
A Lorenzo
I gas di scarico di Cennet impestavano le strade, rendendo impossibile alla luce di entrare.
Tutto appariva ovattato, come un maleodorante sogno a ore color ocra.
Seth Nyvek aveva tirato giù la maschera per annusare l’aria e capire a che altezza si trovasse.
Ai lati le case alveari e le baracche costruite a ridosso di queste, soffocavano la Kasbah; i labirintici bassifondi si diramavano come un cancro multicolore su tutta la superficie della immensa città-stato.
“Gim incrocio con Zai” elaborò mentalmente, rimettendo la maschera in volto.
Indossava un completo di cuoio e cotone grezzo: casacca con legacci laterali e pantaloni larghi che gli permettevano di muoversi con libertà.
Attivò la microcamera oculare, provando la visuale: messa a fuoco; zoom; connessione col remoto.
Tutto funzionava alla perfezione.
Poi si immerse nella strada davanti, diretto verso il Suq, centro nevralgico dove c’era il suo contatto.
«Ventidue persone scomparse nel giro di sei mesi. Accuse di terrorismo verso un gruppo folk, colpevole di cantare le ingiustizie sociali. Questa è la verità!»
«Socialisti, Seth. Questo è il punto!»
«Oh, andiamo Nazik. Ancora con queste storie da ventesimo secolo? Non si tratta di socialismo, ma di giustizia sociale. Quei musicisti sono stati prelevati dalle loro abitazioni all’alba e portati in carcere con l’accusa di terrorismo. Sai cosa vuol dire?»
«E tu sai cosa vuol dire? Il solo fatto di parlarne vuol dire essere sulla loro lista»
«E cosa facciamo?»
«La domanda è cosa tu vuoi fare. Piombi nel mio ufficio con questi dati, come se non li conoscessi; ti metti a parlare di giustizia sociale e persone scomparse. Hai idea del casino che c’è sotto?»
Seth trasse un respiro prima di parlare. Fosse stato per lui avrebbe afferrato il capo redattore per il colletto e gli avrebbe sbattuto la faccia contro la parete, fino a fargli raggiungere il buon senso di cui sembrava mancare.
Ma non poteva.
«Scrivere.»
«Vuoi fare un articolo su quello che sta succedendo in città?»
«Voglio scrivere della nostra storia e di come siamo arrivati a questo punto. Ci sono menzogne che vanno smontate e non possiamo continuare a far finta di nulla.»
Man mano che parlava, Seth riusciva quasi a sentire la paura che, dal volto di Nazik traspariva nell’aria come un odore; si trasformava in gocce di sudore che si condensavano sulle tempie e colavano giù lungo le guance, nonostante l’aria condizionata.
«Ti caccerai in grossi guai, Seth. Ti daranno tutti la caccia: la polizia; i Grossi Quadri e persino l’Autarca. La cosa peggiore è che verranno a rifarsela con me e con il nostro giornale.»
«È di questo che ti preoccupi Nazik, del giornale?».
«Io ci vivo!»
Casbah: il quartiere mercato.
La vita pulsante di Byzantium, dove tutto parte e tutto converge; dove vita e morte si mescolano in un intreccio indissolubile.
Anticamente Kapalicarsi, nel quartiere di Fatih, adesso aveva acquistato nuovo nome, espandendosi oltre i confini.
Seth attraversò un porticato gremito di gente, dirigendosi verso il Bedestan dei tessuti, dove ad accoglierlo c’era una variopinta teoria di abiti, appesi fuori dalle varie botteghe.
L’odore di spezie si mescolava a quello della pelle e del cotone; con passi decisi, il giornalista si fermò davanti una bottega posta sotto al di sotto di un’arcata. Davanti un uomo magro sedeva su di un largo divano, mangiando svogliatamente della frutta secca presa da una coppa posta sul tavolinetto di fronte.
«Murad?» chiese Seth.
L’uomo dalla pelle olivastra e barbetta rada lo guardò attraverso il fumo del sigaro.
«Chi lo vuole sapere?»
«Mi manda Mehmet.»
«Un altro impiccione, quindi. Cosa ti serve?»
«Posso sedermi?»
Murad fece cenno con la mano e Seth si accomodò sulla sedia di vimini davanti a lui.
Attorno, la gente scorreva in un flusso senza sosta; ogni tanto si riconoscevano poliziotti che a coppie pattugliavano i vari Bedestan del Gran Bazar, guardando in ogni direzione, come mastini pronti a saltare addosso al primo che capitava a tiro.
«Chi ti manda?» domandò l’uomo socchiudendo gli occhi con diffidenza, trasformandoli in due fessure nere.
«Nessuno. Sono venuto io da solo».
«Ascoltami bene ragazzino, non so per quale motivo tu abbia voglia di morire così giovane, dal canto mio cerco di farmi i fatti miei e campare fino a quando Allah mi darà la forza. Io non so niente, né voglio saperlo, quindi alza il culo dalla sedia e sparisci!»
