Nel VII secolo d. C. i popoli scandinavi iniziarono a migrare verso le regioni a Occidente del Mare del Nord, razziando principalmente monasteri situati nella parte orientale dell’attuale Gran Bretagna. Famosa, in questo senso, il sanguinoso assalto di Lindisfarne, considerato pietra miliare di questo fenomeno. Per vichinghi in senso stretto, comunque, non s’intende tutta la popolazione del nord dell’area germanica e della Scandinavia, bensì quei guerrieri che, in particolare, viaggiavano a bordo dei drekar, navi leggere progettate per le incursioni veloci. E appunto per la loro velocità furono inizialmente conosciuti, arrivando col favore delle nebbie mattutine, e depredando monasteri nei quali trovavano una scarsa e irrisoria resistenza, essendo i monaci uomini di lettere, non di certo guerrieri o pirati. E i vichinghi questo erano, pirati, per lo meno nelle fasi iniziali della loro storia.
I popoli scandinavi erano migrati verso ovest e verso sud probabilmente per sfuggire a un disastro climatico dovuto all’eruzione di diversi vulcani. Le ceneri, si legge dalle cronache rinvenute, oscurarono il cielo, il Sole era pallido, visibile, ma non scaldava. Le messi finirono in malora e così anche il bestiame, e il tutto rappresentò una catastrofe per la sussistenza di popoli che principalmente vivevano in piccoli villaggi, basando la propria vita su caccia, pesca, agricoltura e talvolta commercio. Un’altra ipotesi riguardo la causa della migrazione dei norreni, connessa alla prima, è che il clima, anche a causa delle ceneri, abbia appunto reso invivibili quelle zone già ardue da abitare di per sé.
Tuttavia, quando si pensa ai norreni, non bisogna immaginarseli come primitivi nel senso che la cultura moderna – dall’Illuminismo e dalle epoche del colonialismo inglese – fa intendere. Erano popolazioni semplici, vivevano di ciò che coltivavano e che manualmente potevano fare. Avevano inoltre un credo politeista, e veneravano anche tutte quelle divinità minori, semplici, locali, legate ai cicli delle stagioni e dei raccolti. Una società fondamentalmente contadina, quindi.
La classe propriamente guerriera dei vichinghi si formò alla fine del VI secolo d. C., anche e a fini commerciali. Sappiamo infatti che erano noti per lo spirito arguto, conviviale e aperto, e questo certamente ridimensiona l’immagine con cui furono descritti in seguito, ovvero di spietati razziatori pagani. Certo, agli occhi della Cristianità le usanze dei popoli nordici dovevano risultare quanto mai blasfeme, e ciò specialmente per via dell’uso del sangue nei rituali propiziatori, sempre collegato alla terra.
Dal punto di vista psicologico e psicanalitico, in questo senso, le popolazioni norrene tramite i loro riti facevano né più né meno di ciò che i Greci narravano con le loro tragedie e i loro rituali religiosi, ovvero operare una “catarsi”. Entrare in contatto con le viscere pulsanti della terra, e celebrarla nel suo aspetto duplice, vitale e mortale nel medesimo tempo. Sanguinario, feroce, ma anche armonico e armonioso, così come lo erano le danze attorno ai fuochi nei boschi ricolmi di tenebra della Scandinavia, evocanti forze antiche, tra le ombre pulsanti e vive al ritmo delle percussioni e dei canti.
Quello che affascina nella cultura legata alla letteratura e alla cinematografia “fantasy” è che l’archetipo del “nordico” e del Nord come luogo magico e misterico si è sempre mantenuto. Un Nord inteso come luogo sconfinato e immenso, abitato da tutto ciò che l’immaginazione atavica e archetipica può pensare: dalle oscurità più ancestrali, allo splendore di ghiacci eterni, a stregoni in attesa di essere risvegliati dal profondo del gelo. Il Nord è anche simbolicamente la punta di Yggdrasill, l’albero sacro della vita per la mitologia norrena, e ne “La Spada Spezzata” di Poul Anderson le isole a nord della Scandinavia sono realmente Jotunheim, Alfheim, e le altre città mitiche legate ai nove mondi presenti sui vari rami dell’albero metafisico.
Le popolazioni scandinave e della parte più a nord dell’area germanica eleggevano di solito a loro capo uno jarl, che le conduceva in guerra, ed era spesso affiancato da una figura legata alla religione. Questa si occupava principalmente della divinazione, e svolgeva la funzione di giudice “super partes”, privo di interessi nelle faccende belliche e commerciali del clan, e che di conseguenza si supponeva fosse, per tradizione, rapprentante dell’imparzialità del volere divino, o del Fato. Vi era infatti nelle popolazioni antiche una disposizione mentale, anche tra la gente comune, a venerare i propri antenati, il tempo, il mutare delle stagioni e i loro cicli, ma soprattutto il destino. Si formò poi col passare del tempo una vera e propria casta guerriera, per l’appunto, definita successivamente “vichinghi”, che condivideva valori tribali e guerrieri comuni. Veneravano gli stessi dei, specialmente Thor, dio della forza e del coraggio durante la battaglia. E c’erano anche divinità legate alla cura del focolaio domestico e della casa, che solitamente erano collegate al parto, e alla buona riuscita del raccolto delle messi.
Dopo aver aver assediato più volte la costa est della Britannia, i vichinghi decisero di negoziare con i sovrani sassoni che vi risiedevano, e pretesero pezzi di terra da coltivare per i loro popoli, a riprova delle continue carestie che devastavano i fiordi. In cambio, divennero una parte delle armate di questo o quell’altro regolo, in base agli accordi che sugellavano. Ma non persero il fiuto guerriero, tanto da giungere, poco più tardi, ad assaltare Parigi e i possedimenti carolingi risalendo la Senna.
L’impero dei Franchi aveva strenuamente combattuto contro questi pirati, imponendo loro un vero e proprio blocco navale, respingendoli ogni qual volta tentavano di invadere l’entroterra tramite la via fluviale. Infine però, Carlo il Calvo, discendente di Carlo Magno, si ritrovò con i vichinghi alle porte di Parigi, e fu costretto a pagare un enorme riscatto affinchè essi abbandonassero la città.
Col tempo, i vichinghi e i norreni che abitavano i territori nel nord della Francia, furono via via assimilati, prendendo il nome di Normanni, e nella storia le due denominazioni assunsero un diverso significato. I Normanni erano legati al mondo come sarebbe stato da lì a breve, un mondo di dinastie. I vichinghi restarono invece estranei ai culti religiosi della Chiesa romana, mantenendo le tradizioni del loro mondo pagano, fatto di molti dei, presenti in tutte le cose, non di divinità trascendenti. O meglio, gli dei norreni hanno in sé sia la materialità della runa incisa nella pietra, quindi, di una cosa tangibile, reale, concreta, e nello stesso tempo quello “stampo”, quel simbolo, contenuto nella runa sta ad indicare una metafisica, se così vogliamo chiamarla, ma sarebbe più corretto chiamarla mistica, culto misterico, quasi orfico, che riguarda ogni dio preso singolarmente.
Per C. G. Jung i miti e le leggende dei popoli pagani erano un tentativo di spiegare il proprio inconscio, il proprio magma interiore, attraverso simboli che erano ben riconosciuti e riconoscibili dalla collettività, anzi tutto perchè la tradizione orale e i poeti e i cantastorie erano molto ben considerati presso le popolazioni nordiche. Erano ben voluti presso gli jarl e in generale presso i villaggi e le piccole città coloro che sapevano poetare e usare bene la parole come arte, e soprattutto, i cantastorie, i cantori di miti e leggende.
Questa è una prima ragione per cui la collettività si riconosceva in quelle storie, per un fatto puramente dovuto alla loro educazione e tradizione. In secondo luogo perchè ogni tradizione è figlia di un popolo, e dalle caratteristiche, dai dettagli, del folklore di quel popolo si può intuire la natura e le abitudini di quel popolo stesso. Una popolazione legata ai cicli delle stagioni, e del trascorrere delle epoche come cicliche anch’esse, così come la vita e la morte. Una popolazione politeista che quando storicamente si convertì al cristianesimo, non rinnegò i suoi antichi dei, anzi, incluse per lo più la figura del Cristo nel già vasto pantheon, anche per ragioni puramente politiche, ma già era in atto la trasformazione che portò poi i norreni ad affacciarsi al Medioevo europeo.
