«Era il tempo della guerra. Il tempo in cui la vita o la morte erano stabilite da una sottile lama di metallo. Re Guglielmo I cavalcava alla testa del più grande esercito che mai avesse calpestato le terre del regno. Gli uomini delle montagne erano scesi da oriente, da occidente venivano i cavalieri delle sterminate pianure, uniti per combattere il pericolo che minacciava il regno: gli orchi…»
«Per favore, fatelo tacere!» sbraito. La maledetta serratura non si apre e nessuno dei passepartout sembra funzionare, e quel maledetto bardo mi ha rotto le palle. Cambio posizione perché le ginocchia mi fanno male, ma sto ben attenta a coprire l’area di lavoro; non devono capire che non riuscirò ad aprire la porta.
Il bardo fa un verso di disappunto e si mette in disparte, e non me ne dispiaccio.
«Ce la fai?» mi chiede Rupert sporgendosi con la testa da dietro per vedere.
«Qualcosa non quadra» dico senza voltarmi. Sono sudata su tutto il collo, lascio che le gocce mi colino sulla schiena facendomi il solletico. Lavoro con entrambe le mani: una tiene la lametta, l’altra infila le pinze nella serratura. Le muovo a caso in modo che sembri che sappia cosa sto facendo. E predo tempo: metto la mano nella borsa.
«Ho disinnescato una trappola» annuncio, e mostro un ago. «Ma la serratura è bloccata da una magia.» Mi volto e mi alzo in piedi, e finalmente posso stirarmi la schiena.
Rupert mi fissa senza muoversi. È infilato in una tunica troppo larga e ha il volto coperto da un cappuccio. Per quanto ne so, potrebbe essere un ragazzino, oppure un vecchio bavoso. Ho visto come mi guardava il culo quando ero accucciata. Nero, il guerriero, poco indietro, è appoggiato alla parete di pietra del corridoio con le braccia conserte. Ha la faccia da stupido, anche se non importa a nessuno della sua intelligenza. Lui è quello che deve picchiare forte, e i muscoli li ha in bella mostra: emergono dall’armatura di cuoio. Così come emerge anche una pancetta che lui si ostina a nascondere trattenendo il respiro ogni volta che lo fisso. Sospetto che ami molto la birra della locanda del Riccio Nudo. Ancora più indietro c’è il Guaritore. Si è seduto su una panca di pietra, insieme al suo grasso, appena siamo entrati e si è appoggiato al martello con il gomito. È talmente lucido, quel martello, che sembra uscito dalla fucina l’altro giorno. Porta un simbolo che non ho mai visto: un albero con sopra un disco, o qualcosa di simile. Una divinità di cui non ho mai sentito parlare. E ancora più indietro c’è il bardo. Si è messo a scrivere con la penna d’oca su dei fogli di pergamena.
«Volete sentire come prosegue?» chiede.
«No» rispondiamo all’unisono.
«Sei sicura di averla disinnescata?» mi chiede Rupert. Lui, il mago, è quello che potrebbe darmi più problemi; potrebbe accorgersi di quanto sia imbranata con le serrature; mi osserva, mi scruta, sembra che sappia che non riuscirò ad aprire la porta. Si avvicina e si china per osservare meglio. Mi incalza. «Mi sembra che tu, l’ago, l’abbia preso dalla borsa.»
«Certo. L’avevo disinnescata subito.» Continuo a sudare, e non è certo la fatica fisica. Il corridoio dove siamo si trova sottoterra, ci saranno quindici gradi. Ma il mago insiste: ecco un altro spacca palle.
«Io non percepisco alcun incantesimo sulla serratura.»
«Sarà sull’intera porta.»
«Nemmeno lì.»
Mi faccio da parte. «Questo è un lavoro per te. Io non so niente di magia e il mio l’ho fatto. Non voglio mica prendermi una palla di fuoco in faccia solo perché tu non hai voglia di muovere le mani.»
«Eppure il pericolo non giungeva solo dall’esterno del Regno» riprende a blaterare il bardo. Si è avvicinato di nuovo e declama. Con una mano regge i fogli, l’altra, con il palmo aperto, è tesa verso l’alto. «I migliori guerrieri, i più grandi maghi, gli assassini, i guaritori, tutti erano partiti per la guerra, nessuno escluso. Erano stati chiamati da Re Guglielmo I…»
«Con questo intendi che sono rimaste solo le mezze calzette?» chiede il guaritore. Nemmeno si alza dalla panchina. Non si è ancora ripreso dai dieci gradini fatti per scendere fino a qua.
