Titolo: Il Re d’Inverno (Excalibur #1)
Titolo Originale: The Winter King (The Warlord Chronicles #1)
Autore: Bernard Cornwell
Anno di Pubblicazione: 1995
Edizione Italiana: 1998
Traduzione: G.L. Staffilano, R. Valla
Casa Editrice: Mondadori
Pagine: 403
Sinossi
Anno del Signore 480: dopo secoli di dominio romano, la Britannia ha finalmente conquistato l’indipendenza, ma libertà non significa necessariamente pace: forze oscure tramano nell’ombra e i sassoni si sono già impadroniti dei territori a est dell’isola. Il vecchio re Uther Pendragon, il Drago Rosso, è ormai prossimo alla morte, e il suo unico erede legittimo, il nipote Mordred, non è che un bimbo di pochi mesi, nato storpio nel cuore dell’inverno. L’unico in grado di riunire il Paese contro i sassoni è Artù, leggendario guerriero detentore della magica spada nella roccia, forgiata nell’Oltretomba dal dio Gofannon e donatagli da Merlino, affinché riporti pace e giustizia nel regno. Un regno che Artù conosce bene: lì ha passato gli anni migliori della sua vita, ha combattuto e si è guadagnato la venerazione dei compagni. Il cammino verso la pace però è costellato di insidie e, quando incontra la bella Ginevra, nobildonna senza più terra né ricchezze, le cose precipitano irrimediabilmente: Artù si ritrova circondato da nemici su tutti i fronti, e costoro sembrano sul punto di infliggere alla Britannia il colpo di grazia.
Autore
Bernard Cornwell, scrittore britannico classe 1944, dopo aver lavorato a lungo alla BBC si è dedicato alla letteratura, diventando uno dei più noti autori di romanzi storici e d’avventura. Le sue saghe di maggiore successo sono quelle dedicate ai Re Sassoni, alle avventure di Richard Sharpe, al Romanzo di Excalibur e alla ricerca del Santo Graal.
Commento
Nelle mani stringo un libro che mi è speciale.
Copertina in toni di ghiaccio, l’elmo di Sutton Hoo e dettagli color rame. Ho comprato il Re di Inverno quando avevo appena nove anni: ricordo ancora la mensola in alto sul muro di un’edicola piccola quanto uno sgabuzzino e il libro che faceva bella mostra di sé. Da allora l’ho riletto tre volte, l’ultima appena una decina di giorni fa. Certe storie, sapete, hanno il potere di farsi più affascinanti ogni volta che le ascolti.
Con Il Re d’Inverno Bernard Cornwell, rinomato romanziere inglese, si cimenta in una sfida antica millecinquecento anni, quella di narrare al mondo le gesta di Artù e dei suoi cavalieri. Il suo ciclo, pensato come trilogia ma edito in Italia su cinque volumi, non è annoverabile strictu sensu nell’ambito del fantastico; tuttavia, la dimensione leggendaria della materia trattata e la superba interpretazione che ne dà l’autore, meritano il tempo speso a scrivere questa recensione.
Il ciclo bretone fra storia e leggenda
Non dev’essere stato facile, per uno come Bernard Cornwell, che ha costruito la propria fama sul romanzo storico, confrontarsi con una vicenda tanto ingarbugliata e rimaneggiata nei secoli. Il cosiddetto ‘periodo arturiano’ ci proietta nella Britannia del V secolo d.C., in un’impalcatura di eventi e protagonisti difficilmente ricostruibili con esattezza. In effetti, quella delle fonti, è un problema immenso, dato che i cronisti sono geograficamente lontani (Gallia) oppure condizionati da aspetti morali/religiosi (Prospero d’Aquitania, Gildas), posteriori di due secoli (Nennio) o interessate al solo punto di vista sassone (Cronaca Anglosassone) [1]. Oltre a ciò, bisogna considerare anche la difficoltà di destreggiarsi nella doppia variante etimologica dei nomi, latina e celtica; così, ad esempio, l’usurpatore romano Magno Massimo, di origine iberica divenuto in seguito un aristocratico britannico, viene menzionato nella raccolta gallese del Mabinogion come Macsen Wledig [2,3].