Ciò che rimane nella letteratura fantastica dei vichinghi e della tradizione norrena è moltissimo. Lo spirito di Waylander dei Drenai di David Gemmell è un ottimo esempio, nonché il ciclo di Iperborea di C. A. Smith, e il già citato “La Spada Spezzata” di Poul Anderson. In quest’ultimo vi è una metafora stupenda, il protagonista incontra un satiro che dice di essere stato scacciato così come le antiche creature del paganesimo e gli antichi dei dal cristianesimo e dal fatto che nessuno venerasse più il politeismo e il panteismo, che è un bel modo di raccontare il declino prima della Grecia antica, e del suo splendore, e poi della mitologia norrena, e dei relativi culti, considerati ormai pagani e quindi eretici e superati per la Chiesa romana, ormai avevano fatto il loro tempo, secondo l’idea del sacro che si diffuse poi nel Medioevo. Per quanto anche l’età di mezzo stessa sia permeata da uno spirito molto pagano, nelle dinamiche e nei modi di esprimersi. Vi è un filo conduttore tra i culti antichi e ciò che il Cristianesimo adattò, come per esempio la figura del Cristo, che per i vichinghi era appunto un condottiero più che un predicatore.
Lo spirito feroce, indomito e selvaggio, ma allo stesso tempo molto umano, vitale, del Conan di Robert E. Howard, ne è un altro esempio, o per quanto riguarda l’ambito dei “giochi di ruolo” il barbaro o il vichingo sono due personaggi molto usati. E anche nel resto del fantasy tutto ormai la figura del vichingo è un vero e proprio archetipo, garanzia di coraggio e forza, personificazioni del dio Thor. Ma guardiamo più attentamente: la mitologia norrena pone come divinità principali Loki, che prende nella letteratura fantastica le sembianze del “topos” del ladro; Thor, che è ovviamente il guerriero; Freyr, che diviene l’arciere, il cacciatore, per l’appunto, il Ramingo, o “ranger” che dir si voglia; la figura dello stregone, che fa riferimento a Odino, in quanto era la divinità di riferimento per la pratica sciamanica detta seiðr, che consentiva di assumere il fjölkungi, cioè “il più grande potere”. Secondo il mito fu Freyja a insegnarla a Odino. Ella era la dea collegata al potere arcaico e ancestrale della terra, ne custodiva quindi i segreti magici più profondi, i culti misterici, in altre parole, anche se in questo caso si dovrebbe parlare più correttamente di sciamanesimo, sebbene il confine sia abbastanza sottile e vi siano molti punti in comune tra lo questo e i culti misterici di tipo orfico greco antico. Forse è proprio anche questa caratteristica “sciamanica”, potremmo quasi dire “animista”, e vitale che ancora oggi colpisce nel fantasy, non solo nel tipo di estetica, ma nell’essenza.
La letteratura fantastica è senza dubbio una reazione al reale, una visione di dettagli, che tramite l’immaginazione, vengono ampliati, glorificati, resi quasi a livello del mito, anche se il mito aveva una funzione quasi didattica, cosa che il fantasy contemporaneo non ha. Vuole altresì, e di questo risente della “barbarie” di Howard, portare avanti un’estetica forte e concreta, che è anche sostanza, creatività. Conan è in continuo mutamento, in continua evoluzione e reinvenzione di sé, da pirata a re. Ma rimane se stesso. Il lascito della “barbarie” nella letteratura e nell’arte in genere è riconducibile a questo tipo di spirito. Anche nella musica abbiamo vari esempi, a partire dall’heavy metal degli anni ’80, con esponenti d’oltreoceano come i Manilla Road e i Virgin Steele, per continuare sulla scia di gruppi “black” e “viking” metal, che si sono formati non a caso in Svezia, o Danimarca, Finlandia e Norvegia, per quanto riguarda i gruppi storici (Bathory in primis). Fino ad arrivare al neofolk / darkfolk più contemporaneo, ispirato e permeato da un’atmosfera che si rifà alla tradizione mitologica nordica e vichinga. progetti come Danheim, Wardruna, Sol, October Falls, fra i quali taluni si contraddistinguono per le ritmiche ipnotiche e cupe, tribali, altri per il melodioso richiamo e anelito nei confronti dell’essenza degli spiriti degli elementi naturali, o altri come Osi and the Jupiter che sono in musica la bellezza del verde scuro dei boschi scandinavi, tramite un folk non più dark, e evocativo di forze viscerali e sessuali, tribali. Il tutto accompagnato sempre da strumenti tradizionali e percussioni acustiche, mentre la parte elettronica è affidata a qualche synth, ma funge solo da “ambiente”, creando un risultato di sapore antico, lontano, ma allo stesso tempo vibrante e vitale, che tende a ripetersi, come in una danza rituale, dove il canto varia quasi dal ringhiare e dall’urlare, alla pura melodia.
