Ludovico Ariosto scrisse “L’Orlando Furioso” come continuazione dell’ “Orlando innamorato”, altresì detto “L’innamoramento di Orlando”, di Boiardo, poema incompiuto.
La “gionta”, ossia l’aggiunta, il seguito, al poema di Boiardo, era già stato tentato da svariati autori ma, presso le corti emiliane, fu soprattutto la notizia del poema dell’Ariosto ad essere accolta con una certa buona dose di eccitazione e aspettativa, poiché la letteratura epica in poesia era passata dal raccontare la storia di una collettività intera al prestarsi al servizio delle corti, rinchiudendosi tra sontuosi arazzi e ricchi signori. Anche le tematiche, ovviamente, erano cambiate per andare incontro alla narrazione di un racconto individualista, basato sui singoli personaggi e sugli intrecci delle loro avventure. L’epica cavalleresca medievale venne sostituita da una visione diversa del mondo, più disillusa, ma che Ariosto ha interpretato in un modo a noi contemporanei molto caro, con un valore salvifico nell’interpretazione della realtà e del fantastico.
Mentre la Commedia di Dante è un viaggio che inizia nelle profondità dell’inconscio, nella selva oscura, per poi riemergere verso il cielo, e ancora oltre, verso la fonte divina dell’esistenza, la storia dell’Ariosto non va verso l’alto, ma si muove in orizzontale, rispettando l’abitudine delle corti rinascimentali a trattare temi, diremmo oggi, laici.
“L’Orlando Furioso” racconta sentimenti umani, e non c’è nulla di mistico nella cerca dei personaggi. Spesso inseguono amori che raramente verranno coronati e sogni e ambizioni che si rivelano vane. Lo stesso Orlando, simbolo della cristianità opposta all’eresia religiosa dei miscredenti Saraceni, diviene “furioso” per amore di Angelica, principessa del Catai. Ella infatti preferisce ai tanti paladini valorosi e nobili origini un semplice fante, Medoro.
L’ambientazione, la cornice, dell’intera vicenda è la guerra tra cristiani e mori, proprio come nel ciclo carolingio. Tuttavia cambiano moltissimo i toni, i contenuti, lo stile, e vi è anche tanta immaginazione e fantasia. Vi si può trovare un vero e proprio amore per ciò che è immaginifico, che anticipa il romanzo d’avventura di autori come Stevenson o i più recenti William Morris e Lord Dunsany, giusto per citarne alcuni.
Le avventure dei personaggi si svolgono tra la Francia, la Germania, l’Africa del Nord, l’Est Europa e alcuni racconti sono svolti addirittura in luoghi riconducibili alle isole della Cina e del Giappone. È un poema, composto in ottave, che assomiglia moltissimo, e ne condivide lo spirito, ad un romanzo d’avventura contemporaneo.
Il gusto per il fantastico e per il bestiario medievale, che sarà poi ripreso nel Novecento dalla letteratura propriamente definita “fantasy”, sono un elemento che risulta prevalente nel poema. Vi è una disillusione nei confronti dei valori cavallereschi e della figura dell’eroe, mentre nell’Ariosto vediamo i paladini dell’epica carolingia lasciarsi andare alle loro emozioni, comportarsi non come archetipi eterei e ideali, ma come vere e proprie persone. La modernità dell’arte di Ariosto in questo caso è davvero sconcertante, anche se data profondamente da una disillusione nei confronti del reale, a causa del periodo storico tumultuoso nel quale l’autore visse. A differenza della stabilità vissuta sotto Lorenzo il Magnifico, le corti italiane avevano perso potere e indipendenza, il dominio degli imperi stranieri si faceva sempre più pressante e il senso di fiducia del periodo dell’Umanesimo stava sempre più scemando. Si trattava di un periodo di crisi di valori e di ideali.
Ma scatta una scintilla. Una fiamma vitale. L’elemento dell’immaginazione e del fantastico irradiano il poema di una vitalità che, mentre nel Don Chisciotte è solo la follia di un uomo che non vuole abbandonare un passato dorato, nell’Ariosto si tratta di genio, di una follia simile all’amore di Orlando per Angelica. La voglia di esplorare e conoscere, se non il divino, almeno tutte le avventure possibili e gli intrecci, spesso anche ironici e divertenti, del poema è il desiderio di esplorare le possibilità dell’essere umano. In questo Ariosto è figlio in piena regola dello spirito rinascimentale, per quanto si sia persa l’idea del cavaliere perfetto. Orlando, che era simbolo del guerriero mandato da Dio, diviene un uomo, che impazzisce di gelosia passando per il bosco dove Angelica e Medoro hanno consumato i loro atti amorosi. Non c’è più alcuna traccia di Medioevo in Ariosto, se non nell’estetica e nella parte finale del poema, dove “L’Orlando Furioso” diviene un vero e proprio racconto d’armi, tecnicamente dettagliato, in cui vengono raccontati gli scontri tra le schiere di Carlo Magno e Agramante, con la vittoria dei cristiani. L’unica altra influenza medievale forte che troviamo in Ariosto è la tecnica dell’entrelacement, che eredita direttamente dal romanzo cavalleresco. È l’intreccio, in cui la trama non segue una narrazione lineare, ma si suddivide in tantissime “sottotrame” differenti, diramandosi in svariate avventure episodiche.
Nella narrazione episodica vi è una comunanza e una corrispondenza con la letteratura fantastica moderna e contemporanea. È tipico dell’epopea di stampo “fantasy” porre un obiettivo alla fine della “quest” per poi diramare la storia in vicende diverse tra di loro, dove i personaggi, prima uniti, poi divisi, vivono svariate avventure, talvolta abbastanza dettagliate da avere una trama propria, quasi come romanzi dentro al romanzo. I “cicli” di racconti della fantasia eroica di spada e stregoneria sono altresì caratterizzati da elementi molto simili. Sono episodici e, anche se i vari personaggi sono pressoché gli stessi e collegati tra di loro, ricordano molto la struttura del poema di Ariosto.
L’altra comunanza è sicuramente l’attitudine per le storie magiche e la ripresa dei bestiari medievali. Astolfo va sulla Luna per recuperare il senno di Orlando sul carro di Elia, e durante le sue avventure si muove per lo più a cavallo di un ippogrifo, una creatura mitologica. Il fantasy contemporaneo è costellato di creature e razze a metà tra il mitico, lo storico e l’immaginario. L’episodio del castello del mago Atlante è emblematico in questo senso.
Si tratta di un labirinto dove i personaggi rimangono intrappolati in un gioco di specchi e illusioni vaghe e irraggiungibili. Ruggiero giunge nel castello dopo aver perso Angelica, all’inseguimento della vana immagine di Bradamante; Orlando crede di vedere Angelica portata via da un cavaliere sconosciuto. Proprio la donna amata dal paladino renderà per un momento vano anche l’incanto di Atlante nella sua reale apparizione, liberando dal meccanismo lo stesso Orlando, Sacripante e Ferraù (come si può notare riproposizione dello stesso schema dell’apertura della narrazione). Gli altri cavalieri (compreso Ruggiero) rimarranno imprigionati fino alla successiva liberazione da parte di Astolfo, ancora una volta grazie all’ausilio della magia e del libro che scioglie tutti gli incantesimi donato da Logistilla al duca d’Inghilterra.
Tutto il poema è caratterizzato da un continuo inseguirsi dei paladini e dei personaggi, che si sfidano e partono all’avventura per “quest” impossibili, ai limiti del mondo conosciuto e anche oltre. Spesso l’Ariosto e la sua opera sono viste come trasposizione di un senso di materialità e di pragmatismo tipici dell’epoca in cui l’autore è vissuto. Ciò è vero, ma bisogna tenere conto dell’elemento magico, probabilmente la linfa vitale dell “Orlando Furioso”.
Il desiderio di conoscenza e d’avventura è una caratteristica anche e soprattutto dell’epoca rinascimentale, quindi non parlerei di crisi dei valori cavallereschi e mistici medievali, bensì di un’evoluzione degli stessi. Il poema è sì destinato ad un ambiente non popolare, ma di corte, e l’elemento amoroso serviva anche per rendere l’opera leggibile e godibile sia da un pubblico maschile che da uno femminile, ma riecheggia di una ricerca della perfezione del divino nella donna che è elemento della poesia dello Stilnovo toscano. Ariosto trae l’elemento della donna come fine della “quest” del cavaliere, ma non per questo il fine è meno nobile e meno mistico dell’Orlando della Canzone, che raggiunge la salvezza eterna. La poesia, soprattutto quella del periodo del Romanticismo, insegna che è tramite gli elementi della natura che si raggiunge il divino. Vedere l’infinito in un granello di sabbia, scriveva William Wordsworth. Credo che l’aggiunta al poema di Boiardo sia anche di carattere concettuale, innanzi tutto perchè Orlando, oltre a essere “innamorato”, diviene addirittura “furioso”, quindi ancora più umano rispetto all’originale archetipo cavalleresco dell’epica carolingia, e in secondo luogo perchè gli ideali cavallereschi vengono preservati nei personaggi positivi, per quanto umani.
Questa profonda umanità e realismo nella psicologia dei personaggi, che Ariosto probabilmente trasse da Boccaccio – mentre tramite lo studio di Petrarca revisionò il poema dal punto di vista linguistico – è un altro elemento che corrisponde alla letteratura fantastica di stampo “weird” e “pulp”. Nel cosiddetto high fantasy troviamo una trasposizione esatta dei valori cavallereschi e guerreschi più puri e antichi dei cicli bretoni, norreni e carolingi, ossia una collettività che combatte un male comune. Nel fantasy spada e stregoneria troviamo invece questo gusto per il realismo, per l’umanità, per la lascività nei confronti della vita. Darsi alla vita è una sensazione che traspare dai racconti di stampo più “pulp” della branca della fantasy. Ovviamente ciò comporta anche accettare e combattere contro le rappresentazioni inconsce di ciò che Jung definisce l’Ombra. I demoni, anche e soprattutto i propri demoni.
Troviamo nel fantasy sword and sorcery un gusto molto “ariostesco” anche per l’ironia, e un certo senso di distacco che il narratore provoca nei lettori, portandoli a vedere le gesta dell’eroe come se si trattasse di un’avventura visiva più che letteraria, anche se è proprio tramite quest’estraniamento che avviene l’incantesimo. Distaccandosi il lettore vive per un certo lasso di tempo in un mondo diverso dal suo, e il senso definito di estraniazione che Ariosto utilizza come espediente narrativo, ironizzando sui suoi stessi personaggi, in realtà conferisce alla storia ancora più concretezza, rendendola facilmente fruibile dal pubblico che legge. Viene dimenticato ogni preconcetto per lasciarsi andare, anche con ironia e divertissement, al fantastico e all’immaginifico, per credere anche solo per un istante che Astolfo sia sul dorso di un ippogrifo, nel cielo, a rincorrere il senno di Orlando, perduto per amore.
Astolfo compie le gesta più fantasy di tutto il poema. Possiede la lancia d’oro di Argalia, in grado di sbalzare di sella chiunque, e un corno che una volta suonato terrorizza fino alla fuga qualsiasi nemico. All’inizio del poema Ruggiero lo trova trasformato in mirto dalla maga Alcina.
Astolfo, in groppa all’Ippogrifo, vola a Nubia, una città d’oro, dove vive il re Senàpo, vittima di una maledizione, cieco e tormentato dalle arpie. Astolfo, dopo aver rotto la maledizione, si reca sulla luna con il carro di Elia per riprendere l’ampolla che contiene il senno di Orlando, e trova anche l’ampolla contenente il suo, un po’ sorpreso, essendo convinto di essere completamente sano di mente. Ariosto, ironicamente, racconta che tutti perdono un po’ di senno, Orlando l’aveva perso del tutto, ma sulla Luna vi sono anche le ampolle di molti altri tra eroi, cavalieri e persone comuni. Qui sembra quasi che l’autore voglia stilare una difesa del poeta e dell’artista in genere, che da tramite di una tradizione intera di un popolo, di un “volk”, si era trasformato in un intrattenitore di corte senza alcuno scopo alto, divenendo quindi una sorta di letterario giullare. Ecco, qui l’Ariosto sembra quasi rimproverare tutto l’ambito sociale a lui contemporaneo, ricordando che di follia ce n’è un sacco tra gli uomini, e di senno poco, è quasi tutto sulla Luna, perso. Quindi la vera follia sono l’immaginazione, la fantasia, il fantastico, l’arte, la creatività, o sono più concrete e razionali rispetto a ciò che è davvero folle, l’ambiguità umana? Nell’opera di fantasia c’è un distacco, un’azione, un atto creativo, un’elaborazione, nelle scelte e nei comportamenti degli uomini c’è sempre moltissima follia. È un concetto molto moderno. Astolfo è, quindi, incarnando l’elemento magico nel poema, risolutivo, riportando il senno a Orlando. Egli lo respira dall’ampolla e ritorna in sé, per poi combattere a fianco di Carlo Magno e sconfiggere l’esercito di Agramante. Ma Astolfo è anche risolutivo riguardo al tema della follia che nell’Ariosto diventa genio, avventura, vita. È l’elemento creativo che permette al poema, e anche al lettore, di evolversi, e di avvicinarsi alla parte narrativa dedicata prettamente al guerreggiare. È la magia che risolve l’irrazionale, cioè Orlando impazzito per amore.
L’ “Orlando Furioso” presenta una struttura così ricca e variopinta da essere una delle opere più rappresentative della facoltà dell’immaginazione applicata alla tecnica della stesura in versi.