
Nella lontana Cimmeria una tribù conosce il segreto dell’acciaio e forgia spade invincibili, ma il perfido Tulsa Doom (James Earl Jones) e i suoi uomini radono al suolo il villaggio e fanno dei sopravvissuti schiavi. Tra questi c’è Conan (Arnold Schwarzenegger), figlio del fabbro e capo tribù, ultimo custode del segreto dell’acciaio, che cresce forte e coraggioso e determinato a vendicarsi.
Uscito nel 1982 e diretto da John Milius Conan il Barbaro si afferma come un unicum nel panorama del fantastico su pellicola, capace di sbancare i botteghini di mezzo mondo e avviare un piccolo rinascimento delle storie di spada e stregoneria sul grande schermo.
Ma fu tutto tranne che “una passeggiata”.

Il primo grande problema erano i diritti del personaggio dal lontano 1966. Il progetto del barbaro al cinema inizia a prendere forma a metà degli anni ’70 quando Edward R. Pressman vide le copertine di Frazetta e le storie del personaggio targate Marvel. Tutto cambia però con quel terremoto culturale che fu Guerre Stellari nel 1977 che riportò in auge storie fiabesche, fantastiche, esotiche e mitiche. Pressman però non era ricco e le battaglie legali per assicurarsi la licenza sul personaggio toglievano liquidi al progetto.
Si intromise così la Paramount che sarebbe stata più che felice di produrre il film a patto che ci fosse un noto sceneggiatore: Oliver Stone (che oltre ad un lauto guadagno, suggerì a Ridley Scott di dirigere la pellicola ma l’inglese rifiutò).
Ecco che entra in scena John Milius, chiamato dallo scenografo Ron Cobb, che accetta di dirigere il film solo se poteva riscrivere la sceneggiatura e chiamare in campo il suo produttore Dino De Laurentiis.
Purtroppo non sapremo mai come era l’originale scritto di Stone che stando alle sue parole scrisse tutto in piena depressione e sotto effetto di stupefacenti e tra Il Colosso Nero e Nascerà una Strega vedeva un Conan post-apocalittico combattere un esercito di mutanti in un film di 4 ore.
Milius invece ci dona un’avventura epica, travolgente, asciutta nei dialoghi (capaci però di un lirismo commovente come l’ultima conversazione tra Valeria e Conan e il motivo del pianto di Subotai), che si fa forza della totale inesperienza di Schwarzenegger e soci, focalizzandosi sull’esotismo e la violenza di questo mondo primitivo.

Da purista del personaggio invece? I riferimenti alla mitologia di Howard si fermano al personaggio di Conan e in parte a quello di Valeria (ispirata, ma non troppo, al personaggio visto nel capolavoro Chiodi Rossi). Poi sì la scena della scalata della torre e del tesoro al suo interno ricorda La Torre dell’Elefante (altro capolavoro totale), così come la crocifissione rimanda a Nascerà una Strega, ma non sono altro che rimandi, fumose citazioni in un film scritto e diretto da Milius (compresa la scena della cripta, tratta da un racconto originale di Carter e De camp sul personaggio The Thing in the Crypt).
Quindi che il nostro Conan legga libri e apprenda da un maestro l’arte della spada (chiamata Khitai, altra citazione ad Howard e che ricorda molto il Bushido), e finisca in un’arena di scontri gladiatori clandestini fa storcere il naso. Nello specifico quando lo fa per vendicare la morte della sua gente. Eppure funziona. Questo perchè il film di Milius è una violentissima storia di formazione dove tutto quello che entra in scena è parte integrante del processo di crescita del personaggio.
Il segreto del successo del film però non è la sua trama ma il mondo che Milius e soci hanno forgiato attorno al personaggio.

