefacenti avventure, gentilmente offerte da Miles Malleson e Lajos Biró: dalle fughe e rapine a Bagdad alla trasformazione in cane, dallo scontro dialettico con un perfido genio della lampada alla cattura de “l’occhio che tutto vede”, magico artefatto protetto da un pantagruelico aracnoide sino alla scoperta di un inaspettato alleato in una landa perduta nel tempo.
La fotografia di Georges Périnal è emotiva e sempre legata alla dimensione psicologica dei personaggi e al fluire del racconto. Tra colori vivaci e brillanti e inquadrature che colgono la vita e l’energia di Bagdad, ricolma di spezie, tessuti pregiati e poveri mendicanti dal viso scavato e bruciato, si passa alla ricchezza solitaria del principe Ahmed e della sua reggia da sogno, sempre sotto gli occhi vigili e terrificanti del grande Veidt (il cui volto ne L’uomo che Ride del 1928 è stato di grande ispirazione per il Joker della DC Comics), la cui aurea oscura letteralmente i colori e inietta nelle inquadrature tutta la crudeltà e l’odio di cui è capace.

Le scenografie di Vincent Korda sono immense, ci regalano panorami mozzafiato di Bagdad, una città viva, vibrante e rumorosa baciata dal sole, col suo castello ricco di stanze variopinte e stracolme di decorazioni, che rivaleggiano con quelle ancora più maestose del tempio nascosto tra le vette dell’Asia (Xanadu?), dove capeggia la statua di un Buddha dall’occhio magico.

Come se non bastasse però gli effetti speciali di Lawrence W. Butler e Jack Whitney hanno permesso al film di trascendere la propria epoca e giungere ai giorni nostri come uno dei diamanti più brillanti della storia del cinema. Qui per la prima volta si utilizza il blue-screen, ancora agli albori, per le scene del cavallo meccanico (chiaro riferimento al racconto Storia del Cavallo d’Ebano), del tappeto volante e del genio (qua invece si prede a piene mani da Storia di Aladino e della Lampada Incantata). Si fa un ampio uso di modellini, pupazzi, fondali e altre genialate (come quella della dea Khali interpretata dalla splendida Mary Morris). Si può tranquillamente affermare che senza Il Ladro di Bagdad non ci sarebbe stato alcun Guerre Stellari, e forse nessun film fantastico che oggi noi diamo per scontato.

Se amate i film, Il Ladro di Bagdad è uno di quei classici intramontabili da vedere per capire cosa sia stato, cos’è, e cosa ancora può essere quel grande spettacolo chiamato Cinema.

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