I racconti di Satrampa Zeiros – “Wynder, il senza ragione” di Samuele Baricchi

Per “I racconti di Satampra Zeiros” , abbiamo il piacere di ospitare per la prima volta Samuele Baricchi, autore emergente che ci propone “Wynder, il senza ragione”, racconto sword and sorcery di circa 29.000 battute.


Autore

Nato il 14 Dicembre 1990 a Basaluzzo, piccolo paese nella provincia di Alessandria sviluppa la passione per la letteratura fantasy e gli strumenti a corde fin da molto giovane. Ha frequentato il Liceo Classico A. Doria a Novi Ligure e la Facoltà di Lettere e Filosofia. Pubblica diversi racconti, scritti e frammenti di poesie dall’haiku allo sperimentale su vari siti internet (per citarne uno http://www.efpfanfic.net con lo pseudonimo “The Wanderer”), fin dai tempi della scuola media. Continua a coltivare le passioni e gli studi per la storia, la filosofia, la mitologia, il teatro antico, e la letteratura fantasy epica. Scrittore di racconti, saggi brevi, sword & sorcery, poesie e frammenti di scrittura di vario tipo dall’introspettivo piuttosto che d’avventura e azione, o in stile “flusso di coscienza” o completamente sperimentale. Compositore di brani musicali per diletto ed esecutore con chitarra classica, elettrica, chitarra basso, e sintetizzatori. Ha fondato il blog Echoes (https://echoesinfo.data.blog/)


WYNDER IL SENZA RAGIONE

 CICLO DELLA LOCANDA DEI CANCELLI DELLA NOTTE

 Samuele Baricchi

 

Prologo

 

Della notte e della Luna sfuggente

Del silente rimembrare di epoche antiche, storie morte

Ossa nel profondo della terra coltivata

Uomini che si nutrono su gesta di altri uomini

Coltivando e pescando, cacciando e bevendo istanti d’infinito

La Locanda dei Cancelli della Notte

con strani figuri

dalla Bella maga al Ladro ubriaco un sorriso d’intesa attraversa l’aria appesantita dal vociare dell’affollata taverna

Una lama fulminea penetra la nuca dell’individuo ubriaco, sbavante e ridacchiante catarro in fronte al lesto Ladro più ubriaco della sua vittima.

Un sorriso tra la Bella e il Ladro, e svaniscono tra i loro cappucci, nella profondità della notte.

Mentre il poveraccio si dissangua, tossendo, provando a pronunciare le sue ultime parole, ma riuscendo ad emettere rantoli e gorgoglii sinistri dal profondo del suo stomaco. Vomita sangue. Ma non rovina la cena a nessuno.

Tra le pianure illuminate dal pallido biancore lunare, la Bella e il Ladro si baciano intensamente, come dopo ogni volta che un contratto finiva.

Ancora vivi. Ancora una volta. Ancora di più. Ancora più ricchi. La brezza leggera dell’Estate con le dita affusolate del biondo del grano accarezza i capelli alla Maga, che richiama i cavalli. Tra la falce di Luna crescente e le stelle tra il rossastro del crepuscolo i destrieri dall’aria discendono, prendendo consistenza, lentamente, frutto di un’evocazione. Scapparono via veloci, lasciandosi alle spalle pietra, oro e acciaio, tornando tra i boschi dell’Autunno perenne.

Ambedue uccidevano o derubavano per vivere, per respirare a fondo l’essenza del legno e della fiamma, del fiume e del gelo delle tombe, e dei solitari segreti della notte più blu e leggera, che tutto muta e tutto ritorna, caduco ricordo di epoche distanti. E per provare ancora più passione di quella che i loro corpi nudi potevano trasmettere l’un l’altro. Si spogliarono lì, in mezzo al fieno estivo.

Con la brezza notturna che accarezzava loro la pelle, labbra e carne che sublima, contorcendosi, sudando, riversando sospiri e grida verso la profondità delle stelle che saggiamente osservano per sempre e per sempre ancora le vite mortali. La Maga e il Ladro si scambiano promesse che sanno di eternità.

Ma l’eternità, come gli dei ben sanno, appartiene ben poco agli uomini, possono scorgerla, per qualche attimo, e l’amore, la passione bruciante che consuma l’anima del Ladro, come una candela, squarcia la notte e ne eviscera i misteri. Le sorride. Anche lei sorride.

