Che l’opera di J.R.R. Tolkien abbia profondamente ispirato non solo schiere innumerevoli di epigoni letterari, ma anche di artisti il cui campo è al di là della carta stampata, è cosa nota.
Lo sanno bene gli appassionati di musica, e più in particolare quelli di heavy metal, dove da decenni si susseguono legioni di band che ammiccano in maniera più o meno esplicita ( si tratti del nome del gruppo, del titolo di un album o altro) all’immaginario tolkieniano. Difficile non pensare ad esempio ai Blind Guardian, o a Burzum, che in ambito black metal e più genericamente estremo ha generato a sua volta infiniti imitatori dediti a una versione oscura dell’immaginario del Professore. Potremmo quasi dire, senza esagerare più di tanto, che molti metallari hanno conosciuto Tolkien prima attraverso la musica che mediante i libri.
Ma c’è un nome, più di tutti, che deve essere citato in merito, e cioè quello dei Summoning, duo austriaco che fin da primissimi anni 90 si è dedicato a produrre quello che oggi viene definito epic black metal, ovverosia composizioni tanto cupe quanto magniloquenti, atmosferiche, sfociate in capolavori come gli album Oath Bound o Old Morning Dawn, veri compendi di poesia tolkieniana in musica.
Questa premessa, che riassume forse troppo brevemente un campo vastissimo, è però necessaria per introdurre la chiacchierata che offre il titolo a questo articolo, e cioè quella con Saverio Giove, mente e tuttofare dietro il monicker Emyn Muil. Arrivato recentemente al terzo disco, il progetto di Saverio può ritenersi esemplare del filone citato poc’anzi, che coniuga contenuti tolkieniani e atmosfere di decadente epicità. Per ogni amante del Fantastico, vale la pena saperne di più.
Andrea G. – Personalmente – al di là delle etichette quali epic black metal, dungeon synth e via dicendo, a cui è stata via via accostata la tua produzione – ritengo Emyn Muil un progetto eccellente, capace davvero di esprimere il fascino e la malinconia presenti nell’opera tolkieniana.
Eppure, in un certo ambiente del metal estremo, rifarsi a contenuti letterari che vengono dal Signore degli Anelli è quasi un clichè.
Da dove è nata la tua idea di ispirarti proprio a questi temi? E oltre all’immaginario tolkieniano, da quali altri spunti nasce la tua musica?
Saverio G. – Quando ho iniziato a dedicarmi a questo genere ero già un grande ascoltatore dei Summoning, che per primi mi hanno trascinato in certe sonorità antiche e fantastiche che ritenevo molto adatte a quel lato più oscuro delle opere di Tolkien a cui volevo riferirmi, ed essendo stato particolarmente coinvolto nelle vicende del Silmarillion, soprattutto alla triste storia di Turin Turambar, decisi di dedicare il mio primo concept album a quest’opera ispiratrice, ed essendo una storia tragica e oscura, le sonorità dark dei primi album anni ’90 dei Summoning erano il modo migliore, nonché quelle che sentivo più vicino alla mia sensibilità, per raccontare questa vicenda. Non ho voluto trattare nessuna vicenda legata al Signore degli Anelli proprio perché la ritenevo troppo popolare per questo genere che, 10 anni fa, rimaneva ancora nell’ombra di una stretta cerchia di ascoltatori, ora si sta pian piano diffondendo sempre di più, anche se non so dire se questo sarà un bene o un male per la scena, per ora si sta rivelando un bene, spero non si saturi troppo! Oltre all’immaginario tolkeniano posso sicuramente citare le colonne sonore dei film fantasy (e qui posso fare ammenda e dire che la trilogia di Jackson ha invece giocato un ruolo fondamentale!) e kolossal degli anni ’80, con le loro tonalità ovattate e antichizzate che adoro!
A.G – Epigono dei Summoning. Un commento che certo avrai già sentito, e che però non è sempre da intendersi come una critica, specie in un campo dove l’originalità non è necessariamente un valore. Come ti poni in relazione ad affermazioni del genere?