La storicità di Artù è definitivamente distanziata nel XII secolo, quando Goffredo di Monmouth redige la sua Historia Regum Britanniae, rappresentando per la prima volta una corte arturiana dai connotati medievali: la leggenda si arricchisce di aneddoti fantastici e si tramanda proprio nella sua forma ‘cavalleresca’ in cui, ormai, riecheggia ben poco delle cronache tardo-romane.
Di fronte al ‘divario’ fra storia e leggenda, Bernard Cornwell sceglie di recitare la vicenda nella sua accezione originaria, epurandola dagli abbellimenti successivi, pur consapevole del valore di quegli anacronismi storici. Lo dimostra il ricorso all’espediente della cornice narrativa: Derfel Cadarn è un monaco di origini sassoni ma è stato anche un guerriero al servizio di Artù, uno di quelli che la guerra l’ha vissuta con i propri occhi, sin dall’inizio, quando era solo un trovatello allevato dal druido Merlino all’Isola di Cristallo, nel cuore del Regno della Dumnonia. Ora Derfel è soltanto un monaco del che tenta di sfuggire alle angherie del suo superiore, il vescovo Sansum, trascrivendo le memorie di Artù per Igraine, protettrice del monastero di Dinnewrac. Igraine è curiosa di sapere ogni cosa di Artù e rimane delusa ogni volta che la ‘verità’ narrata da Derfel non corrisponde alle sue attese romantiche.
«Ma all’incoronazione di Mordred» ha chiesto delusa «la spada era solo posata sulla pietra? Non era infilata dentro? Ne sei certo?»
«Era posata di piatto sulla pietra. Lo giuro su Cristo.» E mi sono fatto il segno della croce.
Lei si è stretta nella spalle. «Dafydd tradurrà la storia come dico io, e mi piace l’idea della spada infilata nella roccia.»
La nascita di un Re
Lasciamoci alle spalle la cornice narrativa ed entriamo nel vivo della storia. Tutto, ci racconta Derfel, iniziò una notte d’inverno. Sul trono di Dumnonia siede Uther, il Pendragon, il Gran Re della Britannia. Sebbene la vecchiaia lo abbia indebolito, il suo nome ha ancora la forza di tenere incollati i regni britannici, sempre propensi a contrasti di ogni tipo; Uther è alla fine dei suoi giorni e, cosa ben peggiore, privo di un erede: il suo unico figlio legittimo, Mordred, è morto in battaglia contro i sassoni. La fortuna, però, può ancora sorridere al regno, perché la moglie di Mordred sta per partorire. Le speranze del Gran Re non sono deluse, Morwenna dà alla luce un figlio maschio che porterà il nome del padre. Con la nascita di Mordred, in una sola notte, il mondo sembra compiere il proprio destino. Un destino carico di presagi funesti, perché l’erede al trono è nato con il piede storto.
«In quel momento eravamo troppo occupate» spiegò Nimue quando fummo di nuovo all’Isola di Cristallo. «Ma avremmo dovuto aspettarci qualcosa di grave. Oltre a essere in fase calante, la luna aveva l’alone, e la vergine era scappata via dal bambino.»

Ora che la Dumnonia ha un nuovo erede, Uther può concentrarsi sull’obiettivo di garantire l’unità dei regni britannici contro i sassoni, appena giunti sulle coste orientali, e gli irlandesi che hanno conquistato larghe zone nel nord dell’isola. Per far ciò, il Gran Re tesse una complessa rete di alleanze politiche che assicuri la protezione di Mordred e della Dumnonia. La sorte del regno è una scommessa fragilissima. Quanto a lungo reggerà?
Ve lo lascio scoprire da soli.
Bernard Cornwell narra un’epopea grandiosa, infusa di intrighi, ambizioni, amori e guerra. Su uno scacchiere incerto e turbolento quanto quello della Britannia del V secolo, i personaggi del romanzo sono chiamati all’azione: i percorsi s’intrecciano uno all’altro, contribuendo allo sviluppo complessivo della storia, pur mantenendo una dimensione individuale molto coerente. Possiamo apprezzare una delle doti che esalta la narrativa di Cornwell, ovvero la capacità di popolare la scena con personaggi estremamente caratterizzati.