Fissiamo il bardo, ma non c’è bisogno di rispondere. Se il consiglio cittadino ha affidato questo lavoro a noi, significa che hanno raschiato il fondo del barile.
Il bardo deglutisce. «Io ho il potere di rendervi immortali…»
«A me basta aprire questa porta e recuperare l’arma» lo interrompo. Mi irrita quando parla: ha una voce acuta e fessa che mi entra nella testa e mi disturba e mi fa pensare alle peggiori cose da fargli. «Al resto penserà Nero.»
Il mago sbuffa. Si solleva le maniche della tunica e si avvicina. Muove le braccia in aria e pronuncia un sortilegio. Uno sbuffo di nebbia giallastra emerge dal pavimento di pietra bianca e copre la porta per qualche secondo. Appena sparisce si ritira soddisfatto. «Aprila, adesso.»
«Io? Non ci penso proprio.» Mi pare un cialtrone quel mago, e io sono esperta di cialtroni. E se ci fosse davvero una palla di fuoco, e lui non è riuscito a rimuoverla? Oppure una trappola meccanica con il veleno? No, io non la apro.
«È il tuo lavoro, mi pare.»
Il guerriero si muove in quel momento. Passa una mano sulla spalla del mago e lo sposta di lato. «Permesso» gli dice. Si scrocchia le dita e intanto mi fissa con un sorrisino da ebete. Sta preparando uno spettacolino solo per me, lo capisco subito. Come quando mi ha vista alla locanda del Riccio Nudo e ha messo in mostra i bicipiti. Inspira e trattiene la pancia, raddrizza la schiena, gonfia i muscoli. Si mette di lato e prende la rincorsa per dare una spallata alla porta.
«Sarà ben aperta, adesso» dico io.
«Sì, certo» risponde Nero, senza scomporsi. Si avvicina, mette una mano sulla maniglia, e io mi tiro indietro d’istinto. Lo stesso fa il mago. Non gli vedo il volto, ma mi immagino che strizzi gli occhi come sto facendo io.
Nero abbassa la maniglia, ma la porta non si apre. «È chiusa» dice guardandomi con la sua faccia da ebete. Riprende in fretta la compostezza e fa due passi indietro. Mi avvicina il braccio al petto, mi sfiora il seno. «Stai indietro, piccola. Potresti farti male.» Poi parte di corsa e si schianta contro la porta, che non cede, rimbalzando all’indietro.
Il tonfo rimbomba per tutto il corridoio. Io mi sono messa le mani sulle orecchie e mi sono abbassata per paura che esplodesse tutto. Quando mi sollevo il mago è oltre il guaritore, in fondo al corridoio; Nero si sta sistemando l’armatura di cuoio e si tocca la spalla dolorante.
«Ti sei fatto male?» chiede il guaritore. «Posso curarti.»
«Non mi sono fatto niente» dice Nero. «Non me l’aspettavo, ecco.» Mi studia. Cerca di capire se ai miei occhi ha appena fatto una figura di merda, ma io non lascio trasparire nessuna emozione. Così ci riprova. Per quelli come lui non è contemplato che quella porta non ceda sotto i loro colpi. Però cambia strategia: si mette di fronte e inizia a sferrare calci con la suola. La porta non si apre, e Nero inizia a sudare e a sbraitare.
«Brutta puttana stronza bastarda…»
«Se non ce la fai…» gli dico io.
«No! Ce la faccio» Nemmeno mi guarda, tanto è concentrato. Uno scricchiolio lascia intendere che il legno stia cedendo. Nero allora prende la rincorsa e gli dà una spallata. I cardini si spezzano e la porta cade con un rombo dalla parte opposta, seguita dal guerriero che gli frana sopra.
Io e il mago ci avviciniamo e lo guardiamo dall’alto. «È fortissimo questo Nero» dice il bardo alle nostre spalle, mentre scrive su un foglio. Il guaritore si alza. Regge il martello per il manico, appoggiato sulla spalla, sembra troppo pesante, non credo nemmeno che sappia come si utilizza.