S.G. – Non ho mai preteso di dover innovare il genere, ma solo di omaggiarlo, leggo infatti in molte recensioni di questa “mancanza di originalità” che molti detrattori sostengono, non capendo che forse non è mai stato quello il mio obiettivo. Io ho sempre voluto comporre la musica che mi piace ascoltare, che sia originale o meno, e credo di essere sempre stato fedele a me stesso e al mio modo di sentire le cose, questo i fan lo hanno capito, hanno sempre apprezzato la mia musica e continuano a sostenermi. Molti dicono che sono l’”erede” dei Summoning, non ci bado molto, ma se devo far fronte a questo tipo di affermazione dico che si, sicuramente uno dei miei obiettivi è raccogliere la loro eredità degli anni ’90 e portarla avanti, ma non sono in cerca di consensi, come ho detto, rimarrò sempre fedele a me stesso, se un giorno vorrò sperimentare nuovi stili lo farò semplicemente perché ho la giusta ispirazione per farlo, e se invece riterrò di non avere più nulla da dire, altrettanto semplicemente smetterò con Emyn Muil e mi dedicherò magari a un genere completamente diverso, e ho già delle idee in proposito…
A.G. – Il nuovo album “Afar Angathfark“, uscito sotto Northern Silence, mi sembra il più magniloquente dei tuoi lavori, ma anche forse quello che raggiunge un po’ i limiti di certe soluzioni stilistiche. In questo senso intendi sperimentare in futuro nuove direzioni?
S.G. – Personalmente sono molto orgoglioso di Afar Angathfark e di come questo sia stato accolto dalla mia fan base, ma come ho già detto, se mi sento sufficientemente ispirato e soddisfatto sì, sicuramente sperimenterò qualcosa di diverso, perché vorrei che ogni album sia in qualche modo unico, un po’ diverso dall’altro, ma allo stesso tempo, onestamente, penso che in un genere come l’epic black metal l’originalità di stile non sia proprio la parola d’ordine, perché per quanto uno si possa sforzare di intraprendere una strada diversa, finirà sempre e comunque per essere definito il “clone” (il più delle volte mal riuscito) di qualche altra band… per cui non sono uno di quelli che vuole cambiare stile a tutti i costi per risultare “originale” alle orecchie di molti detrattori (che poi mi piacerebbe si definisse cosa è o non è originale…), per cui, finché potrò contare sull’affetto dei fan, continuerò a seguire la mia strada, ovunque essa mi conduca.
A.G. – Tornando a Tolkien, in questi anni c’è stato un interesse sempre costante verso le sue opere, un po’ grazie alla pubblicazione di inediti curati dal figlio Cristopher recentemente scomparso, e qui da noi anche per le vicende relative alla famigerata nuova traduzione di Ottavio Fatica. Sono argomenti che ti hanno interessato? Cosa ne pensi delle letture “moderne” del Signore degli Anelli?
S.G. – Ho spesso dibattuto sulla riedizione del Signore degli Anelli sui social… non mi dilungherò sulla questione che ritengo particolarmente tediosa, personalmente non sono favorevole alla riedizione di una traduzione che di per sé, era già stata approvata da Tolkien, solo perché “i tempi moderni lo richiedono”, ritengo sia stata un’operazione ideologica non necessaria atta solo ad accontentare la sfera del “politically correct” che sempre più invade e distorce grandi classici, sia del cinema che della letteratura, solo perché certa gente non è in grado di ragionare col buon senso e di contestualizzare l’opera al periodo in cui è stata scritta. La trovo una mancanza di rispetto e una forma di ignoranza. In ogni caso, se potete, leggete Il Signore degli Anelli in lingua originale!
A.G. – Ci sono altre ambientazioni fantastiche che credi potrebbero ispirare il tuo lavoro? Penso a grandi epopee come quelle di Conan o Elric di Melnibonè.
S.G. – Non ci ho mai pensato, semplicemente perché il progetto si chiama Emyn Muil, e sarebbe troppo strano e difficile per me distaccarmi dalle opere di Tolkien per cui no, non tratterò altre ambientazioni al di fuori di queste, ci sarebbe così tanto da raccontare!