Risaltano per numero Re, Principi, condottieri e guerrieri di ogni tipo: Uther, dal «corpo gonfio» e lo «spirito amareggiato»; Gundleus di Siluria che «nonostante i suoi tradimenti era pur sempre un famoso guerriero»; Owain, il campione della Dumnonia, prosaico e farabutto, per cui «le tasse sono il sistema migliore per arricchirsi senza lavorare»; Re Tewdric, il generale Agricola e tutti i soldati del Gwent «britanni addestrati alla maniera dei romani»; Gorfyddyd Re del Powys, «stizzoso e diffidente» e suo figlio Cuneglas, perspicace e intelligente; Lancillotto, la cui armatura «affermava fosse appartenuta ad Agamennone, un eroe dell’antichità»; e Artù che, alla sua prima apparizione, ha «la faccia coperta di sudore per la fatica di portare l’armatura in un giorno d’estate.» La lista dovrebbe essere ben più lunga e includere personaggi marginali ma di grande impatto come il nano Druidan, comandante delle guardie di Merlino, o il vecchio Pellinore, che vive nudo in un recinto di maiali.
Il Re che non fu mai Re
Soffermiamoci ad analizzare il personaggio di Artù che, più degli altri, diventa il perno della narrazione e degli equilibri della Britannia. Figlio bastardo di Uther, all’inizio del romanzo Artù si trova in Gallia, allontanato dal Gran Re perché accusato di aver agito in ritardo contro i sassoni, causando così la morte del Principe Mordred (padre). Alla morte di Uther, però, Artù rientra in Britannia e fa parte del consiglio che ha giurato protezione a Mordred.
Artù è un personaggio complesso: compie sforzi immani per realizzare grandi ideali ma, al tempo stesso, possiamo trovarlo nel giardino della villa romana appartenuta a Uther, entusiasta di aver scovato una lastra di piombo con cui riparare le condotte dell’acqua: «Era sempre stato un uomo irrequieto, nemico dell’ozio, e in quei primi giorni dopo la cattura di Gundleus cominciava a lavorare all’alba e finiva quando ormai era buio da tempo.»
L’Artù di Bernard Cornwell è un sognatore il cui inguaribile entusiasmo rappresenta l’antidoto perfetto a un mondo che ha smarrito se stesso. Consapevole della propria forza, crede (ingenuamente) che basti la propria volontà per assicurare la pace e la mediazione fra i popoli; è un grande oratore e, per ammissione dello stesso Derfel, usa il proprio ascendente per manipolare di chi gli sta intorno.
«Secondo te, Derfel» domandò [Artù]. «Qual è il compito del soldato?»
«Combattere le battaglie, Signore.»
Lui scosse la testa e mi corresse: «Combattere le battaglie per coloro che non sono in grado di farlo. L’ho imparato nelle Gallie. Questo mondo è pieno di gente che non può combattere, ed è facile deridere i deboli, soprattutto se sei un soldato.»
Possiamo apprezzare la rotondità di un animo gentile, pronto ad aiutare gli altri, ma non lasciamoci ingannare; Artù nasconde profonde contraddizioni: per quanto si sforzi di agire in linea con i propri ideali, cade inesorabilmente in passioni violente in grado di invalidarne i progetti. La sua etica di alto profilo è in grado di creare vere e proprie ‘trappole morali’, come ci dimostra Merlino che consola un Derfel amareggiato di aver mancato al proprio dovere nei confronti di Artù: «Tutti mancano al loro dovere verso di lui. Artù si aspetta troppo.»
Il carisma di Artù sembra non risparmiare nessuno. Fra schiere di ammiratori e detrattori, risalta la lucidità del commento di Owain, veterano ben distante dagli standard morali di Artù:
«Che cosa pensi di Artù, ragazzo?» mi chiese all’improvviso.
«Mi piace» gli risposi ed ero imbarazzato, esattamente come quando Artù mi aveva domandato di lui.
«Oh, piace sempre a tutti. Io voglio bene ad Artù, tutti vogliono bene ad Artù, ma solo gli dei riescono a capire quello che ha in testa. Gli dei e Merlino, forse.»