Il guerriero si rimette in piedi, si spolvera le braccia e si sistema l’armatura. Rinfodera la spada, scivolata via, e si massaggia la mascella. Da una profonda ferita sulla guancia gocciola abbondante sangue. «Adesso dovresti curarmi» dice.
«Io?» chiede il guaritore.
«Io no di certo» intervengo. «Io il mio lavoro l’ho fatto.»
Il guaritore si avvicina. Prende la mascella di Nero nella mano e la orienta in modo che si illumini alla luce della torcia. Borbotta qualcosa, poi prende la borraccia di stomaco di bue e la svuota sulla ferita. «È profonda» annuncia, quando quella si rimette a sanguinare.
«E tu curami» dice Nero. «Invoca il tuo dio, chiudimi questa ferita, fai qualcosa.»
«È quello che sto facendo.» Apre un barattolo di vetro, infila due dita e ne esce con un impiastro di erbe che sanno di muffa e carne avariata che applica sulla ferita. Poi prende una foglia verde, grossa quanto un pugno, e la spiaccica sulla guancia del guerriero. «Foglia di vilipendia gigante» dice guardandomi con orgoglio. Tiene premuta la mano sulla guancia per un po’. La stacca lentamente e con delicatezza, sembra non fidarsi che la foglia resti dove sta. Ma quella rimane appiccicata e lui tira un sospiro di sollievo.
«Tutto qua?» chiede Nero. «Non fai invocazioni, gesti plateali o cose simili. Sono guarito?»
«No. Tienila sulla ferita fino a quando non si rimargina.»
«E quanto ci metterà?»
«Due o tre giorni, credo.»
«Credi?» Nero inclina la testa e fissa il guaritore.
«Eilin, la bella ladra, disinnescò la trappola mortale con arguzia» riprende a recitare il bardo. «Poi fu la volta del saggio Rupert, il quale raccolse le forze e recise i vincoli magici che legavano indissolubilmente la porta alla muratura. Il possente Nero l’abbatté in un sol colpo, e si svelò la sala segreta che celava da tempo immemore le spoglie sacre di…»
«E io?» chiede il guaritore. «Di me non si parla?»
Il bardo si schiarisce la gola. «Per ora è meglio non dire che Nero si è ferito abbattendo una porta, non credi?»
Nascondo un sorriso. Questa storia di raccontare le nostre gesta potrebbe rivelare dei vantaggi per il futuro. Dopotutto, la porta è aperta e il mio lavoro è quasi finito. Non sono di certo io a dovere affrontare un gigante delle ombre. Me ne andrò con cinque monete d’oro e la fama di avere aiutato Nero, il grande guerriero.
All’improvviso si fa silenzio. Rupert ha fatto un passo all’interno della sala, Nero è poco più avanti. Mi infilo tra il guaritore e il bardo e strizzò gli occhi per mettere a fuoco.
Il sarcofago in marmo nero è talmente lucido da riflettere i nostri volti stupiti. Nella copertura è scolpita la figura di Luigi il Grande, lo sterminatore di giganti. Sembra dormire.
«È fatta» dico io facendo un passo indietro. Quel posto mi mette una paura fottuta. L’aria puzza di morte e non intendo mettere nemmeno un piede lì dentro.
«Se te ne vai, nessuno ti pagherà» dice Nero. «La spada è nel sarcofago.»
«Aprilo» gli propongo.
Nero sorride. «Questo compito è il tuo. Controlla che non ci siano trappole sul pavimento e sulla tomba.»
«Se è solo per questo» annuncio con falsa sicurezza.
Tutti si spostano per farmi passare. E a me tocca sempre fare da apripista; mai una volta che questo rischio se lo pigli qualcun altro.
Avanzo un passo alla volta con delicatezza, sfiorando il marmo con la punta del piede. Quando mi sembra che sia stabile, appoggio l’intera pianta. Sudo per la tensione, mi si appiccicano i capelli alla fronte. Mi lego una treccia e la faccio cadere sulla schiena, e faccio un altro passo. A questa velocità ci impiegherò un’ora buona per arrivare al sarcofago, ma vedo che nessuno si lamenta. Non hanno fretta di aprire la tomba di Luigi il Grande. Mi immagino il suo scheletro sollevarsi, con le orbite oculari rosso fuoco, adirato per averlo svegliato durante il suo sonno eterno. Un altro passo. Questa volta il pavimento scricchiola. Cosa diceva il mio patrigno? Se scricchiola, buttati di lato. Trattengo il respiro e non muovo un muscolo. Buttati tu di lato, viscido schifoso. Mi insegnava ad arrampicarmi e intanto mi guardava il culo.
