Alla Morte della Dea di Darrell Schweitzer

Dettagli

Titolo: Alla Morte della Dea

Titolo Originale: Shattered Goddess

Autore: Darrell Schweitzer

Anno di Pubblicazione: 1982

Edizione Italiana 1990

Casa Editrice: Mondadori

Collana: Urania Fantasy Volume  20

Pagine: 159

Traduzione: Delio Zinoni


Sinossi

Una donna che cova nel cuore un odio profondo può essere pericolosa come qualsiasi congiurato, ma una donna che oltre ad essere brutalmente gelosa e vendicativa sia anche una strega rappresenta una minaccia che può mettere in gioco le sorti di un regno. Fingendosi morta, la maga di questo brillante romanzo di Darrell Schweitzer si fa calare in una tomba da cui evoca la creatura maledetta con cui ha concepito il suo piano, e, dopo un macabro rituale, mette in atto il suo terribile proposito: il figlio della strega verrà scambiato con il futuro erede al trono di Ai HanIo e regnerà al suo posto. Così infatti avviene, e, una volta cresciuto, il legittimo principe si rende conto che gli resta una sola carta per sconfiggere i suoi nemici e il potere malefico che lo ha costretto a subire l’ingiustizia e l’esilio: impadronirsi della magia e affrontare le forze dell’abisso con le loro stesse armi. Sarà una battaglia disperata, contro nemici soprannaturali: ma la profezia che parla della morte della dea e del caos di portata cosmica che seguirà a questo evento preannuncia che, se la stregoneria non verrà sconfitta, la stessa Terra si trasformerà in un pianeta destinato a vagare nello spazio senza più guida, in balia di forze sconosciute. La posta in gioco è dunque altissima, ma la dea può risorgere ancora.


Autore

dschweitzerDarrell Schweitzer è nato il 27 Agosto 1952. Scrive principalmente fantasy, horror e racconti di fantascienza ma ha anche prodotto critiche letterarie ed edito saggi su vari autori dei generi di cui scrive. Ha pubblicato oltre trecento racconti, è stato nominato tre volte per il World Fantasy Award, premio che ha ricevuto come parte del team editorie della nota rivista Weird Tales.


Commento

La Dea è morta.

Sì, avete capito bene: la Dea è morta e le sue ossa sono sepolte nelle viscere della montagna su cui sorge la città santa Ai Hanlo. Sono tempi strani. La magia sembra per lo più essere scaduta nell’erudizione e nell’illusione eppure, su piani che sfuggono ai più, il potere della Dea si è frammentato in forme instabili e grandiose, chiamate Forze Oscure e Luminose. L’impressione è che qualcosa sia ormai  irrimediabilmente perduto [1]: «La Terra rotolava alla cieca attraverso i cieli senza che ci fosse alcuna mano a guidarla.» Si tratta di una congiuntura storica in cui può accadere di tutto, anche che una strega si finga morta e si lasci seppellire soltanto per stringere un patto con le Forze Oscure, gettando in rovina il popolo di Ai Hanlo e il suo sovrano Tharanodeth, Guardiano delle ossa della Dea.

Darrell Schweitzer è uno di quegli autori cui bastano poche pagine per dipanare le coordinate stilistiche della propria narrativa, avvincendo il lettore in una storia che interpreta leitmotiv tipici dell’high fantasy. Attraverso una grandiosa congiura le Forze Oscure mirano a impossessarsi del mondo: un bambino ancora in fasce, al cui interno alberga lo spirito della strega, viene posto nella medesima culla di Kaemen, erede diretto del Guardiano Tharnodeth. La promiscuità dei due bambini permette alla strega di transitare dal corpo-ospite al piccolo Kaemen, distorcendone la volontà sin dalla più tenera età. Nessuno si accorge di nulla, anzi l’apparizione “misteriosa” di un trovatello nella culla è interpretata come una minaccia. Contrariamente al parere dei propri consiglieri, Tharnodeth lascia che il bambino viva e lo cresce come fosse il fratellastro di Kaemen: sarà quest’ultimo, tuttavia, a ereditare il titolo di Guardiano, lasciando al nostro fortuito protagonista tutto l’onere di fronteggiare l’Oscurità che si abbatterà sul mondo.

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Shattered Goddes, l’ottima illustrazione della copertina posteriore a cura di Stephen Fabian

Sotto l’aspetto della trama, Darrell Schweitzer non si scosta più di tanto dallo sviluppo tipico di un romanzo high fantasy: il suo Ginna è un ragazzo ingenuo, impreparato alla grandezza della battaglia che si appresta a combattere, alla stregua di Frodo o di Rand al’Thor (per citare esponenti di picco del genere). Grazie a diversi personaggi comprimari, il protagonista maturerà una graduale consapevolezza di sé e delle proprie capacità innate: «[…] riuscì a mettersi in piedi. Poi, per nessuna ragione razionale, non per desiderio di luce, ma solo perché in una situazione senza speranza nient’altro aveva più senso, niente di eroico, di stupido o perfino di istintivo, unì le mani, volle che la cosa fosse, e le separò. Una sfera luminosa, grande come una noce si sollevò lentamente.» I personaggi hanno una buona caratterizzazione, l’autore coglie anche qualche spunto che dà profondità agli interpreti della storia, ma non dobbiamo comunque attenderci ritratti particolarmente complessi.

