La storia di un mondo svanito, questa è l’era Hyboriana.
L’importanza della letteratura fantastica sta nella sua ambientazione, nel suo setting. Perché la realtà non è rigettata dallo scrittore fantasy, è bensì ampliata, approfondita, resa immortale tramite l’immaginazione. Essa è la facoltà prima che sta alla base del romanzo fantastico.
Tuttavia, ci sono svariati aspetti del worldbuilding della fantasy che vanno approfonditi, diversi autori, divenuti iconici e non, da vagliare. Quello che intendo porre all’attenzione del lettore in questo scritto è l’idea di Robert E. Howard di ambientare il ciclo di Conan il Cimmero in un mondo immaginato, ma anche realmente esistito nel medesimo istante. O megli: non ci è dato saperlo.
Non ci sono le prove dell’esistenza dell’era Hyboriana, né tanto meno testimonianze antecedenti ad una determinata data della civiltà umana in quanto tale. E Howard ci parla soprattutto di barbarie, non di civiltà. Parla di un mondo umano, puro dal male della civiltà moderna. Altri autori come William Morris e J.R.R. Tolkien trattano questo tema, ma in modi meno espliciti e diversi da Howard.
Un mondo umano vuol dire anche un mondo violento, per nulla giusto. Conan vive più che altro in un mondo libero, con tutte le conseguenze che la libertà porta con sé, anche negative.
Vi è però in esso un senso di aria pura, di ampio respiro, di templi e leggende perse nel tempo; la sensazione di esperire cosa sia l’infinito come lo intendeva lo Spirito del Romanticismo tedesco, ma ancora di più. Non si tratta di un’epoca d’oro, come John Keats, nei suoi poemi e scritti fa coincidere con la mitica età dell’oro della cultura greca della poesia pastorale.
Si tratta di un mondo svanito. Una terra dove, per un battito di ciglia nel tempo cosmico, gli uomini hanno vissuto, con tutto ciò che sta a significare dietro quella parola.
Vivere.
Cosa significa nell’era Hyboriana? Cosa significa nella mente dell’autore? Perchè questo preferire la barbarie alla civiltà, perchè quest’anelito di libertà, come qualcuno che non possa farne a meno?
Del resto, si potrebbe tranquillamente riporre la fiducia in un costrutto esteriore, un’istituzione, o una religione, un qualsiasi dio. E invece no, Howard sceglie la barbarie, il mondo della possibilità, la storia di un mondo che non c’è più.
Conan crede in un solo dio, che non dispensa doni agli uomini: egli è Crom, e sta su di una montagna, luogo archetipico dove risiede la sapienza e la connessione mistica col divino. Però, questo apparentemente distaccato e malvagio Crom, che non da mai niente agli uomini e anzi li considera deboli e indegni delle sue attenzioni, ha fatto un unico importantissimo dono all’umanità, il coraggio. Tutto il ciclo di Conan il Cimmero e di conseguenza l’ambientazione in cui è immerso, che è simbolicamente un’espansione dell’eroe / anti – eroe stesso, si può leggere secondo il valore del coraggio. La libertà e il coraggio vengono quindi a coincidere, nella saga di Conan di Robert E. Howard.
L’era Hyboriana è collocata all’alba della storia scritta. La parola “hyboriana” deriva dal dio nordico Bori. Howard stesso lo riporta nel suo saggio pseudo-storico, “The Hyborian Age”, contenente l’evoluzione immaginaria delle varie civiltà in questo periodo di tempo, volto a creare un contesto coerente e realistico in cui far muovere i suoi personaggi.
Si comincia dai fondamenti del mito.
A causa di un cataclisma che ne causò l’inabissamento scompaiono le civiltà di Atlantide e Lemuria, riprese in moltissime opere, a partire la prima dal mito platonico. I superstiti di Atlantide, così come quelli del popolo barbarico dei Pitti (le cui isole erano divenute una catena montuosa, spazzando via la loro civiltà) si ritrovano in lotta, mentre i superstiti dei lemuriani vengono schiavizzati. Le guerre tra i vari gruppi, uniti a un secondo cataclisma, distruggono poi quel poco di civiltà che si era precedentemente salvato, facendo regredire molti di quei popoli all’età della pietra.
