Oltre il Fiume Nero (Beyond the Black River, 1935) di Robert E. Howard – commento Di Pat Antonini

Nello spendere un nome come quello di Mark Twain, ora, in questo momento,andrete incontro al guizzo d’un automatismo del pensiero verso Huckelberry Finn e Tom Sawyer. Meno scontato sarà invece pensare a Le offese alla letteratura di Fenimore Cooper, una celebre invettiva con cui il baffuto scrittore del Missouri, senza fare prigionieri, additò causticamente l’autore de L’ultimo dei Mohicani, James Fenimore Cooper, quale trasgressore e violatore delle regole della buona letteratura.

“…nello spazio ristretto di due terzi di una pagina, Cooper ha commesso 114 reati contro l’arte letteraria su 115 possibili, si batte il record…”

Iniziava più o meno così la pubblicazione di Samuel Longhorne Clemens in arte Mark Twain e fortunatamente per il Cooper, non mancarono voci a sua difesa, come quelle di Victor Hugo o Wilkie Collins. Se Robert Erwin Howard fosse vissuto in quel periodo certamente si sarebbe schierato con il signore dei romantici francesi e il precursore del poliziesco. Potremmo – più o meno ragionevolmente – sfidare chiunque a non rivedere nella forsennata corsa di Natty “Occhio di Falco”, Chingachgook e Uncas, all’inseguimento delle sorelle Munro rapite dal crudele Magua e gli Uroni, la stessa maratona senza fiato di Aragorn, Gimli e Legolas, a recupero di Meriadoc Brandibuc e Pipino Tuc, sequestrati dall’altrettanto bestiale Ugluk e i suoi Uruk-Hai. Ma per Howard fu un’altra storia. Il narratore texano ha rigirato così a fondo la “calza di cuoio” ¹  da farne uno “stivale antico”, calzato dalle ere più lontane sino a quelle più recenti nella storia. Uno stivale che Conan il Barbaro ha indossato, quando il Forte Tuscelano a veglia dei confini aquiloniani stava per essere travolto dai Pitti di Zogar Sag. Lo stesso  che indossava Aragorn, quando il fosso di Helm stava per essere preso dall’orda degli Uruk-Hai. Nondimeno, lo stivale è sempre lo stesso per Jon Snow , quando la barriera sembrava capitolare a causa dei Bruti. Non è poi molto diverso da quello che indossava Munro in una sconfitta già scritta contro Francesi e Uroni a Fort Henry ne “L’ultimo dei Mohicani“. E quanti altri nella storia…non solo quella letteraria beninteso; dal centurione alle ultime agonie adrianine, quando il vallo cedeva dopo anni di incursioni dei Pitti (non a caso) e Attacotti, prima dei nebulosi fasti del Regno d’Alba del Dàl Riata e dell’altrettanto albionico avvento sassone. Alla presa del Castel Gagliardo, aggiungeremmo ancora, nel consumarsi del dominio inglese – del Cuor di Leone prima e del Senza Terra poi – sulle terre di Francia; o al confine della Sassonia quando le scorrerie vichinghe da Hedeby – le rare volte in cui non si preferiva veleggiare verso le coste anglosassoni – penetravano ferendo a fondo le foreste germaniche. Giusto proprio per chiudere il cerchio; quando il “Napoleone del West”, Lopez de Santa Anna dal Messico sfondò la linea nel Texas, quel Texas che è anche di Howard, per far dimenticare dalla storia una Alamo che invece, a San Jacinto “tutti ricorderanno”². Sarebbe tuttavia futile giungere a queste considerazioni solo per la nomea che la novella oggi analizzata ha accumulato soprattutto nel pubblico anglosassone, quella del “racconto più storico e più western” di Howard. Si ritiene invece più congruo considerare che, quello stivale non è come gli altri perchè proprio come quello di Conan in Oltre il Fiume Nero calpesta un suolo diverso: il suolo tormentato dell’ultima ed estrema frontiera.