Ma cos’è dunque che che colpisce, cosa c’è dietro all’estetica del “nordico” e del Nord in genere? Che si tratti di vera Nord Europa, o di un Nord puramente immaginato, esso è sempre custode di antichi segreti e rune risalenti a popoli e lasciti ancora più antichi, atavici. E’ come se di fronte al Nord tutto una parte molto intima di noi stessi sentisse un richiamo. Un richiamo dallo scricchiolio delle fronde degli alberi e dal freddo pungente del tramonto nel pieno dell’Inverno, ma anche un’immaginazione tutta legata al segreto di boschi sconfinati abitati da driadi ed elfi, antichissime creature anch’esse. Gli uomini, in tutta questa prospettiva, si trovano su Midgardr, la terra che sta nel mezzo del tronco di Yggdrasill, né tra gli inferi, né tra i cieli di Asgardr. Non sono immortali, ma neanche dannati. Sono nel mezzo dell’albero della vita.
I vichinghi credevano fermamente nel Valhalla. Tramite una gloriosa morte subita combattendo fieramente contro i nemici, e quindi senza fuggire, lo spirito del guerriero caduto raggiungeva un luogo mitico, dove poteva banchettare con i propri antenati e gli dei per l’eternità. Un senso dell’onore affine a quello di un’altra cultura dedita all’arte bellica, quella degli Spartani. L’abbandono dello scudo con la gigantesca lambda di “Lakedaimones” era considerato un atto spregevole, ed è esemplificativa la frase rituale “O con questo, o sopra di questo”, riferita allo scudo, nel senso che piuttosto che comportarsi in modo indegno in battaglia, abbandonando lo scudo per meglio fuggire, era nell’ethos guerriero degli Spartani più giusto preferire la morte.
Interessantissima è poi la figura del “berserker”, ovverosia di guerrieri, riuniti in cerchie ristrette, che erano soliti assumere una specie di zuppa di funghi allucinogeni prima della battaglia, causando il cosidetto fenomeno del “berserkergang” o “furor bersercikus“. Uno stato di trance per il quale il guerriero che lo viveva raccontava dopo di essere stato letteralmente posseduto dagli spiriti della battaglia o dagli animali totem dei vari clan. Vestiti di pelli di lupo o di orso, essi credevano davvero di mutarsi in bestie assassine. Evento questo che gli consentiva l’uso di una forza spaventosa che terrorizzava i nemici, il più delle volte costringendoli alla fuga. L’uso di questi funghi allucinogeni aveva in ogni caso uno scopo per lo più rituale e propiziatorio, anche se le teorie al riguardo sono spesso discordi, e i “berserker” erano innanzi tutto guerrieri scelti per la loro stazza e la loro abilità superiori a quelle della gran parte degli altri guerrieri vichinghi.
Le incursioni vichinghe terminarono nell’XI secolo d. C., quando ormai le popolazioni scandinave avevano sviluppato un sistema feudale, e le ultime tracce dei vichinghi propriamente detti risalgono ai territori baltici. Il loro modus operandi di razzia e conquista era diventanto incompatibile con la gestione del potere cui si erano adattati, ed essi stessi lo abbandonarono, ormai inclusi nello stesso mondo che avevano invaso.
La pirateria, come fenomeno storico, tornerà qualche secolo più tardi, in mari più caldi, in un’epoca completamente differente, ma con gli uomini che rimangono gli stessi e che creano miti e leggende, proprio per loro natura. Una delle leggende piratesche dell’epoca di fine ‘600 e ‘700 è infatti quella del Kraken, che si rifà probabilmente proprio a un mostro marino dei miti scandinavi, l’hafgufa. Simboli dell’ignoto, rappresentazione orrorifica di ciò che si trova negli abissi degli oceani che i vichinghi solcavano, guardando giù dalla polena a forma di testa di drago, e perdendosi con lo sguardo nell’oscurità profonda e abissale dei mari del Nord.