«Se, come ve ne sono per la luce bianca, esistessero dei prismi per decomporre il nero, essi mostrerebbero lo spettro che dal blu insostenibile sino al blu appena distinto analizza la tenebra allo stato nascente.»
(Roger Callois, Tre lezioni delle tenebre)
I racconti di Lovecraft sono note a margine di quel testo implicito che è il reale. Il reale e i racconti condividono un ciglio, una soglia che li sopporta e oltre la quale non sono e non possono essere: è il «blasfemo», quell’irreale che in quanto tale non può trovare manifestazione nel reale, pena la dissoluzione sua e di quest’ultimo, e verso il quale il racconto volteggia, trattenendosi però a debita distanza, poiché questo «blasfemo» induce al silenzio che annienta la parola. Il weird, in Lovecraft, è così un sentimento di castità nei confronti del «blasfemo», ma non solo; infatti, il racconto, che può dire dell’irreale in quanto racconto, come cioè ciò che sta a bordo del reale, trattiene ciò che il reale non può, ovverosia quello stesso irreale che sta nel reale come l’impensato nel pensiero: l’irreale non è che manchi di realtà, solo non è reale, il che significa che, sì, l’irreale non può esternarsi nel reale ma non basta questo ad escluderlo dal piano dell’esistente. L’irreale esiste, e la pagina è il suo modo di contenimento. Ogni tanto, tuttavia, capita che debordi dalla pagina o che sia lì lì per, e allora tra il reale e l’irreale si scompagina tutta una lotta che può portare alla nientificazione di entrambi ovvero alla purità del piano d’esistenza. È stato il caso, ad esempio, di quanto avvenuto nel cuore dell’Europa a metà del secolo scorso, allorché l’Ordine Nero nazista allestiva il mondo per il risveglio dei Grandi Antichi.
Il cosmicismo di Lovecraft, come abbiamo potuto esaminare nel corso del precedente articolo, non è assoluto, come invece in Lord Dunsany, ma sempre a latere. L’afflato cosmicista non annienta il lato reale del piano dell’esistente ma lo trafigge, e ciò nella bibliografia del Solitario di Providence accade sin da subito. Già nel primo racconto con impulsi astrali non solo «la verità che tanto colpisce il narratore è l’esistenza improvvisamente rivelata, non semplicemente di una singola orrenda mostruosità, ma di un’intera civiltà aliena che un tempo viveva letteralmente nella parte nascosta del mondo»[1], ma v’è anche la precognizione, ansiotica, del «giorno in cui le terre sprofonderanno e il fondo oscuro dell’oceano salirà in superficie, nel pandemonio universale»[2]. Con Dagon, quindi, Lovecraft non si limita ad attestare l’esistenza di un irreale ancora non ben definito, ma, appena prima del capoverso finale, guarda con raccapriccio a un futuro nel quale la sua pagina non riuscirà più a trattenerlo, questo irreale, che allora farà irruzione nel reale.
In Potenza e verità di H.P. Lovecraft s’è solo accennata la questione delle influenze lovecraftiane[3] e ora è possibile approfondirla, riproponendo però il problema, ché ci sembra mal posto. Infatti, non è di alcun coinvolgimento intellettuale conoscere quali che siano gli influssi, poiché ciò porterebbe a rivelare le cause dei racconti e non le loro conseguenze o, per meglio dire, ciò che in essi è all’opera, che merita – a nostro avviso – più attenzione: non il prima – e forse nemmeno il dopo – ma il durante—e, a questo livello, il «perché» non si confonderà più con il «come».
L’interrogativo va quindi posto sull’azione del trattenere più che sull’oggetto su cui si applica questo gesto, e mago inconscio o abile scrittore (ammesso e non concesso che le due cose stiano in antitesi), ciò che H.P. contiene, sia esso del regime dell’immaginazione o dell’occulto, vale in quanto detenuto nella pagina. Il foglio è la cella dell’irreale, ed è molto più eccitante conoscere la tattica letteraria che lo sorveglia e ne limita i contorni piuttosto che affaticarsi a decretarne l’etimologia, anche perché, in definitiva, l’irreale è continuamente lì lì per debordare e a voler essere giusti con Lovecraft non possiamo non mantenerci vigili, recuperando e perpetuando il suo esemplare e commovente lavoro di controllo – lavoro che, com’è noto, gli è valso i nervi.
Lovecraft abbandona i saggi e gli articoli di carattere scientifico per il racconto del fantastico, e per buona parte dei lettori la grandezza delle sue opere si deve non tanto a un’attenzione chirurgica per il dato scientifico quanto a una vera e propria commistione tra le due forme[4]. Ora, nell’abbandono del saggio per la narrazione, v’è una stringenza, e per Lovecraft era necessario passare da una forma all’altra perché solo attraverso il racconto è possibile trattenere ciò che l’essai può anche non ammettere. Detto in altri termini, il fantastico compone più di quanto non faccia la scienza. Infatti, laddove questa procede per via logica, elaborando quindi a livello testuale una realtà compressa nel binomio del sì o no, del positivo o negativo, quello lavora in via analogica e attraverso l’analogia è abile a concepire anche il sì e no, contessendo sulla carta l’esubero del reale.
L’esubero del reale è l’irreale, che si definisce appunto come esubero del reale, non dell’esistenza. Sicuramente il reale non si può definire esclusivamente nella sistematizzazione che la nostra intelligenza opera sull’esistenza in via aritmetica e logica, eppure la nostra intelligenza, per la sua natura aritmetica e logica, non può che pensare l’esistenza come reale. L’impensato che sta nel pensiero, cioè la realtà del pensiero, trova il proprio spazio di svolgimento sul foglio bianco, e comunque mai del tutto: nei suoi confronti la parola sfiata, arranca, bolina attorno al proprio orlo, che è quello del silenzio, e Lovecraft pronuncia il «blasfemo» senza mai dirlo, perché, il «blasfemo», lo si può al massimo evocare, essendo la sua presenza dell’ordine dell’assenza.
Il «blasfemo» esiste ma non è reale, e a questa necessità si vota la narrazione: a vegliare il sonno dei Grandi Antichi, che esistono.
I Grandi Antichi esistono, e il loro sonno li scardina dal lato reale del piano dell’esistenza: è ciò che abilita il racconto, decretandone al contempo la sua più oscura urgenza. E, quando il racconto s’interrompe, l’irreale erompe.
L’interruzione del racconto lovecraftiano collima coll’irruzione delle potenze del di fuori nella tabella del reale. Il reale si disfa, e sul piano dell’esistenza accade una lotta tra il reale e l’irreale, che comunque non si scatenerà. Quel che scoppia è invece una guerra, ma non ancora una guerra tra il reale e l’irreale. L’irreale, non più trattenuto dalla pagina, può emergere, e la seconda guerra mondiale dice della battaglia tra le forze del reale e quell’altra, altrettanto reale, che invoca l’irreale: la Germania nazista, che pretende l’irreale sul piano dell’esistenza, ossia il risveglio degli Antichi, e la cui politica è davvero una mistica ialina alla scienza hörbigeriana accolta in toto da Hitler e dilagante in terra teutonica in particolare dopo il fallimento della spedizione nell’isola baltica di Rügen – fallimento che ha decretato l’inconsistenza della teoria della Terra cava[5].