«C’è una trappola» provò a dire senza aprire le labbra per evitare che il più piccolo spostamento d’aria la faccia scattare.
«Cosa?» mi chiede il mago.
«C’è una trappola a pressione.»
«E tu disinnescala.»
«Ci sono sopra» Porca troia, ci sono sopra, l’ho attivata.
Li sento muovere alle mie spalle. Si allontanano, e capisco che dovrò cavarmela da sola. Mi metto a pensare. In altre occasioni, per facilitare il movimento dei miei ingranaggi cerebrali, mi liscerei la ciocca di capelli che mi scende sulla fronte. Ma in questo caso decido che è meglio farne a meno. Cosa mi diceva il mio patrigno, oltre a buttarmi di lato? Non me lo ricordo, non sono mai stata una brava allieva. Pensa, Eilin, pensa. Cosa diceva quel vecchio bavoso?
«La bella ladra era in grave difficoltà» inizia a declamare il bardo. «Nessuno dei valorosi uomini era in grado di aiutarla…»
«Valorosi un cazzo!»
Il bardo si zittisce e io posso concentrarmi. Inspiro un paio di volte. Ora ricordo cosa diceva. Mi accuccio fin quasi a toccarmi le punte dei piedi. Mi butto di lato, cado sul pavimento e rotolo sulla spalla finendo contro il muro di pietra. Faccio anche in tempo a coprirmi la testa.
Non succede niente.
«Non è successo niente» esclama stupito Nero.
«È perché l’ho disinnescata» dico io. Mi alzo, mi pulisco le braccia dalla polvere e fingo soddisfazione. A questo punto non posso che proseguire con la recita. Stringo le chiappe e mi incammino fino alla tomba. Sudo come un maiale, ma sono sicura che nessuno si renda conto che me la sto facendo sotto. Il pavimento scricchiola a ogni passo, ma non salto per aria. Faccio un giro attorno al sarcofago, lo sfioro con le dita. Fingo attenzione in un punto, estraggo un altro ago dalla borsa.
«Una trappola.» Lo mostro con la massima professionalità. «Libero.»
I miei compagni sospirano: Nero entra nella stanza, il mago lo segue, mentre il bardo sta scrivendo sui suoi dannati fogli e il guaritore si alza dalla panca di pietra laggiù in fondo.
Poi mi gioco la carta per il mago. «A parte la presenza di eventuali incantesimi…»
Si bloccano tutti e fissano l’involucro di tunica. Potrei non esserne sicura, ma credo proprio che quegli occhi mi stiano fissando con odio.
«Sei sicuro di avere disinnescato tutte le trappole?»
«Certo.»
Il mago temporeggia. Gira attorno al sarcofago. «No, perché non vorrei che un ago mi colpisse.»
«Vai tranquillo, Rupert. Il mio dovere è stato fatto.»
Muove le braccia in un rituale magico e una nebbia giallastra emerge dal pavimento e avvolge la tomba. La stessa nebbia usata per la porta.
«Sai fare solo questa cosa?» gli chiedo. È il mio turno di spaccargli le palle adesso.
«Conosci gli antichi rituali, tu?»
Scuoto la testa.
«Dunque taci.»
Quando la nebbia cala, Rupert fa un sorrisino e un passo indietro. Solleva le braccia e le maniche gli scivolano verso il gomito, mettendo in mostra due avambracci secchi e privi di muscoli. «Apritela senza timore.»
Nero avanza. Appoggia le mani alla lastra di copertura e prova a spingerla. Non si muove. Si allunga con le gambe all’indietro, punta i piedi sul pavimento e spinge con più forza. I muscoli delle braccia si gonfiano per lo sforzo, la faccia gli diventa paonazza, gli sfugge un peto. Si tira su in fretta e mi guarda, per capire se l’ho sentito. Fingo disinteresse, guardo il soffitto, e Nero si tranquillizza.
«Non si muove» dice. «Non è che puoi aiutarmi?» chiede al mago.
«Come?»
