L’uomo dionisiaco è un concetto filosofico che appare nelle opere di F. W. Nietzsche. Il pensatore tedesco individua nella figura dell’omerico Odisseo il rappresentante per eccellenza, l’atto, della sua vera teoria.
Ne “La Nascita della Tragedia” dispiega e rivela la natura intima del teatro attico, intuendo due aspetti fondamentali : il Sublime e il Comico.
Il Sublime è “addomesticamento del terribile” e il Comico “sollievo artistico dal disgusto dell’assurdo”. Tramite la visione di eventi terrificanti, o sragionati, come Antigone che viene murata viva, o Eracle che si suicida gettandosi sulla spada dopo aver brutalmente sterminato i suoi stessi figli, o la tragedia nella casa di Atreo, il pubblico provava meno sconforto e paura nei confronti di ciò che non è calcolabile e razionalizzabile, comprendendo che l’esistenza terrena sia caduca, mutevole e fortemente contingente. Naturalmente Nietzsche si riferisce a ciò che le scienze del suo tempo potevano provare, e alla visione di Winckelmann dell’antica Grecia, piena d’armonia. Ecco quell’armonia per Netzsche esiste, ma è coadiuvata dalla pulsione irrazionale, elemento senza il quale la tragedia non sarebbe possibile.
La tragedia greca antica , come ci spiega Aristotele, aveva una funzione fortemente catartica per la psiche della popolazione. Il pubblico imparava tramite l’esperienza tragica degli eroi della mitologia ad entrare in contatto con la dimensione dell’orribile e del terrificante, vedendo rappresentate in scena le vicende di semi dei decaduti e titani torturati nella dimensione dell’eterno.
Questo avvicinarsi alla morte e al senso di sventura e caducità dell’esistenza terrena per i greci svolgeva un ruolo positivo, una sorta di morte livellatrice di agostiniana memoria che ricorda alle persone che non è possibile distinguere una tomba di un re da quella di un contadino, dopo migliaia di anni rimane solo polvere di , ci è pervenuta solo la sua visione del mondo tragico, perduta quella sulla commedia. Questa consapevolezza liberava le menti degli uditori dalla paura, guardando a fondo nell’abisso dell’inconscio.
Dioniso è l’elemento che nella tragedia attica rappresenta quel calderone di paure e pulsioni che Freud molto più avanti definirà subconscio, che è l’irrazionale umano. Apollo, al contrario, rappresenta la ragione, il calcolo, il verbo, la favella, il cerchio perfetto di Giotto.
Nietzsche esamina e spiega come la tragedia funzionasse solo ed esclusivamente grazie a queste due potenti forze insieme. Durante la sua giovane età, il filosofo racconta di come ne “Il Tristano e Isotta”, l’opera teatrale di Wagner, la musica svolga la sua piena finalità soltanto tramite la rappresentazione in scena, tramite il coinvolgimento dionisiaco della musica da sola, addirittura dice che “si morirebbe” per la potenza delle sensazioni, invece Apollo, l’interpretazione scenica, la razionalizzazione della forza musicale, rende fruibile a pieno e in modo completo la scena. Sono le facce della stessa medaglia, ci dice il pensatore tedesco, Dioniso sorge e affiora in superficie proprio tramite gli schemi e i dettami della ragione stessa, se no sarebbe unicamente caos primigenio, e in quanto puro delirio, diventerebbe incomprensibile.
L’Uomo Dionisiaco è colui che incarna l’azione nell’irrazionale. E’ colui che non ha paura dell’ignoto, ma al contrario ci si getta dentro con tutta la volontà e la potenza possibile.
Niezsche individua un esempio nell’epica : Odisseo.
Spesso vediamo una contrapposizione, dispiegata nei vari libri dell’opera omerica, tra il capitano della ciurma, per l’appunto il re di Itaca, e i suoi sottoposti.
E’ la contrapposizione che c’è tra l’Uomo Dionisiaco e le persone assoggettate da quella che Hegel definiva morale degli schiavi. Nietzsche prende quel concetto e lo fa suo, sollevandolo dal contesto hegeliano, moralizzandolo all’estremo. La morale degli schiavi diviene a tutti gli effetti l’etica tradizionale di origini cristiano giudaiche e compassione e pietà intese in senso religioso cristiano vengono tacciate di ipocrisia, ma soprattutto, di non utilità e, il filosofo sottolinea più volte, fiaccano lo spirito.
Per capire questi concetti bisogna andare al di là della superficie, non rischiando di cadere nel superomismo estetico che è una interpretazione del pensiero originale di Nietzsche.
Odisseo spesso e volentieri si ritrova ad essere l’unico elemento realmente funzionante del suo gruppo. Odisseo è rispettoso delle tradizioni, ma non esita di fronte alle superstizioni, non si lascia appunto fiaccare dalla paura per gli dei, il terrore che gli elementi scatenano nell’animo umano, per quanto ne sia fortemente vittima. La natura matrigna per Odisseo è un mistero da esplorare, una belva da domare, un’esperienza sublime. Il Sublime è quell’emozione primordiale che porta gli uomini a sentirsi minuscoli di fronte alla grandiosità della natura e delle sue forze in atto, il Sublime suscita rispetto, ma non per questo deve necessariamente portare alla cieca sottomissione.
