Revival Sword&Sorcery: “La Fenice sulla Lama” di Robert E. Howard (1932)

Commento

All’eclissarsi della leggenda di Kull di Valusia e del suo vasto e promettente mondo sul quale Howard, pur senza rimuoverne la memoria, tendenzialmente sovrappose l’epopea di Conan; prese forma nel 1932 il primo segmento del tortuoso destino dell’eroe di Cimmeria.

Potremmo certamente sorprenderci – sotto certi aspetti – di un elemento temporale così futurologico ad inizio d’un ciclo come quello di Conan. Ovvero una manifestazione del cimmero, i cui istinti di guerriero e di vagabondo, nonchè le intemperanze, le sregolatezze e gli eccessi, appaiono imprigionati nei legami e nelle costrizioni delle leggi di buona amministrazione che castigano un barbaro proprio quando la sua “fronte inquieta” viene adombrata dalla corona; in una fase ove le grandi avventure non sono che ricordi alle sue spalle. Taluna condizione si esprime – nei vari momenti – anche nella semplicità di un dialogo qualsiasi tratteggiato nella seconda parte del racconto, in quel lampo di invidia con cui Conan osserva Prospero,  poggiando il suo mento squadrato sul pugno chiuso sorretto dal gomito puntellato al tavolo.

“Prospero[…]… le faccende di stato mi sfibrano come nessuna battaglia […]”

L’elemento in questione è certamente mantenuto intatto dalle antichità valusiane di Kull. Cosa che non mancherà  di concretizzarsi nell’epico finale che giunge a compimento d’un percorso ove l’eroe, anch’esso re, salutato prima come liberatore poi riscossore di ataviche diffidenze, nel distruggere le tavole della legge fa della grande ascia “il suo scettro”. Ma potremmo evidenziare ciò anche in fasi meno iconiche e leggendarie, quelle dove Brule, che avrà in Prospero il suo riflesso speculare è destinatario delle confidenze di Kull:

“… non ho sognato abbastanza lontano. Ho sempre visualizzato solo la presa del trono, non ho guardato oltre. Quando re Borna giaceva morto sotto i miei piedi e gli strappai la corona dalla testa sanguinolenta, avevo raggiunto il confine ultimo dei miei sogni. Da lì, è stato un labirinto di illusioni ed errori. Mi sono preparato a prendere il trono, non a tenerlo “

Proprio nel chiarire questo tratto che, a titolo di curiosità, potremmo riconoscere come puro cemento armato nell’architettura psicologica di Robert Baratheon nei romanzi di “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco“¹ , Howard traccia sulla via di Conan una storia di stregoneria e di spada dalla linea, a tratti alterni, calcatamente sovrincisa a quella di Kull, senza dubbio più appartenente allo stilema della classica avventura Heroic Fantasy che non a quella specificamente “Pulpster” e Sword and Sorcery.

Figura-3-Re-Kull-di-Valusia

Soprattutto nella prima parte della novella regna un agrodolce e sbilanciato soppeso di contenuti. Sin dalle prime pagine la narrazione soffre dello stesso peso della corona aquiloniana patito da Conan. La caratterizzazione del barbaro e alcuni dettagli della storia, non potendo vantare un affusto di avventure pregresse, vengono sovente chiariti mediante annotazioni organiche e dialoghi. Osserviamo infatti come, ad esempio, già dalle primissime righe svolte nell’interloquio tra Ascalante e lo stregone stigiano Thoth-Amon, vi sia un carico sin troppo appesantito da un apparato organizzativo e dal dispositivo di presentazione e spiegazione. Potrebbe non essere infrequente nel lettore una sensazione di conversazione posticcia e teatrale, che viene tuttavia contrappesata da elementi politici, sociali e psicologici incarnati oltre che dai due sopracitati personaggi, anche dai quattro individui che sono operatori effettivi della cospirazione:

” […] Chi sono quei quattro per potersi misurare con l’astuzia di Ascalante? Volana, il conte nano di Karaban: Gromel, pettoruto comandante della Legione Nera; Dione, il grasso barone di Attalus; e per finire Rinaldo, un menestrello dal cervello di gallina. Sono io la forza che ha plasmato quel po’ di ferro che c’è in loro […]”