Ingegnere e astronomo, Hörbiger espone nel libro pubblicato nel 1913, Glazial-Kosmogonie, la Welteislhere, che sostanzialmente spiega come l’universo si mantenga attraverso la lotta perpetua tra il ghiaccio e il fuoco, tra la forza di repulsione e quella d’attrazione. L’idea stessa di Big Bang, secondo la teoria del ghiaccio eterno, dev’essere riformulata sin dalle fondamenta: un corpo milioni di volte più grande del sole si scontra con un pianeta gigante fatto di ghiaccio, scontro in seguito al quale per centinaia di migliaia di anni non accade nulla, fino a che il vapore acqueo non genera un’esplosione da cui alcuni frammenti vengono proiettati così lontano fino a perdersi nel cosmo ghiacciato, altri ricadono nella massa centrale della deflagrazione e altri ancora in una zona media, a formare i pianeti del sistema solare. Questi sono fatti di ghiaccio, e solo sulla Terra, per un’equidistanza dal sole, si perpetua la lotta tra il ghiaccio e il fuoco.
Nell’economia della Welteislhere vigono due forze, quella di repulsione e quella di gravitazione. La prima è più debole, perché, essendo che lo spazio non è vuoto ma formato di idrogeno e vapore acqueo, l’effetto dell’esplosione iniziale va via via diminuendo, mentre la gravitazione è in costante aumento, sicché ogni corpo celeste si avvicina al pianeta più prossimo, che l’attira fino a quando non cade su di esso, causando una nuova esplosione.
Stando a quest’impianto cosmogonico, la storia della Terra si divide in quattro periodi, perché quattro sono le Lune. Ogni Luna ruota attorno al globo, fino a che la forza di gravitazione non l’attira del tutto, causandone l’impatto sulla superficie terrestre. Di qui, un cataclisma, che decreta la fine di un’era e l’inizio della successiva.
Nel periodo primario, sul nostro pianeta si trovano immensi vegetali e insetti giganteschi, e tale elefantiasi, spiega Hörbiger, si deve al fatto che, allora, la gravitazione è molto debole, essendo l’esplosione appena avvenuta e, dunque, la forza di repulsione ancora viva e forte. Nel periodo secondario, invece, vi sono animali giganteschi, come il diplodoco, ed, essendo più forti i raggi cosmici, si producono le prime mutazioni: nascono i primi mammiferi, tra cui i giganti. Solo nel periodo terziario compaiono gli uomini, che sono schiavizzati prima e poi civilizzati dai giganti. In questi «anni dei titani»[6], come li chiama Lovecraft, allorché la Luna comincia ad avvicinarsi e le maree ad alzarsi, gli uomini e i giganti salgono sulle montagne. È l’epoca dello splendore di città quale Atlantide, Tiahuanaco. Infine, quando la Luna cade, ai mari si sostituiscono le paludi, e nelle notti aseleniche gli uomini ridiventano selvaggi: i giganti sono alla fine del loro regno. Ora, noi viviamo nel periodo quaternario, cominciato dodicimila anni fa, quando la Terra capta un nuovo satellite, e le acque tornano a salire. La seconda Atlantide, non quella sulle Ande ma nell’Atlantico nord, scompare, inghiottita dagli oceani, e di questo periodo conservano reminiscenza i miti della Genesi e del Diluvio. Si combattono gigantomachie, e i giganti, schiacciati dalla forza d’attrazione, degenerano, mentre l’essere umano si sviluppa. «Nell’abbandonare le vecchie dimore gli dei hanno cancellato tutti i segni della loro esistenza»[7], e solo alcuni popoli conservano ancora ricordi ancestrali dei propri avi e signori, com’è attestato dai monoliti dell’isola di Pasqua, la terrazza di Baalbeck o altri «geroglifici colossali lasciati da un’antica razza di titani, la cui gloria non vive[va] più che nella fantasia di qualche squilibrato»[8].
Il nocciolo della teoria del ghiaccio eterno è che gli eventi terrestri partecipino di quelli cosmici. In particolare, nel periodo terziario, i giganti a capo delle comunità sono in grado di captare le forze psichiche della collettività, orientandole in modo tale che il corso degli astri sia mantenuto e la catastrofe rimandata. Il re-gigante è tale perché colui che mantiene l’equilibrio del cielo e della Terra: ciò che governa non è l’uomo o altri giganti, ma la loro energia psichica, che partecipa dell’energia cosmica. L’uomo non ha capacità equipollenti ma ridotte, essendo anch’egli dotato di un’organo specifico per l’emissione di radiazioni psichiche, cui generalmente si dà il nome di «anima», e per Hörbiger tutte le nostre religioni e culti non sono che il ricordo pervertito della sua funzione primordiale, ovverosia partecipare all’equilibrio delle energie cosmiche.
Per quanto sia procrastinabile, la catastrofe è comunque ineluttabile e anzi, nel complesso hörbigeriano, ogni seimila anni la Terra subisce un’offensiva del ghiaccio, con conseguenti diluvi e cataclismi; tuttavia, ogni settecento anni, nell’umanità avanza il fuoco, e l’uomo riprende coscienza della sua responsabilità nella lotta cosmica, ridiventando fedele agli insegnamenti che gli impartirono i giganti (diventa, dice Hörbiger, «religioso»). L’ultima avanzata del fuoco coincide coll’apparizione dei cavalieri teutonici, ovvero colla fondazione dell’Ordine Nero, e non a torto Pauwels e Bergier trovano giustificazione del razzismo nazista nella mistica di quest’ordine, di cui la teoria del ghiaccio eterno è un tassello fondamentale:
L’uomo non è uno. Così, gli uomini non sono i discendenti dei giganti. Essi sono apparsi dopo la creazione dei giganti. A loro volta, sono stati creati per mutazione. Ma questa stessa umanità media non appartiene a una sola specie. C’è un’umanità vera, chiamata a conoscere il prossimo ciclo, dotata degli organi psichici necessari per avere un ruolo nell’equilibrio delle forze cosmiche e destinata all’epopea, sotto la guida dei futuri Superiori Sconosciuti. E c’è un’altra umanità, che non è che un’apparenza, che non merita questo nome, e che senza dubbio è nata sul globo in epoche basse e oscure, quando, caduto il satellite, immense parti del globo non erano che pantano deserto. Essa fu senza dubbio creata con gli esseri striscianti e ripugnanti, manifestazioni della vita decaduta. Gli zingari, i negri e i giudei non sono uomini nel senso reale del termine. Nati dopo la caduta della luna terziaria, per brusca mutazione, come per un disgraziato balbettio della forza vitale mortificata, queste creature “recenti” (in particolare i giudei) imitano e invidiano l’uomo, ma non appartengono alla specie.[9]
Anche la strategia bellica adottata da Adolf Hitler si spiega attraverso la profonda adesione al sistema di Hörbiger, e ciò è particolarmente evidente colla disfatta di Stalingrado. Hitler, infatti, è convinto che coll’avanzata del fuoco il ghiaccio si ritiri e per questo è costretto a capitolare in terra sovietica, perché non ha creduto nella necessità di dover vestire le proprie truppe a dovere per l’inverno russo: «Dopo Stalingrado» sentenziano Pauwels e Bergier, «Hitler non è più un profeta»[10] e [11].
Che Lovecraft aderisse alla teoria del ghiaccio eterno non è argomento da prendere in esame. Vi sono, tuttavia, profonde affinità tra l’impianto cosmicista dello scrittore di Providence e gli assunti della Welteislhere, a partire dall’idea, presente sin da subito (Dagon), dell’esistenza di altre razze, ora dormienti, sulla Terra. Ne Le montagne della follia, v’è, addirittura, la precisa descrizione della storia di una civiltà aliena, che vale la pena ricordare. Trattasi degli Antichi, che, stando alle scoperte di Dyer e Danforth, sono giunti sulla Terra dallo spazio profondo grazie alle loro ali. Questa razza s’insedia inizialmente nel mare e si serve degli shoggoth – masse cellulari protoplasmatiche capaci di modellare i propri tessuti e la cui creazione avviene attraverso influsso ipnotico – per costruire le prime città sottomarine. Da qui gli Antichi muovono alla colonizzazione della terraferma, dove vivono in grandi comunità organizzate secondo i principi della convenienza e dello spazio, con governo di tipo socialista, fino alla guerra con la progenie di Cthulhu, che li ricaccia nel mare. Successivamente, quando le terre del Pacifico sprofondano, R’lyeh viene sommersa e con essa le piovre cosmiche; è allora che gli Antichi tornano ad essere signori della Terra. Nel frattempo, però, dimenticano l’arte di creare la vita, e contemporaneamente, grazie anche alla minor tenacia dell’influsso ipnotico con cui sono tenuti schiavi, gli shoggoth sviluppano un cervello, che permette loro di organizzarsi per una rivolta marina, domata dagli Antichi. Segue un altro evento di fondamentale importanza, ovvero la guerra coi Mi-Go[12]. Gli Antichi non solo vengono scacciati dalle regioni del nord ma perdono anche la capacità di volare negli spazi interstellari. Inizia così il loro periodo di decadenza. Abbandonate le città per via della glaciazione, erigono l’ultima metropoli e prendono a conversare cogli shoggoth, che si fanno via via più intelligenti e scaltri.
Se, di primo acchito, nulla porterebbe a ricondurre l’immaginazione lovecraftiana all’astronomia hörbigergiana, non è possibile evitare di prendere in considerazione quell’impianto che è tra le due comune, e questo a partire dall’idea di una ciclicità della storia terrestre. Infatti, sia in un caso che nell’altro, la Terra ha subito vari cicli e diversi esseri si sono succeduti sulla sua superficie. Esseri di cui l’uomo non conserva che una memoria ancestrale, se non quando autistica, com’è il caso del culto sgomberato da Legrasse in Louisiana nel 1907. Sia Lovecraft che Hörbiger, insomma, sostengono che ci sia una preistoria più antica della preistoria dei libri di testo e, di più, che questa preistoria non sia mai stata tale, poiché v’è del logos, della storia in questa preistoria. Ciò che noi definiamo preistoria è dunque un appannaggio: la nostra preistoria non coincide che col periodo post-apocalittico di una o più razze – i giganti, gli Antichi – che, per un motivo o per l’altro, hanno visto tramontare la propria storia.
Secondo punto. Il crepuscolo della civiltà è generalmente preceduto da una degenerazione, che non si confonde mai con – né è dovuta a – un incrocio tra razze: i giganti non sopportano il peso della gravità, gli Antichi sono tormentati da guerre e migrazioni. Il tema della degenerazione è inoltre trattato con riguardo sia da Lovecraft che da Hörbiger. Per entrambi, le sue cause sono atmosferiche, storiche. Gli Antichi, come i giganti, non degenerano perché s’incrociano con altre razze, e Zadok Allen confessa di aver paura di loro, «quelli di razza pura»[13]. Che la volontà di mantenere pura la propria razza sia da mettere in conto alla cultura di giganti e Antichi è un’ipotesi da non sottostimare. Le civiltà che ci hanno preceduto, infatti, sono tecnologicamente più avanzate di noi e le loro stesse capacità, sia che si tratti di volare negli spazi interstellari o di convogliare le energie psichiche al fine di garantire l’equilibrio astrale, sono a noi precluse: l’umano, cioè, è posto in ambo le filosofie come quel termine che abita un ambiente a lui ingovernabile e imperscrutabile, e la sua degenerazione è diametralmente opposta a quella di Antichi e giganti, poiché combacia coll’acquisizione della vita eterna.
Splendori portentosi e inauditi mi attendono laggiù, e presto li andrò a cercare. Iä-R’lyeh! Cthulhu fhtagn! Iä! Iä! No, non mi sparerò… non posso farlo.
Preparerò la fuga di mio cugino dal manicomio di Canton e insieme raggiungeremo Innsmouth dalle tenebrose meraviglie. Nuoteremo fino al solitario scoglio e ci tufferemo nei neri baratri sottomarini ove sorge la ciclopica Y’ha-nthlei, dalle mille colonne, e nel rifugio di Quelli-degli-Abissi vivremo per sempre in un mondo di meraviglie e di gloria.[14]
Che la degenerazione dell’uomo gli permetta di bypassare la propria natura, acquisendo l’immortalità, implica che l’uomo sia degenere in sé e che vi sia come una doppia degenerazione, una degenerazione della degenerazione (quel che viene definita la maschera di Innsmouth) che annienti la sua degenere finitudine. È la degenerazione che si è verificata nelle notti senza luna tra il ternario e il quaternario, e lo stesso razzismo nazista non si comprende se lo si limita all’antisemitismo; il razzismo nazista, infatti, non si rivolge contro gli ebrei (Alfred Rosenberg[15]) o le nature scimmiesche (Jörg Lanz von Liebenfels[16]) nell’esattezza di una biologia etnica, e quel che prende da Nietzsche o, meglio, dal Nietzsche emanciato dalla sorella Elisabeth è la sua propria pienezza: il razzismo nazista paventa anzitutto l’uomo, e l’ebreo viene cotto nei forni di Birkenau perché umano, troppo umano. Per il nazista, non è l’ebreo ad essere uomo ma l’uomo ad essere ebreo, e l’ariano, il cavaliere teutonico, sarà l’araldo di una razza di superuomini di là da venire (i Grandi Antichi o Superiori Sconosciuti). È questo, il credo profondo degli iniziati alla società di Thule, che peraltro pescano a piene mani dal pozzo hörbigeriano:
Esseri intermedi tra l’uomo e le intelligenze del Difuori disporrebbero, per gli iniziati, di una riserva di forze a cui attingere per ridare alla Germania il dominio del mondo, per fare della Germania la nazione annunciatrice della futura superumanità, delle mutazioni della specie umana. Un giorno, legioni si muoveranno per annientare tutto ciò che ha ostacolato il destino spirituale della Terra, e saranno condotte da uomini infallibili, nutriti alle sorgenti dell’energia e guidate dai Grandi Antichi.[17]
Anche nel credo degli iniziati alla Thule-Gesellschaft si trovano rimandi a civiltà sepolte. Il loro giuramento, ad esempio, si fonda su una leggenda tibetana, che racconta dell’esistenza nel deserto del Gobi di un popolo decimato da un cataclisma. I sopravvissuti si rifugiano nelle caverne sotto la catena dell’Himalaya, ed è qui che trova origine la presunta razza originaria, quella ariana. Successivamente, gli abitanti delle grotte si scindono in due gruppi, quello di Agarthi e quello di Schamballah. Agarthi è il centro della via della mano destra, luogo di contemplazione, città nascosta del bene; Schamballah, invece, è il centro della via della mano sinistra, sito della violenza e della potenza.
All’epoca in cui Hitler entra in contatto con alcuni iniziati della società[18], Rosenberg e Eckardt, che morirà di lì a poco, recitando una preghiera davanti a quella che diceva essere la sua Kaaba, un’«infame pietra nera, che sembrava costituire un ponte di passaggio tra gli orrori del cosmo e il nostro mondo»[19], la Thule-Gesellschaft non è niente di più che una piccola corporazione, funzionante ma non ancora abbastanza potente, e si deve attendere Haushofer affinché essa si strutturi come una vera e propria società segreta[20], divenendo in breve il centro nevralgico e magico del nazismo, i cui misteri sono conosciuti e custoditi dal più potente ordine religioso della Germania, le SS Totenkopfverbände, quell’«alleanza fra creature incredibili e alcuni membri della comunità umana»[21].
L’organizzazione delle SS è opera di Himmler, e tale organizzazione le costituisce a mo’ di ordine religioso più che come un corpo di polizia. L’Ordine Nero delle SS enuncia la mistica della religione di Thule, che trova d’altro canto negli studi della società di Ahnenerbe la propria teologia.
Come un corpo di polizia, le SS sono costituite gerarchicamente, ma v’è un’iniziazione. I cadetti vengono iniziati in quella che è conosciuta come cerimonia dell’Aria Densa, e l’appartenente alle SS-Totenkopfverbände viene isolato dal mondo. Solo così egli potrà conoscere e sperimentare le conoscenze magico-esoteriche di Thule, poiché l’isolamento è prodromo necessario a quella dissoluzione dell’io fisico e ordinario che gli alchimisti, come ha imparato von Sebottendorff in Turchia[22], chiamano «chiave». Oltre a ciò, l’iniziato è chiamato ad affrontare diverse prove, ricordate da Petitfrère e finalizzate ad evincere nel cadetto «qualcosa di abominevole che [renda] la distruzione un vero e proprio dovere»[23], come il combattimento contro cani da battaglia, il Panzerstet[24], la prova della granata[25] e quella del gatto[26]. Pur nella loro brutalità, tali prove non sono meno religiose che soldatesche e, anzi, attraverso esse si conserva un punto d’unione tra la volontà (magica) e la potenza (militare), tra il mezzo (guerriero) e il fine (mistico).
La gerarchia che si struttura allora nelle SS è meno poliziesca che sacerdotale: oltre a una cerchia esterna, che è quella dell’SS di tipo medio, vero e proprio guardiano, sorvegliante dei custodi di Thule, chiamato a vegliare sulla sicurezza dell’Ordine, poliziotto-automa costituzionalmente inadatto a comprenderne i segreti, c’è una cerchia interna, quella delle teste di morto, a sua volta organizzata secondo ranghi in base alla vicinanza alla dottrina segreta, il cui centro è Thule – Thule i cui « criptosacerdoti avrebbero sottratto il grande Cthulhu alla tomba ed Egli avrebbe risvegliato i Suoi sudditi e ripreso il dominio della terra»[27]. A fondamento di questa gerarchia, c’è un modello esoterico, una teoria mistica che è anche piano d’azione:
Il mondo è una materia da trasformare perché se ne sprigioni un’energia concentrata da maghi, un’energia psichica capace di attirare le Potenze del DiFuori, i Superiori Sconosciuti, i Signori del Cosmo. L’attività dell’Ordine Nero non risponde ad alcuna necessità politica o militare: essa risponde ad una necessità magica. I campi di concentramento procedono dalla magia imitativa: sono un atto simbolico, un modello. Tutti i popoli saranno sradicati, cambiati in un’immensa popolazione nomade, in materia bruta su cui sarà lecito agire, e da cui spunterà il fiore: l’uomo a contatto con gli dei. È il modello vuoto (come Barbey d’Aurevilly diceva: l’inferno è il cielo alla rovescia) del pianeta divenuto campo dei lavori magici nell’Ordine Nero.[28]
Come dicevamo più sopra, non si capisce il razzismo nazista se lo si limita all’antisemitismo. L’antisemitismo non è che un pezzo, un tassello. Il nazismo mira all’estirpazione dell’umano in quanto degenere.
L’eugenetica nazista è la risposta alla chiamata di Cthulhu, «i forni di Auschwitz: un rituale»[29]—e «il sacrificio avrebbe sancito lo scambio»[30].
A tal proposito, Alleau ha ragione quando sostiene che l’Olocausto sia stato anzitutto «un fondamentale errore politico e militare»[31] per la Germania, ma egli lo afferma allacciando il genocidio ai Protocolli dei Savi di Sion, e la paranoia generata da questo falso poliziesco non spiega – non del tutto, almeno – quello sterminio, che deve anzi essere letto nell’ordine del liturgico. Del resto, molti sono gli errori politici e militari commessi dalla Germania prima ma anche – clamorosamente – durante la guerra, e la corsa agli armamenti non preoccupava Hitler a tal punto da interrompere le ricerche sul Graal, le spedizioni in Tibet e via dicendo. Viceversa, la corsa agli armamenti e la guerra medesima non avrebbero avuto senso, per Hitler, senza il Tibet. Negotium perambulans in tenebris… Non si tratta di vincere una guerra, di eliminare uno o più popoli, ma di evocare le potenze del di fuori, di preparare l’avvento del superuomo, di risvegliare gli Antichi. Di far sgorgare l’irreale nel reale. Che questo irreale appaia come un errore politico e militare è poco più che un’affermazione pleonastica. Alla fine, il reale ha vinto, mantenendo salda la sua posizione sul piano d’esistenza. Ma, ancora, non si capisce il nazismo se lo si legge colla grammatica del reale. Se gli si impegna un lessico scientifico piuttosto che mistico. Peggio, il rischio, così facendo, è di mistificare un’esperienza politica e militare perché magica invertendo la causalità dei termini; il rischio è di ritenere bandito l’irreale una volta per tutte, il nazismo sconfitto, quando invece «ciò che è risorto può sprofondare, ciò che è sommerso può riemergere. L’incubo aspetta e sogna nel profondo, la corruzione si diffonde nelle vacillanti città degli uomini. Verrà un tempo…»[32]. È, come lo definisce Alleau, il Piano del 1945:
Se una nazione, interamente distrutta dall’inflazione e sovraccarica di debiti di guerra è stata capace di ricostruire in vent’anni il più potente esercito del mondo, che cosa potremmo temere oggi da una nazione prospera che si presenta di buon grado, ai suoi amici americani, come il più sicuro bastione europeo dell’«ideale democratico occidentale» contro il «pericolo comunista»?
Infatti, il pangermanesimo possiede un’indiscutibile superiorità sui suoi avversari: li conosce, mentre essi lo ignorano, perché sono incapaci d’immaginare che cosa egli riservi loro. Sarebbe infatti un pesante errore credere che un piano di questa ampiezza (che è costato enormi investimenti dopo la fine del XIX secolo) non abbia previsto modificazioni strategiche nel caso di nuove situazioni determinate e studiate di gran lunga in anticipo. Il passaggio da una guerra nazionale a una guerra razziale, ad esempio, permette di spostare il teatro delle operazioni senza veramente perdere il terreno conquistato, che diviene allora piuttosto psicologico che militare. Per poco che si rifletta sulla prodigiosa estensione della potenza di distruzione degli armamenti dopo il 1945, si giunge a comprendere che i reali vincitori di un nuovo conflitto saranno coloro che avranno vinto la guerra senza averla fatta – o, in altri termini – i sopravvissuti. Si deve dunque arguire che un piano di sopravvivenza per ogni circostanza possibile di un nucleo fondamentale tedesco, si è logicamente imposto ai razzisti hitleriani, sia in funzione delle loro dottrine sia per i loro scopi permanenti d’egemonia mondiale. Lo si può chiamare il Piano del 1945.[33]
Una delle leggende germaniche più antiche è quella degli eroi dormienti, secondo la quale, appunto, i personaggi più gloriosi di tutte le ere non sono morti ma in realtà dormono. Carlo Magno dorme sotto il castello di Norimberga, Witkund dorme sotto il Siegburg in Westfalia e Barbarossa dorme al Kifshauser, «sotto il porfido e il granito dei monti della Turingia, dove, talvolta, la terra si apre quando dei musicisti di Erfurt vi suonano delle serenate di mezzanotte»[34]. Gli argomenti del sonno e del sottosuolo sono illuminanti per un’ermeneutica del nazismo, e non è da sottostimare lo sforzo che Alleau compie per ricomprenderlo all’interno di una tradizione, mistica e massonica, ben più longeva. E quest’idea che vi siano delle potenze dormienti su un piano diverso da quello ordinario ha in sé tutta una portata magica che deve essere presa in esame; infatti, è solo attraverso la magia che tali forze possono essere destate, che l’irreale può erompere sul piano dell’esistenza e scontrarsi col reale per dominarlo, totalizzandolo. Ed è questo, in ultima e definitiva istanza, che è accaduto durante la seconda guerra mondiale:
Gli eccessi di razionalismo iniziale degli Ismaeliti d’Egitto hanno provocato gli eccessi di «misticismo» «imâmologico» dell’«ismaelismo riformato» di Alamût.
Il fenomeno illumina non solamente certi aspetti mistici della Cavalleria orientale e occidentale, ma anche, in larga misura, quel processo di delirante interpretazione della «pseudo-cavalleria» teutonica del nazionalsocialismo e del culto della «Guida», che pretese essere il Führerprinzip. Non è da spingere troppo lontano il paradosso, lo scorgere negli eccessi di «razionalismo scientista» del XIX secolo, particolarmente sviluppato in Germania, la reale sorgente di quel capovolgimento di tendenze che vennero a prodursi al termine della Prima Guerra Mondiale in Europa. L’uomo aveva svelato, durante quattro anni di assurdi massacri, il volto più bestiale che avesse mai mostrato nella storia. Era necessario ad ogni costo dimenticare quell’intollerabile rivelazione e scoprire il «volto di Dio» nel «superuomo della Provvidenza» aiutato, a sua volta, dal cieco fanatismo dei suoi «Devoti». Il «culto della personalità» costituisce il più profondo errore dei nostri tempi, poiché si avvicina alle più alte verità. Il grido di guerra che lo denuncia è stato proferito già dall’inizio e dal principio stesso di ogni «battaglia spirituale», dall’arcangelo della Luce: «Chi è come Dio?».[35]

Comprendere il nazismo a prescindere dalla sua mistica è pericoloso, perché significa immaginarlo in una prospettiva che ne condanna le azioni in un tribunale di guerra e ne giustifica il pensiero in un quadro clinico. Ma il nazismo è stato molto di più, e l’inquietudine che gli soggiace non può essere esaminata senza il fermo dell’esoterismo. Lo stesso Hermann Rauschning, che riconduce alcune esperienze di Hitler nel francobollo della paranoia, è negletto, e la sottovalutazione di una simile situazione può addirittura trasformarsi in una rilettura che non offre nulla di ciò che quella situazione ha rappresentato. Medium o no, Hitler non si può inquadrare all’interno del paranoide, o, meglio, questo può essere fatto, ma al costo di sciogliere la sua esperienza da tutto un panorama che, visibilmente, questa esperienza, la spiega e in cui anzi si trova, quasi ineluttabilmente, inquadrata:
Hitler era in piedi, nel mezzo della camera da letto, barcollava e guardava intorno con espressione smarrita. «È lui, è lui! È venuto!» gemeva. Le sue labbra erano bluastre, e grosse gocce di sudore lo imperlavano. Improvvisamente disse numeri e parole senza senso, frammenti di frase. Era strano e disgustoso. Pronunciava termini insoliti, in una accozzaglia bizzarra. Poi era tornato silenzioso, ma continuava a muovere le labbra. Gli avevano fatto dei massaggi e gli avevano dato da bere un calmante. D’improvviso aveva urlato: «Là, là, nell’angolo. Chi va là?». Batteva col piede sul pavimento e gridava. Lo rassicurarono dicendogli che non succedeva nulla di straordinario e allora, a poco, a poco, si era calmato. Successivamente aveva dormito per lunghe ore, ed era tornato normale e sopportabile.[36]
Non la paranoia, ma una visione del soprannaturale. I Mi-Go, forse?
Hitler era in contatto con le potenze del di fuori, e chissà quanto sarebbe mancato, ancora, al risveglio degli Antichi, a che il rituale fosse compiuto e l’irreale erompesse sul piano dell’esistenza. Ciò, come sappiamo, non è accaduto, ma non è accaduto perché la battaglia è stata presa d’anticipo: non tra il reale e l’irreale bensì nel reale, tra due potenze reali. L’una, conservatrice, che voleva mantenere il reale intatto sul piano dell’esistenza, a una distanza, garantita dal suo scientismo e dalla sua tecnocrazia, dall’irreale tale da rendere quest’ultimo pressoché impensabile; l’altra, rivoluzionaria, tesa invece a evocarlo, l’irreale, asservendo la scienza e la tecnica alla mistica. Ecco la rivoluzione nazista, ed ecco anche la sua odierna incomprensibilità: le scienze positive, come la chimica e la storia, ma anche la politica, sono state messe al servizio della mistica. Poiché solo attraverso la mistica si può andare al di là della logica del pensiero, solo attraverso l’esperienza esoterica è possibile pensare analogicamente il piano d’esistenza senza confonderlo col reale, come fa quella mente figlia del positivismo e di Euclide che cogitando logicamente l’esistenza coglie di questa solo l’aspetto reale e tanto le basta per dire che quello è questo perché non c’è altro, senza accorgersi che, sì, c’è dell’altro, solo che è a essa (logicamente) precluso.
Volevano cambiare la vita e trasformare la morte in altro modo. Preparavano l venuta del Superiore Sconosciuto. Avevano una concezione magica del mondo e dell’uomo. Ad essa avevano sacrificato tutti i giovani del loro paese e offerto agli dei un oceano di sangue umano. Avevano fatto di tutto per conciliarsi la Volontà delle Potenze. Odiavano la civiltà occidentale moderna, borghese e operaia; nell’una il suo umanesimo futile, nell’altra il suo materialismo limitato. Dovevano vincere, perché erano portatori di un fuoco che i loro nemici, capitalisti o marxisti, da tempo avevano lasciato morire in sé, essendosi addormentati in una concezione piatta e limitata del destino. Sarebbero stati i signori per un millennio, perché erano dal lato dei maghi, dei grandi sacerdoti, dei demiurghi… Ed ecco che erano vinti, schiacciati, giudicati, umiliati da uomini comuni, masticatori di chewin-gum o bevitori di vodka; da uomini privi di qualsiasi delirio sacro, dalle credenze limitate e dai fini terra terra. Uomini del mondo della superficie, positivi, razionali, morali, uomini semplicemente umani. Milioni di omiciattoli di buona volontà mettevano in scacco la Volontà dei cavalieri delle tenebre scintillanti! All’est quei cafoni meccanizzati, all’ovest quei puritani rammolliti avevano costruito in quantità superiore carri armati, aerei, cannoni. E possedevano la bomba atomica, essi che non sapevano che cosa fossero le grandi energie segrete! E ora, come lumache dopo il temporale, usciti dalla pioggia di ferro, giudici occhialuti, professori di diritto umanitario, di virtù orizzontale, dottori in mediocrità, baritoni dell’Esercito della Salvezza, infermieri della Croce Rossa, ingenui urlatori dei “domani che cantano”, venivano a Norimberga a dare lezioni di morale elementare ai Signori, ai monaci combattenti che avevano firmato il patto con le potenze, ai sacrificatori che leggevano nello specchio nero, agli alleati di Shamballah, agli eredi del Graal! E li mandavano alla forca trattandoli da criminali e da pazzi furiosi!

Ciò che gli accusati di Norimberga e i lori capi che si erano suicidati non potevano capire, era il fatto che la civiltà che aveva trionfato era, anch’essa più sicuramente, una società spirituale, in formidabile movimento che da Chicago a Taskent porta l’umanità verso un più alto destino. Essi avevano dubitato della Ragione e avevano sostituito a essa la magia. In effetti la Ragione cartesiana non abbraccia la totalità dell’uomo, la totalità della sua conoscenza. Essi l’avevano addormentata. Ora, il sonno della ragione genera mostri. Ciò che avveniva di contro era il fatto che la ragione per nulla addormentata, ma, anzi, spinta agli estremi, raggiungeva per una via più alta i misteri dello spirito, dei segreti dell’energia, delle armonie universali. A forza di razionalità esigente, appare il fantastico e i mostri generati dal sonno della ragione non ne sono che la nera caricatura. Ma i giudici di Norimberga, gli interpreti della civiltà vittoriosa non sapevano essi stessi che quella guerra era stata una guerra spirituale. Essi non avevano una visione abbastanza alta del proprio mondo. Credevano soltanto che il Bene avrebbe avuto il sopravvento sul Male, senza aver visto la profondità del male vinto e l’altezza del bene trionfante. I mistici guerrieri tedeschi e giapponesi si immaginavano più maghi di quanto fossero in realtà. Gli uomini civili che li avevano battuti non avevano acquistato coscienza del senso magico superiore che assumeva il proprio mondo. Parlavano della Ragione, della Giustizia, della Libertà, del Rispetto, della Vita, eccetera, su un piano che non era ormai più quello di questa seconda metà del XX secolo, in cui la conoscenza si è trasformata, in cui il paesaggio ad un altro Stato della coscienza umana è divenuto percettibile.
E’ vero che i nazisti avrebbero dovuto vincere, se il mondo moderno fosse stato quale è ancora agli occhi della maggior parte di noi. L’eredità pura e semplice del XIX secolo, materialista e scientista, e del pensiero borghese che considera la Terra come un luogo da rendere più confortevole per meglio godere. Ci sono due diavoli. Quello che trasforma l’ordine divino in disordine e quello che trasforma l’ordine in un altro ordine, non divino. L’Ordine Nero doveva avere il sopravvento su una civiltà che giudicava caduta a livello dei soli appetiti materiali, rivestiti di morale ipocrita. Ma essa non era così. Una figura nuova appariva nel corso del martirio che i nazisti le infliggevano, come il Volto del Santo Sudario. Dal crescente livello dell’intelligenza nelle masse alla fisica nucleare, dallla psicologia dei vertici della coscienza ai missili interplanetari, si elaborava un’alchimia, si delineava la promessa di una tramutazione dell’umanità, di un’ascesa del vivente. Forse questo non si vedeva in modo evidente, e spiriti di media profondità ripiangevano i tempi antichissimi della tradizione spirituale. Prendendo così partito col nemico attraverso la parte più ardente della loro anima. Eretti contro questo mondo in cui non distinguevano che crescente meccanicità. Ma nello stesso tempo, uomini come Teilhard de Chardin, per esempio, avevano occhi più aperti. Gli occhi della più alta intelligenza e gli occhi dell’amore scoprono la stessa cosa, su piani diversi. Lo slancio dei popoli verso la libertà, il canto di fede dei martiri, contenevano in germe questa grande speranza da arcangeli. Questa civiltà, mal giudicata all’esterno dai mistici passatisti, e all’interno dai progressisti semplicisti, doveva essere salvata. Il diamante riga il vetro. Ma il borazone, che è un cristallo sintetico, riga il diamante. La struttura del diamante è più ordinata di quella del vetro. I nazisti potevano vincere. Ma l’intelligenza risvegliata può creare, innalzandosi, figure più pure di quelle che brillano nelle tenebre.
“Quando mi si colpisce sulla guancia, io non porgo l’altra guancia, e neppure tendo il pugno: io tendo il fulmine.” Bisognava che la battaglia tra i signori del sottosuolo e i piccoli uomini della superficie, tra le oscure Potenze e l’umanità in progresso, fosse conclusa ad Hiroshima dal segno chiaro della Potenza indiscutibile.[37]
Contro l’irruzione dell’irreale nel reale scriveva Lovecraft. La sua pagina non ha scongiurato il nazismo, ma l’ha trattenuto per quanto possibile. Il «blasfemo» era l’abracadabra.