E in questo occorre ringraziare la truppa di De Laurentiis e lo scenografo Ron Cobb che decise, saggiamente, di annullare la storia per crearne una sua, mescolando cultura vichinga, mongola e medievale (da ambo le sponde del Mediterraneo) e rifuggendo dal modello dei peplum (dal quale però saccheggiò senza complimenti gli splendidi paesaggi dell’Almeria abusati prima dai peplum e poi dai western all’italiana).
A ciò si deve aggiungere il reparto degli effetti speciali che tra decapitazioni, scontri all’ultimo sangue (che scorre a fiumi), mostri terrificanti (il serpentone nel santuario), oscure stregonerie e trasformazioni (quella di Thulsa Doom è ancora allucinante), ci consegna un film che a distanza di 40 anni risulta fresco e avvincente come la prima volta.
La fotografia di Duke Callaghan, che aveva già mostrato i muscoli in due capolavori di Sydney Pollack Corvo Rosso non Avrai il mio Scalpo! e Yakuza, sin dalle prime scene (quelle di forgiatura della spada e della strage del villaggio) ci fa capire la potenza della luce come elemento narrativo della scenografia, quasi sempre funestata da agenti atmosferici avversi (nebbia, vento, sabbia, pioggia ecc…), ma sempre circondata da un orizzonte infinito (il vero protagonista del film), talvolta netto, altre volte opaco o screziato da un tramonto.

Come ciliegina sulla torta troviamo Basil Poledouris con la sua massiccia e travolgente colonna sonora. Vero cavallo di battaglia per tutti noi amanti di Conan, che proprio come le migliori ouverture sintetizza i grandi temi che si svilupperanno nell’arco di 128 minuti, travolgendoci in un’esperienza cinematografica unica.
Esattamente come avvenne per Ulisse (1954), ci troviamo di fronte ad una delle trasposizioni più infedeli possibili, ma con una delle costruzioni narrative più epiche e coerenti che il genere fantastico abbia mai prodotto.

Conan il barbaro e il suo compagno Malak vengono portati di fronte alla regina Taramis di Shadizar che intende stringere un patto con Conan: dovrà scortare sua nipote Jehnna nella ricerca di una gemma magica e ritrovare il corno magico che risveglierà Dagoth il Dio dei sogni e degli incubi; in cambio riporterà in vita l’amore perduto di Conan, Valeria.
De Laurentiis nonostante gli ottimi incassi del primo film mal sopportava le critiche affibbiate alla pellicola: dalle blande ma oneste “troppo violento” alle ignominiose “fascista”. Così decise di smorzare i toni e creare un film “per famiglie”. Peccato che John Milius si fosse tirato indietro.

Così chiamarono il co-produttore Richard Fleischer, regista della vecchia guardia con diversi ottimi film nel curriculum: dalla fantascienza di 20’000 Leghe Sotto i Mari (1954), Viaggio Allucinante (1966), 2022 I Sopravvisuti (1973), sino all’epica storica de I Vichinghi (1958) e Tora! Tora! Tora! (1970).
Più che positiva la presenza al soggetto di Roy Thomas e Gerry Conway, le due menti dietro al rinascimento fumettistico del personaggio targato Marvel. Il loro soggetto delinea sin dalle prime battute la natura più fumettistica di questo seguito, canonizzato poi da Stanley Mann in una sceneggiatura che in linea coll’obiettivo “film per famiglie” si muove a metà tra un film di avventura alla Indiana Jones mescolato con il soprannaturale e il più classico film di cappa e spada dove una compagnia di avventurieri compie un viaggio, supera ostacoli esterni e scopre il doppio gioco di alcuni loro alleati.
Comunque i due fumettisti, che ci avevano già regalato quel capolavoro di Fire and Ice – Fuoco e Ghiaccio (1983), non contenti dell’adattamento riproposero la loro versione del film in forma di fumetto (che cambia di poco la trama generale del film).
La fotografia di Jack Cardiff, altro veterano celebre per aver inquadrato La Regina d’Africa (1951) di John Huston e Guerra e Pace (1954) di King Vidor, gioca con sfumature molto accese e morbide (nel senso che si distendono uniformemente su tutta la pellicola), inquadrando in tutto il suo splendore i paesaggi sconfinati e selvaggi dell’America e gli interni fantasmagorici abilmente forgiati dalla squadra di De Laurentiis (composta per lo più da italiani).

