Rhapsody – Symphony of Enchanted Lands

For the king for the land for the mountains

For the green valleys where dragons fly

For the glory the power to win the black lord

I will search for the Emeral Sword

 

Per il re per la terra per le montagne

Per le verdi valli dove volano i draghi

Per la gloria il potere di vincere il nero signore

Io cercherò la Spada di Smeraldo

 

Emerald Sword

Dopo aver dato uno scossone al mondo della musica metal sul suolo italico con il loro debutto discografico Legendary Tales nel 1997, i Rhapsody tornarono ad appena un anno di distanza con quello che sarebbe divenuto il loro album più importante e, per certi versi, definitivo: Symphony of Enchanted Lands.

Con l’aggiunta in formazione del bravo bassista Alessandro Lotta, l’ausilio di un vero e proprio insieme d’archi per aggiungere spessore al lato classico delle composizioni, e con dei suoni di batteria più convincenti, la band guidata dall’affiatato duo Turilli/Staropoli si gettò a capofitto in un’escursione di musica barocca, veloce, articolata, immediata e, soprattutto, epica.

Le coordinate stilistiche furono pressoché le stesse del disco precedente, con una predilezione per l’aspetto più sinfonico della loro musica (poteva essere altrimenti visto il titolo?) e con una maggiore attenzione all’aspetto narrativo delle vicende del prode Guerriero di Ghiaccio.

Già in questo secondo capitolo si nota una maturazione stilistica d’insieme: le atmosfere si fanno più varie, i ritmi rallentano in più di un’occasione e, per la prima volta, fanno la loro comparsa le parti narrate. La voce di Jay Lansford, prima dell’arrivo di ben più illustri attori nei capitoli successivi della saga, traghetta gli ascoltatori in un vero e proprio audiolibro, avvicinando sempre più i Rhapsody alla narrazione epica, non solo nei contenuti ma anche nella forma, svolgendo le parti di un Omero che racconta la storia e permette di visualizzare le situazioni in modo ancor più coinvolgente, deviando l’attenzione dall’aspetto prettamente musicale.

La splendida copertina, di nuovo ad opera di Eric Philippe, si presenta diametralmente opposta alla precedente dal punto di vista cromatico: laddove in Legendary Tales dominavano i toni ambrati del tramonto, qui la fanno da padrone i blu e i neri della notte, da cui spiccano per contrasto le scaglie scarlatte del drago cavalcato dal protagonista, per l’occasione rivestito di un’armatura completa.

Lo stesso libretto, almeno nella prima edizione, si presenta come un’opera a sé stante e probabilmente batte qualsiasi record in quanto a numero di pagine piegate insieme a fisarmonica invece che spillate. Se si srotola il nastro di carta, che raggiunge l’incredibile misura di 120 cm, si entra già in un mondo “altro”, dove un’immensa illustrazione si sviluppa in orizzontale e dipinge un affresco panoramico che già da solo sarebbe sufficiente a far viaggiare con la fantasia qualsiasi anima peregrina attratta dalle ambientazioni di stampo fantastico.

Le prime pagine del libretto sono dedicate al prosieguo delle cronache di Algalord e riprendono esattamente da dove i Rhapsody ci avevano lasciati l’anno prima. Il Guerriero di Ghiaccio, partito da Loregard per ordine del concilio dei re e riunitosi al saggio Aresius, ha attraversato le terre devastate dalla guerra e le regioni ancora in pace e ora dà inizio alla cerca delle Tre Chiavi della Saggezza. Il recupero delle prime due è risolto nelle poche righe della prima pagina e in esse è da notare lo scontro con il possente drago Tharos (quello della copertina) per il possesso della seconda chiave. Uscendo un pelo dai cliché del genere, o forse no, il Guerriero di Ghiaccio dopo aver vintola battaglia non uccide la bestia ma la risparmia, rompendo così l’incantesimo che la governava e ottenendo l’aiuto di un prezioso alleato. Combinando poi le due chiavi presso un altare magico, il protagonista ottiene il mistico Ikaren, un oggetto in grado di indicare la strada per raggiungere la mitica Spada di Smeraldo. E proprio da qui comincia la storia messa in musica dalla prima canzone dell’album…