Si avverte, soprattutto nelle prime due parti, l’alito di respiri esalati da numerose profondità; come quella indiretta della commedia dell’arte che permea l’infrastruttura del fondo narrativo, componendosi d’unisono al richiamo del “Cappa e Spada” poichè dire che “Cloak and Dagger” e  A. Dumas non sono parenti, sotto molti aspetti, della “Sword and Sorcery” è come asserire che Conan non è un Barbaro. In Dione è rintracciabile una convergenza di Fitz Alwine e Friar Tuck nel secondo segmento – Le Proscrit – di Robin Hood². Quand’anche introvertita è altresì visibile in Rinaldo una “sonorità” del bardo e menstrello Allan Clare. Nella brulicante e multifacciale azione cospirativa (che Thoth-Amon, tra le altre cose, rende senza dubbio degna d’interesse) si ritrovano tattiche del romanzo avventuroso di Raphael Sabatini nonchè minute stille salgariane.

Conan-Red-Sonja–Michael-C.-Hayes

Nelle parti successive della novella, per mezzo del dramma e della componente Pulp, di descrizioni evocative a rimando di fasti mitologici, nonchè di solide e precise descrizioni addentrate in cruenti ed eroici combattimenti, Howard arriva al compimento d’ un risultato che, seppur non immune da piccole sopracitate pecche si può considerare fuori dall’ordinario. Lo stregone stigiano Thoth-Amon diventa sorgente di atmosfera e di storia, nei paragrafi della morte di Dione appare ammantato d’un oscuro carisma che molto fu amato da Lyon S. De Camp. Potremmo definirlo memorabile nell’esibire un sangue molto più freddo e “bastardo” della moglie di Lot che non riuscì durante la sua fuga a non voltarsi verso Sodoma e Gomorra. Ma se Thoth-Amon si fosse voltato, tanto era sulfurea la sua maestà, che forse sarebbero state le ombre alle sue spalle a trasformarsi in blocchi di sale contrariamente alla nota vicenda biblica. Un plumbeo dramma magico che non ha mancato probabilmente di alimentatare indirettamente anche Michael Moorcock, sebbene il creatore di Elric abbia riconosciuto maggiormente in Poul Anderson la sua ispirazione. Secondo moltissimi lettori e critici tale fase Howardiana è nutrita da reminiscenze Shakespeariane. Forse potremmo attribuire maggior traccia d’un lascito in Howard nella sottile magia “post-mitologica” di Thomas Bulfinch e nella poetica di Henry Wadsworth Longfellow. La perizia del narratore texano nelle scene battagliere si mostra già distintiva su “Phoenix on the Sword“, i rimandi parzialmente menzionati all’avventura classica del “Cloak and Dagger” del Dumas di Robin Hood o del Sabatini di Capitan Blood sono impreziositi dalla personalità di Howard che mostra un tratto unico nel rendere solida l’azione violenta e guerresca di Conan e d’ogni suo personaggio , contraddistinta anche dell’azione eroica di Albert Everett Hale di Man Without a Country (1863) ³ che potremmo intravedere in pulviscolare permeazione nell’attitudine di Howard. Componenti, queste elencate, che diventano epiche sullo sfondo descrittivo che evoca le profondità mitologiche delle saghe norrene e de “Le Mille e una Notte”. Ma d’altronde, Howard chiariva questo aspetto già dalla primissima riga:

“Sulle guglie avvolte nell’ombra e le torri preziose della città regnavano il buio e il silenzio spettrale che precedono l’alba. In un vicolo oscuro, uno dei tanti in un tortuoso labirinto quattro individui mascherati uscirono da una porta tenuta aperta da una mano nera. […]”

nonchè in altre più rapide perle:

“Sopra le guglie ingioiellate sorgeva un’alba cremisi come il sangue”