La presenza di Rambaldi si limita alla creazione del celebre mostro finale: Dagoth, tra le creature più lovecraftiane mai viste sul grande schermo e animata dal grande Andrè the Giant!
Quindi è vero: la violenza è in quantità minori e si gioca più sul non detto e i classici doppi sensi, così come la figura di Conan è lontana dal modello di Howard e più vicino a quello Marvel. Ma il film rimane godibilissimo ancora oggi e si può considerare la controparte più solare e scanzonata del primo. Inoltre il celebre dipinto di Frazetta di Conan vs Thak tratto da Rogues in the House (Intrusi a Palazzo o Nella Casa di Notte), ispirerà una delle scene più divertenti del film.
Ad avercene di seguiti o copie come questa!

Ma gli altri barbari di Howard come se la cavano?
BONUS

Yado (1985) di Richard Fleischer>>La perfida regina Gedren (Sandahl Bergman) entra in possesso di un potente talismano, e toccherà a Yado (Arnold Schwarzenegger) e Red Sonja (Brigitte Nielsen) ristabilire l’equilibrio. L’inizio del film troppo didascalico e soprattutto troppo veloce ci dice che Sonja è l’eroina prescelta dalla Dea che la trasforma in una guerriera provetta. Sorge spontanea una domanda: perchè dovrei guardare il film se so già che Sonja è super-figura e invincibile e vincerà? Se non c’è dramma non c’è film! E questo tacendo dell’inutilità del resto dei personaggi. La fotografia di Rotunno (tra i più grandi d’Italia) acuisce la sensazione da apocalittica con scenari brulli e colori spenti. Interessante notare che il film fu girato in Abruzzo (Gran Sasso, Celano, Campo Felice Campo Imperatore dove per altro si girarono tantissimi western nostrani tra cui è d’obbligo citare i Trinità ma soprattutto quel capolavoro crepuscolare di Keoma oltre ai celebri medievaleggianti Ladyhawk e Il Nome della Rosa ma anche il metafisico Il Deserto dei Tartari), a dimostrazione che anche il Belpaese quando vuole può assumere qualsiasi sfumatura narrativa. La scena dentro il santuario e quella nella dimora della cattiva sono ben girate e ricordano molto la tavolozza cromatica de Il mercenario. Le musiche di Morricone non eccellono in alcun modo ma fanno il loro dovere. Potete saltarlo.

Kull The Conqueror (1997) di John Nicolella>> In quel di Valusia giunge il nerboruto guerriero Kull di Atlantide che si mette subito in luce per le sue abilità, e dopo un duello col generale Taligaro si reca a palazzo dove Re Borna, è impazzito e sta uccidendo i suoi eredi. Il folle Re, sconfitto da Taligaro ma ucciso da Kull incorona quest’ultimo, che ora dovrà difendersi dal resto dei congiurati… Questo film è il celebre adattamento della terza sceneggiatura sul personaggio di Howard Conan the Conqueror mai realizzata perchè Schwarzenegger chiedeva troppo. Kevin Sorbo accettò l’offerta con un’unica clausola: cambiare il personaggio, perchè reinterpretare le vesti che furono di Schwartzy era impossibile. Il film inizia subito a rotta di collo con musica metal e una bella battaglia con Sorbo a torso nudo. La questione della congiura è interessante e molto howardiana ma come si sviluppa è assurdo. Sarebbe stato molto più figo far sì che Kull fosse già mercenario al soldo del Re o del figlio, magari difeso proprio nella battaglia iniziale; a ciò segue la scena del Re folle che tenta di uccidere anche il suo ultimo figlio ma è presto salvato da Kull che così viene incoronato di diritto; così i ruoli invertiti avrebbero innescato risentimento e invidia alimentati dalle tante piccole leggi capaci di rivoluzionare gli usi e costumi dei valusiani che sarebbe sfociata in una catena di congiure e pugnalate nell’ombra poi culminata col risveglio di un demone. Il film nonostante tutto si sviluppa decentemente: l’idea dei tarocchi che anticipa la trama, la scena dell’invocazione di Akivasha (con Tia Carrere rossa che è il sogno erotico di ogni spadaccino), il duello col mostro-gorilla nelle prigioni e il risvolto comico del cammello così come le scene di viaggio verso le lande del Nord alla ricerca della magia che distruggerà la fiamma eterna che rende immortale Akivasha. Carina la citazione “By this Axe I Rule” che riprende la perculata fatta all’inizio da Taligaro. Una spulciata è d’obbligo.

Conan The Barbarian (2011) di Marcus Nispel>> Conan, nato su un campo di batttaglia, impara l’arte di vivere e uccidere dei cimmeri e quando Khalar Zym (Stephen Lang), gli uccide il padre sotto gli occhi il giovane è determinato a vendicarsi, a qualsiasi costo. L’unica cosa che si salva è incredibilmente Jason Mamoa che è molto più vicino al Conan di Howard (per quanto riguarda l’aspetto visivo). Per il resto la pellicola acuisce tutta l’ignoranza e il fascismo che il personaggio di Milius aveva accennato negativamente. La storia è una schifezza immonda lontanissimo da qualsiasi opera di Bob Howard e sviluppata secondo il gusto e il ritmo della più becera baracconata hollywoodiana degli ultimi 20 anni. Il montaggio è imbarazzante: sembra di vedere una serie tv riassunta in un 2 ore; un ammasso di scene alla rinfusa. Il mondo e il fantastico suscitato dalle scenografie e dai costumi invece è davvero in linea con la mitologia di Howard e in alcuni punti ti senti davvero felice (anche se i fantasmi di sabbia non c’entrano una cippa e ci stavano meglio nel film di Prince of Persia). Nelle parti peggiori è come assistere a Pathfinder sempre di Nispel (altro film con spunti interessanti ahimè rovinosamente sviluppati). Una gigantesca occasione sprecata. Poi vabbè la scusante che fosse in 3D e non lo era è la fastidiosa mosca sulle feci. Potete saltarlo.
Diciamo però che vi voglio bene e vi beccate anche un’ultima recensione dedicata agli adattamenti cinematografici di Robert E. Howard!
EXTRA

Solomon Kane (2009) di Michael J. Bassett>> Il pirata Solomon Kane (James Purefoy), dopo un furente assalto in una mecca del Nord Africa alla caccia di un cospicuo tesoro, incontra il Triste Mietitore, inviato dal Diavolo per riscattare la sua anima. Evitato lo scontro si rifugia in un santuario e per lungo tempo studia il suo nemico seguendo un percorso di pace e non violenza.Ma non potrà nascondersi per sempre… L’idea di Kane come pirata, compagno d’armi anche di Francis Drake, che ha saccheggiato tra le più grandi città di 3 continenti, rifiutando la scelta del padre, grande proprietario terriero, di fargli prendere i voti non è affatto male. Così come questa Inghilterra piagata dalle guerre di religione e creature demoniache, streghe incluse, favorisce l’atmosfera lugubre e sofferta che si legge in molti racconti di Bob Howard. Purtroppo le scene d’azione, sono spesso confuse (montaggio troppo veloce, inquadrature sghembe o mosse o peggio circolari), nonostante Purefoy sia in ottima forma. A ciò si aggiungono degli effetti speciali di fattura mediocre che rovinano l’atmosfera storica. Insomma un prodotto non del tutto riuscito ma piacevole e onesto (le scene migliori sono lo scontro col mietitore, quella nella chiesetta diroccata, la crocefissione, ed il ritorno al castello del padre).
Se volete altri film di spada stregoneria nel solco di Howard (o cmq belle storie pulp), ma speziati col gusto hollywoodiano per lo spettacolo, vi consiglio di recuperare: La Mummia (1999) e Van Helsing (2004) di Sommers, I Fratelli Grimm e l’Incantevole Strega (2005), Costantine (2005), Hellboy: The Golden Army (2008), Hansel & Gretel (2013) e in generale la saga di Pirati dei Caraibi (che tra maledizioni, marchi neri, kraken, cannibali, bussole stregate, vascelli fantasma e un limbo di sabbia recupera molto dalla tradizione pulp e weird dei primi anni del ‘900).
Ok adesso ho veramente finito.
O quasi… Le prossime puntate di questa rubrica andranno a sviscerare altre pellicole nate in seguito al successo di Conan e ascrivibili al ciclo del neo-peplum o dei barbari!
4 comments