Con un ago buca la carotide del suo amante. Prende la borsa piena d’oro, nuda, dopo aver aspettato che l’uomo si dissanguasse sopra di lei. Sotto la luce della Luna il sangue assume quasi il colore del vino.

Lentamente, si spoglia delle sue sembianze umane, per tornare tra le tenebre striscianti e tra gli orrori nascosti dal sussurrare del vento tra le fronde degli alberi scuri, e alla terra inumidita dalla foschia che scivola fuori dal sottobosco proprio prima dell’Alba.

Era una notte nevosa e cupa la prima volta che gli parlai.

“Un sorso alla Luna scomparsa…”

“…e un sorso all’Amata morta”

Mi voltai sorridendo. Ma l’uomo non stava accennando il benchè minimo sintomo di empatia nei miei confronti. Mi guadava fisso, serio in viso, i capelli grigi e inumiditi dal nevischio appiccicati sulla fronte, il cappuccio di cuoio tirato su fin quasi sopra il naso, gli occhi azzurri, spenti, anziani.

“Lo sai cos’è?”

“No, signore, mi perdoni, io…”

Si mise a ridere forte, gutturale. La risata si spense in colpi di tosse gorgoglianti.

“Non sono così vecchio, mi chiamo Wynder”

Tirò fuori la mano destra da sotto al mantello con un gesto talmente veloce e improvviso da farmi sussultare e arretrare d’istinto.

“Ehi, ehi…tranquillo, non ti faccio niente, che ci fai qui alla Locanda se sei così pauroso?”

“Io non sono…pauroso”

Sentii le guance divampare.

Quel vecchio non sapeva niente di me.

La mia reazione era saggia, non era dettata dalla paura, era voluta dall’esperienza. Quel vecchio non doveva avere molta esperienza in combattimenti, forse qualche rissa, qualche fendente di spada quand’era più giovane, ma non era di sicuro addestrato come lo ero stato io. E non aveva quello che io celavo con tanta cura nel profondo dell’animo.

Non provava odio.

Rise ancora.

“Ah si? Dimostramelo, uno contro uno, niente armi!”

Spinsi via lo sgabello su cui sedevo con un calcio.

Feci cenno di sì, che avrei accettato. Mise una borsa piena di monete d’argento sul bancone.

“Questa è la posta. Se mi butti a terra, la borsa è tua”

Rimasi sorpreso.

“Ma potresti romperti qualcosa…”

“Anche tu”

Senza accorgermi da dove, quando, e perchè un suono sordo e poco rassicurante mi pervase la fronte, il mio naso e il mio zigomo sinistro andarono in frantumi. E caddi per terra, nel buio.

“Dovevi dargliele così forte? Non lo vedi che non è uno di qui, come faceva a conoscerti?”

“E’ solo un assassino Haydel con troppa boria addosso, e avevo bevuto due birre di troppo, devo ammettere…”

“Lo sai che non devi bere, zio!”

“Perchè? Cosa può succedermi?”

“…”

“…”

“…succede che ti ubriachi e pesti a sangue gli stranieri!”

“Gli ho dato la mano, volevo essere amichevole in questo posto sperduto, per una volta, una cazzo di volta, e questo si ritrae di scatto, come se fossi un…mostro…detesto quest’aspetto”

“Scemo! Ha percepito in qualche modo il tuo reale potere, o comunque d’istinto ha capito che potevi essere pericoloso…”

“Ora l’ha capito di sicuro”

“Credo anch’io”

“Meno male che ci sei tu”

“Si si come no…falli a qualcun altro i complimenti…leccaculo di un vecchio…”

Mi svegliai. E affianco a me in piedi c’era il vecchio che mi aveva steso, e seduta, con le mani rivolte coi palmi verso la mia faccia, una ragazza relativamente giovane, non riuscivo a vederla bene, emanava un vapore bluastro dalle mani, che illuminava la stanza come una candela. Ero in una camera con un letto singolo, senza troppa mobilia se non un mobile con sopra impilati dei libri e delle candele di sego.

Feci per tirarmi su.

“Sta’ fermo, ci vorranno ancora un paio d’ore”

“Un paio d’ore per cosa?”

“Per rimetterti a posto quella tua faccia da Haydel”

“Cosa mi stai facendo?”