«Che ne so? Una qualche magia delle tue: muovi le mani, parla in quella strana lingua, sposta la lastra…»
«Non è così semplice. Non è che io…» dice Rupert, poi si interrompe.
«Non è che tu?» gli chiedo.
«Niente. Non conosco nessuna magia che possa spostare gli oggetti pesanti.»
Nero sbuffa. Si massaggia il collo e si muove fino alla porta con la sua faccia da ebete. Quando torna indietro la faccia non è cambiata. «E va bene. Siamo giunti fino a questo punto; non tornerò indietro per una stupida pietra.» Si posiziona dalla parte opposta della tomba e inizia a spingere. Urla, sbuffa.
«Brutta puttana stronza bastarda…»
La lastra si muove di pochi centimetri.
«Ce la faccio… ce la faccio…»
La lastra si sposta, prende velocità e Nero la spinge sul pavimento.
Indietreggio senza nemmeno rendermene conto. Il mago è con me, il guaritore è alle nostre spalle. Il bardo, invece, allunga la testa verso l’interno della tomba.
Esce un odore fetido di carne putrefatta.
«Ma da quanto tempo è stato sepolto quello lì?» chiede il guaritore tappandosi il naso.
«Da tredici anni» risponde Nero.
Nessuno esce dal sarcofago. Mi avvicino e guardo. Mi aspettavo chissà che cosa: uno scheletro incazzato, uno zombie dagli occhi rossi, un lich demoniaco. Invece all’interno della tomba c’è un uomo putrefatto, con la pelle mezza mangiata dai vermi, qualche capello, le ossa nascoste dalle vesti. Regge una spada arrugginita con entrambe le mani e ha un ghigno sul viso, più che altro dovuto alla carenza di labbra. Non credo che fosse felice quando è schiattato.
«Siamo qui per quella cosa?» Indico la spada.
«Quella è Soltana. Lama ammazza giganti, fuoco degli abissi, luce nelle tenebre. Solo i puri di cuore posso reggerla; solo i valorosi sono in grado di usarla» risponde Nero.
Mi avvicino ancora un po’. «È un pezzo di ferro arrugginito.»
Nero fa un sospiro, come se io non fossi in grado di comprendere, e si avvicina. Allunga le mani all’interno del sarcofago e per un attimo si ferma. Trattengo il respiro: nessuno si è sollevato dalla tomba. Ancora. Non si sa mai che se gli tocchi l’arma quello si arrabbia sul serio. Arretro fino alla porta e i miei compagni fanno altrettanto. Solo il bardo è concentrato nella lettura di quello che ha appena scritto.
«Sentite qua» dice. «L’impavido guerriero era privo di timore. La paura, per Nero, non era un’emozione conosciuta. Egli si chinò con deferenza sul corpo dell’ammazza giganti. Profumava di spezie, quel corpo ancora integro, poiché, come aveva vissuto in vita il santo guerriero, in modo incorruttibile, così la morte non poteva corromperne le carni.»
Nero si infila con mezzo busto all’interno del sarcofago, e non vedo quello che fa. Non si tira su subito, però. Lo sento armeggiare con la spada, mi sembra che l’abbia afferrata e che la stia tirando. A un certo punto si solleva di poco, punta le ginocchia contro la parete di marmo della tomba e fa forza. Sibila e le vene del collo gli si gonfiano, fino a quando lascia la presa e si tira dritto.
«Non la molla» dice.
«Cosa?» chiede il mago. Mi anticipa, e mi viene un brivido lungo la schiena. Perché non dovrebbe mollarla? È morto.
«Non lascia la presa su Soltana.» Nero indica con il pollice il corpo putrefatto. «Mi pare che l’abbia incollata alle mani. Forse uno strano sortilegio.»
Guardiamo tutti il mago. Rupert si schiarisce la gola, scuote il capo, fa un giro attorno al sarcofago e si gratta la testa.
«Io non sono un negromante. Non so niente di non morti.»
«Questo non è un non morto, però. Questo è un morto» dice il guaritore avvicinandosi.
«C’entri di più tu con questo genere di cose» gli dice il mago.
Il guaritore annuisce e si fa serio. Si mette a pensare con la mano sotto al mento e intanto sfiora la spada e le mani cadaveriche del santo guerriero. Poi sbotta: «No. Io proprio non posso aiutarti.»
