Il Serpente Ouroboros (che si morde la coda…)

Non è un’allegoria nè una favola, ma una storia da leggere per il proprio piacere…

 

Lessì questo titolo anni fa (mi perdonerete la breve digressione) sulle note bibliografiche del Tomo I del Ciclo di Conan il Barbaro edito da Newton Compton e curato da Gianni Pilo e Sebastiano Fusco. Per la precisione la nota recitava, nel capitolo della cronologia howardiana, all’anno 1922 “Frequenta le scuole superiori a Brownwood, che all’epoca ha circa ventimila abitanti. La solitudine e le scarse risorse economiche accrescono la scontrosità del suo carattere. Fisicamente fragile nell’adolescenza, e sottoposto a prepotenze da parte dei coetanei più forti, ha intanto sviluppato, grazie all’esercizio e allo sport, un fisico robusto e imponente.” Affiancate alle note biografiche del Bardo di Cross Plain (Robert Erwin Howard, creatore di Conan il Barbaro) sono raccolte (grazie a un lavoro di cura davvero approfondito e godibile) alcune altre note cronologiche sulla letteratura di genere fantastico; a cominciare dal 1906 (data di nascita di Robert Howard) si trovano note come: Algernon Blackwood pubblica la sua prima antologia… James Matthew Barrie pubblica il celebre romanzo fiabesco Peter Pan in Kensigton Gardens… nasce Lyon Sprague de Camp… lo scrittore ceco Karel Capek pubblica R.U.R., il dramma che farà entrare nel linguaggio comune le parola “Robot”… ed eccoci al 1922, con la nota: “esce The Worm Ouroboros” di Eric Rucker Eddison, primo vero capolavoro della Fantasia Eroica”.

Con delle lodi simili, l’incantesimo ebbe subito effetto su di me, ed ecco che l’Ouroboros mi faceva compagnia qualche mese dopo durante un lungo viaggio in treno.

La prima lettura non mi entusiasmò. Scene epiche di combattimenti godibili, forse un po’ troppo poetiche, e tante parti un po’ noiose, ridondanti, barocche… nomi strambi (Lord Juss, Lord Spitfire, Fax Fay Fax… ), animali che danzavano, tanti episodi slegati tra loro… insomma una lettura portata a termine con un po’ di fatica e presto effettivamente dimenticata… ma il Serpente che si morde la coda covava, segretamente, “sdimenticato”, forse in letargo, eppure eternamente vigile.

Poi, poi un paio di anni fa, non ricordo nemmeno perchè, mi ricapitò tra le mani, mi sembra durante un piovoso pomeriggio di una Domenica di Dicembre. Così al volo mi ricordai di una scena che mi aveva colpito, ovvero un episodio della battaglia finale che chiude il racconto. Una scena particolare perché segue fino alla degna conclusione le vicende di uno degli antagonisti, verso il quale, meritatamente, è tributato un vero e proprio onore per le gesta compiute.

Riletto il capitolo, mi dissi: “Porco cane ma che era così bello e non me lo ricordavo?” Allora via a rileggerlo per bene, dall’inizio. E allora fu così che l’incantesimo si compì su di me. Quello stile che mi era sembrato eccessivamente carico si trasformò in una prosa poetica nel senso davvero bello del termine, evocativa, dal sapore proprio di leggenda… quei personaggi dai nomi buffi si sono rivelati degli archetipi umani ed eroici “più veri del vero”… quella serie slegata di episodi quasi autoconclusivi si sono rivelati essere un cammino in una galleria delle meraviglie, dal sentiero così strutturato e vario da essere stordente… insomma il Serpente mi si è rivelato per cosa effettivamente è, indipendentemente dal gusto personale…. Signore e signori qui ci troviamo davvero davanti a qualcosa che non è azzardato definire “unico”, qualcosa di così profondo e vivo che mal si inquadra in qualsiasi definizione derivata dalla nostre coordinate culturali… infatti trovo davvero difficile scriverne qualcosa di appropriato. Diciamo che ci immaginiamo di fare uno strano sogno stanotte, un sogno lungo qualche vita intera, che si dispiega su un pianeta lontano; un sogno ove avvenghino imprese e battaglie meravigliose quanto eroiche, senza una ragione precisa, ma come a rispondere ai nostri istinti o ideali più profondi, come se anche noi avessimo percorso quelle strane, lontane e ardite vite senza una ragione comprensibile ben precisa, ma semplicemente perchè, in risposta a chissà quale nostra profonda corda dell’anima, così il nostro animo comandava e quindi così doveva essere. Poco importa se, vivendo la vita di qualche soldato semplice, abbiamo assistito all’epico scontro di lotta da Lord Goldry Bluszco e Re Gorice alle Isole Foliot, se abbiamo udito i sussurri di congiura del filosofo Lord Gro, oppure se siamo caduti nel leggendario assedio di Eshgrar Ogo o se eravamo un fante sopravvissuto alla ritirata del nostro signore Corund sotto le terribili mura di Carce… il destino ci voleva lì, anche a costo di pagare il prezzo più alto di una morte che ritorna eternamente.

Mi perdonerete se queste righe sono cariche di paroloni e tentano di dare chissà quali astrusi significati a qualche pagina che parla di gente immaginaria che si combatte banalmente, senza motivo. Vi assicuro che non è che non so cosa fare stasera, che ho avuto una giornata noiosa e allora provo a darmi un tono. Ovviamente scherzo. Ma, parola d’onore, è solo il mio umile tentativo di rendere giustizia e di provare a parlare approfonditamente di una creazione culturale molto lontana dal nostro modo di intendere i racconti e il cosiddetto libro fantasy. L’Ouroboros ha impiegato circa quaranta (sì, quaranta!) anni a uscire dalla tana e a moriresu poche centinaia di pagine, e nasconde tra le spire immagini archetipe concepite dall’infanzia dell’autore, richiami culturali e letterari caleidoscopici, scene che sono qualcosa che sta nel trivio tra poesia, pittura e dramma… anche se alla fine, come dice proprio l’autore, “non è un’allegoria nè una favola, ma una storia da leggere per il proprio piacere.”

Capirete il perchè il mio compito mi sembra così difficile. Comunque, ora procediamo con ordine.

Il libro “Il Serpente Ouroboros” (titolo originale The Worm Ouroboros) viene pubblicato nel 1922 nella vecchia Europa, Inghilterra per la precisione. L’autore è tale Erick Rucker Eddison, un impiegato dell’ufficio postale, uomo colto, appassionato di vecchie saghe e di letteratura antica, non un appassionato qualunque a dire il vero, tanto che egli stesso è membro dei mitici Inklings

Una nota su questi Inklings (termine che letteralmente si potrebbe tradurre come “I Sommessi”), ovvero un circolo letterario informale i cui membri erano soliti, negli anni ‘30 e ‘40, ritrovarsi la sera del Martedì e del Giovedì, e tra abbondanti fumate di pipa e pinte di birra, parlare e leggere di miti, libri, racconti… ne facevano parte J.Tolkien e C.S. Lewis, tanto per dare un’idea di quanto fosse appassionato questo circolo di appassionati.

Un’ulteriore nota che mi sembra divertente aggiungere, è la seguente: Tolkien nutriva ammirazione per l’opera di Eddison, ma la riteneva eccessivamente barbara e violenta. Da parte sua Eddison ammirava l’opera di Tolkien, ma la riteneva troppo morbida.

Terza e ultima nota, scusate: l’Ouroboros è stato anche criticato come un inno alla battaglia e alla violenza appunto. Non entrando nella disputa mi limiterò a dire che la violenza, anzi diciamo la battaglia, non è fine a se stessa nell’Ouroboros.

Tornando al nostro affezionatissimo Eddison e all’Uroboros… Eddison era un vero amante dei miti e delle saghe, particolarmente delle saghe islandesi (tanto da tradurne una: Egil’Saga) e tra le sue opere annoveriamo, oltre al Serpente, anche Styborn the Strong, una vera e propria saga quasi ex novo (purtroppo non tradotta in italiano) e la storia fantastica di Zimiamvia, la quale comprende tre volumi, ovvero Zimiamvia I, Zimiamvia II Intrighi a Memison, Zimiamvia III: Epilogo; globalmente, una lettura difficile ma che merita particolarmente, e sulla quale nei prossimi articoli vorremmo scrivere.

Veniamo ora al nostro Ouroboros, nel dettaglio. Procedendo in ordine sparso, cercherò di cogliere qua e là elementi tali da provare a trasmettere l’essenza di questo capolavoro della letteratura fantastica.

Allora prima di tutto qui si parla di altri tempi e altri uomini, per fortuna da questo punto di vista. Se innalziamo sguardo dalla palude nauseabonda del fantastico commerciale che oggi, senza dare la colpa a nessuno, pare affogarci, ci potremo aggrappare all’Ourobors come una zattera che ci porti in salvo su una meravigliosa isola. Ricordiamo a tal proposito che l’Ouroboros ha una gestazione e una stratificazione letteraria, culturale, introspettiva, di quarant’anni… tempistica non proprio commerciale.

Quando ancora aveva senso chiamare M2o la radio della “musica allo stato puro” (se non avete mai ascoltato la sera Roberto Molinaro, correte) mi veniva in mente proprio questa definizione per l’Ouroboros, ovvero “fantastico allo stato puro”: personaggi che sembrano non avere senso, nomi buffissimi, vicende slegate tra loro… il tutto perché Eddison ci credeva, e non certo doveva rendere conto a trend di mercato, editori o stile edulcorato politically correct.

Insomma siamo davanti a un’opera tanto sincera da essere forse grezza per alcuni aspetti, ma davvero pura, nel senso che questo è un diamante grezzo di fantastico e basta, nessuna contaminazione. L’opera tra l’altro non solo ci porta lontani nel tempo diciamo culturalmente, ma ci porta proprio su un piano dimensionale diverso e soprattutto originale. Nel libro sono evidenti molti richiami dei topoi che a Eddison stavano a cuore, o proprio nell’anima. Che ci crediate o no, gli Deì Greci convivono con uomini che sono quasi eroi delle saghe islandesi, in una prosa ricercata, colta, ispirata nella sostanza al dramma elisabettiano… e tutto questo calderone ribollente per narrare di storie avventurose, scontri epici, battaglie epocali, immaginate con la semplicità e la profondità dell’animo di un fanciullo (direi di non sottovalutare per niente il valore del punto di vista del “bambino” che è in noi, pensiamo, uno su tutti, a Sergio Leone).

Dunque in questo universo fantastico variopinto si muovono gli uomini e le donne di Mercurio (sì, le vicende si immaginano svolte proprio sul pianeta Mercurio), che sono delle statue o dei quadri più che personaggi. Sono sempre dipinti o evocati in azioni eroiche, memorabili, ardite, patetiche… come se fossero guerrieri di battaglie oniriche tra le varie pulsioni archetipe dell’animo umano; osserviamo la filosofia duellare con l’azione, il furore scontrarsi con la saggezza, la lealtà avvelenata dalla cospirazione.

I nomi, criticatissimi negativamente dalla letteratura, sono a mio modesto avviso memorabili. Juss, Goldry Bluszco, Spitfire, Brandoch Daha, Gorice, Corund, Gro, Fax Fay Faz, Premyra, La Fireez… immaginate di incastonare una vostra fantasia da bambino, e di cesellarla in forma compiuta poi con gli utensili della cultura, della maturità e della conoscenza. Sono nomi e personaggi che non si scordano più, perchè toccano corde davvero profonde dell’animo umano.

Ciò che più mi piace poi di questi personaggi è l’approfondimento psicologico. Nessuno. Niente. Tutto è azione pura nell’Ourobors, anzi si potrebbe dire che l’azione crea il pensiero, su Mercurio. L’azione, l’agire che sfida o asseconda il destino diviene archetipa, eterna, può essere accaduta un milione di volte e ancora riaccadrà, ma quanto è bello volare con l’immaginazione su questi luoghi non-luoghi eterni, e leggere e rileggere e immaginare ancora e ancora… non c’è limite nelle vicende, nelle sfumature e nella guerra del Serpente Ourobors…

Se dopo aver letto questo mio sproloquio leggerete anche il libro, vi renderete conto, una volta giunti alla fine, di essere stati proprio vittime di una specie d’incantesimo che avrà all’incirca le coordinate che ho provato a descrivere.

Fantastico fantastico allo stato puro.

E, mi auguro, buona lettura!

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