Odisseo è stato spesso nella storia della filosofia e della letteratura preso ad esempio per rappresentare il logos greco, la fredda ragione. Nietzsche offre un’altra visione. Il re di Itaca è molto passionale nell’Odissea, e non esita a minacciare di morte con un coltello uno dei suoi sottoposti più vicini a lui, sull’isola di Ogigia. L’Uomo Dionisiaco corrisponde a questo modello etico, vive le passioni a pieno, ma anche la razionalità, perchè Apollo e Dioniso sono due aspetti della stessa cosa, e si alimentano a vicenda. Non è solamente ghiaccio e matematica, è anche spada e braccio.
Secoli e secoli dopo, Robert E. Howard pubblica “La Torre dell’Elefante”.
“Il segreto della torre? Qualunque idiota sa che Yara, il sacerdote, vive là dentro con il gioiello che gli uomini chiamano il Cuore dell’Elefante. E’ la fonte delle sue arti magiche.” – Robert E. Howard, La Torre dell’Elefante.
In questo racconto vediamo un insolito Conan il Cimmero ancora giovane, ancora ladro e senza gloria. E’ stupendo come l’autore riesca in pochi paragrafi a riassumere la vera morale del barbaro, dionisiaca e irrazionale, guidata comunque dal pragmatismo e dal calcolo, qualità e tecniche attribuite al dio Apollo e alla sfera della ragione.
“Era entrato nel quartiere dei templi, che da ogni parte luccicavano alla luce delle stelle : candide colonne di marmo, cupole d’oro e archi d’argento, sacrari dei mille strani dei di Zamora. Il barbaro non si preoccupò di entrarvi : sapeva che la religione zamorana, come quella di tutti i paesi antichi e civili, era complessa e intricata e aveva smarrito gran parte dell’essenza originaria in un labirinto di formule e rituali. Per ore lui era rimasto nei cortili dei filosofi, ascoltando le controversie di teologi e professori, ma ne aveva ricavato un’unica certezza : che fossero tutti matti.
I suoi dei, al contrario, erano semplici e comprensibili : il loro capo era Crom e viveva su una grande montagna da cui dispensava sciagure e morte. Era inutile supplicare Crom, che era un dio feroce e odiava i deboli ; ma alla nascita instillava nell’uomo il coraggio, e con il coraggio la volontà di uccidere i nemici : il che, per la mentalità dei cimmeri, era tutto ciò che ci si può aspettare da un dio.” – Robert E. Howard, La Torre dell’Elefante.
In questo passo l’autore tramite i pensieri di Conan esprime le perplessità del protagonista riguardo alla religione di Zamora, e alla filosofia del paese esotico in cui si trova (i richiami al medio Oriente e alla vicina Grecia sono frequentissimi in questo racconto, anche al Labirinto di Cnosso), che si è snaturata e allontanata dalla sua essenza originaria, perdendosi in elucubrazioni e parole vuote di significato, per quanto esteticamente soddisfacenti. Conan sottolinea come da un dio ci si può aspettare, nella sua mentalità, e in un certo senso in quella dell’Uomo Dionisiaco, quindi anche in Odisseo, solo sciagure e morte, ma, al tempo stesso, l’elemento salvifico che si raggiunge solo tramite un’osservazione attenta e catartica della tragedia umana : il coraggio. La volontà di combattere. Quello che Nietzsche in un certo qual senso chiama “Ich will”, io voglio.
Tramite quella volontà l’uomo può, elevandosi alla condizione di “Oltreuomo”, plasmare il reale e il fato stesso, nell’ambito della contingenza, per quanto concerne il destino ultimo, è chiaro che nessun mortale può opporsi a Thanatos e alle tristi rive del fiume Stige. Da un dio, dice Conan / Howard, non ci si può aspettare nient’altro che due doni meravigliosi : la morte, e il coraggio di affrontarla.
Nel paragrafo del racconto preso in considerazione la critica alla tradizione è abbastanza parallela tra Howard e Nietzsche. Entrambi le attribuiscono la “colpa” di aver perso essenza, fiaccandosi, distaccandosi sempre di più da quelli che sono i reali poteri dell’uomo, e anche, al contrario, le sue vere problematiche. Quest’atteggiamento della cultura tradizionale per Nietzsche, e, leggendo “La Torre dell’Elefante”, per Howard, a creare sempre più apparati complessi e voli pindarici porta a un vero e proprio svuotamento della polpa del sapere stesso, che diviene fine a se stesso. Allora gli stessi dei divengono lontani, non vivono più su di un’archetipica montagna, che è sopraelevata rispetto alla nostra posizione spirituale orizzontale, ma lontano, da qualche parte, al di là dell’inesistenza. Questa non interazione tra Apollo e Dioniso, tra il razionale e l’irrazionale, per Odisseo e per il Cimmero è causa di profonda sventura, nonostante Odisseo venga punito nella Commedia dantesca per il “folle volo” Nietzsche lo riabilita in senso di exemplum, archetipo, evidenziandone gli aspetti eroici veri.
Apollo e Dioniso sono quindi due aspetti del medesimo ciclo, della medesima realtà, e funzionano – e anche gli uomini funzionano nella visione howardiana – solo se introdotti nell’ottica dell’Uomo Dionisiaco, che è un aspetto rilevante di quello che poi sarà per Nietzsche direttamente Oltreuomo.
Conan il Cimmero ci consegna, attraverso le pagine nuove di stampa o profumate di vecchia biblioteca, un lascito per la contemporaneità ne “La Torre dell’Elefante”, un consiglio vero, saggio e concreto, una via per affrontare con coraggio le spire dell’esistenza umana : dall’infinito pretendere coraggio, e finitezza.