«Scusa ma tu a cosa servi?» gli chiede Nero. «Non sai curare nessuno, non conosci i morti, di certo non sai usare quel martello. Per quale motivo sei qui con noi?»
Il guaritore non sembra offendersi. «Io sono in grado di curare. Non con la magia, certo, ma lo so fare.»
«Dunque sei un medico» puntualizzo.
«Sono un guaritore, certo. E sono un chierico di Clori, dea delle piante e dei fiori.»
Ci guardiamo in faccia. Non l’avevo mai sentita questa dea. Deve essere una di quelle nuove. Mi affaccio al sarcofago e osservo per bene il corpo di Luigi il Grande. Era piccolino, il santo guerriero, sembra un essere fragile. Tocco l’elsa della spada con i polpastrelli. Ne impugno la cima e faccio forza. Non si muove. Ci metto più energia, senza insistere troppo, che se non ce l’ha fatto Nero. Ancora non si smuove.
«Questo non te la da» annuncio.
«Se non la recupero, niente monete d’oro» dice Nero.
«Un momento… non era questo l’accordo.»
Nero mi prende per una spalla con gentilezza e mi sposta di lato. «Siamo qua per recuperare il fuoco degli abissi. Se non esce alla luce del sole, nessuno di noi verrà pagato.» Scavalca il sarcofago, si posiziona con i piedi ai lati del corpo di Luigi il Grande, si china e mette le mani sulla parte alta dell’elsa. E tira. Uno scricchiolio sinistro riempie la stanza. Nero tira ancora, e per un attimo temo che lo scricchiolio provenga dalla sua schiena. All’improvviso qualcosa cede, e Nero cade all’indietro finendo fuori dal sarcofago. Quando si solleva ha la spada in pugno e un sorriso vittorioso. La tiene in alto, la rimira. Attaccate all’elsa ci sono le due mani mezzo scheletriche del santo guerriero; sembra che non vogliano mollarla. Nero se ne accorge. Appoggia la spada sul pavimento e la calpesta fino a quando quelle lasciano la presa e le dita si aprono. Prende la spada e se la infila nella cintura.
«È ora di uscire. Il sole starà per calare e il gigante delle ombre reclamerà il suo pegno.»
Ci avviciniamo al villaggio in fila. Alla testa Nero, che cammina come se stesse andando verso la casa delle meretrici: è impaziente, se potesse correrebbe, ma si trattiene. Se non fosse che oggi potrebbe morire, direi che è felice.
Il mago mi affianca. Il sole di questo fine pomeriggio è ben caldo, ma Rupert si guarda dal togliersi il cappuccio. Lì sotto sarà cresciuto del muschio, ormai.
«A me sembra uno stupido» mi dice.
«Chi?»
«Il guerriero.»
«Perché?»
Rupert si stringe nelle spalle. «Guardalo. Sembra un bambino che sta andando a giocare nei boschi.»
Il mago ha ragione, ma a me non piace che ce l’abbia. Così gli rompo le palle. «Quelli come lui sono così. Uomini tutto d’un pezzo. Combattono per un loro ideale, morirebbero per quello. Ma tu cosa ne vuoi capire?» Mentre lo dico penso a quanto, in realtà, sia vero. Esistono davvero quelli come lui, anche se a me pare strano.
«Davvero credi a queste stupidaggini?» Rupert sbuffa e mi fissa, e per un attimo mi pare di scorgere due occhi gialli sgranati che mi scrutano. «Conosco anche io gente come lui. Morirebbero per i loro ideali, è vero. Quasi mai, però, affrontano prove superiori alle loro capacità.»
«Cosa intendi?»
«I migliori del regno sono in guerra. Noi eravamo o troppo giovani o troppo vecchi per partire. Inutili ai fini di re Guglielmo I. Credi che Nero sia in grado di affrontare un gigante delle ombre da solo?»
«Ha la spada.»
«Quella è utile per ferirlo. Le lame normali non riuscirebbero nemmeno a sfiorarlo. Ma se chi la usa è un incapace…»
Mi allontano dal mago. Ecco, mi ha irritato, e solo perché credo che abbia ragione.