“Un favore, spero ricambierai presto, se stai buono finiremo prima, e prima potrai ripagare il tuo debito!”

Pensai : debito? Quale debito? Mi ritornò alla mente una borsa piena di monete d’argento, e un uomo che dimostrava novant’anni sferrarmi un pugno dritto sul muso a una velocità disumana. Dov’ero finito?

Mi assopii.

Gli Haydel erano una gilda di assassini che per tradizione addestrava fin dalla tenera età la sua popolazione all’arte del combattimento nell’ombra, indistintamente maschi e femmine.

L’ambiente in cui crescevano, montuoso e glaciale, perennemente sferzato da venti forti, caratterizzato da abitazioni raggiungibili talvolta solo tramite funi e ponti di corda strettissimi, insegnava loro una rapidità di riflessi fuori dal comune e superiore a qualsiasi uomo delle pianure. Ma quel cazzo di vecchio mi aveva quasi ucciso.

Mi svegliai col volto in perfette condizioni.

“Io mi chiamo Annegale, sono una curatrice, ho studiato per un po’ poi il mio maestro è morto di vecchiaia e da allora pratico da sola, ma vedo che alla fine il tuo corpo ha reagito bene”

“Sono…tutto intero, credo”

“Certo, è l’incantesimo che mi riesce meglio, e l’unico che mi serva davvero, Wynder si mette sempre nei guai con la gente che viene da fuori, e poi gli dispiace, e li fa curare a me”

“Non mi sembrava dispiaciuto”

“Perchè lo dici?”

“Parlava di un debito, qualcosa che gli devo”

Annegale sorrise sinistramente, per un istante, e poi la sua espressione tornò quella di prima, entusiasta, gioiosa, vivace.

“Io parlavo di un debito! Non credere che le cure siano gratuite”

“Voi…adescate gli stranieri per ferirli a morte e poi curarli, affinchè siano in debito? E’ così che vi guadagnato da vivere?”

“E’ un territorio di frontiera”

Wynder fece capolino dalla porta con in mano una tazza ricolma di quello che doveva essere o stufato o passato di verdure o entrambe le cose insieme, non capivo, spuntavano dei funghi interi da sopra l’orlo della tazza.

“E quindi quanto vi devo per le cure?”

“Non è un quanto…è un cosa”

Mi porse la tazza e iniziai a mangiare, scoprendomi affamato.

“Vieni con me a cercare l’arco di Fell-huur”

Mi andò di traverso la zuppa, e iniziai a tossire, sputandola dal naso. Mi ero cacciato in una situazione pessima.

 

Parte Seconda

 

“Sono solo fiabe”

Wynder rise forte.

“Solo fiabe? Vieni con me”

“Ma zio non si è ancora ripreso del tutto”

“Non preoccuparti, Annegale, ci penso io a lui”

E le accarezzò la testa con fare paterno. Probabilmente erano entrambi le uniche persone rimaste al mondo l’una per l’altra.

“Voglio mostrarti una cosa”

Raggiungemmo il limitare del bosco, appena sopra la collina sotto la quale si trovava il focolare di Annegale.

Faceva freddo, ma non mi sentivo a disagio, stava cadendo un nevischio misto a pioggia che ogni tanto ti pungeva il viso. Ero troppo incuriosito da quel vecchio per badare al clima.

Wynder si voltò, tutto avvolto nel suo scuro cappuccio, si intravedevano gli occhi e qualche ciuffo di capello grigiastro misto al biondiccio.

“Muoviti, sei lento, terribilmente lento”

Avvampai di rabbia per qualche istante. E va bene, pensai.

Sfoderai in assoluto silenzio la lama.

L’elsa del pugnale si confondeva tra le ombre della notte, e la lama brillava fiochemente della luce lunare.

Mentre Wynder stava conversando da solo, o con una pianta medicinale rara, non si era capito bene, ma quel vecchio strambo parlava sempre da solo, quindi non c’era da stupirsene.

L’unico dubbio che mi tormentava era riguardante i suoi riflessi, alla locanda del Gufo di Nightdoor mi aveva colto alla sprovvista.

Saltai, forse troppo d’istinto, troppo di scatto, Wynder si abbassò appena in tempo per evitare una mia coltellata diretta alla giugulare.

Voltai velocemente l’elsa del pugnale di centottanta gradi e tentai di pugnalare il cranio del vecchio, dall’alto verso il basso.

