SHINTOISMO E ANIMISMO GIAPPONESE – IL CULTO DELL’IMPERATORE

“Shinto” significa letteralmente “via del divino”.

Lo scintoismo o shintoismo è un culto animista e panteista di origine giapponese, prevede l’adorazione di “kami”, ovvero di spiriti presenti nella natura, protettori di un singolo luogo, oppure simboli di una dimensione astrale e spirituale più ampia, come la dea Amaterasu, che rappresenta il Sole, la stella a noi più vicina e che garantisce l’esistenza sulla terra.

Il termine “shinto” risale al VI secolo d. C. , quando vi fu la necessità pratica di distinguere la religione autoctona dal buddismo, importato prima dall’India verso la Cina, da Bodhidarma, e poi dalla Cina al Giappone, tramite i contatti che le due culture, seppur sporadicamente e limitatamente agli scambi commerciali, ebbero in epoca antica.

La parola è formata da due ideogrammi, due “kanji” : “shin”, che significa “spirito, divinità” e “to” che deriva dal cinese “tao”, letteralmente “via, sentiero, percorso, iter in latino”.

L’ideogramma “shin” può anche essere letto con lo stesso significato di “kami”, ovvero “ciò che si manifesta dall’altare”. Lo shintoismo infatti prevede l’adorazione dei cosiddetti “kami”, gli spiriti naturali onnipresenti nel tessuto invisibile che lega il fisico all’invisibile, nelle pieghe più profonde e sottili del reale.

Il termine “shinto” è anche usato per indicare il corpo del “numen”, che si manifesta, per esempio, in una sorta di reliquia, anche se il termine “reliquia” in senso occidentale e cristiano è abbastanza improprio, in quanto, per esempio, una katana, un’armatura, un talismano, è solo la rappresentazione fisica di qualcosa di legato alla sfera del mistico, per quanto riguarda l’ambito cristiano le “reliquie” sono le testimonianze dirette dell’esistenza dei santi, e hanno più o meno la stessa valenza religiosa, ma con una profonda differenza.

Innanzi tutto lo shintoismo è panteista. Sebbene la dea Amaterasu impersonifichi il Sole, vi sono moltissime divinità minori e spiriti legati, per esempio, ad un albero considerato sacro, oppure, appunto, ad una spada, o a un determinato tempio o a un determinato luogo.

Al di là della credenza religiosa, Jung esegue una disamina molto interessante dal punto di vista psichico riguardo la questione dell’animismo.

L’animismo è, ne “Gli archetipi e l’inconscio collettivo”, opera del padre della psicologia svizzero, un bisogno di comprendere sé stessi, esternando il proprio inconscio in simboli e archetipi all’esterno da sé, ma che rivelano la profonda ricerca interiore di un popolo, e il bisogno psichico naturale di conoscere ciò che è “al di dentro” dell’uomo, ciò che si trova nell’inconscio.

Se per Sigmund Freud l’inconscio era detto “sub” conscio, ovvero una “catasta” di dati rimossi dalla razionalità e dalla coscienza delle esperienze di vita vissute, una serie di particolari giudicato dall’io umano “inutili” o addirittura censurati, per Jung l’inconscio è un motore vivo e pulsante, e l’animismo in sé ne rappresenta il bisogno di scoprire sé stessi e conoscere la natura di cui si è composti, esternando sé stessi e rivedendosi nel peregrinare del Sole nel cielo, impersonandolo, con un dio, Apollo per i greci, per esempio, o una dea, Amaterasu, per i giapponesi.

L’inconscio stesso fornisce all’uomo, prepotentemente, e in maniera molto vitale, l’oggetto di adorazione, che rappresenta in realtà il bisogno di conoscenza dell’infinito dell’uomo, e dell’invisibile, entrambi elementi che si trovano, non tanto all’esterno, ma nella dimensione interiore umana.

L’uomo, in modo “primitivo”, ma spontaneo, esteriorizza l’interiorità, impersonificando sé stesso nei cicli cosmici dell’universo.

La mancanza di questo senso d’immane grandezza, porta l’uomo a sminuire la sua stessa natura, e a decadere, nello spirito.

Nella seconda metà del XIX secolo, durante la restaurazione dell’epoca Meiji, lo scintoismo fu adattato a una prospettiva ideologica di natura politica, mirando a dare un supporto “mistico” e religioso alla figura dell’imperatore, diretto discendente del Sole stesso, ovvero, della dea Amaterasu, ideale progenitrice della stirpe imperiale.

Le origini dello shintoismo si sono perse tra le infinite spirali e pieghe della storia, ma di per certo si sa che deriva da popolazioni del territorio dell’indocina.

Nel VI secolo d. C. , dopo i primi contatti con il buddismo, il confucianesimo e il taosimo, la mitologia giapponese fu adattata a precetti filosofici cinesi, per legittimare la sovranità della stirpe imperiale, in quanto, appunto, discendente della dea Amaterasu, il Sole.

All’inizio dell’epoca Nara, intorno al 700 d. C. , il “Kojiki” e il “Nihongi”, annali della tradizione giapponese, furono compilati unificando una serie di racconti che dispiegavano la cultura e il folklore, facendoli aderire a precetti morali tipici delle religioni cinese, come taoismo e buddismo.