Il nazismo non è blasfemo, ma il «blasfemo» diceva ciò che il nazismo voleva evocare. Il «blasfemo», in Lovecraft, è il sigillo che trattiene l’irreale sulla pagina, che non lo fa confluire nel reale inchiodandolo in racconti che sono note a margine di quel testo implicito che è il reale sul piano d’esistenza. È questo testo, non il «blasfemo», che Hitler esplicita: ed esplicitandolo scopre che non è tutto, che non è che un pezzo del piano d’esistenza, che esiste dell’altro e combatte tutta una guerra per trovare la parola che dica il «blasfemo»: Auschwitz, ad esempio, che però non è abbastanza.
Se di un realismo politico è possibile parlare a proposito del nazismo, allora il nazismo è un realismo politico di marca lovecraftiana, e più che un orrore cosmico, in Lovecraft, ciò che eviene è un nazismo cosmico, se con «nazismo» intendiamo tutto quell’apparato esperienziale e sapienziale a sfondo mistico-esoterico circa potenze del di fuori o di là da venire (si chiamino essi Superiori Sconosciuti o Grandi Antichi) che, sopite, possono essere risvegliate per traghettare la Terra in un futuro incontaminato da esseri degeneri (purità del piano d’esistenza). Potenze che hanno abitato questo pianeta molto tempo addietro e il cui risveglio dovrebbe coincidere, secondo i seguaci di Hörbiger e gli iniziati all’Ordine Nero, con un rinnovato splendore del globo a livello cosmico, splendore perduto a seguito del sonno degli Antichi e del governo mondiale di quella razza depravata che è l’essere umano:
Il mondo era in pericolo, perché le Creature Antiche intendevano distruggerlo, precipitandolo fuori dal sistema solare e dal cosmo a noi conosciuto in un altro piano o fase di esistenza da cui era caduto incalcolabili ere prima.[38]
Il nazismo cosmico di Lovecraft contiene sulla pagina tanto l’esperienza astrale che quella politica, e questa perché quella. Il cosmicismo di Lovecraft parla di un nazismo interstellare, di razze interplanetarie e di degenerazioni di civiltà comparse sulla Terra in cicli lunari per noi insondabili, di ordini di là dal tempo e di creature dormienti che hanno portato qui le proprie immagini. Erigendo un pantheon di creature blasfeme, condanna la loro esistenza all’immaginazione, e la sua pagina è la loro prigione – loro e di qualsiasi reale che intenda concepirle sul piano d’esistenza, scardinando la serratura della cella e portando quell’irreale a evadere dallo schema narrativo. Lovecraft trova così in Hitler il suo miglior continuatore e il suo peggior esegeta, e la resistenza messa in atto dal Solitario di Providence non è affatto metafisica: non si resiste al nazismo, ma al suo fascino, e il fascino del nazismo è dell’ordine dell’occulto.
Una resistenza autentica, tenace alle potenze del di fuori, prima e più ancora che a un’ideologia: questa, per Lovecraft, era l’unica resistenza possibile.
La resistenza, infatti, non è mai una questione politica; essa diventa politica prima che possa esercitarsi contro un luogo di potere, un organismo politico… e al sorgere di questo politico la resistenza non è più. Lovecraft resiste senza essere un partigiano e la differenza tra lui e l’altro sta nel fatto che egli lotta affinché qualcosa non sia mentre il partigiano perché non sia più. La resistenza sepolcrale di Lovecraft coincide colla propria esistenza, mentre quella del partigiano è sostanzialmente una reazione. Ma è solo nel coincidersi di resistenza ed esistenza che si gioca il destino del mondo. Il partigiano esiste perché esiste il fascismo, il nazismo esiste perché non c’è più Lovecraft. La resistenza partigiana è fondamentalmente reazionaria, mentre quella di Lovecraft è di tutt’altro ordine. Potremmo dire che è pura. Pura perché viene in sé e a sé, nasce come resistenza positiva. Non vince né perde. Di questa resistenza si può dire al massimo che resiste: resiste perché è ed è perché resiste. Non contro qualcosa, perché quel qualcosa nasce, accade al suo cessare, nel momento in cui la resistenza si spegne.
La resistenza ha in sé il proprio splendore. L’ombra viene poi, ed è questo il lato più eclatante della resistenza lovecraftiana: il fatto, cioè, di non compiersi contro qualcosa ma che questo qualcosa sia contro ciò che era – la pagina di Lovecraft – e accada nonostante e perché non è più – la resistenza. Se il partigianesimo giustifica la propria esistenza attraverso quel resistere che lo lega indissolubilmente e come conseguenza al fascismo da combattere, in Lovecraft accade il contrario, e per questo la sua resistenza è autentica, perché non è legata ad altro che a sé. Potenza e verità di Lovecraft si trovano dunque in quest’atto di resistenza: il «blasfemo» è l’indicibile, ciò che non è perché v’è della resistenza. E questa resistenza è tutto ciò che è, e quando non è più e solo perché non è più emerge quel termine non contro il quale la resistenza era ma che determina il carattere resistenziale della resistenza: e, se il partigianesimo nasce contro il fascismo e si svuota di senso allorché il fascismo viene vinto, la resistenza lovecraftiana rimane ed è semmai il nazismo ad essere come ciò che la contrasta, reazione che si svuota di senso quando la resistenza è.
Lungi da considerare Lovecraft una sorta di Chéradame, bisognerebbe quindi riuscire prima a trovare nei suoi racconti la forza biblica del katéchon, che il Solitario di Providence, attraverso la scrittura, è riuscito a essere contro la mistagogia hitleriana, prima di morire nel 1937, quando «una colonia di teosofi aveva indossato in massa una tunica bianca per prepararsi alla solita “data gloriosa” che non viene mai»[39], e poi, a voler essere giusti con Lovecraft, a imparare come la resistenza non si faccia mai come reazione, contro e dopo qualcosa, ma l’anticipi sempre e, con esso, anche il proprio carattere resistenziale, non in una precognizione mistica bensì in una legittimazione assoluta di sé, legittimazione da cui non può prescindere ciò che la decreterà come resistenza ma che, per allora, sarà solo un’ombra, priva di qualsiasi valore se assoluta e impossibile di ogni splendore perché continuamente messa in discussione da ciò che scopre esserle interno, da ciò che scopre essere la propria condizione di possibilità e contemporaneamente il suo nonostante ontologico.
Bibliografia
- Alleau R., Le origini occulte del nazismo. Il Terzo Reich e le società segrete, Edizioni Mediterranee, Roma 1989
- CCRU, Writings 1997-2003, Urbanomic, UK 2017
- Cerchi A., HP Lovecraft: Il Culto Segreto, Aradia Edizioni, Cosenza 2015
- Joshi S. T., Io sono Providence. La vita e i tempi di H.P. Lovecraft, vol. 1: 1890-1920, Providence Press, Bologna 2019
- Lovecraft H. P., Tutti i racconti, Mondadori, Milano 2015
- Pauwels L. e Jergier J., Il mattino dei maghi. Introduzione al realismo fantastico, Mondadori, Verona 1971
- Rauschning H., Confidenze di Hitler, Il Torchio, Padova 1945
- Rosenberg A., Il mito del XX secolo. Una valutazione delle lotte animico-spirituali formatrici del nostro tempo, Thule Italia, Roma
- von Liebenfels J. L., La scienza delle nature scimmiesche sodomite e l’elettrone divino, Thule Italia, Roma 2008
- von Sebottendorff R., La pratica operativa della antica massoneria turca. La chiave della comprensione dell’alchimia, una esposizione del rituale, dell’insegnamento, dei segni di riconoscimento della massoneria orientale, Il delfino, Torino 1980
[1] S.T. Joshi, Io sono Providence. La vita e i tempi di H.P. Lovecraft, vol. 1: 1890-1920, Providence Press, Bologna 2019, p. 411.