Si voltò, senza parlare, scatenò un sortilegio. Caddi per terra, e la neve gelida inizava a ricoprire il mio corpo, mente sprofondava nel terreno umido, fangoso, paralizzato. Senza la forza di parlare, e stava quasi per mancarmi il respiro del tutto, si era fatto affannoso ed esageratamente in ricerca di ossigeno, mentre terra, radici, e fogliame secco mi ricoprivano il viso, sempre più gravi e spessi.

“Allora, mio giovane assassino Haydel, o la smetti di meditare di uccidermi…”

“Tirami…fuori…”

“E cosa mi devi promettere solennemente?”

“Che non provo a farti nulla”

“Lo giuri?”

Il ghiaccio ricoprì la spessa coltre di neve, iniziai a tremare dal freddo e ha strofinare la mani per scaldarmi, e mi scendevano grosse lacrime dagli occhi per l’immenso gelo crescente in quella che era sempre più simile a una bara, ne stava assumendo le forme e le linee.

“Lo giuro! Fammi uscire!”

Gridai con tutto il fiatto che avevo in corpo.

Un mese dopo, mi risvegliai.

Venni a sapere da Annegale che to suo zio con l’età stava iniziando a non ricordarsi bene gli incantesimi e talvolta esagerava. Secondo me voleva farmi fuori, e in ogni caso, voleva darmi una lezione.

Mi dava troppo fastidio per lasciare perdere, detestavo se mi si impartivano ordini, va bene pagare le medicazioni ad Annegale, ma Wynder aveva oltrepassato il limite tra l’addestrare un seguace e tentare di ucciderlo.

Quella era una punizione vera.

A ogni popolazione il suo, gli Haydel iniziano i loro assassini con metodi brutali.

Ma qui era un’altra cosa, quello era un vilaggio di contadini, parecchie cose non tornavano.

Ma cosa voleva realmente Wynder da me? Forse era un anziano stregone un tempo molto potente, ritiratosi in una zona poco frequentata, per finire i suoi giorni in santa pace.

Wynder entrò nella stanza illuminata dalla luce fioca delle candele.

“Hai la resistenza di una moffetta”

“E tu hai cercato di uccidermi!”

Gli sputai in faccia.

“Se mi ucciderai, sappi che i miei confratelli ti cercheranno e ti troveranno”

“Le minacce non funzionano con me, i fatti si, vieni con me”

“Perchè dovrei farlo? Cos’è stato..quello?? Quel controllo delle forze naturali così sicuro e preciso, e…inquietante. L’ho percepito, sei legato alle Ombre.”

Wynder sogghignò, stappando una bottiglia di birra scura, pulendosi il mio sputo dalla faccia con disinvoltura. Come se fosse abituato a farsi sputare in faccia. Tenendo conto della sua pessima indole, pensai che gli fosse accaduto molte volte.

Ma non era uno stregone, non era un vagabondo qualsiasi, nè l’ubriacone mezzo idiota, anzi, tutt’altro.

“Alla salute”

Guardai la birra.

“Non è mica avvelenata. Ti do un consiglio, che può salvarti la vita tante volte, tienitelo stretto questo suggerimento. Non comportanti in modo guardingo in ogni situazione.”

Rimasi in silenzio.

“So che il popolo da cui provieni ti ha abituato a reagire e a comportati un certo qual modo, segui l’etichetta, fai bene, è giusto per te se ti fa del bene questa cosa, accresce le tue energie e le tue capacità. Ma io, non sono un nemico”

Tirai fuori entrambi i pugnali e gliei puntai alla gola, con un solo colpo secco dei polsi all’unisono avrei potuto decapitarlo di netto in qualsiasi istante.

“Già. Se solo non fossero due pugnali, ma due zucchine”

Annegale rise forte. E lo stesse fece Wynder.

“Non devi preoccuparti”

“Sei tra amici, te lo ripeto”

“Sono rimasto sotto l’effetto dei tuoi incantamenti e ho dormito per non so quanto”

“Sei stato nel letto un mese”

“Un mese?? Tu brutto bastardo cos’hai fatto?”

“Io niente, è stato uno degli innumerevoli spiritelli del gelo che si nutrono col calore dei viaggiatori, lo succhiano, è vita per loro, è nutrimento”

Rimasi in sienzio, attonito.