La nota che contraddistingue “Alla morte della Dea” va rintracciata, invece, nello stile usato dall’autore: D. Schweitzer ha una naturale predilezione verso l’horror, genere cui ha contribuito tramite la curatela di antologie tematiche; anche quando rimane confinato nell’ambito più strettamente fantasy, la penna dello scrittore ha un tratto marcatamente cupo, rivelato ora nell’insistenza morbosa con cui descrive lo scenario di un mondo inghiottito da un’oscurità perenne, ora da certi dettagli in grado di suggestionare anche il lettore più scettico. Così, ad esempio, nelle prime pagine del romanzo, troviamo la strega in piena veglia nella sua bara, mentre viene trasportata a spalla fuori da Ai Hanlo: «Prese nota della lunghezza del viaggio, dell’inclinazione della strada che le faceva appoggiare la testa contro l’interno della bara, i sobbalzi e gli ondeggiamenti mentre i portatori scendevano a fatica dal fianco sassoso. Come aveva previsto, non la stavano trasportando in uno dei cimiteri all’interno della città. Ma in un appezzamento di terreno impuro fuori dalle mura, dove quelli che al mattino passavano con i carri di rifiuti per le strade della città, gettavano il loro carico.» Come nota il saggista S. Beherends, l’elemento di terrore nella narrativa di Schweitzer è diretto e profondo poiché l’autore prende le distanze dall’approccio “dunsaniano” che, al contrario, rifugge la descrizione diretta e minuziosa [2].

L’effetto complessivo è avvincente: la lotta fra bene e male non assume toni epici, piuttosto avviene in maniera viscerale, sullo sfondo di una terra morente che brulica delle vestigia di un passato che ricorda ai protagonisti l’avvicendarsi inesorabile dei cicli storici. Una parabola discendente di cui possiamo apprezzare i toni disfattisti persino prima che l’Oscurità irrompa nel mondo: «un uomo santo, il più santo di tutti gli uomini viventi […] prese un osso qualunque […] e su di esso scrisse un messaggio alla Dea, chiedendo aiuto nel tempo del pericolo. Poi gettò l’osso nel fuoco. […] ma quando lo estrasse dalle braci non c’erano incrinatura su di esso, e il messaggio era cancellato. Nessuna risposta, perché non c’era nessuno per rispondere. In questa maniera seppe che la Dea era morta

“Alla Morte della Dea” non è solo un romanzo che vive d’atmosfera. L’autore apre tematiche interessanti: l’equilibrio fra bene e male, l’ineluttabilità del ruolo dell’eroe, la caducità dello status di “divinità”. Quest’ultima riflessione, in particolare, meriterebbe un percorso di lettura a sé stante. Come nasce una divinità? Può una divinità morire? Mitologia, religione, filosfia e letteratura forniscono a tal proposito un gran numero di esempi: Osiride venne ucciso dal fratello Seth, prima di rinascere; Dioniso, pur essendo soltanto un semidio acquisì l’immortalità dopo aver ucciso il Re indiano Deriade; nell’ora del Getsemani, Gesù vive la sua esperienza più umana, l’abbandono e la preghiera prima dell’approssimarsi della morte [3]. E ancora, la pratica l’apoteosi degli Imperatori Romani e la disgregazione dell’ordine cosmico annunciata dalla famosa massima nietzschana “Dio è morto”. Riporta la nota del saggio Telechronos in apertura del romanzo: «Credo che un tempo tutti gli dei fossero uomini e, inotlre, che non abbiano scelto né cercato la loro divinità, ma che siano stati trasportati dagli eventi come ramoscelli in un fiume in piena, finché alla fine la corrente non divenne sacra, e loro persero di vista la riva dell’umana mortalità, e vennero alla luce

In conclusione, “Alla Morte della Dea” è una lettura interessante che declina temi tipici dell’high fantasy e che spicca per i suoi toni decisamente cupi. Siamo di fronte a un buon prodotto, scorrevole e dalle dimensioni contenute per i contenuti che riesce a esprimere. Certamente non una pietra miliare della Fantasy, ma assicura al lettore qualche ora di ottima lettura.


Consigli di lettura

A chi lo consiglio: a chi cerca un libro in grado di regalare atmosfere dalle tinte horror.

A chi lo sconsiglio: a chi cerca trame articolate, colpi di scena da mozzare il fiato o qualcosa di profondamente epico.

Storie sullo stesso tema: Jack Vance, il ciclo della Terra Morente se vi ha colpito l’ambientazione. Il monumentale ciclo della Ruota del Tempo se volete approfondire il tema della genesi di un superuomo.

Storie dello stesso autore: We are all legends, una raccolta di storie su Sir Julian l’Apostata, ambientate in un medioevo decisamente oscuro (qui la recensione).

Multimedia: la serie di videogiochi di Dragon Age, il disco alternative metal Wasteland del gruppo polacco Riverside.

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La mia copia del volume, pronta a ritornare sullo scaffale della libreria

Note

[1] Dove non diversamente specificato, tutte le citazioni sono tratte dal volume Alla Morte della Dea di Darrell Schweitzer, Urania Fantasy n. 20, Arnoldo Mondadori Editore (1990).

[2] M. Cardin (editor), Horror literature through history: an encyclopedia of the stories that speak to our deepest fears, ABC-CLIO (2017), pp. 735, 736.

[3] M. Recalcati, L’ora del Getsemani, Einaudi (2019)

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