Ma il tratto dove realmente “Phoenix on the Sword” gioca la sua partita con la storia della narrativa Fantasy Eroica è proprio nel considerare alcuni dettagli  stilistici e comparativi con “By this Axe i Rule!” comprensivi anche dei sottostrati psicologici. Non possiamo esimerci dal considerare come, il veleno del fallimento nella cospirazione a danno di Conan non sia stato affatto iniettato da qualche estremista lealista, o da leali legittimisti come avviene nell’avventura di Kull, bensì dalla stessa natura anti-eroica dei cospiratori. Così come, l’imbattibile Conan, che in ventotto avventure – quelle uscite per Weird Tales – ha rimarcato la sua repulsione alla sconfitta, non avrebbe mai prevalso sul finale senza l’elemento magico della fenice nella spada. Tratti che rendono quest’avventura di Conan unica oltre che seriamente affermativa nel fare della Sword and Sorcery un’alchimia  in grado di sostanziare una degna competizione con la narrativa fantastica britannica.

Conan-il-Barbaro-1982-a

In secondo luogo, ci permettiamo di motivare un’opinione con l’onestà che si deve ai cari amici lettori esperti di queste pagine di Hyperborea, al fine di portare compiuta produttività di analisi in questa trattazione. Sarebbe secondo noi ingiusto ritenere Kull di Valusia un personaggio delebile o semplicemente transitorio nel suo essere funzionale all’evolvere in Conan. Al contrario, come anzitempo riconoscevamo Moorcock alimentato del plumbeo dramma “pulpster” di Conan, potremmo allo stesso modo vedere anche Gardner Fox ⁴ come tributario verso le riflessive ed emotive melanconie di Kull, senza dubbio meno anti-eroiche di quelle del cimmero. Tuttavia, l’eroe di Valusia, pur nel suo intuibile respiro ciclico e seriale espresso in “Quest’ascia è il mio scettro“, presentava una componente più genericamente Fantasy Eroica. La sua parentela con Lord Dunsany e con una storia come “The Fortress Unvanquishable, Save For Sacnoth“, ma più in generale con una linea classicamente avventurosa di Fantasy Eroica è netta e incontestabile. Forse questo è in parte il motivo che ha portato R.E. Howard a ritenere Kull sostituibile nel supporre la sua inadeguatezza a sostenere un ciclo ma soprattutto a fornire una grande risposta americana a quell’Heroic Fantasy anti-modernista, intessuta dalla precursione di William Morris, proseguita da Lord Dunsany prima e, in futuro, con “Lo Hobbit” anche da J.R.R. Tolkien a formare un percorso letterario che assurgeva ad eleggersi  antitetico ai vari Thomas S. Elliot o a Virginia Woolf. Tralasciamo ovviamente la presunzione d’ogni sentenza su quale valore autoriale possa raggiungere “Phoenix on the Sword“, ma una cosa la possiamo certamente affermare, quella risposta americana alla fantasy avventurosa britannica, Howard è riuscita ad affermarla attraverso una “fenice nata alle ceneri di Valusia” (pur essendo anche Kull e le sue nove storie destinati a rinascere in futuro)⁵  che è sorgente assoluta della Sword and Sorcery.

Pat Antonini

 

Note

¹ Famoso ciclo Fantasy di George R.R. Martin.

² Allan Clare comparve in entrambi i segmenti di Robin Hood di A. Dumas. Fu poi dato risalto al personaggio negli Stati Uniti grazie al racconto di Howard Pyle “The Merry and the Adventure of Robin Hood” del 1883 con il nome di Alan A’Dale. Il personaggio compare anche nel celebre romanzo storico Ivanohe di Walter Scott.

³ La Bulfinch Mythology usci a partire dal 1855. Precedenti invece le opere di Henry Wadsworth Longfellow che esordì nel 1835. Il romanzo patriottico, storico e avventuroso dai tratti epici di Albert Everett Hale uscì invece nel 1863.

Gardner F. Fox diede vita a Kothar, eroe che presenta elementi Howardiani di parentela sia con Kull che con Conan.

“Quest’ascia è il mio scettro” fu rifiutata da due riviste: Argosy e Adventure. Elemento che certo può aver avuto un’incidenza.

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