E.A. Wyke-Smith e Il Meraviglioso Mondo degli Snerg.

Era il 1919 quando T.S. Eliot pubblicò su The Egoist un contributo saggistico intitolato Tradition and Individual Talent[1] nel quale sminuì il contributo personale e individuale dell’autore innalzando invece la “tradizione poetica (e in senso generale letteraria)” sulle cui spalle si appoggiava il nuovo scrittore. De facto è un visione abbastanza condivisibile, seppur non totalmente corretta, poiché è la tradizione precedente e vigente a plasmare i canoni poetico-narrativi. Ma l’istanza di Eliot non è una critica paternalistica o vacua, per essere scrittori non basta emulare la tradizione ma metabolizzarla e farla propria, in quel caso appare il genio individuale, utile a  partorire una nuova coerenza tra il vecchio e il nuovo. Non si attua una cesura ma una cangiante continuazione, il vero scrittore si infila nel continuum letterario lasciando ovviamente la sua impronta (indelebile o meno). Un esempio pratico e alla mano, nel campo del fantasy, è  quello di Tolkien che ha ispirato diverse generazioni di scrittori (alcuni meri epigoni mimetici) che si rifacevano al Signore degli Anelli. Tale sequela di scribacchini ci ha lasciato nei diversi decenni post LOTR (lord of the rings) una triste eredità di romanzi colmi dei soliti cliché e delle medesime costruzioni narrative, per fortuna sono anche apparse delle gemme preziose tra tante pietruzze anonime.

         Questa premessa era doverosa, perché anche Tolkien, creatore di mondi e di “tradizioni”, è protagonista attivo-passivo di una precedente tradizione letteraria. E spero non sia troppo traumatico farvi sapere che Tolkien non ha inventato il fantasy, bensì ha codificato il fantasy classico con cui il nostro immaginario si raffronta. Per scrivere Lo Hobbit e LOTR   il nostro professore non ha esclusivamente attinto dal passato mitico-folklorico  europeo ma si è lasciato influenzare anche da letture più coeve (influenze consce quanto inconsapevoli), tra cui: i testi dello scozzese George Macdonald (La principessa e i Goblin, Lilith), del medievalista e artista preraffaelita William Morris (Il Bosco oltre il mondo, la Fonte ai confini del mondo), degli scritti di Lord Dunsany (La Figlia del re degli elfi) e Il Serpente Ouroboros di Eddison. Molti di questi testi scivolano nel sub-genere juvenile fantasy o children fantasy  e si riallacciano ad altri testi cardine della letteratura mondiale come Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie di Carroll, Peter Pan di Barrie o nel solco del romanticismo nero-fantastico l’italianissimo Pinocchio di Collodi. Tale etichetta è appropriata per descrivere quelle opere narrative farcite di elementi meravigliosi e fiabeschi e con protagonisti giovanissimi, che non si limitano nel famoso “percorso di formazione/maturazione”, bensì si fanno promotori di una innocenza positivista e soprattutto comica-buffonesca. Tutte queste influenze serpeggiarono in casa Tolkien e conquistarono il cuore dei giovanissimi figli del professore, ma anche loro padre! Infatti Lo Hobbit, pur non avendo un bambino come protagonista (ma la piccola statura era comunque un medium per facilitare l’immedesimazione dei lettori più giovani), presenta gli stessi connotati dello juvenile fantasy. Una onnipresente goliardia accompagna il lettore per la Terra di Mezzo e anche nei momenti più negativi la comicità fa capolino  per sdrammatizzare; ma l’impresa di Bilbo non è l’avventura spensierata che  ci si aspetta ma tramuta in un percorso  di crescita individuale e soprattutto mentale. Bilbo dopo la “conquista del tesoro” crede di appartenere a un mondo più vasto della Contea, ovvero l’intero secondary world tolkieniano.

          Ma, si presenta un ma!  Abbiamo tralasciato un autore e un suo prezioso romanzo, complice il silenzio editoriale spezzato soltanto di recente dalla coraggiosa Mabed. In verità il testo è di nicchia ma come ho fatto intendere in queste frasi si inserisce anch’esso nello juvenile fantasy e soprattutto è  colui che incanala Tolkien nella tradizione letteraria “children” per poi ispirare in parte Lo Hobbit. Sto parlando de Il Meraviglioso  Mondo degli Snerg scritto dall’autore britannico E. A. Wyke-Smith nel 1927.  Questo romanzo giocondo e  fantasioso viene citato in alcune lettere di Tolkien, in specie nella numero 163  del 7 luglio del 1955 destinata al poeta W. H. Auden:

                    «Not any better I think than The Marvellous Land of Snergs, Wyke-Smith, Ernest Benn 1927. Seeing the date, I should say that this was probably an unconscious source-book! For the Hobbits, not of anything else.»