“E quello spirito stava assorbendo la mia essenza per mangiarsela…”

“Ti intendi delle cose della terra, legate agli uomini, alla politica, al derubare e all’assassinare per denaro, ma io, m’intendo delle cose che non si vedono, a meno che uno non presti attenzione nel guardare, e in questo sei diverso da molti altri, ma le tue percezioni acute non possono soverchiare le leggi di questo vecchio mondo, e io lo visito e ci cammino sopra da tanto, tanto tempo.”

“Quali altre creature del genere troveremo?”

“Non è la domanda giusta da porre…la domanda giusta sarebbe, come facciamo a combatterli?”

Annuii.

“Con un talismano, per me non basterebbe, sentirebbero lo stesso la mia presenza, ma dato che la tua identità, rispecchiata dalle tue arti, non ha nulla a che fare con la mia, con questo semplice oggetto puoi tenerli a debita distanza, almeno giusto il tempo per vederli senza farti sorprenderti, poi, se sei d’accordo con me, come tattica, stiamo vicino, spalla a spalla, e li affrontiamo in cerchio, io ho un po’ di frecce al mio arco e conosco vari modi per scomparire completamente, oppure distruggere questi spiriti, o meglio, la loro manifestazione fisica, almeno un po’, almeno il tempo di lasciare la collina.”

“Perchè questi spiriti infestano questa vallata?”

Wynder rimase zitto, Annegale si comportò nella medesima maniera.

“Cos’era quel trucchetto da quattro soldi? I miei pugnali dove sono?”

“Sono sempre rimasti nelle tue mani”

Mi guardai le mani, e i pugnali erano lì, senza avere l’aspetto di ortaggi.

“Un’illusione?”

“Sì, ma non mia, di Annegale”

Mi voltai dritto di scatto verso la giovane ma non riuscii a rimproverarla in alcun modo. Era troppo sorridente e disponibile verso il prossimo per pensare di spezzare questa sua felicità.

Con Wynder era diverso, sembrava l’unico modo possibile di comunicare.

Il giorno dopo partimmo. Nevicava forte.

Non riuscivo a distinguire gli alberi dalla strada.

“Seguimi”

Camminammo per giorni e giorni. Sembrava che la tempesta arrivasse dalle estremità più profonde e fredde dei picchi delle Deephands Mountains, che si estendevano sopra le nostre teste, in lontananza, sull’orizzonte, trasmettendoci una reverenziale paura dell’ignoto.

“Le vedi?”

“Le vedo”

“Sono meravigliose non è vero?”

“E’ lì l’arco?”

Wynder rise forte, potevo sentire la sua risata echeggiare per la strada.

“Dobbiamo superare le Deephands, svalicheremo in un posto sicuro, e non temere quei picchi, e quelle vette vertiginose, quello che provi è un giusto sentimento di coscienza del fatto che sei mortale, ma è proprio…”

Mi appoggiò una mano sulla spalla, arrancando nella neve per avvicinarsi, ansimando un po’.

“…è proprio quella coscienza di finitezza e caducità che può salvarti la vita e garantirti anche la possibilità di goderti momenti come questo”

“Una merdosa tempesta di neve e una ricerca che può portare o tanti soldi, o una vita molto breve e con un finale molto brutto, che cosa dovrei godermi?”

Wynder ridacchiò, la risata terminò con uno scoppio di tosse e scatarrò sulla neve fresca.

“Gli Haydel sono nati lì”

“La mia gente vive a un mese di navigazione da qui, il maestro più antico insediò l’ordine tra i monti Futahm-ka…”

“Sì, no, sì, tra quei monti c’è la prima roccaforte Haydel, quella autentica, non quella dei libri di storia, l’antico Gran Maestro Hishin non era certo uno stupido da rivelare ai suoi discepoli e allievi il vero segreto della sua capacità unica….”

Rimasi in silenzio, mentre ricominciammo a camminare, scrutavo quei monti, senza capire. Scrutavo Wynder, capendo lui ancora di meno.

“Come sai queste cose sul mio ordine? Sull’antico Gran Maestro?”

“E tu come fai a non saperle?”

Lo guardai con aria stupita e interrogativa, iniziando a pensare quanto fossi stato stupido a mettermi in affari con un vecchio demente.