Al villaggio ci aspettano con impazienza. Prima scorgo le mura in legno, che svettano sopra al terrapieno. Alcuni pali sono collassati, abbattuti dalla furia del gigante, e nessuno li ha riparati; poi noto le figure degli abitanti in piedi sulle mura; quindi la delegazione del consiglio fuori dalla porta di ingresso.
«L’avete trovata?» chiedono venendoci incontro.
Nero estrae la spada e la mostra. L’espressione dei consiglieri è simile alla mia quando ho visto l’arma la prima volta tra le braccia rinsecchite di Luigi il Grande.
«È lei, non preoccupatevi» dice Nero. Si volta verso di noi. «Pagateli. Hanno fatto il loro dovere. Ora sta a me.»
Mi rilasso quando la mia borsa si riempie. A dire il vero non ho mai viste così tante monete d’oro insieme. Mi siedo a uno dei tavoli del Riccio Nudo e ordino una birra. Il bardo si siede con me, appoggia i fogli di pergamena. «Vuoi sentire cos’ho scritto?»
«Devo proprio?»
«I libri di storia narreranno di Eilin, la ladra. Ella era tanto bella quanto furba e intelligente. Il sepolcro di Luigi il Grande era ricolmo di trappole, ma nessuna di queste era stata posizionata da qualcuno con maggiori abilità di lei. Se ne sbarazzò rapidamente, quasi non esistessero, e…»
«Va bene, va bene» lo interrompo. Mi sembra di scorgere un filo di ironia nelle parole del bardo, ma lascio perdere. Domani mattina me ne andrò, e mi dimenticherò di questa storia. E se tutto andrà come penso, anche i libri di storia si dimenticheranno di me.
«Rimarrai a vedere?» mi chiede.
Annuisco. «Non ho mai visto un gigante delle ombre.»
«Lo vedrai questa sera, al tramonto. Da molti giorni viene a reclamare al villaggio l’offerta.»
«Cosa chiede?»
Il bardo mi scruta. Liscia i fogli con le mani. «Non lo sai? Un essere umano alla settimana. Cosa se ne faccia, non so. Forse se li mangia.»
Deglutisco e un brivido mi percorre le braccia. Ecco perché gli abitanti del villaggio sono così preoccupati, ed ecco spiegato il motivo di una tale somma di denaro per non avere fatto niente.
Il bardo se ne va. Declama a voce alta le gesta del grande mago Rupert, l’unico in grado di affrontare gli incantesimi di protezione della sala mortuaria di Luigi il Grande.
Rimango da sola ad affrontare il boccale. Uno è troppo poco, così ne ordino altri due, e quando la testa mi si annebbia, comincio a pensare che sarebbe meglio lasciare il villaggio prima del tramonto. Esco dalla locanda. Il villaggio è in completo silenzio, nemmeno gli uccellini stanno cantando. Le porte e le finestre delle case sono chiuse, in giro non c’è nessuno. Il sole, oltre i monti di occidente, sta calando, e la luce che illumina la strada è fredda e quasi azzurra. Quando arrivo la porta è aperta. Sulle mura a sinistra ci sono Rupert e il guaritore, che guardano all’esterno del villaggio. Sulla destra il bardo e il capo del consiglio. Sulla porta Nero, qualche passo in avanti, con le mani sui fianchi e lo sguardo rivolto alla pianura meridionale. La sua ombra è lunga e stretta e sembra volersene scappare anche lei. Non faccio in tempo a superare le mura che la luce del sole scompare, e mi blocco.
In fondo alla pianura appare una figura nera. È troppo scura per riuscire a vederla, anche se i contorni si distinguono rispetto alla sfondo del cielo grigio. Ha le sembianze di un essere umano, il corpo di ombra, due occhi rossi di fuoco, mani di fiamme e alito di nebbia rossa. Si avvicina a Nero e, a mano a mano che avanza, capisco il motivo per il quale viene chiamata gigante delle ombre. Al suo cospetto il guerriero appare come un nano.
Eppure Nero non arretra. Estrae la spada e la solleva. Soltana è avvolta nelle fiamme, e riluce nell’oscurità dell’imminente notte.
«Fermati, spirito demoniaco» urla Nero frapponendosi tra il gigante e il villaggio. «Non puoi avanzare. Questa è la Lama ammazzagiganti, fuoco degli abissi, luce nelle tenebre. Un altro passo e brucerai tra le fiamme dell’inferno!»