L’eredità romana
Il Re d’Inverno può contare su una storia ben ritmata, ricca di colpi di scena, oltre a un cast di tutto rispetto; paradossalmente, però, la forza di Bernard Cornwell risiede nella capacità di riportare in vita la Britannia del V secolo. Un’ambientazione affascinante, che vive a cavallo la fine della dominazione romana e l’inizio dell’era anglo-sassone.
Partiamo da una considerazione. La Britannia di Cornwell è una terra dilaniata, che fatica a ritrovare una propria identità storica, lambita da nuove popolazioni attirati dalla ricchezza dell’isola: Pitti e Scoti da nord, gli Irlandesi da occidente, i Sassoni da est, i Franchi dalle Gallie. Un accerchiamento che, in questo primo volume, non è ancora asfissiante ma che lo diventerà via via che si procederà nella lettura del ciclo. L’ombra della guerra è uno dei temi del Re d’Inverno, insieme a un altro ancor più interessante: l’incapacità delle tribù britanniche di trovare un’identità comune a fronte alla minaccia esterna.
In effetti, storicamente, la Britannia del V secolo doveva essere un pot-pourri di elementi culturali diversi e non sempre conciliabili. La matrice romana imperiale è ancora profondamente radicata. Almeno virtualmente, la Britannia vive sotto l’influenza politica di Roma, sebbene quest’ultima abbia ormai ritirato le proprie legioni e perso interesse nei confronti dell’isola. Nel 410 d.C. la Britannia, ormai incalzata dai nemici, lancia un appello al legittimo Imperatore Onorio che per tutta risposta sospende la vecchia legge repubblicana che vietava qualunque forza armata privata. Di fatto, si avvia il lungo processo di dissoluzione delle strutture politiche romane che trasformerà una provincia imperiale in un tavoliere di regni autonomi [4].
Bernard Cornwell rende in maniera molto viva il vuoto di potere lasciato da Roma. Gli scenari del romanzo sono pieni di vestigia classiche – ville, templi, statue, strade – che, pur nella loro decadenza, superano di gran lunga in bellezza le rozze fortificazioni dei Britanni. Siamo ancora lontani dall’epoca dei castelli medievali ma già il senso di aver ‘perso’ qualcosa è estremamente tangibile.
Sebbene l’eredità imperiale sia osteggiata da più fronti, molti dei personaggi avvertono ancora un legame molto forte con la romanità, come Re Tewdric o i soldati iniziati al culto mitraico; come Artù, che indossa un’armatura di scaglie romana o Ginevra, che venera Iside e ama circondarsi di cimeli romani per appagare il proprio senso estetico. Particolarmente avvincente, a questo proposito, è la sequenza dei Franchi che assediano l’isola di Trebes, in Gallia, mettendo a repentaglio Re Ban di Benoic, padre di Lancillotto, e la sua preziosa biblioteca di volumi latini:
Narrò la storia di un eroe che entrava in un labirinto per uccidere un mostro e si tirava dietro un filo di lana per ritrovare nel buio la via d’uscita.
«La mia biblioteca» disse alla fine, spiegando il senso di quel lungo racconto «è quel filo. Perdetelo, signori, e resteremo per sempre nelle tenebre. Perciò vi supplico, vi supplico: combattete!»
Pagani e Cristiani
La Britannia di Cornwell è un paese sulla via dello sfacelo, che si appresta a mutamenti imminenti; alla fragilità delle strutture politiche, si aggiungono anche le dispute religiose fra pagani e cristiani. L’affresco più significativo della contesa è rappresentato dall’Isola di Cristallo, centro del feudo di Merlino e roccaforte della paganità, costretta a convivere a breve distanza con la chiesa del Sacro Rovo. Le rappresaglie fra le due comunità sono quotidiane, con i pagani che scagliano pietre contro i monaci cristiani, scaricano letame nel loro giardino e scherniscono i pellegrini che accorrono per riverire il Sacro Rovo. Con buona pace di pagani, tuttavia, la nuova religione cristiana ha radici ben salde in tutta la Britannia e può vantare fra le proprie fila nomi illustri come Re Tewdric, Galahad o il Vescovo Bedwin, consigliere di Re Uther. Siamo di fronte a un cristianesimo agli albori, ancora particolarmente incline alla superstizione al pari dei pagani.