“Di che cosa stai parlando smettila di girarci intorno cosa mi stai nascondendo? Una banda di vecchi mercenari in cerca di soldi per bere pronti a tagliarmi la gola dietro alla prima roccia innevata? Non si vede niente con tutta questa…”

“Tu sei un mercenario”

“Il mio ordine ha nobili origini…”

“Sì, certo”

“Smettila di provocarmi vecchio o ti do una mano ad affrettare i tempi per la fossa”

Gli puntai un pugnale alla gola, complice la distrazione del freddo e della neve, ma sapevo essere saldo, quando avevo i pugnali in mano, ero quell’acciaio, e l’acciaio non sente il freddo.

Wynder guardò in basso, facendo lentamente mezzo passo indietro, ma io continuai a premere la lama sulla gola barbuta.

“Mi rende davvero triste non poterti dare tutte le risposte che avresti sempre meritato”

L’unica cosa che sapevo è che di domande non me ne ero mai poste, quindi non capivo come Wynder potesse conoscere una risposta a che cosa poi non saprei proprio.

“Fa un freddo cane ci vogliamo muovere”

Staccai la lama dalla gola del vecchio, tagliandogli di netto la barba.

 

Parte Terza

 

Tutto quello che sapevo di Fell-huur, era raccontato nelle antiche cronache e nei poemi, di cui non avevo mai letto, ma solo sentito parlare.

Fell-huur sconfisse i demoni delle terre di Ktèlia, e il suo leggendario arco venne trafugato dalla sua tomba ormai un secolo fa, nell’era degli Imperatori d’Argento. Si racconta che Fell-huur incantò le frecce con il sangue di una driade, e che quella driade fosse la sua stessa madre. La magia della terra sconfisse la magia delle Ombre, riportando in pace Ktèlia e le sue infinite pianure.

Fell-huur si stagliava al centro della prateria. I demoni, discesi dalle profondità delle Ombre, in una catabasi terrificante, devastavano i villaggi di contadini e pastori uccidendo, sbranando e devastando ogni bene materiale della povera gente di Ktèlia. Gli antichi Imperatori d’Argento non si preoccuparono di una terra di contadini e poveri. Gli antichi Imperatori d’Argento erano chiusi nelle loro città splendenti di porpora, dagli stendardi svettanti verso il cielo, smossi dal vento in tempesta, attendendo l’assedio.

Centoundici frecce per centoundici demoni. Fell-huur non ne scagliò nè una di più, nè una di meno.

Avanzando nella neve, il vecchio Wynder aveva iniziato a superare la mia andatura, andando molto più veloce di me. Nonostante fossi stato addestrato in un clima simile e fossi molto più giovane, Wynder pareva conoscere ogni piccola parte di quella regione di frontiera.

Raccolse qualche pianta officinale, mi disse :

“Mastica, è per non sentire il freddo”

Senza domandarmi troppo se mi stesse avvelenando o meno, addentai l’erba amarognola, masticando rumorosamente, anche per la fame, che ormai, dopo ore di cammino, iniziava a farsi sentire.

Approfittando della pausa durante il cammino, gli rivolsi una domanda.

“Tu sai dov’è l’arco di Fell-huur”

Wynder rise forte

“Nella roccaforte degli Haydel!”

Per un attimo rimasi sorpreso.

“E perchè non ci sei mai andato da solo? Ma soprattutto… cosa ti da la certezza che quell’arco si trovi esattamente lì, oltre le Deephands?”

“Montiamo una tenda sotto quella collina, lì dovremmo essere per lo meno un po’ riparati dal vento, e riposiamo un poco, presto sarà buio.”

Acconsentii senza esitare.

Davanti a un fuoco caldo, poco dopo, e una frugale zuppa cucinata sul momento, e un boccale di birra scura che Wynder mai si faceva mancare, lo guardai, dopo aver mangiato e bevuto in silenzio, com’è usanza degli Haydel, aspettando che il suo sguardo incrociasse il mio.

Wynder masticava lento, evitando quasi volutamente il contatto visivo.

“Sento i tuoi occhi su di me, giovane Haydel, e so che aspetti che io ti dica perchè ti ho portato con me”

Annuii, tirando fuori la mia pipa, riempiendola di tabacco, e accendendomela.

