Inanna e Ištar sono le due dee più venerate dell’antica Mesopotamia. O meglio, sono “la dea” più venerata, perché il primo è il suo nome sumero, il secondo quello accadico. Continuano entrambe ad affascinare perché non c’è affatto chiarezza sull’origine di questi nomi, o del passaggio da uno all’altro e non c’è una linearità tra tutti i miti che le riguardano. Ad ogni sua manifestazione cambia continuamente ruolo e carattere.
La giovane fanciulla Inanna, una bella ragazza egocentrica e materialista (già cinquemila anni fa!), offre la promessa di una dolce delizia al suo amato. È anche l’adolescente ribelle che può rompere tutti i legami in base al suo umore. Si confronta con varie figure di famiglia (come una classica figlia molto “umana” e poco “divina”): con Anu, il dio dei cieli, nel mito “La cattura di Eanna”, e compete con Enki il dio delle profondità in “Inanna ed Enki”. È la rivale della la sorella maggiore, la regina degli inferi Ereshkigal, come nel mito “La discesa negli inferi di Inanna” (in ogni mitologia che si rispetti ci sono sempre un po’ di discese nell’altro mondo).
Per la mitologia sumerica, quella più antica, era la dea femminile più importante del pantheon: non aveva un ruolo “gestionale” del creato, come Anu ed Enlil, ma, per importanza politica e religiosa, stava subito dopo di loro. Ovviamente la frammentarietà e la varietà dei miti, delle preghiere e dei vari cataloghi astronomici fanno variare questa posizione (ad esempio la ritroviamo figlia del dio della luna accadico Sin). Nella retorica reale, e con ciò intendo il campo delle iscrizioni reali, Inanna/Ištar fa la parte della leonessa: basti pensare che è lei la dea del matrimonio sacro, cioè dell’unione divina (ma molto molto fisica) tra gli uomini e gli dei. Se Enlil portava la corona della regalità al Re, lei innalzava il Re su un piano a metà tra dei e uomini: “Re per amore di Inanna” e “sposo di Inanna” sono comunissimi tra gli epiteti reali, insieme a ottimi canti d’amore pieni di attributi amatoriali della sposa e dello sposo divino. Essere Re e marito della dea non è cosa da poco: il Re mesopotamico (ma non solo quello) è la guida terrena del popolo che deve compiere la volontà degli dei. L’onnipresente (in Mesopotamia) Gilgameš, è uno dei suoi sposi.
Dal punto di vista devozionale, quindi delle preghiere, la dea è una figura un po’ più compassionevole rispetto alle altre divinità del pantheon: come una vera e propria figura materna, fa da tramite tra il padre, il dio, ed i figli, gli uomini. Ma, allo stesso tempo, se in collera, può diventare una sciagura per l’umanità. È pur sempre una dea anche lei.
Volendo fare un parallelo con la Grecia, in lei possiamo notare caratteristiche in comune con Era, Atena e Afrodite.
Inanna compare per la prima volta alla fine del IV millennio come divinità protettrice di Uruk, la prima città post-diluviana: di lei ci parlano resti come un pilastro che doveva essere posto fuori da un tempio ma anche un vaso che raffigura una processione dell’EN, il sacerdote-governatore della città sumera più antica, probabilmente per la festa di capodanno, quella più importante di tutto il mondo mesopotamico. Per definirla venivano usati epiteti come “principessa” principessa nella città di Eridu, dove il dio poliade è Enki e lei è sua figlia, oppure “sera”, “mattina”, etc…si manifestava un po’ ovunque.
A proposito di queste “manifestazioni”. Il loro nome sumero è Me, che indica tutta una serie di “campi d’azione” o “potenze” degli dei in sfere prettamente umane (regalità – nascite – agricoltura – guerra – etc…), che, a prima vista sembrano piccole per un secolarizzato e limitato essere come l’occidentale moderno quale noi purtroppo siamo, proprio perché la secolarizzazione, intesa come rimozione del senso del sacro, limita le nostre facoltà di comprensione ed empatia con il nostro passato, con la nostra Memoria, quindi con ciò che noi siamo e che saremo. Per il mondo sumero invece erano tutto. Purtroppo noi oltre a questo handicap già di per sé immenso, non abbiamo nemmeno un vocabolario idoneo ad avvicinarci al loro linguaggio, ma su questo, almeno, non abbiamo colpe. Sui Me, tornerò con un articolo dedicato.
Mattina e sera invece si riferiscono a quei due momenti nell’arco di otto mesi dove Venere è visibile al mattino e alla sera: dove Venere-Inanna scende negli inferi per poi uscirne. Tra questi due periodi, quando è più vicino alla Terra (congiunzione inferiore), il pianeta è invisibile per circa tre giorni durante l’inverno e circa due settimane in estate e nel suo punto più lontano dalla Terra (superiore congiunzione). Ora sappiamo quanto dura la sua discesa nel mito.
Un altro epiteto comune è KUR, che significa montagna, spesso come ninkur-kur-ra “Signora di (tutte) le terre”: Inanna nel suo aspetto di dominio politico su il mondo abitato.
Nel III millennio, periodo ancora fortemente sumero, benchè la fine di quel mondo si stia lentamente compiendo, Inanna diventa anche una guerriera Inanna-ur-sag “Inanna è una guerriera” e poi “Signora della Battaglia”. Ed è proprio qui che compare Ištar. Dea di Akkad, la mitica città del primo impero della storia fondato da Sargon, è Ashtar Annunitum, la “dama della battaglia”. L’impero accadico è semitico, ma le due culture vivevano l’una accanto all’altra già da secoli, rafforzando l’idea che le due dee siano una e una sola. La figlia di Sargon il Grande, Enḫeduanna, che fu sacerdotessa di Nanna (dio della luna sumerico), la prima poetessa della storia ci ha tramandato vari poemi su Inanna, di cui, il più famoso è, “Esaltazione di Inanna”: qui la dea è in ogni aspetto (“Me”) della vita umana, che sia bello o brutto, positivo o negativo, sessuale, guerriero, regale, etc…lei c’è: “Signora di tutti i Me” (nin-me-šar2-ra) al primo verso.
Nel ciclo eroico di Uruk, di epoca neo-sumerica (Ur III, quindi fine III millennio), c’è una poesia che racconta il conflitto tra Enmerkar di Uruk e Ensuhkeshdanna di Aratta, su chi fosse il più amato dalla dea. Enmerkar vincerà ed il perdente lo presenterà con queste parole:
Tu sei il signore amato da Inanna, tu da solo sei innalzato. Inanna ha veramente scelto te
per il suo sacro grembo, solo tu sei il suo amato. Dal sud fino alle terre alte, tu
sei il grande signore, ed io sono secondo solo a te.
“Signore amato da Inanna”, proprio nei re neo-sumeri abbiamo molte titolature regali con “sposo di Inanna”. La dea nel periodo sargonico è invocata nelle preghiere e negli incantesimi d’amore: il tema mitico-religioso, l’amore tra una giovane Inanna ed il dio Dumuzi, il dio pastore di animali ma soprattutto di popoli, altro comune titolo regale, condiviso da Jahvè e da molti capi ebraici dell’Antico Testamento. Pastore di popoli perché era anche un re antidiluviano della città di Bad-Tibira.
Queste composizioni ritraggono Inanna come una giovane donna, con il suo amore appassionato ed il suo desiderio sessuale per il suo amato. L’ambientazione temporale della poesia è al tramonto o più tardi, quando è passato il giorno e la notte è giunta insieme al tempo degli innamorati, assieme all’apparizione di Inanna nel cielo notturno. Il mito finirà in tragedia, tragedia che sarà poi rimaneggiata facendo sì che il dio si sacrifichi negli inferi per salvare l’amata, lasciandosi ghermire dai demoni infernali e permettere a lei di tornare nel mondo dei vivi (questa sì che è cavalleria, altro che Lancillotto, Ivain, Artù o Galvano).
Dal II millennio in poi Inanna/Ištar è ovunque: in quasi ogni città abbiamo un suo tempio. Saranno ancora divisi in templi (e culti) di una o dell’altra, solo dal I si vedrà più Ištar. Al tema del matrimonio sacro, che viene un po’ più a mancare (anche se risalgono a questo periodo le descrizioni meglio conservate dell’unione tra i re e la dea), si affianca in crescendo quello della divinità guerriera protettrice, più Atena che Era. Aumentano anche le preghiere e gli inni che parlano delle sue sfuriate contro l’umanità. Sarà sempre meno dea del matrimonio in-toto, ma rimane dea del sesso e patrona di spose e prostitute. Sarà anche bisessuale, come cita questo simpatico inno:
Quando siedo nella birreria, sono una donna, esuberate come un giovane uomo
Quando c’è un litigio, sono una donna, una figura perfetta,
Quando siedo alle porte di una taverna, sono una prostituta che ha familiarità con i membri,
la compagna di un uomo e l’amica di una donna.
Nel I millennio il pantheon locale babilonese inizia a perdere la sua varietà e spesso troviamo un po’ di confusione nei titoli regali. Basti pensare che si trovano in molte città dee che sono “Signora” (belṭu) o “Regina” (šarratum). A Nippur, Ištar è la regina mentre di Gula è la Signora. A Uruk, Nanaya era “Regina di Uruk” mentre Ištar era adorata come la “Signora di Uruk”. Ištar è ancora venerata come “Regina di Sippar” e “Regina di Larsa”. A Babilonia, c’è il meglio del meglio: Ištar era conosciuta, sin dalle sue prime comparse in fonti scritte come “Ištar-di-Babilonia” o “Signora di Babilonia” e persino “regina di Babilonia” ma, allo stesso tempo, sappiamo che il dio di Babilonia nel I millennio è Marduk, che ha per sposa Ṡarpanitum, anch’essa “Signora di Babilonia” o “Regina dell’Esagila”. Oltretutto, uno dei monumenti più famosi della città è proprio la Porta di Ištar, una delle grandi meraviglie del mondo antico, passaggio monumentale della processione di capodanno.
Esiste un altro poema che racconta di un adulterio con Marduk, che interpreta il ruolo dell’amante, e Ṡarpanitum, alla quale non resta che il ruolo della moglie offesa che insulta il suo rivale nel modo più offensivo possibile. Ištar-di-Babilonia invece è la donna seducente che ostenta la sua attrazione sessuale verso l’amante. Un’ipotesi è che questo mito faccia da retroscena per una serie riti sull’amore coniugale.
Ištar a Babilonia ha il suo tempio principale, l’Eturkalamma, dove era la Signora di Babilonia, insieme a molti altri templi secondari dei quali solo uno, fin’ora, è stato fisicamente trovato: l’Emashdari, dedicato a “Ištar di Akkad” da parte di Nabonido, l’ultimo Re Babilonese della Storia. Questa era la dedica:
A Ištar, la suprema, l’amata dagli dei, la valorosa,
Inanna, dea della battaglia, campionessa dei duelli,
radiante, Signora della creazione, l’esaltata tra gli Igigi,
grande tra gli Annunaki, colei che porta soggezione,
la Signora la cui aura copre i cieli,
i cui raggi colpiscono la terra intera,
Ištar di Akkad, Signora della battaglia, colei che incita al combattimento,
colei che giace nell’Emashdari,
nel centro di Babilonia, la mia Signora.
Ištar nel primo millennio sarà ancora invocata nelle preghiere per ogni sorta di vicenda umana, sia per benedire che per maledire, ed addirittura in testi mantici. La magia, arte molto apprezzata in Mesopotamia, la vedeva egualmente distribuita sia in incantesimi di amore che di potenza. La confusione templare, di chiara derivazione politica, mutava molto lentamente le necessità spirituali del popolo, tradizionalmente più legato alla divinità in sé che alle modifiche teologiche apportate da un clero di norma lontano dalla vita reale dei bassifondi delle città, delle campagne coltivate e dalle steppe piene delle classiche tribù seminomadi della zona.
Infiniti epiteti, campi d’azione sterminati, numerosi amanti, diversi nomi, ma una sola ed unica dea, la Regina di Babilonia, quasi una Galadriel ante litteram “bellissima come l’alba, infida come il mare, più forte delle fondamenta della terra”, che tutti hanno amato, disperandosi.
Daniele Granero
La conoscenza di miti e della storia ci liberebbe dell’assordante e anche parecchio razzista femminismo di Stato svedese.