«Mehmet mi aveva detto che era difficile farti parlare, per questo non sono venuto a mani vuote».
Seth fece scivolare dalla mano, sulla superficie del tavolo, una micro scheda di memoria, mantenendo sempre lo sguardo sul mercante, che con lentezza ci appoggiò la propria.
«So che sei uno strano collezionista, io non giudico le tue inclinazioni, qui dentro ci sono video da soddisfarti per mesi».
«Che cosa vuoi?»
«Un lasciapassare per Galata!»
Murad sgranò gli occhi: «Sei pazzo?»
Seth tirò fuori un diffusore caricato ad oppio, ne aspirò due boccate che trattenne in gola prima di buttarle fuori dalle narici: «Può darsi»
«Perché vuoi andare a Galata? Non sei un aristocratico, né un burocrate»
«Ho i miei motivi. Principalmente per lavoro, puoi procurarlo?»
«Ti costerà un bel po’»
«Hai già ricevuto un pagamento»
«Consideralo un acconto. L’altra parte a lasciapassare ottenuto»
«Quando pensi di riuscirci?»
Murad sorrise allargando le braccia: «È venerdì, vuoi farmi lavorare anche questi giorni? Torna martedì e saprò darti una risposta».
«Ho una pista. Mi serve solo la tua autorizzazione.»
«Ancora? È passata una settimana e sei sempre a questo punto? Potrebbero essere già morti»
«No, sono rinchiusi in una prigione a Galata»
«Galata? Tu sei davvero stupido. Vorresti entrare nel quartiere e magari presentarti alla porta della prigione e farti aprire?»
«Sono pur sempre un reporter e ho il tesserino!» incalzò Seth.
«Ficcatelo nel culo! Seth, a quella gente non fa differenza chi o cosa sei, anzi per loro sei un ficcanaso. Sarai fortunato se finirai in una cella con tutti i denti per mangiare. Ma non hai un altro articolo da scrivere? Perché ti interessa tanto questo gruppo di tossici?»
Seth non rispose, strinse le labbra e volse la testa verso la finestra alla sua destra. Le espansioni all’orecchio per un attimo scintillarono alla luce, i suoi occhi, dal taglio allungato, parvero mettere a fuoco qualcosa o qualcuno, un ricordo che tornava a galla dal passato.
La Torre dell’Autarca era molto più grande di quella di Galata.
Svettava come un fuso d’acciaio e vetro, un ulteriore minareto nella già affollata selva di Byzantium.
Soltanto i burocrati di alto livello avevano accesso al suo interno e solo le loro famiglie avevano diritto ad abitare nel quartiere attorno, una volta centro economico della millenaria città.
Seth procedeva lungo il ponte tranquillamente, nonostante dentro avesse una serie di ansie e paure che lo sconvolgevano. C’era poca gente che camminava, ognuno perso nei propri pensieri, alienati dalla realtà circostante.
Al termine del ponte era stato costruito un posto di blocco dove guardie armate controllavano tutti quelli che avevano intenzione di passare.
Davanti a lui c’erano una decina di persone in fila, lavoratori e impiegati di base che ogni mattina si sottoponevano al controllo di routine.
Attese il proprio turno con calma e pazienza, mascherando il nervosismo che cercava di manifestarsi in volto.
Il poliziotto davanti era un toro: collo e cranio rasati e massicci; occhi spenti ma con una luce cattiva di fondo.
Tese la mano a Seth che gli porse il badge.
Accanto un secondo uomo lo guardava, tenendolo sotto tiro con una mitraglietta.
Il primo osservò il badge, poi lo passò sulla placca di lettura davanti a sé e attese.
Alla fine il bip e la luce verde di convalida arrivarono e Seth poté riprendere a respirare.
«Grazie.» disse lui abbozzando il più innocente dei sorrisi.
Man mano che saliva lungo la grande via principale, la torre sembrava sempre più vicina; sempre più grande. Residenti e lavoratori che come lui andavano per quella strada in entrambe le direzioni, non sembrano affatto impressionati dalla mole scura della struttura, a differenza sua che invece continuava ad osservarla con un misto di attenzione e timore.
La cima a guglia, si perdeva svettante tra le nubi del cielo, superando di gran lunga le cime dei palazzi attorno; sciami di droni ronzavano attorno di tanto in tanto come api attorno all’alveare.
Chissà cosa faceva a quest’ora l’Autarca, si chiese Seth. Era sul cesso? Lavorava di già?
Non riusciva, per quanto si sforzasse, ad immaginare una vita privata all’uomo più potente della Nazione Turca che da trent’anni ormai, governava ininterrottamente, nel bene e nel male. Era riuscito a trasformare gradualmente il paese in una potenza, da traballante democrazia in una apparentemente solida autarchia.
Seth accese la telecamera oculare e guardò attorno le banche; i ristoranti e le aziende satellite che popolavano la strada.