[2] Howard Philips Lovecraft, Dagon, in Id., Tutti i racconti, Mondadori, Milano 2015, p. 29.
[3] Il dibattito segue principalmente due vie, alle quali si aggiungono due correnti di pensiero per così dire apocrife, ovverosia quella di Cerchi, espressa in Angelo Cerchi, HP Lovecraft: Il Culto Segreto, Aradia Edizioni, Cosenza 2015, e quella del CCRU, a proposito della quale cfr. CCRU, Writings 1997-2003, Urbanomic, UK 2017, pp. 32-73. La tesi più comunemente accettata è che Lovecraft altro non sia che un buon scrittore del sovrannaturale e che, quindi, le sue creazioni risultino da parti della sua immaginazione. Accanto a quest’idea, tuttavia, c’è chi vede nella sua mitologia l’influsso di altre entità, più o meno umane, le quali lo avrebbero inspirato, facendo di egli una sorta di mago inconscio.
[4] È il caso, ad esempio, de Le montagne della follia, quando, proprio nel cuore della narrazione, v’è tutta questa grande, particolareggiata descrizione di una civiltà sconosciuta, quella degli Antichi.
[5] La terra non è convessa ma concava, e noi ne abitiamo l’interno.
[6] Howard Philips Lovecraft, La casa misteriosa lassù nella nebbia, op. cit., p. 373.
[7] Howard Philips Lovecraft, Gli altri dei, op. cit., p. 157.
[8] Howard Philips Lovecraft, Colui che sussurrava nelle tenebre, op. cit., p. 661.
[9] Louis Pauwels e Jacques Bergier, Il mattino dei maghi. Introduzione al realismo fantastico, Mondadori, Verona 1971, p. 332.
[10] Ivi, p. 337.
[11] Ricordiamo, en passant, che la chiaroveggenza di Hitler è precedentemente attestata dall’esattezza di alcune sue predizioni, quali la data dell’entrata delle truppe a Parigi e quella dell’arrivo a Bordeaux dei primi violatori del blocco; inoltre, occupando la Renania, prevede, andando contro il parere di tutti gli esperti europei, tedeschi compresi, che Francia e Inghilterra non si opporranno. Nondimeno, oracoleggia il giorno della morte di Roosevelt. Che poi queste predizioni siano proprie di Hitler o che gli siano state trasmesse da un mago (Karl Haushofer, fondatore della Società di Vril) che si servisse di lui come medium (Hitler nasce a Brunau sull’Inn, paese rinomato per essere un vivaio di medium) è motivo di un dibattito che qui non approfondiremo.
[12] Secondo le ricostruzioni di Dyer e Danforth, i Mi-Go arrivano sulla Terra dopo la guerra degli Antichi con la progenie di Cthulhu, ma sappiamo da colui che Wilmarth credeva essere Akeley che «Quelli-di-Fuori arrivarono sulla terra prima che finisse l’epoca del grande Cthulhu e si ricordano della mostruosa città di R’lyeh, che allora non era sommersa… Essi conoscono aperture ignorate dagli uomini, ma che si trovano qui, nelle colline del Vermont, e che conducono a immensi universi brulicanti di vita. K’n-yan dalla luce blu, Yoth dalla luce rossa, N’kai dove regnano le tenebre. E’ da N’kai che è venuto il temibile Tsathoggua, il dio simile a un rospo ricordato nei Manoscritti pnakotici, nel Necronomicon e nel libro custodito dal gran sacerdote Klarkash-Ton» (Howard Philips Lovecraft, Colui che sussurrava nelle tenebre, op. cit., pp. 665-666).
[13] Howard Philips Lovecraft, La maschera di Innsmouth, op. cit., p. 792.
[14] Ivi, p. 816.
[15] Cfr. Alfred Rosenberg, Il mito del XX secolo. Una valutazione delle lotte animico-spirituali formatrici del nostro tempo, Thule Italia, Roma 2017.
[16] Cfr. Jörg Lanz von Liebenfels, Teozoologia. La scienza delle nature scimmiesche sodomite e l’elettrone divino, Thule Italia, Roma 2008.
[17] Louis Pauwels e Jacques Bergier, op. cit., p. 353.
[18] Nel 1920, nella casa di Wagner a Bayreuth.
[19] Howard Philips Lovecraft, Colui che sussurrava nelle tenebre, op. cit., p. 644.
[20] Si può trovare nella notte dei lunghi coltelli questo spartiacque, evento in seguito al quale le SS acquistano definitiva autonomia, poteri eccezionali e, com’è improvvisamente chiaro dagli emblemi e dalle uniformi confezionate dall’azienda Hugo Boss, un assetto esoterico.
[21] Ivi, p. 647.
[22] Cfr. Rudolf von Sebottendorff, La pratica operativa della antica massoneria turca. La chiave della comprensione dell’alchimia, una esposizione del rituale, dell’insegnamento, dei segni di riconoscimento della massoneria orientale, Il delfino, Torino 1980.
[23] Howard Philips Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, op. cit., p. 342.
[24] Una schiera di carrarmati avanza verso una fila di cadetti dotati di sola vanga, colla quale hanno circa ottanta secondi per poter scavare una trincea e seppellirvisi prima che i Panzer li stritolino: coloro che indietraggiano o fuggono vengono fucilati.
[25] Il candidato attiva una granata sul proprio elmetto: se la granata è ben posizionata, egli riceve uno shock violento, mentre invece se è posta male e cade ma l’iniziato resta immobile le ferite gravi gli valgono una pensione d’invalidità; se, infine, la granata cade e il candidato si scansa, viene messo al muro.
[26] Il candidato deve afferrare con la mano sinistra un gatto e colla mano destra, nella quale impugna un bisturi, asportargli gli occhi, quindi deporre questi sul tavolo davanti l’esaminatore.
[27] Ivi, p. 334.
[28] Louis Pauwels e Jacques Bergier, op. cit., p. 371.
[29] Ibid.
[30] Howard Philips Lovecraft, La cosa sulla soglia, op. cit., p. 863.
[31] Rene Alleau, Le origini occulte del nazismo. Il Terzo Reich e le società segrete, Edizioni Mediterranee, Roma 1989, p. 228.
[32] Howard Philips Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, op. cit., p. 346.
[33] Rene Alleau, op. cit., p. 130.
[34] Ivi, p. 45.
[35] Ivi, p. 69.
[36] Hermann Rauschning, Confidenze di Hitler, Il Torchio, Padova 1945, pp. 250-251.
[37] Louis Pauwels e Jacques Bergier, op. cit., pp. 374-377.
[38] Howard Philips Lovecraft, L’orrore di Dunwich, op. cit., p. 621.
[39] Howard Philips Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, op. cit., p. 327.
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