Spada, Stregoneria e Cinema – Gli Argonauti (1963)

Un vecchio oracolo narra al Re Pelia una triste profezia: che il suo regno crollerà per mano dell’unico figlio maschio del Re Aristo, il quale, fattosi uomo, tornerà a reclamare il trono che gli spetta di diritto. Pelia decide così di uccidere Aristo, le sue figlie e i suoi nipoti ma non troverà mai il piccolo Giasone (Todd Armstrong), il quale anni dopo gli salverà accidentalmente la vita e Pelia, riconoscendolo, attuerà la sua vendetta finale invitandolo in un’impresa suicida: andare oltre i confini del mondo per recuperare il vello d’oro.

Uscito nel 1963 e diretto da Don Chaffey Gli Argonauti può a buon diritto considerarsi l’ultimo grande capolavoro dell’epoca d’oro del peplum, grazie a quel visionario di Ray Harryhausen i cui effetti speciali, come già accadde per Il 7º viaggio di Sinbad (1958), sono il vero fulcro dell’opera.

Tuttavia è triste ricordare come il film alla sua uscita non ebbe grande successo, finendo per essere proiettato nei drive-in o cinema di terza categoria dove si potevano vedere due film al prezzo di uno. Tralasciando il pregiudizio della critica e del settore che bollava un opera “di serie B” solo per il budget con cui era finanziato, nella metà degli anni ’60 ci fu un’invasione di pellicole dei generi più apprezzati dagli americani, i western e i film bellici, nei quali figuravano tante celebrità. Solo nell’arco di svariati anni l’opera di Harryhausen e compagni divenne un successo, guadagnandosi la nomea di film di culto nei primi anni ’80 con la riscoperta dell’autore grazie alla sua ultima opera Scontro di Titani (1981).

Adattando molto liberamente le Argonautiche di Apollonio Rodio, gli sceneggiatori Beverley Cross e Jan Read si premurano di recuperare tutto il fantastico della mitologia greca disponibile perchè Harryhausen facesse le sue magie, e al tempo stesso iniettando nella trama echi delle più grandi pellicole dove un gruppo di eroi si imbarca in una missione suicida che vince grazie al proprio talento e alla collaborazione con gli altri “gentiluomini di fortuna”.

Tra gli attori segnalo la presenza della bella Honor Blackman (la Pussy Galore di 007 – Missione Goldfinger), nei panni di Era, Nigel Green nelle vesti di Ercole (qua già avanti con gli anni ma sempre fonte di grasse risate) e nelle corpulente vesti di quel “buontempone” di Zeus un sottovalutato Niall MacGinnis.

E ora il piatto forte di quest’esperienza cinematografica spericolata: Ray Harryhausen.

Che si parli dello scontro con il colosso di Talos, o della scena delle diaboliche arpie che importunano il vecchio e cieco Fineo, o ancora del salvataggio in extremis del viaggio per mano (letteralmente) di Poseidone, o del combattimento (breve ma intenso) con l’idra a guardia del Vello, sappiamo già quale sia la scena definitiva: il duello mortale contro gli scheletri, rimasta nell’immaginario collettivo di diverse generazioni e tra le più amate dai registi di ogni estrazione e gusto (scopiazzata a destra e a manca e in particolare in L’Armata delle Tenebre e La Mummia due gioielli di fine XX secolo da vedere per tutti gli appassionati di cinema fantastico). A coreografare il tutto tornò il nostro Enzo Musumeci Greco mentre l’animazione dei 7 non-morti occupò Ray per più di 4 mesi (e si parla di una scena di circa 5 minuti al massimo!).

Se si potesse racchiudere tutto il cinema peplum in una scena questa sarebbe una delle prime a balzarmi in testa.

La fotografia di Wilkie Cooper restituisce appieno l’epica che si respira nelle pagine di Apollonio Rodio e nei disegni di Harryhausen, con scenografie degne dell’antica Grecia (il film fu in larga parte girato in Italia, nel Cilento, oggi patrimonio UNESCO e ieri vero e proprio studio a cielo aperto per tutti i nostri amati film coi “sandaloni”). Senza nulla togliere alle rappresentazioni dell’Olimpo e soprattutto del palazzo di Eeta che è un tripudio di colori e architetture maestose (forti debitrici di Cabiria e altre gemme italiane del genere).

A chiudere il registro epico ritroviamo il grande compositore americano Bernard Hermann, già compagno di Harryhausen per il precedente Sinbad (ma asso nella manica di Welles, Hitchcock e King), e qui ancora più vigoroso ed eroico, influenzando una pletora sterminata di compositori anche al di là dei reami del cinema (qualcuno ha detto God of War?).

Gli Argonauti a distanza di più di mezzo secolo rimane una delle colonne portanti del genere peplum e in generale il miglior film di quel geniaccio di Ray Harryhausen (che avrà ancora da dire la sua in questa rubrica).

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