“Come vedi, ho conoscenze particolari riguardo l’arte magica della terra, conoscenze che per molti sono innate, ma che per me hanno costato tanti sacrifici, e il mio aspetto, quello di un vecchio, lo devo all’uso improprio che feci della magia anni fa, in realtà, io, non ho nemmeno compiuto i quarant’anni di età”

“Ecco da dove deriva la tua energia”

“Non credere che sia facile per me, aver barattato la conoscenza con la gioventù. Tutti i giorni il mio aspetto si riflette in una pozza d’acqua, e vorrei che il Sole prosciugasse ogni pozza d’acqua del mondo, per non potermi mai specchiare. Però io so, che l’acqua è ingannevole, e così lo è la forma di un uomo, il suo spirito, quello permane, la sostanza esiste, il corpo, invece, è mutevole, in continuo divenire. La mia forza fisica non è delle migliori, nella roccaforte degli Haydel potrebbero esserci pericoli o luoghi per me inaffrontabili e inaccessibili. Creature attirate dalla magia dell’arco stesso, dal sangue della driade.”

“E’ vero che la driade era la madre di Fell-huur?”

“Nessuno sa dirlo con certezza, probabilmente sì, considerando la natura della sua impresa, e la portata che essa ebbe sulle terre di Ktèlia, o più semplicemente, era un uomo molto fortunato e con una buona mira, che sapeva come usare il sangue di un essere legato alla magia della terra”

“Ma tutto questo non ha importanza, come fai a sapere con certezza che l’arco si trova lì, oltre il valico?”

“L’ha visto Annegale, sì, non fare quell’espressione sorpresa, ti ha mentito, giovane Haydel, lei non è solo una guaritrice, ha anche molte più capacità di quanto voglia dare a vedere”

“Non sono l’unico che diffida del prossimo”

“E’ una terra di frontiera, questa”

“L’ho capito, dimmi cos’ha visto”

“Una sala, con le statue degli antichi re Haydel, illuminata da un fuoco verdastro, al centro, uno scheletro, con una corona ferrea, antica, su di essa è cresciuto del muschio, quel muschio ci serve per accedere ai reami dell’invisibile, e riportare l’arco nel mondo terreno”

“Quindi l’arco di Fell-huur non è fisicamente presente nella roccaforte?”

“Lo è, certo, ma è solo un’ombra di ciò che era, un ricordo”

“Un ricordo….”

“Come una sensazione di qualcosa di oltre la nostra vita, come il volto che possedevi prima della tua nascita, come l’essenza della terra, inconoscibile, ma ben presente in ognuno di noi”

“Maledetto vecchio, mi hai trascinato in una ricerca impossibile, stiamo inseguendo un ricordo di un arco in una roccaforte che forse nemmeno esiste, seguendo le visioni di tua nipote”

Wynder rise forte.

“Riposa, giovane Haydel, riposa!”

Mi distesi su un fianco, ignorando il terreno umido e freddo, ignorando la tormenta di neve che infuriava fuori dalla tenda, pieno di dubbi, e Wynder attizzò il fuoco, ponendo sopra di esso un altro pezzo di legna, che scricchiolò sonoramente, rincuorandomi. Mi concentrai sul fuoco e sullo scricchiolio della legna, e lentamente, mi addormentai.

Il giorno dopo la tempesta era passata, e il cielo era azzurro e limpido, le nuvole violastre, portatrici di neve, distanti, sull’orizzonte.

L’aria pungente del mattino mi risvegliò all’istante, appena misi il viso fuori dalla tenda, Wynder ancora russava.

“Vecchio, è mattina, svegliati”

“Sono sveglio”

“Non è vero, stavi russando”

“Non essere pignolo, sconsiderato di un Haydel, adesso mi sveglio”

Si tirò su in piedi faticosamente, tossendo e dando una sorsata lunga a un boccale di birra scura, che non so come, era sempre e comunque pieno.

“Quella è la tua colazione?”

Wynder rise forte, tirandosi su, facendo versi doloranti per il freddo nelle ossa e per i remautismi della vecchiaia del suo corpo.

“Il corpo è vecchio, ma lo spirito è giovane, ricordatelo Haydel, e poi, comunque, è sempre meglio della tua, di colazione”

“Ma io non ho nulla da mangiare”

“Appunto”

E s’incamminò, nella neve, lasciando impronte leggere.