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Pur se dovessimo limitarci ad una analisi volta al tratto generico di una storia come Oltre il fiume nero riconosceremmo subito la ricerca di una autorialità che trova simile profondità in La Fenice sulla Lama e parzialmente anche in Cittadella Scarlatta, le due storie ove Conan è ritratto alle prese con le vulnerabilità della sua monarchia. Troviamo tuttavia due meccanismi diversi nell’approfondire tale dimensione letteraria. In La Fenice sulla Lama, Robert Ervin Howard, fronteggia le contingenze inflitte dal dover tracciare un ritratto futurologico.  Rabbuiando quindi le fisionomie più solari di Kull di Valusia con le violente e drammatiche penombre del Pulp e della magia nera e, al tempo stesso, accendendo le lucerne d’un romanzo cospirativo, dal rimando latente ai classici storico-avventurosi di Dumas e alle “post-mitologie” di Bulfinch e Longfellow, si delinea così la Sword and Sorcery che, proprio come il Leatherstocking Tales americano di Cooper nei riguardi del Cappa e Spada europeo sancisce una risposta alla Fantasy britannica di Lord Dunsany e Eddison. Oltre il Fiume Nero gode dell’alimentazione d’una differente sorgente che viene incavalcata sul robusto affusto delle storie precedenti da una maturazione psicologica del barbaro. Quest’ultima trova una corrispondenza con un’evoluzione della scrittura di Howard, soprattutto nella filosofia descrittiva e nelle variazioni dei suoi registri retorici .

Anche nei picchi più alti della prosa descrittiva howardiana prima di Beyond the Black River rintracciavamo l’emotività della scrittura nel dettaglio colorito e accaldato di descrizioni fervide, dipinte con un istinto teso alla grande efficacia e bellezza, atte a sollecitare gli umori psicologici ed emozionali mediante lo strumento basilare della rappresentazione fisica nelle sue variabili; colori, dettagli sanguigni e similitudini associative delle componenti. Frutto – potremmo dire – d’un estroso talento dal forte potere immaginifico e speculativo e dall’attitudine parzialmente indisciplinata. In Oltre il fiume nero Howard usa invece dialoghi ritmici e una descrizione maggiormente addentrata nelle psicologie che, partendo da pensieri e sguardi, da dialoghi e ragionamenti, da assunti e fatti storici, sfocia in riflessioni ancestrali, latenti considerazioni storiche e sulle mentalità ataviche dei popoli, raggiungendo umori diversi e dando un ulteriore livello di profondità alla novella che già ne possiede più d’uno.

“… Gli occhi del barbaro brillavano di fuochi che non avevano mai illuminato le pupille degli uomini nutriti dalle idee di civiltà […] Balthus scorse e riconobbe antiche immagini e ricordi vagamente incarnati, ombre degli albori della vita, dimenticate e ripudiate da razze salite ad alti livelli di civiltà…”

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La sensazione riportata sottolinea ulteriormente una descrizione proveniente dai pensieri di Balthus che, riferendosi a Conan, mai aveva visto uno sguardo “così lontano dal mondo civilizzato” ed è postuma alla sua fuga dalla prigionia nel villaggio dei Pitti dopo la salvifica irruzione del barbaro. Nei momenti successivi alla fuga, Conan e Balthus percorrono la foresta accorgendosi di essere inseguiti da un grande Leopardo “incaricato” da Zogar Sag, sino al momento del contatto visivo con esso.

“… era un Leopardo che stava sul sentiero ringhiando silenziosamente e guardandosi intorno. Il vento spirava in direzione dei due uomini nascosti, mascherando il loro odore. La belva abbassò la testa, fiutò il suolo, poi avanzò incerta. Un brivido scorse lungo la spina dorsale di Balthus. L’animale stava seguendo loro indubbiamente…”

Possiamo osservare come Howard abbia sostanzialmente defocalizzato dalla scena il potenziale ad “alta tensione”, attraverso, ad esempio, il dettaglio del vento che maschera gli odori fiutabili di Conan e Balthus rimasti nascosti. In gran parte dei romanzi d’ogni genere i due protagonisti avrebbero incontrato quella tensione come fulcro sfruttabile ai fini del pathos narrativo,  ma Howard ha preferito fare del Leopardo una evocativa sagoma, oscurata dalla notte e contornata dai bagliori lunari, posta a sfondo della spiegazione di Conan riguardo al dimenticato Jhebbal Sag e alla lingua segreta sopravvissuta alla memoria dei suoi “Figli”. Le evocative delucidazioni che Conan fornisce a Balthus sono le vere protagoniste del segmento intero, Balthus sarà profondamente perturbato da visionarie riflessioni dopo le rivelazioni di Conan. La scelta di Howard regala al lettore un momento sospeso e fluttuante, pervaso da una memorabile e profonda suggestione che trova una similarità improbabile – e del tutto casuale – con i momenti in cui Vladimir Arsenev, nelle foreste della Taiga, incontra la Tigre Siberiana che gli occhi di Dersu Uzala, destinati alla cecità, vedevano come “Amba” : lo Spirito della Foresta , secondo le tradizioni politeiste forestali delle popolazioni altaiche stanziate tra Cina e Russia³. Sebbene Arsenev fosse capitano nell’esercito dello Zar Nicola II era certamente più giovane e inesperto rispetto a Dersu Uzala, pratico della Taiga almeno come Conan nella selvaggia Conajohara.