La rivalità nei confronti del ‘nuovo credo’ è particolarmente sentita fra coloro che, invece, professano ancora la vecchia fede pagana. Ma cosa rimane di quell’antico mondo? Benché le legioni di Svetonio Paolino, vincitore di Boudicca, abbiano fatto a pezzi la religione druidica, echi lontane di quell’esperienza persistono nell’immaginario collettivo e nella memoria degli ultimi druidi viventi: Merlino, Balise, Tanaburs, Iorweth. A loro si affiancano anche le due sacerdotesse protette da Merlino: Morgana, sorella di Artù, austera e piena di dignità, con il volto bruciato protetto da una maschera d’oro; e Nimue, collerica e votata senza compromessi al ritorno degli antichi dei.
Ci si aspetterebbe l’unità di intenti da parte di questi personaggi, invece la frammentarietà dei contributi è deludente e del tutto incapace di controbilanciare sia le forze centrifughe che animano i condottieri britannici che la diffusione del cristianesimo:
«Persino i vostri dei vi hanno abbandonati. Non l’hai detto tu stesso? Non hai detto che il tuo Merlino perlustra terre bizzarre in cerca di tracce degli antichi dei? Ma a cosa vi serviranno, quelle tracce? La tua religione è morta molto tempo fa, quando i romani devastarono l’Isola di Mon. Vi restano soltanto sconnessi brandelli di conoscenza. I vostri dei sono morti.»

Nel mondo affrescato da Cornwell, la magia è una forza tangibile, in grado realmente di condizionare gli equilibri in gioco. L’autore non lascia che il soprannaturale irrompa direttamente nella narrazione: druidi e profetesse sono invasati dal contatto con gli dei, ne riportano le volontà, distribuiscono amuleti, lanciano maledizioni e costruiscono barriere di spettri usando teschi. Il potere della classe sacerdotale pagana è sottile e largamente fondato sulla capacità di incutere soggezione alla popolazione. Eppure Merlino, il «malizioso, impaziente, impulsivo e spaventosamente erudito» Merlino, è alla ricerca dei Tesori della Britannia, tredici talismani che rappresentano le chiavi del potere degli dei… Qualcuno osa mettere in dubbio le sue parole?
Consigli di lettura
A chi lo consiglio: a chi vuole (ri)scoprire il ciclo arturiano, a chi ama la sensazione di ‘vivere’ le battaglie.
A chi lo sconsiglio: a chi cerca un’interpretazione della leggenda densa di elementi fantastici.
Storie sullo stesso tema: il ciclo di Avalon di Marion Zimmer Bradley
Storie dello stesso autore: la trilogia del Graal
Multimedia: la serie TV Camelot, cancellata purtroppo dopo una sola stagione; la soundtrack di Hans Zimmer del film King Arthur.
Note
[1] M. Rolland, Re Artù, pag. 29, Il Mulino (2011). [2] Il Mabinogion è una raccolta redatta nel XII-XIV secolo e costituisce il fondamento della letteratura gallese. [3] Wledig è un titolo gallese, derivato dall’arcaico Gweltic o Guletic, che designa variamente regnanti, signori, re e principi (fonte: Geiriadur Prifysgol Cymru, Part 26, Gwasg Prifysgol Cymru, 1974, p. 1682. citata nella pagina wikipedia di Amlawdd Wledig). [4] M. Rolland, Re Artù, pag. 30, Il Mulino (2011).In copertina all’articolo Stonhenge all’alba, una foto di James O. Davies (English Heritage)
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Saga importantissima anche per me, amante dei romanzi storici e di tutto ciò che abbia a che fare con castelli e spade.
Articolo interessante e scritto da mani capaci. Una serie di romanzi che tutti dovrebbero leggere.
Grazie, Enrico.
Continua a seguirci.
Una saga meravigliosa anche per me. Ed una di quelle a cui sono più legato per tema e per lavoro. Un articolo stupendo e scritto con grande maestria. Continuate così!