“Back from the World between the Worlds
There are no Masters that i serve
From Seven Points of Darkness
Shining Heaven’s Rays
What once was hidden now is raised”
“Di ritorno dal Mondo tra i Mondi
Non servo nessun Padrone
Dai Sette Punti di Oscurità
Luminescenti raggi del Paradiso
Attraverso il fondale Oceanico
Ciò che una volta era nascosto è sollevato” (Dust from the Burning)
Il terzo capitolo della saga de Il Matrimonio di Inferno e Paradiso, che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi A Season in Purgatory, conclude la storia ideata dal cantante e tastierista David DeFeis. Il titolo venne poi cambiato in Invictus quando lo stesso DeFeis si accorse che l’album
“sembrava una testimonianza dello Spirito Umano e della sua abilità di riprendersi continuamente, sopravvivere e superare ogni ostacolo sul suo cammino”
(dalle note del libretto del cd nell’edizione del 2014).
Niente di nuovo sotto il sole quindi, rispetto a quanto visto e sentito fin qui. Eppure il capitolo conclusivo della trilogia differisce parecchio dai predecessori, principalmente sotto due aspetti: la musica e la modalità di narrazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la differenza principale, come già accennato nei precedenti articoli, risiede nell’arrivo in pianta stabile del batterista Frank Gilchriest. La sua velocità di esecuzione, il piglio più marcatamente metallico e la grande potenza espressa, contribuiscono a indirizzare il gruppo verso un assalto sonoro frontale e senza compromessi. Abbandonate le escursioni progressive dal sapore settantiano, le ballate e gli alleggerimenti dell’hard rock, Invictus si distingue come il capitolo più pesante e aggressivo della discografia dei Virgin Steele. Gli stessi DeFeis alla voce e Pursino alla chitarra sfoderano il loro repertorio più cattivo e feroce, assecondati da una produzione quantomai secca e tagliente. Per avere un’idea della resa finale è sufficiente ascoltare la canzone che dà il titolo all’album. Questo non significa che i pezzi siano semplicemente delle bordate sparate ad alta velocità dall’inzio alla fine: gli interventi pianistici di DeFeis, spesso accompagnati dall’utilizzo del registro di falsetto di cui il cantante è da sempre magnifico esecutore, contribuiscono non poco a bilanciare le sfuriate metalliche; così come la band non lesina sui cambi di tempo e sulle strutture articolate di alcune canzoni (Veni, Vidi, Vici su tutte). La ricchezza compositiva è sempre presente, ma è scevra di quella varietà stilistica che era stata uno dei punti chiave dei due Marriage. Riguardo alla modalità della narrazione, invece, anche se il registro linguistico rimane invariato con il suo lessico poetico e spesso altisonante, si nota da subito una maggiore chiarezza espositiva. Prima ancora dell’inizio dei testi delle canzoni, nel libretto è possibile leggere un’introduzione che riassume gli antefatti dei capitoli precedenti e aggiunge nuovi informazioni che finora erano state taciute, come ad esempio il nome del protagonista e compagno di Emalaith: Endyamon. Nomen omen che richiama inevitabilmente il daimon Socratico, guida divina e spirituale che risiede nell’Uomo e che lo ispira. Per quanto sia difficile, per volontà dello stesso DeFeis, tracciare in maniera precisa la storia raccontata nell’album, dal momento che questa non segue nemmeno un ordine prettamente cronologico, è utile provare a ripercorrerla qui nei suoi elementi principali.
Come spiegato nell’intro The Blood of Vengeance, l’umanità discende dagli Antichi, vale a dire la primigenia razza di Dei Vagabondi che regnava prima dell’arrivo dell’attuale dinastia Celeste. Questi nuovi dei hanno usurpato il trono e sono capeggiati dalla Testa del Dio, letteralmente un pezzo di uno degli Dei originali da cui è nata la razza dell’Uomo. Il sangue degli uomini, in particolare di Endyamon ed Emalaith, contiene il potere degli Antichi e grida vendetta per riprendersi ciò gli appartiene. I due amanti si sono reincarnati per ben sette volte nel corso dei secoli (numero che trova corrispondenza negli spesso citati Sette Punti di Oscurità, una sorta di luogo metafisico da cui derivano i momenti più bui della vita umana causati dalle divinità) e in quest’ultima incarnazione sono divenuti coscienti delle trame ordite ai loro danni. Gli dei hanno da sempre cospirato per tenere separati i due protagonisti, per un motivo ben preciso: impedire che generassero figli.