«Non più, credo, di quanto amassero The Marvellous Land of Snergs  di Wyke-Smith, pubblicato da Ernest Benn nel 1927. Considerando la data, mi verrebbe da dire che quel libro sia stato una fonte inconscia per la creazione degli Hobbit, se non per molto altro.»[2]

Come si è visto intercorrono quasi 5 anni tra gli Snerg (1927) e gli Hobbit (scritto nel 32 ma pubblicato nel 37) e lo stesso Tolkien ne sottolinea l’influenza. Inoltre nel saggio  Sulle Fiabe  (2008, edizione ampliata) curato da Verlyn Flieger  e Douglas A. Anderson (lo stesso curatore dello Hobbit annotato),  si evince questa citazione “Devo testimoniare il mio amore e quello dei miei figli per Il Meraviglioso Mondo degli Snerg di E. A. Wyke-Smith”.[3]

           Il romanzo di Wyke-Smith, illustrato (anche nella presente edizione italiana) dall’artista  George Morrow, è una perle del genere fantastico e soprattutto umoristico. Non esagero  dicendo che questo romanzo mi ha strappato diverse risate con la sua genuina comicità e con quel sottile humor anglosassone. La trama è piuttosto semplice ma non per questo il romanzo non presenta degli elementi inaspettati. In una terra remota, in cui soltanto i benvoluti possono arrivare, si trova un rifugio per i bambini abbandonati che vengono accuditi dalle tate. Due bambini, Sylvia e Joe,  si perdono per sbucare in una porzione della terra fantastica, come capiterà ai protagonisti delle Cronache di Narnia, e incappano in strane avventure e bizzarri personaggi. Anche la fauna e la flora sono più singolari, come gli Orsi cannella o mostruosi furetti che hanno un marsupio per raccogliere funghi giganteschi,  e i famigerati orchetti. E in particolare gli Snerg! Gli Snerg sono creature gioviali  e robuste dalla bassa statura, proprio come gli hobbit. Sono governati da un re e hanno uno stile di vita semi-medievale, in contatto con la natura ma  anche con una sorta di villaggio. Sono laboriosi, energici e anche più forti degli hobbit, hanno anche più coraggio e non si tirano indietro dai combattimenti, infatti alcuni Snerg non hanno paura degli orsi che possono rintuzzare con il loro arco (non gli orsi cannella, loro sono buoni e pacifici).

          Il racconto prende una piega avventurosa e rocambolesca, dai disparati risvolti comici, quando al cospetto dei bambini appare Gorbo lo Snerg. Uno Snerg un po’ snobbato da tutti gli altri perché goffo e stupido, in sua difesa posso dire che è soltanto troppo impulsivo e che non ascolta mai i consigli degli altri! Ma non è affatto stupido… anche se  a volte i bambini hanno delle trovate più geniali rispetto alle sue. Gorbo è come il più paffuto degli hobbit, un po’ come Sam, ma è altrettanto buono e fedele ai suoi propositi e ideali. Ricoprirà il ruolo di guida e di difensore dei giovani umani e li porterà alla scoperta dei prodigi  di quei luoghi sperduti e popolati da singolari personaggi. Nel loro cammino, sempre irto di grattacapi e disavventure, i bambini dovranno fronteggiare orsi, mostri mangia funghi, streghe, cavalieri irriverenti, orchi e via dicendo. La favola di Wyke-Smith però funge da contraltare all’epos guerresco ed eroico di altri testi fantasy o del folklore anglo-germanico. Gli eroi sono dei bambini e una creatura che per statura (fisica e mentale!) non è alla pari con i monolitici personaggi umani/silvani delle epopee di Morris o Eddison. Ma è il suo spirito  solare e protettivo a plasmare la trama del racconto, perché senza l’amore di Gorbo  i bambini non sarebbero mai andati avanti in quella terra pericolosa. L’eroe non è il cavaliere che si fa imbrogliare da un giullare, o il re con la corona scintillante. Quindi si rievoca quella sorta di “eroe imperfetto” che poi si sedimenterà nel lascito tolkieniano nella figura degli hobbit.

          La Mabed porta nel mercato editoriale italiano un testo curatissimo e ricco di contributi, dal citato Douglas Anderson alla prefazione di Alessandro Stanchi, alla introduzione italiana di Matteo Barnabè alla postfazione di Riccardo del Ferro, senza dimenticare le bellissime ed evocative illustrazioni di George Morrow. Un testo che deve e ha il compito di fare scuola, di lastricare la fantasia con la bontà e lo spirito goliardico che un passato leggendario può sprigionare.


NOTE:       

[1]Cfr. Scatasta G., Lovecraft e la tradizione, in Lovecraft e il Giappone, Caserta, 2018, Società editrice la torre, p. 33.

[2]Stanchi A., Prefazione a Il Meraviglioso Mondo degli Snerg, di E. A. Wyke-Smith, 2017, Mabed. pp. 7-8

[3]Ibidem, Douglas A. Anderson, Introduzione. p. 16.

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