Mi viene un brivido alla schiena. Il guerriero ha coraggio e forza da vendere. Da solo contro quell’essere non arretra. Anzi, avanza di un passo, e la spada fiammeggia ancora di più.
Il gigante sembra incerto. Ha rallentato. Si ferma. Sembra spaventato, anche se non è possibile scorgere alcuna espressione in quel viso di tenebre.
«Da solo contro il demonio, si erse Nero, il paladino» declama a voce alta il bardo, e la sua voce, se possibile, incoraggia ancora di più il guerriero e noi tutti. Sento lo spirito combattente di Nero entrarmi nell’anima, mi pervade come mai prima. Potrei scendere al suo fianco, battermi spalla a spalla con lui, non arretrare. «Egli brandì Soltana, la lama ammazza giganti. La sollevò al cielo, e le tenebre si aprirono, e la luce del bene si riversò nel mondo per porre fine al…»
Il gigante solleva il braccio, anche se mi sembra un tentativo inutile. Nulla può contro Nero e Soltana. Lo cala come una mazza a pugno chiuso sulla testa del guerriero. Lo schiaccia contro la terra brulla, e il cielo viene illuminato da un lampo di un fulmine lontano, oltre i monti occidentali.
Non capisco bene cos’è successo. Strizzo gli occhi e allungo la testa per guardare meglio, ma le ombre del gigante sono troppo scure da attraversare per il mio sguardo. Anche gli altri faticano a capire.
Poi il gigante solleva il braccio. Nero è steso a terra, l’armatura aperta. Non si muove. La spada è spenta e nessuna fiamme arde. Il gigante lo solleva e se lo mette su una spalla. Si gira e si allontana. Ritorna dalle tenebre dalle quali è uscito.
Rimango in silenzio. Quando me ne accorgo, chiudo la bocca rimasta aperta. «Direi che è ora di andare» annuncio. «Non è che si può sempre uscire vincitori dalle battaglie.» Il coraggio che ho provato solo un attimo prima è svanito.
Rupert scende dalle mura e mi raggiunge. «Potrei venire con te.»
«Non lo seguiamo?» chiede il guaritore. «Nero potrebbe essere ancora vivo; forse ha bisogno del nostro aiuto.»
«Era morto» dice il bardo.
«Ne sei sicuro?»
Il bardo allarga le braccia. «Sei libero di accertartene.»
Anche il consigliere del villaggio si avvicina. Ha le lacrime agli occhi, trema. «Per un attimo ho pensato che potesse farcela» dice. Si allontana a testa china verso le case. Si ferma dopo pochi passi, si volta. «Non è che voi potreste…»
«Io sto partendo» dico.
«E io vado con lei» annuncia Rupert.
«Con quanto coraggio Nero il paladino si oppose alle forze del male» declama il bardo. Ha un braccio sollevato al cielo e una mano sul cuore. «Egli era il migliore di noi tutti. Forte, nobile d’animo, coraggioso e onesto. Ne scriverò le gesta in modo che tutto il mondo conosca il suo valore.» Mi guarda e si infila i fogli di pergamena nella sacca. «Dove andrai?»
«Pensavo di andare verso Oriente. Sembra che ci sia una taglia per catturare un gruppo di orchetti.»
«Si può fare.»
Usciamo in tre dal villaggio. La sera è illuminata da una luna gialla piccola e cadaverica. Passiamo nel punto dove Nero è caduto, in silenzio per onorare il suo sacrificio. La spada è stesa a terra, arrugginita come quando il guerriero l’ha strappata dalle mani di Luigi il Grande.
«Pregherò per lui» dice il guaritore rincorrendoci. «Ecco, questo posso farlo. Una preghiera non si nega a nessuno.»
Mi accuccio sull’impronta lasciata da Nero. Ha la forma del suo corpo. La mazzata ricevuta dal gigante delle ombre deve essere stata terrificante.
«La bella Eilin si chinò nel punto esatto in cui Nero cadde. Appoggiò un ginocchio a terra e salutò il suo amico, come si salutano gli eroi…»
«Taci!» Per un attimo la voce del bardo mi infervora, come aveva fatto prima. Per un attimo vengo raggiunta dalla voglia di inseguire il gigante delle ombre. Ma è solo un attimo. Tocco con la mano la sacca e sento le monete tintinnare. È ora di lasciare il villaggio.