La loro progenie infatti è destinata a soppiantare il pantheon divino e a instaurare un nuovo ordine in Cielo e in Terra. Resisi conto di tutte le ingiustizie che hanno dovuto sopportare per colpa di questi veri e propri tiranni onnipotenti, Endyamon ed Emalaith danno inizio alla battaglia finale contro i loro nemici. E saranno proprio loro, in effetti, a causare la disfatta definitiva della corrente dinastia, mentre i loro figli diverranno semplicemente i prosecutori della loro opera, consolidando ed eternando la vittoria dei genitori.
A questo punto è necessario evidenziare l’elemento di principale novità rispetto ai capitoli precedenti: rendendo i due protagonisti maggiormente definiti e tangibili, DeFeis li trasforma nei nostri campioni. Rompendo la quarta parete con un meccanismo teatrale, (elemento, la teatralità, che troverà il suo apice nella successiva saga dei Virgin Steele dedicata all’Orestea di Eschilo), DeFeis rende direttamente partecipi gli ascoltatori della vicenda, li chiama in causa, parla usando il noi, spesso riferendosi agli eroi come a Endyamon/Emalaith/Humanity. Nei testi delle canzoni i personaggi parlano attraverso discorsi diretti con i loro rivali, siano essi la Testa del Dio e le altre divinità (A Whisper of Death) o i loro servitori (Sword of the Gods). In questi dialoghi l’umanità incarna un vero e proprio coro greco, che commenta e partecipa agli eventi, trasformandosi essa stessa in un personaggio fisicamente presente. Il culmine della tensione del conflitto drammaturgico risiede nella canzone A Shadow of Fear in cui la Testa del Dio rigetta in toto le aspirazioni umane, mentre gli dei, ammettendo candidamente di essere deliziati dai tormenti dei mortali, colpiscono in tutta la loro efferatezza. Qui il coro/umanità può solo piangere la perdita degli ultimi caduti, nel momento più buio della guerra tra le due fazioni. A concludere il lungo arco narrativo dopo l’oscurità più profonda arriverà la catarsi (Veni, Vidi, Vici) e la vittoria sarà celebrata trionfalmente in un tripudio di cori liberatori. L’ultima canzone di Invictus è un vero e proprio inno alla grandezza (dell’Uomo nel contesto della storia, degli stessi Virgin Steele in sede di concerto), raggiunta ed espressa musicalmente con ogni mezzo possibile.
La narrazione in questo terzo capitolo è quindi meno fumosa e più specifica, allontana l’opera dalla poesia e la avvicina alla drammaturgia teatrale; più semplice da seguire, in qualche misura, e al tempo stesso più vincolante nei suoi significati. Cionondimeno la contrapposizione dell’umano e del divino e, di contro, la loro fusione rimane il tema centrale dell’intera saga e di buona parte della poetica di DeFeis. Anzi, viene portata alle sue estreme conseguenze. La canzone Mind, Body, Spirit ne è un perfetto esempio. Nella delicata ed emozionante parte conclusiva, Endyamon decide che possiamo fare a meno della figura degli dei e creare da noi stessi il nostro destino.
“We don’t need you we’re fine on our own
We don’t want you, leave us alone…
Fortune is Fire as Numen we Shine
Invoking the Power, your Blood is my Wine and i know…
The Mind is a Tower, the Body sublime
The Soul is the Power your Blood is my wine and i know…
Leave us alone!!”
“Non abbiamo bisogno di voi stiamo bene per conto nostro
Non vi vogliamo, lasciateci in pace…
La Fortuna è Fuoco come Nume noi risplendiamo
Invocando il Potere, il vostro Sangue è il mio vino…
La Mente è una Torre, il Corpo sublime
L’anima è il Potere il vostro sangue è il mio vino…
Lasciateci in pace!!”
In questo delirio di vittoria e supremazia si fa però spazio il dubbio e DeFeis, congedandosi dal suo pubblico al termine dell’album, lancia un monito: sapremo usare con saggezza il nuovo e immenso potere acquisito, oppure le nuove generazioni dovranno spazzarci via come noi abbiamo fatto con i precedenti tiranni?
Il Mito come riflessione sul presente. La Fantasia come strumento per riflettere sul Reale. La Musica e l’Arte come veicolo di Crescita.
“I Crown Us… KINGS!”
“Io ci incorono… RE!” (Veni, Vidi, Vici)