Recensioni: “Pseudobiblia” di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco

Dettagli

 

Titolo: “Pseudobiblia – Libri che non esistono”

Autore: Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco

Curatore: Andrea Scarabelli

Collana: Minima Letteraria

Editore: Bietti

Pagine: 108

Data d’uscita: dicembre 2020

Prezzo: Euro 4,99

 

Commento

 

Se scrivere un saggio su libri inesistenti, o supposti tali, può apparire una contraddizione logica o un mimetico gioco di specchi, recensirlo diventa a sua volta aggiungere una lente deformante ( o forse no), a questo caleidoscopio di immagini librarie.

E’ infatti in quest’ottica che possiamo considerare la recente ristampa, minuziosamente curata da Andrea Scarabelli, del breve lavoro a firma Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco intitolato PseudoBiblia, risalente nella sua prima uscita al 1975.

Non che il tempo abbia molta importanza, in queste circostanze. Il lavoro infatti, situato in un punto in cui si intersecano studi eruditi, sapienza tradizionale, e ironia vieux jeux, abbatte la barriera dei secoli illustrando le proprietà fantastiche di tutti quei testi che, pur non essendo mai esistiti, si sono guadagnati una fama immortale (oltre alla presunzione di una realtà invero celata), oppure – viceversa – che pur avendo lasciato impronta concreta della loro traccia, sono spariti dall’orizzonte delle lettere per passare nella dimensione del mito. Dal Libro di Thot vergato prima del Diluvio dallo stilo del nume tre volte grande, al ributtante Necronomicon con tutte le sue edizioni empie quanto false, fino ai grimori medievali attribuiti ad autori altisonanti quanto mendaci. In quella che pare l’effettiva realizzazione della borgesiana biblioteca di Babele – non a caso debitamente menzionata nel libro – gli scaffali traboccano di avventure scritte con un inchiostro fin dall’inizio ammiccante al trucco. Sembra quasi che certi libri chiedano di sparire, mentre altri premano su invisibili barriere, sempre pronti a emergere nel catalogo dimenticato di una grande biblioteca sudamericana, il cumulo polveroso di un robivecchi, alla maniera di esche lanciate dall’Altrove sulla nostra via.

Una simile sorte, per altro, incombe sugli autori di tali opere. I loro nomi, reali o meno che siano, diventano geroglifici che rimandano a identità che vogliono o devono restare segrete. E se alcuni di essi strepitano per rivendicare il merito di annunciare – in un’apparente contraddizione che è parte del gioco di cui sopra – verità che si dicono esoteriche e che pure cedono alla vanità della stampa, buona parte preferisce invece baloccarsi con nommes de plume di potenti re-maghi come Salomone, o sinistri titoli iniziatici.

Se il rischio e i piacere di perdersi in questo labirinto sono dunque molto vicini alla certezza, altrettanto evidente è come il sedimentarsi delle leggende letterarie riportate in questo libro sia – per quanto impalpabile – una sorta di eggregori che nel suo concretizzarsi ha infestato intelletti e ispirato a sua volta una figliolanza libresca che è impossibile contare, una discendenza che forma realmente il celebre libro di sabbia ancora una volta immaginato (percepito?) da Borges. Chiedersi se se ne stia inconsapevolmente sfogliando una pagina, oppure scrivendola, è solo il primo passo.

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