La sua meta era, stando alle indicazioni che comparivano sul visore della cornea, a due isolati alla sua destra.
Un gruppo di turisti, adeguatamente scortati da poliziotti e guida turistica, gli passò vociando accanto, entusiasti e armati di cellulari per riprendere ciò che vedevano.
Nonostante tutto, Byzantium restava una delle più belle città del pianeta.
«È così che tutto si trasforma, si adatta al tempo e diventa futuro!»
La voce profonda risuonava nella testa di Seth facendo vibrare tutto il corpo.
Nessun suono, in tutta la sua vita, aveva avuto una risonanza tale; una potenza così profonda da scuotergli l’anima.
Sentiva lo stomaco e i testicoli rimbombare ai bassi, e per un attimo fu come se una vertigine gli attraversasse l’intera persona.
Gli era stata strappata la telecamera oculare, che adesso giaceva ai suoi piedi e l’orbita vuota osservava cieca e impotente la stanza dove era stato condotto.
Non era quella che mostravano i telegiornali, la Sancta Sanctorum con la grande bandiera turca dietro la pesante scrivania e il busto di Ataturk in vista. Non c’erano le grandi vetrate che lasciavano intravedere le sagome dei palazzi o il cielo.
Era una camera scarna, con un freddo neon sul soffitto ed una telecamera nella parete di fronte che proiettava l’immagine di un uomo: un ologramma a figura intera, il cui volto al giornalista non diceva assolutamente nulla.
«Seth Baal Nyvek. Cittadino di terzo grado. Turco da cinque generazioni. Reporter con l’hobby della musica.» recitò la voce.
«Chi sei?»
«Cercavi me e mi hai trovato!» rispose l’uomo.
Seth non riuscì subito a collegare i pensieri, forse il dolore all’occhio; la paura di essere stato catturato o di quello che gli avrebbero fatto, gli impedivano di concentrarsi completamente.
Poi arrivò la rivelazione, come uno strale che colpisse il suo cervello, accendendo il ragionamento: «Sei l’Autarca?»
L’uomo annuì.
«Non hai neanche il coraggio di farti vedere di persona. Usi una proiezione»
«No, sbagli. Io sono qui come mi vedi, Seth. Sono sempre stato questo e sempre lo sarò. Non ho bisogno di una forma di carne se posso avere una coscienza»
«Che cosa significa?»
L’Autarca sorrise: «Io sono l’Anima di questo paese che si nutre delle vostre. Non ho bisogno di niente che voi già non mi forniate. Tutto quello che fate, pensate o guardate arriva a me. Per citare qualcosa di supremo: Io sono Colui che era, che è, e che sarà!»
Alla fine Seth riuscì a mettersi in piedi, la mancanza di un occhio gli faceva perdere il senso della spazialità, impedendo di percepire appieno la distanza delle cose.
«Sono ognuno di voi. Controllo costantemente i vostri umori e le vostre storie arricchendomi giorno dopo giorno delle emozioni, delle azioni e dei segreti».
Il suono delle porte metalliche che si aprivano alle sue spalle lo distolsero dall’immagine davanti; due grosse mani lo afferrarono tenendolo stretto.
«Il cittadino vuole conoscere lo stato di salute dei terroristi: caricateli tutte le informazioni e le emozioni di ognuno di loro, poi preparatelo per l’assimilazione!»
«Perché sei venuta da me?» la voce di Seth era roca e sofferente.
Appoggiato al bordo del ponte guardava in basso scorrere le barche sul Bosforo.
«Ho bisogno del tuo aiuto», le rispose la ragazza volgendo gli occhi verso di lui.
«Tre anni, Karima. Ci ho messo tre anni a dimenticarti e andare avanti e adesso torni da me e chiedi il mio aiuto!»
«Mio fratello è scomparso. La polizia lo ha prelevato dalla sala prove assieme agli altri del gruppo. Non so dove siano stati portati, non so nemmeno se è vivo. Sei l’unico che è in grado di scoprire le cose nascoste»
«I segreti vorrai dire».
Karima si morse il labbo abbassando lo sguardo.
«E tuo marito? È un burocrate, perché non chiedi a lui? Ha abbastanza soldi e conoscenze mi pare» aggiunse tagliente Seth.
Lei non rispose.
A gennaio piove a Byzantium.
L’acqua cade generosa su tutta la città e la sera poi, quando smette, i vapori che si sollevano assumono le tonalità delle luci e delle insegne.
La torre genera in tutti timore e rispetto, così come il suo abitante, che governa uno stato feudale ipertecnologico dove tutti sono connessi a tutto e a Lui allo stesso tempo.
I bisogni e le necessità di ognuno sono assimilati e soddisfatti dalla Grande Volontà che governa come un padre severo ma giusto; amorevole ma spietato; protettivo ma permissivo quanto basta.
Perpetrare il male per favorire il bene.
Francesco Lacava
Maggio 2020
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