Nell’utile scheda redatta da Francesco La Manno riguardante l’uscita Mondadori del Ciclo di Conan viene chiarita per i lettori la sequenza logica di lettura consigliabile di tutte le storie del cimmero, cosa certamente da tenere presente anche nel basarci semplicemente sulla cronologia divulgata da Lyon Sprague De Camp. La scrittura di Howard in Oltre il Fiume Nero rappresenta in pieno sia la maturazione di Conan come individuo che quella come personaggio all’interno del suo ciclo. Il progresso nella linea del suo arco narrativo ha attraversato varie fasi: dalla semplice azione di avventuriero e guerriero individuale (o in cooperazione ristretta), come ne La Torre dell’Elefante (Qui nell’analisi di Andrea Gualchierotti, della quale se ne consiglia la lettura anche per la fruizione di questa stessa analisi), Il Diavolo di Ferro o Gli Intrusi a Palazzo,  a quella del condottiero e comandante,  dove invece viene maggiormente levigata la sua leadership, come in Colosso Nero o nelle storie del segmento piratesco, Lo Stagno dei Neri o La Regina della costa nera. Tale progressione tuttavia è accompagnata anche da quella puramente stilistica.

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Proprio come Conan ha abbattuto, passo dopo passo, nemici e ostacoli, Howard, storia dopo storia, ha seminato componenti che hanno permeato la storia della Fantasy Eroica influenzandone le fisionomie e il genoma: Dai toni magici, pulp e classico-avventurosi, assolutamente fondativi nella Sword and Sorcery di La Fenice sulla Lama alle perfezioni archetipiche de La Torre dell’Elefante e gli Intrusi a Palazzo; dalle reminiscenze lovecraftiane in L’Ombra che Scivola ai melodrammi di Accoliti del Cerchio Nero e Nascerà una Strega che, Fritz Leiber confrontò nel paragone – non certo leggero – con Cristopher Marlowe. Ognuna di queste tappe ha generato scuole di pensiero e correnti di stile ed è forse paradigmatico che Oltre il fiume nero arrivi dopo due picchi di massimo dramma nella storia di Conan, quello più iconico (anche in senso stretto del termine) della crocifissione in Nascerà una strega e quello che raffigura l’impalcatura psicologica del suo arbitrio, in Gioielli di Gwalhur , nella scelta che interesserà due nature primordiali e costitutive del barbaro: l’avventuriero cacciatore di ricchezze e il salvatore di donne in pericolo. Conan si dimostrerà – in fin dei conti- più lontano dal nichilismo antieroico di quanto avremmo mai pensato nello scoprirsi più incline alla calda vita che “respira” , salvando la fanciulla, rispetto alla fredda “non-vita” che “luccica”, perdendo per sempre le preziose Gemme di Gwalhur. Questa eredità ci consegna il Conan che troviamo in Oltre il Fiume Nero: Un guerriero contraddistinto da una grande saggezza forestale, un altruismo e una umanità di fondo che, pur nascosti, sono rappresentati dal rispetto insito verso i coloni, una degna infarinatura poliglotta e una identità morale ormai marmorea, già solidificata e scolpita nel corso delle sue straordinarie esperienze avventurose. La vicinanza di Balthus , più “civilizzato” e scolarizzato nella morale cavalleresca, senonché meno esperto e pragmatico alla vita reale, si rivela estremamente funzionale nel mettere in luce un Conan evoluto finanche nel riconoscersi con coscienza come barbaro. Tra Conan e Balthus ha luogo un sottaciuto scontro morale che si protrae nel tratto condiviso della loro avventura ma si concretizza quando il cimmero, attraendo con l’inganno un guerriero pitto nel folto del bosco lo uccide slealmente, riscuotendo il disappunto di Balthus.

“… Non mi sembra giusto – obiettò l’acquiloniano – lui credeva che a parlargli fosse un amico […] – Avevamo bisogno di una canoa, cos’è peggiore: ingannare un pitto o tradire gli uomini oltre il fiume le cui vite forse dipendono da noi?”

In questo, come in altri tratti della storia si esprime il dilemma di legge e ordine contro il caos. Una morale cavalleresca contro quella pragmatica che si proietta allo stadio definitivo del sottostrato del racconto, ovvero la civiltà contro le forze ignote della natura e della magia. Una visione multi-prospettica del bene e del male e dei suoi “allineamenti” che, nell’accostarsi ad una logica pagana si antempone a quella polarizzata propria invece del monoteismo. Tali dinamiche saranno tra gli ingredienti basilari che avranno lascito posteriore nella letteratura di Michael Moorcock e nella struttura caratterizzativa dell’universo di Dungeon and Dragons, ma anche un congiungimento anteriore con il genio – forse mai superato – di William Morris. Non interesserà invece, almeno nel tratto di superficie, alla filosofia morale tolkeniana che sarà basata su due rispettivi elementi di polarità: quello “Sauron-Centrico” per il male, il cui ordinatore è teocratico e imperialista,  e quello del “precetto elfico” per il bene, sorgente etica anche dei regni umani come Gondor che rimette la sua posizione iconografica e definitiva all’Albero Bianco, simbolo che tributa agli Elfi Sindar, Nimloth e i due alberi bianchi di Valinor⁴ .

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Come si era già osservato in una vecchia analisi su William Morris, nel “Proto-Fantasy” House of the Wolflings – sebbene diversamente declinata rispetto a Oltre il Fiume Nero – si rintraccia una simile logica ribaltata del romanzo di guerra e di frontiera. Viene attribuita ai “barbari” Goti di Thiodolf degli Wolflings la qualità eroica e morale, in grado di proteggere i valori identitari della famiglia e delle tradizioni e non ai civilizzati che solitamente, nei romanzi epici – come ben si vede negli orlandini romanzi cortesi  – sono il baluardo estremo contro le orde infedeli. Al contrario, in House of the Wolflings, l’avanzata “civilizzata” romana è rappresentata come la straordinaria e “meccanica” potenza tellurica spersonalizzata e deforme nell’identità singola, ma sovrasviluppata nell’individualismo cinico di condottieri politici, del tutto metaforica nel celare i paradigmi della rivoluzione industriale e del capitalismo che sempre più prosciugava la forza vitale del lavoro, dell’arte e dell’artigianato. Una lotta che Morris ha vissuto in prima linea nel nutrire delle sue idee sia la Arts and Crafts che il Socialismo britannico di stampo patriottico. Sebbene non del tutto sovrapponibile anche in Oltre il Fiume nero si riscontra una logica atipica del romanzo di guerra e di frontiera. Il dramma irreparabile e la riscossa dell’orda caotica dei Pitti pronti da un momento all’altro ad irrompere sul Forte Tuscelano innesca il suo “countdown” sin dalla morte di Tiberias, nelle prime battute della storia. Il nefasto e inevitabile evento parrebbe quasi più una riappropriazione della natura e del mondo antico di ciò che la civiltà ha defraudato piuttosto che un’incombenza derivata da una tribù crudele in espansiva avanscoperta. Nonostante lo stesso Conan sottolinei la natura abbrutita e crudele dei Pitti, mostrandosi “premuroso” – per quanto possibile per lui – verso il popolo dei coloni, non vi è un reale biasimo per i guerrieri selvaggi se non quello rivolto alla salvezza dei coloni e non mancano momenti in cui l’asprezza del suo giudizio si manifesta come espressione d’un recrudescente e assoluto disprezzo verso le ambizioni delle potenze civilizzate, decadenti e perverse:

“Gli Uomini civili sono così. Quando non riescono a spiegare qualcosa con la loro misera scienza imparaticcia rifiutano di credere”

“Questa colonizzazione è una pazzia, c’è terra buona in abbondanza a est delle marche bossoniane. Se gli aquiloniani spartissero qualcuno dei feudi e piantassero grano … non dovrebbero varcare il confine e prendere la terra ai pitti”

Oltre all’epico “Proto-Fantasy” House of the Wolflings, tali sfumature compaiono in altre storie di Morris tra le quali il primo romanzo “High Fantasy” mai scritto: The Sundering Flood. Il protagonista Osberne Wulfgrimsson, armato della sua magica spada Broadcleaver, si unisce al condottiero Godrick di Longshaw per abbattersi contro la tirannide plutocratica di una casta di mercanti della potenza nemica, salvando l’amata Efhild per poi fare un trionfale ed emozionante ritorno nell’incantevole reame di Wethermel. Potremmo certamente attribuire lo stile “Pulp” in “La fenice sulla Lama” e le altre storie di Howard ai violenti, febbrili e controversi anni del proibizionismo e le sue epopee di sangue e contraddizioni morali, di guerre criminali e speculazioni. Tuttavia, l’antimodernismo che Howard lascia insorgere in Oltre il Fiume Nero trae in parte il suo sviluppo dallo slancio delle politiche petrolifere e industriali che non mancarono di segnare anche il territorio del Texas e di Cross Plans e che Howard ha manifestato parimenti a come William Morris manifestò il proprio antimodernismo in risposta al “grande reset” sociale della rivoluzione industriale. La visione del Texas di Howard viene sfiorata anche nei due meritori articoli riguardanti James Allison ad opera di Jean-Pierre Laigle e del Centro Studi “La Runa”,  riportati anche tra le pagine di Hyperborea.

Riconosciamo in tutte queste componenti una sostanziale evoluzione sia stilistica che filosofica che – come si accennava nelle fasi iniziali- Howard è riuscito a produrre. Fu Howard Philips Lovecraft, tra i tanti, come riporta una nota abbondantemente citata nelle edizioni della Fantacollana Nord e dei volumi Newton Compton, ad incoronare il narratore texano come indiscusso maestro delle descrizioni evocative:

“Robert Ervin Howard fu l’insuperato maestro delle descrizioni di colossali città megalitiche della più remota antichità: nei loro cupi torrioni e nei meandri sotterranei aleggia una genuina atmosfera di negromanzie e terrori preumani che nessun altro scrittore seppe mai narrare”[1]

Tuttavia, è nella piena evidenza dei fatti che riscontriamo il bisogno di Howard di arricchire il suo stilema e abbandonare gli schemi assodati del suo registro:

“Nella storia di Conan ho tentato un nuovo stile e ambientazione, ho abbandonato le ambientazioni esotiche di città perdute, civiltà decomposte, cupole dorate e palazzi di marmo e gettato la mia storia sullo sfondo di foreste e fiumi, capanne di tronchi, avamposti di frontiera, coloni e tribù…”

Se nella citazione sopra riportata, tratta da una lettera scritta da Howard a Lovecraft, è possibile capire l’esigenza riguardante il taglio stilistico, più profonda ancora è la testimonianza che Novalyne Price Ellis⁶  ha riportato, citando testualmente le stesse parole di Howard:

“Ho venduto a Writhe una storia del genere pochi mesi fa, sono dannatamente sorpreso che l’abbia presa, è diversa dalle storie di Conan, niente sesso, solo uomini che combattono contro la ferocia e la bestialità che sta per inghiottirli, voglio che tu la legga. È piena delle piccole cose importanti della civiltà, piccole cose importanti che fanno pensare agli uomini che valga la pena morire per la civiltà”

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Nelle parole confidate a Novalyne Price Ellis, Robert Ervin Howard esplicita la componente antimodernista con la quale egli trova, con Oltre il Fiume Nero , oltre che la congiunzione con il sopracitato William Morris anche una linea di collegamento latente con Bran Mak Morn, ma soprattutto, trova una sostanza che non era riuscito a raffinare in Kull di Valusia e nel racconto “Quest’Ascia è il mio scettro“, il cui epilogo, nello spezzare lo scettro e brandire imperiosamente l’ascia usata per distruggere la tavoletta delle leggi, esprime gli stessi toni antimodernisti e barbarici di Oltre il Fiume Nero.

“Questa sarà il mio scettro […] Con quest’ascia io governerò! Ho faticato e lottato per diventare il re fantoccio […] ora farò a modo mio, o mi obbedirete o mi caccerete con le armi. Le leggi giuste resteranno inalterate” (Kull di Valusia)

“La barbarie è la condizione naturale del genere umano […] la civiltà è innaturale, un capriccio del caso, alla fine la barbarie trionfa sempre” (Conan il Barbaro)

Forse è lo stesso Kull, ancor più della vittoria pitta a Conajohara a dare corpo alla “profezia” di Conan anche se retroattivamente. Come già si osservò, qui su Hyperborea, nell’analisi riguardante La fenice sulla Lama, Kull fu sostituito da Conan forse anche per il suo eccessivo legame con i racconti britannici tra i quali La fortezza inespugnabile, se non da Sacnoth di Lord Dunsany. Al tempo Howard ritenne opportuno, in tutta evidenza, ricercare qualcosa che miscelasse maggiormente il Pulp, l’avventura classica e la magia nera. Non possiamo che ritenere straordinario come Howard, scardinando il suo canone, modificando il suo stile descrittivo e superando i toni pulp, sia riuscito di nuovo a fare la storia. Stavolta tuttavia il processo è stato inverso a quello compiuto ai tempi di Phoenix on the Sword, ovvero avvicinandosi al mondo britannico , sebbene il suo cammino sia stato fatto con un paio di “stivali” assolutamente americani; i “Leatherstocking” di James Fenimore Cooper. Oltremodo curioso è il fatto che a dissolvere la tesi di Mark Twain sia stato uno scrittore americano che, proprio come lui in un americano alla corte di Re Artù si è introdotto nella narrativa fantastica, non esclusa quella dai caratteri albionici. Se volessimo lusingarci con un po’ di mistificazione forse, “quell’americano alla corte di Re Artù”, che così a ritroso osò saltar via dalla modernità, non fu altro che Howard che, componendo un racconto antimodernista e imprescindibile nella storia della fantasy come lo è Oltre il Fiume Nero, è riuscito ad accedere – se non alla corte di Re Artù – ad un olimpo che sino a quel momento, nella Fantasy, era esclusivo appannaggio dei grandi maestri britannici⁷ . E’ assolutamente sorprendente rendersi conto di come, dopo aver letto una storia come Oltre il Fiume Nero, sarà impossibile scegliere un racconto preferito del ciclo di Conan poichè essa è la gemma che rende più preziosa l’intera collana, ed è proprio questo straordinario valore aggiunto a rendere indissolubile ogni altro componente del prezioso artefatto.

Note

[1] R. E. Howard, Kull di Valusia, Fantacollana Nord n°9 , Editrice Nord, 1975

¹ I “Calza di cuoio” detti anche “Leatherstocking Tales” furono il ciclo di romanzi di J.F. Cooper di cui fa parte anche “l'ultimo dei Mohicani”. Molti vedono in essi la variante americana e “Western” del “Cappa e Spada” europeo.

² Come è ben noto, dopo la sconfitta di Alamo i Texani adottarono come “grido di guerra” nelle campagne successive “Ricordati di Alamo”

³ La vicenda citata, realmente accaduta è descritta nel romanzo biografico di Vladimir Arsenev, ufficiale dell'esercito dell'impero russo sotto lo Zar Nicola II Romanov. Secondo la popolazione altaica dei Goldi, ferire o uccidere il messaggero dello spirito della foresta “Amba”, incarnato nella Tigre, portava sventura e cecità. La macabra ironia del fato ha voluto che Dersu Uzala diventasse cieco realmente.

⁴ A ben vedere, uno dei gesti più decisivi nel comportare la scissione tra Dunedain (Numenoreani raminghi, buoni)  e Mornumedain (Numenoreani Neri, Malvagi) fu proprio l'abbattimento di uno degli elfici alberi bianchi da parte di Ar-Pharazon, alleatosi ormai a Sauron.

⁵ Il commento viene riportato in numerosi volumi, si è preferito citare nelle note quello cronologicamente più vecchio

⁶ Scrittrice e Insegnante che ebbe una relazione amorosa con Robert Ervin Howard e che scrisse il suo libro di memorie pubblicato nel 1986, “One who Walked Alone”. Da esso l'adattamento cinematografico del 1996, diretto da Dan Ireland.

⁷ Occorre aggiungere per correttezza, di contraltare all'affermazione, che anche James Branch Cabell come scrittore americano potrebbe essere incluso, oltre ad Howard ,in “quell'olimpo” della narrativa Fantasy .

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