Un delicato crescendo di archi esplode ben presto in una pomposa intro con tanto di cori. Così Epicus Furor ci introduce per la seconda volta nel mondo delle Enchanted Lands, cedendo presto il passo alla celebre Emerald Sword. Più che una canzone, un vessillo, uno stendardo di battaglia che sventola sui campi di battaglia e sui palchi da concerto: nella sua fanciullesca ingenuità, l’esplosione di gioia battagliera che scaturisce dal ritornello è accompagnata da un gusto non comune per la melodia (qualità tutta italiana) e da una performance convincente da parte di tutti i musicisti che di fatto rendono veramente impossibile non sorridere e non mettersi a saltellare di qua e di là, abbandonando qualsiasi amore residuo per il proprio decoro personale.

Come detto, in questa seconda opera i Rhapsody spaziano con maggiore perizia da un’atmosfera all’altra, giocando con i cambi di ritmo e con sonorità differenti. Così, se Wisdom of the Kings prosegue all’incirca sulle coordinate di Emerald Sword, le cose cambiano con Heroes of the Lost Valleys. È infatti questo il primo momento in cui, dopo un’introduzione bucolica fatta di suoni di ruscelli e di uccellini accompagnati dal clavicembalo e dai flauti di Manuel Staropoli, si entra in una dimensione orrorifica più vicina al Dario Argento di Suspiria che all’high fantasy; e insieme ai sussurri delle anime dei morti fa capolino la voce del narratore, che parla direttamente al protagonista e da il “la” alla poderosa Eternal Glory. Canzone che originariamente dava il titolo al primo demo della band pubblicato nel 1995 e che qui ci consegna i Rhapsody più epici e pomposi, con un Fabio Lione sempre sugli scudi ma non costretto ad arrampicarsi con la voce su note impervie. Con una chiusura circolare il brano termina con lo stesso tema di clavicembalo ricamato sopra i suoni dell’acqua; e di nuovo, dopo la pace di un paesaggio naturalistico (tema ricorrente che andrà a rivestire un ruolo sempre più importante nella poetica della band), subentra un brusco cambio di atmosfera che devia verso quello che è il pezzo più anomalo e complesso fin qui mai composto dal gruppo: Beyond the Gates of Infinity.

Da una nebbia di ululati e di sinistri fischi di vento spunta un giro di tastiera che pare uscito direttamente da Profondo Rosso e che viene a sua volta sostituito da un riff di chitarra che si avvicina (seppur timidamente) al thrash metal. Ancora un cambio schizofrenico di tempo, con un rallentamento e un arpeggio delicato, presto rimpiazzato da una sfuriata power metal e da un coro sardonico e giocato su scale cromatiche. Nella storia una schiera di morti aggredisce il Guerriero di Ghiaccio e intona canti grotteschi che non stonerebbero in un film di Tim Burton; la musica, nella lunga parte strumentale mediana, segue l’andamento del combattimento con rallentamenti esasperati che ben rendono l’idea di uno sprofondamento inesorabile verso la sconfitta, per poi riprendere inaspettatamente vigore e velocità. In questo saliscendi archi, batteria, tastiera e chitarra si inseguono a vicenda, interrotti nuovamente dal coro dei morti prima che la canzone esploda sul finale in un ritornello liberatore che si adagia sulle delicate note di un flauto, in corrispondenza del salvataggio ad opera del drago Tharos, il quale solleva l’eroe in pericolo e lo trasporta in volo lontano dai pericoli che l’hanno quasi sopraffatto.

Dopo la tempesta torna la calma: Wings of Destiny apre una parentesi in cui Alex Staropoli al piano, ma soprattutto Fabio Lione al microfono, possono dare sfogo al loro estro più intimista e toccante, di nuovo allontanandosi dai cliché testosteronici del genere musicale cui appartengono i Rhapsody. In particolare la voce stessa di Fabio in certi passaggi si avvicina al suono di un flauto, con il suo ipnotico vibrato che l’ha resa immediatamente riconoscibile nel mare magno delle migliaia di cantanti metallici del globo terracqueo.

La successiva The Dark Tower of Abyss si apre invece con una intro strumentale guidata dall’insieme di archi, che più avanti si esibirà in una sezione ispirata da Antonio Vivaldi. E di nuovo interviene la voce del narratore a descrivere l’arrivo del demone guardiano della Spada di Smeraldo, contenuta all’interno della torre in questione. Sarà ancora una volta Tharos a salvare il protagonista e a consentirgli di brandire la mitica arma, anche se a prezzo della propria vita.

Si arriva così alla canzone che dà il titolo all’album, la meravigliosa Symphony of Enchanted Lands. La lunga composizione è quanto di più ambizioso i Rhapsody abbiano fin qui prodotto e rimarrà a lungo imbattuta per complessità e qualità di scrittura. Un’opera nell’opera, una lunga suite di oltre tredici minuti di durata suddivisa in vari movimenti (ma quanto a lunghezza delle canzoni i nostri andranno ben oltre in futuro).

Il primo movimento, Tharos Last Flight, è un lamento funebre narrato da Jay Lansford in onore del drago caduto in battaglia. Il secondo, The Hymn of the Warrior, è forse il momento più epico dell’intero disco. In esso organo e voce risuonano in tutta la loro potenza fino al sopraggiungere del coro che irrompe come un’eruzione vulcanica in quello che è il culmine della “cerca”: una gloriosa proclamazione di vittoria da parte del Guerriero di Ghiaccio che ha finalmente conquistato la tanto agognata spada. La voce di Fabio è spinta al limite della sua forza sia in termini di decibel prodotti sia di espressività; nel genere dell’heroic fantasy in musica mi riesce difficile trovare, anche a distanza di ventitré anni, un momento altrettanto esaltante. Merito sicuramente dell’effetto aspettativa che, come nelle migliori saghe, è stato generato da una storia sviluppatasi in più capitoli e che in questo caso ha potuto “montare” per ben due dischi e diciannove canzoni prima di giungere al tanto agognato traguardo; una corda d’arco tirata molto a lungo per un colpo di freccia di sicuro effetto.

Nel terzo movimento, Rex Tremende, l’intera band si diletta in una festa di danze irlandesi, musica classica, un pizzico di Opera (grazie all’intervento dell’affascinante voce barocca di Constanze Vaniyne) e tanto epic metal. Per quanto riguarda la narrazione, a questo punto, non ci sono più eventi da raccontare per l’attuale capitolo della storia, non può esservi nulla dopo la conquista del tesoro e il lutto per uno dei personaggi principali. Nulla se non l’anticipazione di quanto verrà in seguito, nulla se non lo sfogo rabbioso contro il responsabile di tutto il dolore e la sofferenza che si sono abbattute sulle Terre Incantate: vale a dire Akron, il re nero. Il Guerriero di Ghiaccio giura di distruggere l’odioso nemico e sfoga al cielo tutta la sua rabbia.

Il quarto ed ultimo movimento, The Immortal Fire, è una marcia trionfale accompagnata dal suono di flauti e cornamuse e vede il contributo conclusivo del narratore, il quale prende congedo, momentaneo, dal suo pubblico e benedice la cavalcata dell’eroe, il quale deve tornare in fretta e furia a difendere la città di Ancelot sotto assedio, armato del suo nuovo potente talismano.

Ma questa sarà materia per il prossimo album.

In conclusione, Symphony of Enchanted Lands è un disco che resiste alla prova del tempo e che, al netto di una sua certa semplicità contenutistica, fa da trampolino a un pugno di canzoni virtuose e di sicura presa, aiutate nella loro forza comunicativa non tanto da una qualità eccelsa dei testi, ma dalla loro capacità di tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore nel seguire le vicende del protagonista, proprio come succedeva in altre epoche per i feuilleton o romanzi popolari.

Un piacere colpevole che nasconde ben più di qualche passeggera escursione in mondo di fanciullesca evasione, bensì svela una perizia tecnica e compositiva indiscutibile.

Al prossimo capitolo!

 

Silent land erase my thoughts

I wanna lose myself in you, all in you

Caress me and my soul

While i close my eyes

 

Terra silente cancella i miei pensieri

Voglio perdermi in te, tutto in te

Accarezza me e la mia anima

mentre chiudo gli occhi

 

Wings of Destiny

Articolo di Alessandro Zurla

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