REGOLA DEI POVERI CAVALIERI DI CRISTO E DEL TEMPIO DI SALOMONE
Regola Latina emanata durante il Concilio di Troyes nel 1128
Il nostro (discorso) si dirige innanzi tutto con fermezza a tutti coloro, che intendono rinunciare a seguire le proprie volontà, e desiderano con purezza di spirito militare per il sommo e vero Re, perché assumano l’armatura insigne dell’obbedienza, adempiendola con particolarissima cura, e la portino a perfezione con la perseveranza.
Fonte www.nundinae.it
Negli anni novanta i Grave Digger, colonna storica del metal teutonico più tradizionale e granitico, pubblicano un terzetto di album che viene in seguito chiamato The middle ages trilogy.
Il primo disco, Tunes of War, è incentrato sulla lunga e travagliata storia dell’indipendenza scozzese, a partire dalla battaglia di Carham del 1018 fino ad arrivare alla disastrosa battaglia di Culloden del 1746; il secondo disco, Knights of the Cross, verte sulla affascinante e misteriosa epopea dei templari, mentre il terzo e ultimo disco, Excalibur, tratta, come è facile intuire, la leggenda di re Artù.
Dal punto di vista dei testi, quindi, un percorso che si distacca gradualmente dalla narrazione storica per addentrarsi poi in una dimensione fantastica.
Per certi versi il capitolo mediano, Knights of the Cross, mette il piede in due staffe: principalmente improntato a una rievocazione storica di personaggi e vicende, non disdegna tuttavia di inserire nel contesto alcune speculazioni ardite, che pure sono state affrontate anche da storici e studiosi, e di condire il tutto con un pizzico, forse meglio dire manciate, di mistero. Come detto, Knights of the Cross ripercorre la parabola dell’ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, dalla sua sfolgorante ascesa in seguito alla fondazione avvenuta approssimativamente attorno al 1118 fino alla rovinosa caduta e definitivo scioglimento nel 1314. Centonovantasei anni condensati in appena dodici canzoni. Bisogna ammettere che il riassunto storico, con le date, gli eventi e i nomi dei protagonisti, è demandato soprattutto alle due fitte pagine del libretto allegato al cd, le quali riportano tutte le notizie utili. I testi veri e propri delle canzoni sono in realtà piuttosto essenziali e si limitano ad accennare le vicende in oggetto sottolineandone gli aspetti più drammatici e a volte più cruenti, veri o romanzati che siano. Un esempio è il massacro nella città di Gerusalemme ad opera dei primi crociati nel 1099, che sterminarono buona parte della popolazione senza fare distinzioni di sesso o età, trucidando ebrei e musulmani persino nei loro luoghi di culto, al punto che il sangue dei caduti raggiunse, dicono alcune cronache, addirittura le caviglie dei combattenti. In generale tutto l’album risulta sostanzialmente una stimolante fonte di spunti da cui partire per poter poi approfondire in separata sede una storia ricca e complessa come quella dei templari.
Dopo un cappello introduttivo narrato e d’atmosfera, Deus lo vult, si aprono le danze con l’omonima Knights of the Cross e la prima crociata dell’undicesimo secolo. Lo stile musicale è immediatamente chiaro: niente fronzoli, suoni grezzi, impatto forte. La voce alla carta vetrata del cantante e principale compositore Chris Bolthendal è a dir poco ruvida e aggressiva, il reparto strumentale che lo supporta è altrettanto abrasivo e martellante. La struttura dei pezzi è semplice, con un’alternanza regolare di strofe e ritornelli. Più o meno queste saranno le coordinate del resto dei brani.
Con la seguente e tiratissima Monks of War inizia la storia vera e propria dell’Ordine dei Templari, vale a dire il momento in cui Hugues De Payns offrì i servigi suoi e di un pugno di cavalieri a re Baldovino II per proteggere le frotte di pellegrini venuti in Terra Santa per recarsi nella neo conquistata Gerusalemme. Il successo di questa iniziativa fu tale che nel 1120 il re concesse loro l’ala di una reggia che si riteneva costruita sull’antico Tempio di Salomone (da qui il nome dell’Ordine), e portò in pochi anni al riconoscimento e alla protezione dei Templari da parte della Chiesa e alla creazione di sedi dell’Ordine in tutto l’Occidente (Heroes of this Time).
Nella successiva Fanatic Assassins la band, presentandolo come una sorta di corrispettivo dei Templari, introduce l’Ordine degli Assassini e il loro capo Rashid ad-Din Sinan, il Vecchio della Montagna. Narra la leggenda che quest’ultimo, per dare al conte Henri De Champagne, nipote di Riccardo Cuor di Leone, una dimostrazione pratica della fedeltà cieca dei suoi uomini, ordinò a uno di loro di gettarsi giù dalle mura e il comando fu eseguito all’istante.
Particolarmente riuscito è proprio il brano dedicato a Riccardo Cuor di Leone (Lionheart), in cui la narrazione si concede una brevissima digressione per seguire le sorti del re inglese il quale, durante la terza crociata, contrastò le forze del Saladino che avevano strappato nuovamente Gerusalemme dalle mani cristiane.
Con la canzone Keeper of the Holy Grail ci si addentra ancor di più nel territorio della leggenda: Bolthendal e compari investigano la possibilità che i templari custodissero la sacra reliquia cristiana. La canzone si limita a evocare il mistero che aleggia intorno al Sacro Graal e fa registrare un repentino cambio di atmosfera, con l’organo di Katzenburg a farla da padrone. Saltando parecchi decenni e, con il trittico Inquisition, Baphomet e Over the Sea, si giunge alla fase discendente della parabola dell’Ordine dei Templari, che videro progressivamente crescere il malcontento nei loro confronti di pari passo con l’aumentare delle loro ricchezze e del loro potere politico, fino a essere oggetto di vera e propria ostilità in seguito alla perdita definitiva delle Terre di Oltremare nel 1291. L’inizio della fine si ebbe nel 1307 quando, con una retata, il re di Francia Filippo il Bello fece arrestare in patria il Gran Maestro dell’ordine Jacques de Molay e i suoi cavalieri. Già da tempo circolavano voci di atti blasfemi e oscenità commesse all’interno dell’ordine e, soprattutto, vennero accusati di adorazione del demonio nella forma di un idolo dalla forma di gatto: il Bafometto. I Grave Digger si concedono qualche breve accenno alle cause politiche che furono dietro a questa operazione: papa Clemente V fu costretto a tollerare l’ingerenza di re Filippo il Bello contro l’Ordine dei Templari, Ordine che non era tenuto a rispondere al potere temporale perché lui stesso era divenuto papa grazie all’appoggio del sovrano e si trovava quindi in difficoltà nell’opporsi alle sue decisioni; è probabile inoltre che questo attacco fosse un pretesto per soddisfare il desiderio di Filippo di impossessarsi del tesoro segreto che i Templari avevano accumulato nel corso dei decenni (tesi sostenuta, ad esempio, da Dante Alighieri).
La conclusione ufficiale della vicenda dei Templari si ha con l’emozionante The Course of Jacques, che racconta gli ultimi istanti di vita del Gran Maestro dell’ordine Jaques De Molay, arso vivo nel 1314 davanti alla cattedrale di Notre Dame per aver rigettato le accuse mosse contro di lui e i suoi compari. Prima di spirare profetizzò la morte di papa Clemente V entro quaranta giorni e quella di Filippo il Bello entro l’anno. Incredibilmente, entrambe le morti si verificarono nei tempi da lui predetti. Qui termina, come detto, la storia “ufficiale”, ma l’ultima canzone (Battle of Bannockburn) riprende un’altra leggenda legata all’Ordine del Tempio di Salomone e ci fa ritrovare un gruppo di bambini e civili in Scozia al fianco di Robert the Bruce nella famosa battaglia contro gli inglesi nel 1314, solo due mesi dopo la morte di Jacques de Molay. Secondo il racconto, all’apparire di questi rincalzi tra le fila degli Scoti, gli inglesi scapparono a gambe levate. Vista la fama di guerrieri eccellenti che avevano i templari, possibile che fossero stati riconosciuti dagli inglesi e che per questo motivo essi si fossero dati alla fuga? Chris Bolthendal e soci accennano questa suggestiva possibilità la quale, come le altre vicende rievocate durante il disco, risulta più uno spunto intrigante anziché un’esplorazione accurata. Le cornamuse poste in apertura del pezzo riportano istantaneamente l’ascoltatore al precedente album Tunes of war, che fece la fortuna della band e tutt’oggi è considerato il capitolo migliore della loro discografia, e rappresentano un’efficacissima “autocitazione”. Raffinato come una lama seghettata, Knights of the Cross è dotato di un fascino innegabile e risulta estremamente compatto e coeso al suo interno. La sua rudezza complessiva, dovuta in buona parte alle chitarre pompate e massicce di Uwe Lulis e a una sezione ritmica quadrata e schiacciaossa è stemperata da un uso minimale ma efficace delle tastiere, mentre la voce al vetriolo di Bolthendal è controbilanciata da cori semplici ma efficaci che hanno la capacità di stamparsi istantaneamente in testa. In conclusione Knights of the Cross ha il pregio di trattare un tema affascinante, talmente ricco di misteri, avvenimenti e personaggi che sarebbe stato impossibile esplorarlo approfonditamente nel breve spazio di pochi brani. I Grave Digger hanno optato per una rapida e stuzzicante carrellata, una visione d’insieme che potesse stimolare la curiosità e offrire la base per un pugno di canzoni senza fronzoli e immediate, di sicuro effetto, forse limitate nella fruibilità solo dalla loro stessa ruvidezza, fattore che ne ha precluso in parte la diffusione presso un pubblico più ampio.
“White knights appear
Silhouetted against the dark
In the battle of Bannockburn The tables turn”
“Dei cavalieri bianchi appaiono
Le loro sagome contro l’oscurità
Nella battaglia di Bannockburn Si capovolgono le sorti”
(Battle of Bannockburn)
Articolo di Alessandro Zurla
Seconda parte qui
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