Mi resi conto che mi ero dimenticato di domandargli ogni cosa, di chiedergli a cosa effettivamente gli servisse quell’arco, e perchè lo volesse per sè e sua nipote a tutti i costi.

Per un attimo aprii la bocca per parlare, ma Wynder m’interruppe.

“Fa’ silenzio, stupido”

Mi zittii, e i miei sensi avvertirono delle presenze nella boscaglia.

“Sono gli elfi bruni, non ci disturberanno, se noi non disturberemo loro, smonta velocemente la tenda e proseguiamo il nostro cammino, stanno solo cercando di capire se siamo una minaccia oppure no”

Annuii ed eseguii gli ordini, seguendo il consiglio del vecchio di fare il più velocemente possibile, e lasciammo quel declivio, per portarci verso il valico.

A metà giornata, con il Sole alto nel cielo, svalicammo le Deephands Mountains per trovarci di fronte ad una distesa immensa di rocce annerite dal tempo, e aguzze. E nel mezzo, una fortezza in decadenza, ricoperta di muschio e selci, e alberi selvatici, percorsa da daini e topi e qualche felino che non avevo mai visto prima, simili a linci, che ne attraversavano l’esterno, con fare guardingo.

L’antica fortezza degli Haydel non era più grande delle dimensioni di un tempio, anche se, come mi disse Wynder, un tempo era il centro di un’immensa città, rigogliosa, nei tempi più antichi, quando gli Haydel erano ancora più simili a sapienti, che a semplici assassini.

Gli ricordai che io non ero un semplice assassino, ma ero addestrato a dovere ad affrontare qualsiasi situazione.

Ci addentrammo nelle ombre della fortezza, la luce del Sole pomeridiano svanì alle nostre spalle, Wynder mi pose una torcia, e la accese bevendo una lunga sorsata della sua birra scura, sputandola sopra ad essa, la birra prese immediatamente fuoco. Una volta accese le torce, e certo che si trattasse di un qualche sortilegio a me sconosciuto, proseguimmo per la costruzione decaduta, si poteva percepire l’aria rarefatta dal tempo, come se tutto divenisse immobile, e fuori da ogni dimensione di tempo e spazio.

“Cos’è questa sensazione?”

Sussurrai.

“L’antica magia della terra, giovane Haydel”

Giungemmo in una sala, seguendo una luce verdastra. Il fuoco che aveva visto Annegale.

Il salone aveva molte statue, ma non raffiguravano gli antichi re e sapienti Haydel.

Avevano sembianze mostruose, demoniache, arcaiche, primitive.

“Dove mi hai….”

Con un gesto della mano Wynder si sollevò da terra, il volto trasmutato in quello di un teschio di un bufalo, le corna formavano spirali sinistre, e la sua corporatura non era più quella di un vecchio, ma di un uomo nel pieno delle sue forze e dei suoi anni.

Mi resi conto troppo tardi di quello che stava succedendo.

Una voce, dalle profonde estremità degli spazi siderali, dai profondi limiti estremi del tempo stesso, risuonò per la sala.

“E così ritorni da noi, Wynder il Senza Ragione”

Ero paralizzato, piccole figure demoniache, ombre inconsistenti, mi trattenevano le gambe e le braccia, e si arrampicavano lungo la schiena, tirandomi indietro per i capelli, costringendomi a guardare la visione orribile dell’aspetto del Senza Ragione.

“Ritorni con un mortale, di sangue e di ossa e di carne”

Wynder rispose, con una voce che non gli apparteneva, e non sembrava provenire dalla sua manifestazione fisica.

“Ritorno da voi con un mortale, di sangue e di ossa e di carne”

“Placata sarà la nostra fame”

“Placata sarà la nostra fame”

“Placata sarà la nostra fame”

Il corpo massiccio col teschio di bufalo e le corna spiraliformi, contorte, ritorte su se stesse, si avvicinò a me con uno scatto.

“Sei uno stolto, giovane Haydel, sei solo una vittima sacrificale, il mio potere, ora, è rinnovato per un altro secolo”

Le ombre mi scorticarono lembi di pelle, e iniziarono a sventrare la mia carne.

“Placata sarà la nostra fame”

Urlai, o almeno credo di averlo fatto. Le ombre mi presero. La tenebra penetrò nel mio spirito, rinchiudendolo in luoghi oscuri.

Tutto il resto, era silenzio.

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