Da qui parte la laboriosa e lenta rinascita della civiltà, che, nell’arco di alcuni millenni, grazie a flussi migratori, guerre e schiavitù di interi popoli, si espande in tutta l’area presa in considerazione, portando alla nascita di stati derivanti dalle popolazioni hyboriana nel nord e ovest, e all’espansione dei nuovamente liberi discendenti dei lemuriani nel sud e nell’est.
Relativamente a quel periodo, Howard descrive i primevi Imperi di Acheron e Stigia stendersi su tutto il mondo allora conosciuto. Ma da territori che coincidono con l’Iperborea dell’immaginazione della Grecia antica, mosse loro contro una popolazione di discendenti dei Valusiani, sottomettendo i due popoli.
Gli Hyboriani, poco più che Neanderthaliani – e spesso nell’heroic fantasy più classico troviamo personaggi con fattezze simili – calarono da Settentrione e sotto i loro colpi i due regni caddero. I discendenti degli abitanti di Atlantide, regrediti allo stato di uomini primitivi e poi di nuovo evoluti, i Cimmeri, mossero poi da Nord e colonizzarono le terre dell’attuale Nord Europa.
Si tratta dunque quindi di un mondo sì successivo alla caduta di Atlantide, ma ben antecedente alle grandi civiltà Egizie, Sumera, Babilonese e Greca antica.
E’ una preistoria immaginata. Ciò esula un po’ dagli schemi a cui noi contemporanei siamo stati abituati dalla fantasy. Quando si pensa al fantastico, ci s’immagina sovente un mondo completamente alternativo e diverso rispetto a quello in cui viviamo. Certo, con elementi magari che si rifanno alla storia medievale o greco-romana, ma non qualcosa che si trova tra le nebbie del tempo, tra le pieghe dei secoli e delle ere. Questo apre una prospettiva verso un oltre. E anche il regno di Melnibonè di Michael Moorcock è ambientato in una sorta di periodo storico antichissimo, ancestrale.
Nel prosieguo delle sue pseudocronache, Howard riferisce poi come i discendenti di Lemuria, a loro volta, fondarono i regni hyrcaniani e i regni di Stigia, Shem e Zembabwei. Una nota di colore è che la zona del Mediterraneo, nella rappresentazione del mondo secondo Howard che riprende precise ricostruzioni geologiche, è completamente prosciugata, non vi è l’omonimo mare, altrove ambientazione per eccellenza delle avventure e delle epopee della cultura antica.
Gli Hyboriani fondarono poi i regni di Aquilonia, Nemedia, Ophir, Koth, Zingara, Koraja, Kauran, Corinthia e Brythunia. Dopo essersi mescolate con gli indigeni locali, queste popolazioni divennero le une diverse dalle altre, tranne gli abitanti di Gunderland (una regione dell’ Aquilonia) che conservano, ancora all’era di Conan, caratteri come i capelli rossi e gli occhi grigi, essendo la popolazione Hyboriana più pura.
Il lavoro d’immaginazione c’è, e la creatività è evidente, ma andando oltre, analizzando il tutto con un occhio interiore e profondo possiamo notare come non si tratti solo della glorificazione di un’epoca passata, quindi di nostalgia, o di fuga dalla realtà, e quindi nichilismo, in un certo senso. Si tratta di un processo vitale fondamentale per l’esistenza dell’uomo in quanto tale. Nella nostra mente possiamo creare infiniti mondi e distruggerli, ricrearne di nuovi e vedere nascere e sorgere imperi e mondi al crepuscolo, come avviene nel ciclo di Zothique o di Xiccarph di C. A. Smith. Nell’arte letteraria fantastica vi è la possibilità di accedere a ciò che agli uomini è normalmente precluso, il sapore della terra, l’odore dell’eternità.
Robert E. Howard era fiero delle sue radici celtiche – ne è testimone il ciclo Celta dedicato al personaggio Bran Mak Morn – e in corrispondenze e lettere private spesso affermava riguardo a battaglie della storia antica “Io lo so, io c’ero”. Quasi un rifarsi appunto alla dottrina celtica e druidica della trasmigrazione dell’anima dopo la morte, simile alle orfica e pitagorica metempsicosi. Vi sono, nell’era Hyboriana, diversi riferimenti etimologici e folkloristici che si rifanno a civiltà realmente esistite. Acheron è un regno che corrisponderebbe all’Impero Romano, per vastità e per potenza, caduto molti anni prima della nascita di Conan. L’Alfghulistan ricorda chiaramente l’Afghanistan. La Corinthia è uno stato sudorientale che si ispira alla città di Corinto, e ha le caratteristiche socio – culturali della Grecia classica. L’Ircania era un’antica satrapia dell’impero Persiano il cui nome significa “terra dei lupi” situata a sud – est del mar Caspio, famosa per essere dimora di stregoni, lupi, demoni, streghe e vampiri, nelle leggende iraniane.
Il Khitai ricorda il Catai, ovvero la Cina. Zingara è un regno marittimo sudoccidentale, corrispondente alla penisola iberica. La Stigia è una regione a sud di Shem, attraversata dal fiume Styx, di ispirazione egizia. Il nome deriva dallo Stige, un fiume dell’oltretomba nella mitologia greca.
Nel passato dell’ambientazione, la Stigia era una nazione più estesa e includeva anche i regni di Shem, Ophir, Corinthia e parte di Koth. La Stigia è governata da una teocrazia di re-stregoni, e la sua gente ha la pelle scura. La maggior parte delle persone comuni sono discendenti delle varie razze in tutto il mondo. Adorano il dio serpente. Il territorio di Stigia è un misto di montagne, deserti, pianure e paludi. Insomma, i riferimenti a dati reali sono innumerevoli nell’opera di Robert E. Howard, e ciò che rende unica.
L’era Hyboriana non è quindi per niente svanita, anzi: nonostante sia un’invenzione fantastica di come poteva essere il mondo all’alba della storia scritta, ciò le conferisce ancora di più concretezza, fisicità, potenza scenografica. Eppure ci si aspetterebbe da qualcosa d’immaginario e fantastico un certo clima etereo, un’atmosfera a metà tra il visibile e ciò che non si vede. Qualcosa di simile lo fece Tolkien, con la Terra di Mezzo, in cui mescola il divino con il terreno, secondo i dettami della tradizione mitologica norrena e bretone.
Le avventure di Conan il barbaro si svolgono invece in un mondo molto concreto nella sua libertà e spontaneità d’essere. E’ un’estensione di Conan stesso, selvaggio, libero, a volte fin troppo, ma che rappresenta e riassume in sé lo spirito che permea le terre dell’era Hyboriana, ciò che il suo autore definisce barbarie, ma che io accosterei quasi a qualcosa di puro, innocente. Una innocenza che si rinnova nella giovinezza di ogni uomo. Forse è questo che intendeva Howard, descriverci, portarci dentro un mondo giovane, non ancora corrotto dai compromessi, dalla miseria spirituale, dalla mancanza d’entusiasmo, dalle angherie della società adulta, della vita inserita in un mondo che, afferma l’autore, è corrotto dalla civiltà.
Ricordiamo che Robert E. Howard viveva in un’epoca storica ancora molto legata al puritanesimo di matrice inglese e a un tipo di rigidità, anche nei costumi e nelle faccende della vita privata, che oggi giudicheremmo eccessiva e quasi medievale, nel senso di retrograda, antiquata, stantia, superata. La civiltà, nella visione howardiana, ha ucciso gli dèi e il folklore.
Nella realizzazione del worldbuilding dell’era Hyboriana a ogni popolo sono assegnate usanze specifiche, i suoi dèi, la sua identità, il suo volk inteso in senso Romantico tedesco ottocentesco. Sono radici che servono per piantare bene i piedi per terra e per crescere fino al cielo. E’ un mondo vario, ricco di particolari, dipinto da tutta la tavolozza dei colori che un pittore potrebbe usare, è un mondo quasi folle, quello di Conan e di Howard. E’ brutale, è selvaggio, ma non è grigio, è vivo, violento quanto la vita sa essere talvolta, ma anche splendente nelle sue caratteristiche più ancestrali e misticheggianti.
Robert E. Howard non ci parla di un mondo svanito, bensì, di un mondo giovane, di un mondo vitale, all’alba della storia scritta.