Quest’epoca rappresenta anche l’inizio della grande tradizione del buddismo zen, una forma “giapponesizzata” del buddismo, seguendo il concetto cosmologico fondamentale, che tutto è Uno, e la collettività fa parte di un unico substrato presente al di là sia del reale, sia dell’irreale.

C’è qualcosa di caoticamente completo in sé nato prima del cielo e della terra. Non conoscendone il nome lo chiamo Tao” – Lao Tzu, fondatore del pensiero taoista

Il Tao che può essere pronunciato non è l’eterno Tao. Il nome che può essere detto non è il nome eterno: l’innominabile è l’eterna realtà. Dare nomi è l’origine di tutti i particolarismi.” – Lao Tzu, Tao Te Ching

Le antologie mitologiche, insieme ad altre antologie di poesie come il “Manyoshu”, contribuirono a rafforzare la centralità della famiglia imperiale sostenendo e divinizzando il suo mandato governativo.

Quando a corte il buddismo fu iniziato a praticare, vi fu la necessità di distinguere il buddismo dallo scintoismo, e in effetti, quest’ultimo, prima dell’arrivo in Giappone dei culti buddisti, non aveva nemmeno un vero e proprio nome.

La dea Amaterasu iniziò a coincidere con una manifestazione del Buddha, Dainichi Nyorai, detto “Grande Buddha Solare”, al fine di unificare il folklore e la tradizione popolare, ancora frammentaria, e foriera di lotte intestine che attraversano tutta la storia antica del Giappone.

Al di là degli scopi politici della dinastia imperiale, lo shintoismo e l’animismo giapponese rivelano un bisogno insito nell’umanità tutta.

Se io, uomo, finito, decadente, caduco, mortale, proietto me stesso nella grandiosità del Sole, e combatto per l’imperatore, che ne è il discendente, anch’io sono parte del Sole stesso, dell’universo stesso, dell’infinito stesso, e sono più vicino al cosiddetto Tao, substrato cosmico universale, paragonabile allo Spirito dell’idealismo tedesco, seppur con profonde e sostanziali differenze.

L’animismo implica una sensibilità che è estranea all’idealismo tedesco, che relega l’autenticità del reale in un “oltre” iperuranico, al di là addirittura dello stesso cielo.

Invece per lo scintoismo è il cielo stesso a rappresentare il divino, è l’imperatore stesso a essere figlio del Sole, è il popolo stesso, l’individuo stesso, facente parte dell’Uno della collettività, a essere figlio del Sole, e a servire e combattere per il Giappone, che è la manifestazione fisica, in questo senso, del grande Spirito universale, che è immanente in tutte le cose.

Questa visione del mondo e dell’individualità è assolutamente estranea all’attuale società globale, che è così vuota di ogni riferimento astrale, di ogni concetto “alto”, materalistica, meccanicistica, fredda.

La società globale ha portato a uno svilimento della natura stessa dell’uomo, che ora, non vede più sé stesso nel Sole, e negli astri, ma si vede allo specchio, e basta, e vede un sacco di rughe e imperfezioni, che avanzano, inesorabili, in una visione delle cose del mondo che porta inevitabilmente alla sofferenza dell’animo e della psiche.

Jung più volte afferma che l’uomo ha bisogno di una prospettiva infinita, dal punto di vista proprio della sua sanità psichica, senza progettualità e senza una prospettiva più ampia, la mente muore, e con essa, l’animo, le emozioni, le sensazioni, le percezioni, e lentamente, il corpo, che comunque inevitabilmente morrebbe, ma con tutt’altro senso, con una prospettiva completamente differente. Egli morrebbe facendo parte, e sentendosi parte, dell’universo, invece, l’uomo contemporaneo è completamente distaccato da una visione d’insieme, e quindi, anche da sé stesso, alienato dalla sua originaria manifestazione.

La concretezza e il realismo del positivismo, la fiducia nella scienza, l’eccessiva fiducia nei mezzi di comunicazione, il “delegare” la propria manifestazione fisica e spirituale a cose materiali, causano all’uomo contemporaneo una sofferenza continua, insopportabile, invalicabile, tutto sembra “più grande di noi”, quando invece è proprio di quel “più grande” di cui siamo diretti discendenti e facciamo parte, nella nostra individualità, secondo una visione orientale giapponese, riferita allo scintoismo e al taoismo, dell’Uno, del Tao, di un unicum che si dispiega nei particolari perdendo di autenticità, ma sta all’uomo stesso ritrovare l’autenticità della sua realtà in sé stesso, nell’interiorità, facendo i conti con l’inconscio, e i terrificanti demoni che lo abitano.

C’è sempre un’unica battaglia da combattere, la luce contro le tenebre, la nostra luce interiore, che illumina l’ombra dell’inconscio, riconoscendone la natura numenica e mistica.

Il divino è nel Sole, ma il Sole è all’interno del più profondo abisso, e la ricerca di esso, la ricerca della verità, e del fondamento interiore, tramite una visione animistica e shintoista, è sì portata al di fuori di sé, ma è innanzi tutto negli abissali e infiniti spazi dell’inconscio.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: