Sulle tracce della phiale aurea di Caltavuturo

Diramare con chiarezza le discendenze storiche, in Sicilia, può essere davvero arduo: Fenici, Greci, Romani, Arabi, Normanni… La lista è davvero lungo e le tradizioni si intrecciano in un arazzo che attinge dall’intero bacino mediterraneo.

Storie sepolte, ritrovate. Raccontate.

Terravecchia

Questa storia inizia nel borgo di Caltavuturo.

Siamo ai margini del Parco Naturale delle Madonie, nell’entroterra palermitano. Le case sono un susseguirsi regolare di tetti allineati intorno all’ansa della strada principale del paese. Il nome Caltavuturo, ostico da pronunciare per chi non è del luogo, può ascriversi all’arabo Qa’lat Abi Tawr ovvero Rocca di Abi-Thur in riferimento al comandante saraceno che dominò la zona durante la conquista araba. Mi guardo intorno; dell’antico insediamento medievale rimangono soltanto pochi ruderi: mura perimetrali, tre torri, la vecchia chiesa di San Bartolomeo.

Vista di Caltavuturo: a destra la Rocca di Sciara, sulla sinistra Terravecchia.

Raggiungere Terravecchia è stata appena una passeggiata.

Dalla terrazza rocciosa è un colpo d’occhio. Il paese davanti a noi, le prime case a ridosso degli antichi ovili in pietra che da queste parti chiamano ‘Mannari’ [1]. Sembra di vivere uno scorcio sottratto allo scorrere del tempo. Il caldo ha svuotato le strade di Caltavuturo. Anche Terravecchia è silenziosa, abbandonata ormai dai suoi pastori, e mostra con indifferenza le sue pietre al sole cocente di luglio. Ne approfitto per scattare una foto da condividere sui social mentre Giuseppina si sventola con un opuscolo informativo che ha raccolto lungo la via.

È stata lei a portarmi qui.

Giuseppina vive in un paese a pochi chilometri da Caltavuturo ma conosce bene le tradizioni del posto. Secondo un’etimologia alternativa, mi spiega, il nome si riferisce alla parola araba Kalaat (rocca) e da quella siciliana Vuturu (avvoltoio), riallacciandosi alla tradizione romana che designava la montagna che domina Caltavuturo con il nome di Mons Vulturis (Rocca dell’Avvoltoio), a sua volta mutuato dal toponimo greco Oros Torgion (Monte dove nidificano gli avvoltoi) [2].

L’accenno alla montagna ci fa alzare gli occhi.

La Rocca di Sciara domina il paesaggio, è il rilievo più alto dei dintorni. Oltre la sua sagoma scorgo il le alte Madonie che svettano in lontananza, ancora più maestose, sfocate dalla caligine estiva. Nel cielo terso, tuttavia, non si vede alcun avvoltoio. Rimango contrariato da questa evidenza, Giuseppina se ne accorge e sorride. Quando alla fine scendiamo mi dice che ha un’altra storia da raccontarmi. Sono incuriosito di sapere di cosa si tratta.

E così, davanti a una birra fresca, famelico, ascolto l’intera storia della Phiale Aurea.

Monte Riparato

Quella della Phiale è una vicenda che richiama alla memoria reminiscenze a metà fra un film di indiana Jones e le fotografie anni ’20 che mostrano il celeberrimo archeologo Howard Carter in bella mostra davanti al tesoro di Tutankhamon.

È il 1980, e sulla rivista Kalòs esce l’articolo di Lucia Ferruzza che descrive il rinvenimento di una coppa in oro sul sito di Monte Riparato, nel territorio di Caltavuturo, duranti i lavori per la costruzione di un pilone della linea elettrica [3].

Phiale Aurea di Caltavuturo

Il reperto è un esemplare di Phiale Mesomphalos la cui funzione, attestata nel mondo greco, è legata alla ritualistica religiosa e, in particolare, alle offerte e alle libagioni per la divinità. Le Phialai vengono citate da Aristotele e da Polluce, rappresentate sulle pitture vascolari; possono essere realizzate in ceramica o in metallo o, come nel caso della Phiale di Caltavuturo, divenire veri e propri esempi di alta oreficeria degne del tesoro di un tempio.

img-9-small580

Il piatto ha un diametro di 22 cm e raggiunge il peso di 982,4 g. La sua superficie è interamente decorata a sbalzo su quattro fasce concentriche. L’iscrizione in greco punzonata sul bordo esterno lascia supporre che la Phiale sia stata dedicata dal damarco Achyrio (secondo un’altra interpretazione proposta, da Damarco figlio di Achyrio). Seguono la parola chrysoi (oro) e tre lettere che rappresentano il numero 115 secondo la notazione propria della Sicilia Occidentale [4-5].

Figura maschile che regge una Phiale, vaso attico ca 480 a.C.

Rimango affascinato dall’unicità della Phiale, dalla vicenda – del tutto casuale – che ne portò al rinvenimento. Anche Giuseppina condivide il mio entusiasmo sull’argomento. Insieme, decidiamo di continuare il nostro viaggio sulle tracce della Phiale: la prossima meta è Monte Riparato dove la tradizione, pur nella sua scarna documentazione, colloca il rinvenimento della Phiale.

L’escursione è organizzata da Tommaso, guida turistica e presidente dell’Associazione Identità Madonita [6]. La sua Land Rover è iconica, giallo oro e solida. Tommaso conosce la montagna, ci svela i segreti dei suoi sentieri mentre rallenta per farci godere lo scorcio della natura incontaminata. Poi torna a ingranare la marcia e noi udiamo a stento le sue spiegazioni. Percorriamo una decina di chilometri, quanto basta per farci dimenticare Caltavuturo alle nostre spalle.

img-2-small580

Scendiamo in una radura sul versante settentrionale di Monte Riparato e lasciamo che lo sguardo spazi sul corso del fiume Himera, sulla valle oggi attraversata dall’autostrada A19 che dalle Madonie giunge sulla riviera tirrenica. Ho la sensazione di una storia che si ripete. La valle dell’Himera settentrionale è stato uno snodo logistico sin dall’antichità: l’attestazione di un abitato di epoca ellenistica testimonia la posizione strategica fra la costa e l’entroterra dell’isola; sempre in quest’area, a settembre 2020, è stata riportata alla luce un tratto della via Catina-Thermae, una delle più importanti strade della Sicilia romana che metteva in comunicazione le attuali città di Catania e Termini Imerese [7-8].

Vista da Monte Riparato in direzione della valle dell’Himera Settentrionale

Proseguiamo a piedi all’interno dell’area archeologica, in direzione di Pizzo S. Angelo. Attorno a noi emergono le vestigia di un abitato databile fra il IV e il II sec. a.C., identificabile forse con l’antica Ambica ricordata da Diodoro Siculo [4]. Un pavimento a mosaico ombreggiato dagli alberi, i resti di una strada acciottolata che si arrampica fin quasi la cima del monte, alcuni ambienti individuati come botteghe. Immagino le espressioni di stupore sul volto degli operai che ripuliscono dal terriccio le decorazioni della Phiale appena dissotterrata.

Qual è la provenienza della Phiale? In realtà, l’iscrizione greca ne attesta soltanto il passaggio nella Sicilia Occidentale fra il V e il III sec. a.C. ma nulla prova che sia stata prodotta qui. Un dato curioso è l’esistenza di una Phiale ‘gemella’ a quella rinvenuta a Caltavuturo, oggi esposta al Metropolitan Museum di New York [3]. Che siano greche, magno-greco o sicelioti la questione dell’officina di produzione rimane una questione aperta. Non è trascurabile, tuttavia, il rinvenimento di altre Phialai nel mondo ellenistico, in particolare in Tracia, dove è ben documentato il luogo della scoperta [4-9-10]. È ormai il tramonto quando rientriamo a Caltavuturo, soddisfatti, con la polvere del sentiero ancora attaccata alle scarpe.

Medito sullo strano destino della Phiale.

Subito dopo la scoperta, la preziosa coppa passa di mano in mano fra i collezionisti privati dell’isola; nel 1989 il Prof. G. Manganaro, che ebbe modo di vederla personalmente, ne fornisce una documentazione fotografica e una prima interpretazione. In pochi anni la Phiale fa perdere nuovamente le proprie tracce: nel 1991, trafugata clandestinamente dalla Sicilia, giunge in Svizzera per poi volare a New York, accompagnata da false bolle doganali. Il nuovo proprietario è il miliardario Michel Steinhardt che l’ha acquistata per un milione e duecentomila dollari [3].

La Phiale d’oro conservata al Metropolitan Museum di New York, un reperto ‘gemello’ alla coppa di Caltavuturo.

Himera

Alle mie spalle passa un’auto, la strada statale è poco trafficata. C’è un ristorante con le imposte ancora chiuse, è ancora presto per l’apertura serale e il parcheggio è vuoto. A pochi passi dalla stazione dismessa di Buonfornello sorge il Tempio della Vittoria, costruito nell’antica colonia di Himera per commemorare la sconfitta inflitta dall’alleanza delle città greche di Agrigento e Siracusa contro l’esercito cartaginese guidato da Amilcare. Il sito è silenzioso, si nota appena in mezzo al traffico del vicino svincolo autostradale. Ormai Himera è una città che appartiene al passato: dopo la sua distruzione per mano dei cartaginesi, i nuovi coloni greci si spostarono più a occidente, popolando l’odierna città di Termini Imerese.

Resti del Tempio della Vittoria presso l’antico sito di Himera.

Abbiamo visitato il tempio e il museo Pirro Marconi, inaugurato nel 2016 e dedicato all’archeologo che portò alla luce il Tempio della Vittoria, ma la nostra meta qui è un’altra. Risaliamo a piedi il percorso fin sulla sommità della collina, in mezzo ai resti della Città Alta sorge l’antiquarium di Himera. Un cane solleva il muso osservando con attenzione il nostro passaggio.

Giuseppina mi riassume gli atti conclusivi della storia della Phiale [3].

Nel 1995 la procura di Termini Imerese, muovendosi fra le maglie del diritto internazionale, avanza una rogatoria alle autorità di New York, chiedendo la restituzione della coppa allo Stato Italiano. Alle indagini segue la perizia attestante il valore e l’originalità del reperto, che viene messo sotto sequestro dalle autorità per illeciti doganali a Steinhard. Infine, nel 2000, la Corte Suprema di New York rende esecutiva la sentenza di restituzione.

La Phiale rientra in Italia e termina il suo lungo viaggio a Himera.

Con una certa emozione mi appresto davanti la bacheca che occupa il centro di una piccola sala dalle pareti nere. Un cartello riprende la storia del reperto ma noi lo ignoriamo, abbiamo occhi solo per lei, per le decorazioni in oro esaltate dall’illuminazione della stanza. Mi chiedo quante persone, nel corso di oltre due millenni, l’abbiano sollevata; quante offerte siano state dedicate agli Dei e se, quegli stessi Dei, abbiano ascoltato le parole dei supplici raccolti in preghiera. Affascinante, muta testimone di mille vicende, la Phiale continua a custodire i propri segreti, a raccontare una pagina di Storia omaggiando la terra che l’ha restituita alle mani dell’umanità.

Ti è piaciuto l’articolo? Rimaniamo in contatto: seguimi su Instagram @giuseppe.cerniglia.

Ringraziamenti

Per la stesura di questo articolo è stato fondamentale il contributo di Giuseppina Geraci e Tommaso Muscarella, la cui passione per il territorio rimane una grande lezione di vita.

Riuscite a indovinare chi sono quei due riflessi sulla bacheca della Phiale? 🙂

Note

[1] https://www.typicalsicily.it/sicilia/Elenco/comune-della-sicilia-caltavuturo/

[2] Meli, F., Una Passeggiata a Terravecchia di Caltavuturo, pubblicato in letsdigagain.it

[3] Spataro F., Vassallo S., La Phiale Aurea di Caltavuturo, Assessorato regionale dei beni culturali ambientali e della pubblica istruzione, Palermo (2005).

[4] Guzzo,P.G., Spatafora, F. Vassallo,S. Una phiale d’oro iscritta dall’entroterra di Himera. Dalla Sicilia a New York, e ritorno, pubblicato in juornals.openedition.org (2010).

[5] Il valore numerico, moltiplicato per lo standard dello statere, restituisce il peso della Phiale. L’emissione dello statere, in realtà, non corrisponde a un peso univoco: a seconda del riferimento storico, il peso oscilla fra 8,44g e 8,79g. La media risulta proprio nell’intorno delle 115 unità riportate sulla Phiale. L’unica deviazione rilevante del peso standard è lo statere battuto da Tolomeo Sotere, corripondente a 17,85g (Guzzo,P.G., Spatafora, F. Vassallo,S.).

[6] http://www.identitamadonita.it/index.html

[7] Crescimanno, L.M., Sulle Orme delle Legioni Romane, pubblicato in Gattopardo.it

[8] Il valore della scoperta è da mettere in relazione con il fatto che l’antica via era conosciuta soltanto tramite la cartografia antica della Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriniana (Crescimanno).

[9] A differenza di quella di Caltavuturo, la Phiale esposta a New York ha un’incisione a caratteri punici. È verosimile supporre che anche questa coppa sia circolata in Sicilia.

[10] Per un elenco di Phialai in oro con relativa analisi comparata delle tecniche di decorazione si veda Guzzo,P.G., Spatafora, F. Vassallo,S.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: