Ambientazioni e luoghi fantasy #3: la terra di mezzo

Quando si parla di ambientazioni e di worldbuilding nel genere fantasy J.R.R. Tolkien è senza alcun dubbio o esitazione da citare e da approfondire. Innanzi tutto, il termine worldbulding sta a indicare la costruzione e la progettazione di un ambiente in ambito artistico, in particolar modo per quanto concerne la sceneggiatura o la letteratura.

Tolkien è il capomastro della costruzione di mondi fantasy, ma con una importantissima qualità che lo caratterizza in modo particolarmente specifico. Egli partì dallo studio e dalla creazione delle lingue, in particolar modo il quenya, la lingua elfica. Sinteticamente, si può dire che essa sia stata creata a partire dall’antico linguaggio finlandese e dal complesso delle antiche lingue nordiche, scandinave e non. A partire da questo linguaggio, Tolkien creò progressivamente l’ambientazione adatta a quel tale idioma. I nani hanno nomi caratterizzati da fonemi la cui pronuncia ricorda la durezza della pietra che compone le montagne sotto le quali vivono. Il popolo degli uomini e le sue dinastie reali ricordano l’Alto Medioevo e hanno radice germanica.

olkien fu insegnante di antico inglese e studioso e appassionato di filologia dal 1925 al 1945, e professore di letteratura inglese dal 1945 al 1959, presso l’Università di Oxford. Le lingue per lui non furono soltanto un lavoro, bensì un modo per indagare la realtà e conoscerne i vari aspetti, come nel caso di un matematico o di un fisico la cui materia di studio e d’indagine è una chiave d’interpretazione del reale.

Iniziò tutto dallo studio dell’antico finnico. Fin da giovane l’autore si divertì a creare nomi e lingue che risuonassero come un misto di germanico, finnico, celtico e inglese. Creò quindi popolazioni e ambientazioni che parlassero e che rendessero vive quelle lingue. Poichè a un linguaggio è associato un popolo, a questo vengono associate usanze, caratteristiche, modi di dire, festività e ricorrenze, aspetti diversi e radici culturali diverse.

Quello che fece Tolkien nel genere fantastico fu concretizzare un’attitudine alla riscoperta dell’antichità in un mondo che può rispondere a qualsiasi domanda che un lettore possa porre. In una lettera – dopo la pubblicazione e il successo de “Il Signore degli Anelli” – scrisse che i botanici avrebbero desiderato conoscere le caratteristiche delle piante e degli alberi della Terra di Mezzo, così come gli architetti l’architettura, i poeti e i letterati avrebbero voluto saperne di più su quali fossero i canti popolari degli elfi, o degli Hobbit, o dei nani, e così via.

Questi concetti illustrano abbastanza bene l’attitudine di Tolkien al perfezionismo, ma anche la sua voglia di rendere concreto un mondo secondario e immaginario.

Alle critiche negative che additavano “Il Signore degli Anelli” come una fuga della realtà, Christopher Tolkien, uno dei suoi figli che ha curato gran parte delle opere postume del padre, ricordò alcune parole che l’autore proferì in merito. “Non bisogna confondere l’evasione di un prigioniero con la fuga di un disertore”. Quello che i critici facevano era accusare Tolkien di essere quasi un disertore della realtà, qualcuno che vuole fuggire dal confronto e dalle lotte che la dialettica del reale impone. L’immagine dell’evasione, piuttosto che della fuga, rende meglio l’idea di ciò che è il genere fantastico. Un prigioniero può anche essere imprigionato ingiustamente, e l’evasione può anche essere non una fuga, ma un riscatto, una possibilità, qualcosa di positivo, insomma. Pensiamo ad esempio a un prigioniero politico.

Tolkien rifiutò sempre ogni riferimento a una possibile interpretazione allegorica delle sue opere. Quindi per esempio non è assolutamente vera la teoria che “Il Signore degli Anelli” sia una rappresentazione della seconda guerra mondiale. Certo, la Guerra dell’Anello, e alcune caratteristiche di Mordor, come per esempio le Paludi Morte, possono essere viste come riferimento alla Grande Guerra e ad un campo di battaglia europeo durante quel periodo storico. Dietro alle opere di Tolkien però c’è molto di più.

Egli scrisse di un tema molto antico nella letteratura, specie quella epica, il viaggio. Dalle avventure degli Argonauti, a Odisseo e le sue peripezie nel mar Mediterraneo, alla cerca del Graal, il viaggio è una tematica ricorrente.

Per questo “Il Signore degli Anelli” trascende la fantasy, per fondersi con l’epica vera e propria. Ciò proprio perchè l’autore fu influenzato dagli studi a scopo filologico dell’Edda in versi, da cui trasse i nomi dei nani de “Lo Hobbit”, di “Beowulf”, che tradusse in inglese moderno, del poema finlandese “Kalevala”, della saga dei Nibelunghi, e dell’antica letteratura popolare islandese.

Le sue opere più importanti si svolgono nella Terra di Mezzo. Questa si rifà in parte alla mitologia norrena, dove è presente Midgardr, il mondo degli uomini, a metà dell’albero Yggdrasil, ma è nominata in tal modo anche per la caratteristica di essere proprio geograficamente “in mezzo” tra un continente a ovest e un altro più a est, nella sua mitologia del suo mondo immaginario, ben caratterizzato ne “Il Silmarillion”.

La Terra di Mezzo è quella di cui conosciamo con più specificità i sapori, i colori, gli odori, le usanze, l’aspetto delle strade, dei boschi, dei sentieri e delle alte e innevate montagne, così come delle più profonde miniere dei nani. Questo perchè è tutto visto tramite gli occhi di esseri comuni e piccoli, apparentemente indifesi, ma dotati di grandi potenzialità, gli Hobbit.

Se per quanto concerne la figura di Gandalf o degli altri stregoni della saga, o di Aragon, o di Boromir e la stirpe di Gondor troviamo innumerevoli riferimenti nella letteratura medievale arturiana e non, alla storia romane e bizantina, e nella tradizione germanica e norrena, degli Hobbit non v’è traccia se non nella mente di Tolkien. Si possono definire una sua invenzione personale che ha molto a che vedere con l’idealizzazione di cultura e usanze dell’Inghilterra dei primi del Novecento, ma non ne siamo sicuri.

Gli Hobbit  amano i campi, le cose che crescono, la natura, coltivare, allevare, godere della comodità di un focolaio, ma con semplicità. Lo Hobbit rappresenta l’essenza più intima dell’uomo del mondo preidustriale, ma anche dell’uomo in generale, dell’uomo comune. Lo Hobbit non è un re, ma può essere un eroe, e la psicologia del personaggio di Frodo Baggins e come si approccia e si relaziona con l’Unico Anello, con il male, con l’oscurità che deriva dalla brama di ottenere sempre più potere, con l’aspetto più egoico della personalità, è quasi un unicum nella letteratura del secolo scorso, è un personaggio davvero ben strutturato e complesso.

Ogni cosa da lui è sempre vissuta e vista con l’occhio di chi si meraviglia, con lo spirito di adattamento di chi ha sempre vissuto nella comoda e calda Contea e deve abituarsi a terreni impervi, a strade complicate che portano verso la terra di Mordor, culla della malvagità.

La Contea è un luogo idilliaco, che si rifà alla countryside inglese, la campagna resa particolarmente verdeggiante dalla pioggia. E’ un luogo che ricorda l’ambiente e l’atmosfera che si può trovare anche in Italia, nelle piccole comunità e borghi di provincia. Nella Contea tutti sono imparentati tra loro, tutti si conoscono, tutti amano la tranquillità e la routine, l’agricoltura, la bellezza dell’allevamento e il rispetto per la natura e per gli alberi. In quest’ottica ricordano molto la generazione che appunto combattè nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale. Per Tolkien il male era il potere assoluto derivato dalla meccanizzazione della società, e il conseguente sfruttamento e sfregio delle risorse che la terra offre.

Tolkien fu profondamente critico nei confronti della rivoluzione industriale. Uno dei suoi figli in un’intervista rivelò che alla vista del treno che passava nella sterminata campagna inglese che ispirò la Contea – erano soliti sedersi sulla cima di una collina ad ammirare il paesaggio sottostante – suo padre si copriva di un velo di tristezza e di malinconia, per lui non era un’invenzione magnifica, era qualcosa che privava le persone dell’esperienza del viaggiare. Dopo moltissimi anni la visione di Tolkien, forse influenzata anche dall’esperienza della Grande Guerra, dove per la prima volta l’arte bellica ebbe a che fare con gas e armi nuove e rivoluzionarie dal punto di vista storico, risulta ancora attuale. La tecnologia, se abusata, priva gli esseri umani dell’esperienza della vita. Sembrerebbe un controsenso, perchè tramite un treno o un aereo possiamo viaggiare fino all’altra parte del mondo in poche ore, ma nella filosofia tolkieniana, figlia a mio parere di uno spirito Romantico, come tutto il genere fantasy, questo separa l’uomo dalla terra. La lentezza e la calma e la cura dei dettagli sono tutte caratteristiche che fanno parte della visione di Tolkien.

Eppure Tolkien non fu un gran viaggiatore, non si spostò molte volte dall’Inghilterra, ma probabilmente intuì filosoficamente che tramite la tecnologia e le varie rivoluzioni in campo industriale si sarebbe giunti come popolo umano a un’automazione della società, gestita dalla pura e fredda tecnica.

La società idillica che Tolkien immaginò fu appunto la Contea. Un equilibrio ben bilanciato tra legame con la terra e comodità, sempre legata ad una visione epicurea dell’esistenza, dove basta poco per essere sereni. Dalla Contea Frodo, come Bilbo prima di lui, viene coinvolto in un’avventura, in un viaggio. Bilbo, insieme a Gandalf e ai nani di Thorin Scudodiquercia, viaggiò dalla Contea verso oriente, attraverso le Terre Selvagge, fino alla Montagna Solitaria, l’archetipo di ciò che è titanico, infatti la Montagna è abitata da un drago, di nome Smaug, che spodestò i nani.

Il viaggio degli Hobbit e della Compagnia dell’Anello si snoda invece attraverso regioni e mete della Terra di Mezzo molto più ampie. Il viaggio di Frodo, inizialmente, segue pressappoco geograficamente quello dello zio, ovvero si svolge verso est, fino ad arrivare a Gran Burrone, Rivendell, luogo abitato dagli elfi.

Le ambientazioni in cui troviamo gli elfi sono sempre particolari. Sono un esempio di architettura e cultura che si fonde con la natura che abita, non la viola. Questo perchè la natura degli elfi di Tolkien è qualcosa di unico. Non sono gli elfi della mitologia norrena, né i troll o i goblin o altre creature del folklore germanico e del nord Europa. L’autore ha creato una razza di creature slegate dalla morte. E’ importante ricordare che per Tolkien la letteratura e tutte le sue opere avevano, parole sue, una forte connessione con la morte e con il senso dell’ineluttabilità del fato umano. In questo Tolkien riecheggia del senso del Destino e del Fato che si può trovare nelle tragedie greche classiche di Eschilo, o di Sofocle.

Gli elfi sono esseri eterni, possono morire se uccisi, ma di per sé non sono mortali, non sono destinati a svanire, bensì, come si evince dal finale de “Il Signore degli Anelli”, sono portati a spostarsi dalla Terra di Mezzo, e ad andare a occidente, nella terra immortale. Sono connessi strettamente con gli aspetti più profondi ed eterni della mitologia di Tolkien presente ne “Il Silmarillion”.

I luoghi che essi abitano, come appunto Rivendell, ma anche Lothlòrien, sono ambientazioni piene di magia e di senso dell’eterno. Sono eterei, ma armonici, sposati con la natura che li circonda. Gli elfi preferiscono viaggiare non sulle strade principali, ma attraverso boschi e foreste, a stretto contatto con la natura. Gli elfi di Tolkien e i luoghi elfici che il lettore vede attraverso gli occhi dei protagonisti sono paesaggi e ambienti che portano spesso alla commozione, all’apertura dell’animo verso un senso di pace, sono luoghi dove l’anima travagliata dei viaggiatori della Compagnia guarisce, sono magia bianca.

In totale contrapposizione Tolkien descrisse la terra di Mordor. Essa è un luogo buio, sempre coperto da nubi e dai fumi del Monte Fato. L’architettura è caratterizzata da colori scuri, gli accampamenti degli Orchetti e dei seguaci dell’Oscuro Sire sono un’accozzaglia confusa, quindi disarmonica, di dialetti dalle parole terribili, sgradevoli al suono. La terra è scarna, arida, non da frutti. E’ una terra morta. Dopo il tradimento di Saruman il Bianco Isengard diviene un luogo molto simile a Mordor, dove gli alberi vengono tagliati e i fiumi prosciugati.

A Mordor troviamo la torre di Cirith Ungol, la fortezza di Barad-dur, e il Monte Fato, un vulcano, dove Sauron in segreto forgiò l’Unico Anello, per controllare tutti i popoli della Terra di Mezzo.

Molti hanno accostato Mordor a un paesaggio da fallout nucleare, ovvero come diventa un mondo dopo un bombardamento atomico, e l’Anello all’energia nucleare. Tolkien in un’intervista rifiutò quest’ipotesi.

La bruttezza di Mordor non è tanto data dalle sue caratteristiche, essa era una terra brulla e inospitale che esisteva già prima che Sauron la scegliesse come suo rifugio, è la perversione nei confronti del potere di quest’ultimo che la rende corrotta e malvagia. Sono le sue fortezze, i suoi eserciti, i suoi Nove Cavalieri Neri e l’essenza stessa di Sauron ad attirare il male puro. Questo perchè Sauron è ossessionato dall’Anello, ovvero dal potere che un suo artificio porta nel mondo custodito dalla magia degli elfi.

Dal punto di vista puramente visivo, immaginare la terra di Mordor è sempre qualcosa di efficace e di terribile. E’ il luogo più oscuro e ostile che un lettore possa immaginare. E’ anche, in un senso molto sinistro, affascinante, proprio come l’Unico Anello.

Nel mondo di Tolkien è da notare che ogni aspetto esteriore è un riflesso di uno interiore.

La bruttezza nella fattezze di Gollum è data dalla natura del suo animo corrotto dall’Anello. Allo stesso modo, in parallelo, la terra di Mordor, sebbene predisposta alla desolazione, lo è ancor di più proprio per via della presenza malvagia delle armate di Sauron e dell’essenza dell’Oscuro Signore, che ne “Il Signore degli Anelli” ha ormai perso la sua forma fisica, ed è intuito come un gigantesco Occhio – spirituale, non concreto, in cima alla torre di Barad-dur, come ad indicare una smania, una brama, senza palpebre. Un Occhio che non si può chiudere, non dorme mai.

La bellezza di Galadriel, invece, e di suo marito Celeborn, così come di Lothlòrien sono l’essenza della natura elfica, che man mano nell’epopea tolkieniana si distacca sempre di più dai problemi della Terra di Mezzo, delle lande dei mortali, e si avvicina sia fisicamente sia spiritualmente sempre più a Valinor, in una sorta di anelito, di sensazione, di voglia di ritornare a un luogo puro dalle bianche spiagge, come l’autore lo descrive nel romanzo. Eternità cristallizzata in un luogo.

Altra invenzione originale dell’autore, che non troviamo in nessun opera medievale o ante medievale, e che pure è idealizzazione di un luogo reale (la Foresta Nera) è il bosco di Fangorn, che ospita la figura degli Ent e di Barbalbero. Fangorn è il bosco dalle radici più profonde di tutta la Terra di Mezzo, non per niente Barbalbero si presenta a Merry e Pipino, giovani Hobbit, come una sorta di figura paterna, ma anche come un cantastorie, un bardo delle epoche antiche, che racconta loro moltissimo sulla natura del mondo.

Nell’opera di Tolkien sono altresì importanti le montagne, come la già citata Montagna Solitaria, o il Monte Fato, ma anche le Montagne Nebbiose, catena montuosa che si snoda come se fosse la colonna vertebrale della Terra di Mezzo e attraversa gran parte della mappa. Ha un ruolo d’importanza anche il fiume Anduin, che in lingua Sindarin significa “lungo fiume”, e attraversa quasi tutta la Terra di Mezzo. I fiumi sono un altro luogo e ambientazione che si ripete spesso ne “Il Signore degli Anelli” e ne “Lo Hobbit”. Abbiamo quindi l’aria, ovvero gli elfi, pallidi, eterei ed eterni, che indicano archetipicamente come l’elemento appena menzionato lo spirito, l’anima, l’essenza più profonda e connessa con l’infinito ; troviamo la terra, rappresentata dagli alberi e dai boschi profondi, e l’acqua, moltissima acqua nei viaggi di Frodo e della Compagnia. Anduin è un fiume immenso, glorioso, dove appunto si celebra nell’opera il funerale di Boromir, in una maniera che ricorda le usanze vichinghe. I fiumiciattoli della Contea e i piccoli corsi d’acqua in genere nella Terra di Mezzo sono amici d’infanzia di Frodo e sono molto collegati agli Hobbit, ma sono anche spettatori della tragedia di Smeagol e Deagol, dove il primo uccide il secondo per ottenere l’Anello, con la giustificazione del regalo per il compleanno, diventando poi Gollum. Però quest’ultimo, una volta corrotto dall’Anello, si ritira sempre in luogo dove c’è l’elemento dell’acqua, ma in un lago sotterraneo nelle profondità delle Montagne Nebbiose. L’acqua, nel caso di Gollum, simbolo della mente, da limpida diviene torbida e oscura, sottratta alla luce del Sole. Il suo sprofondare mentalmente nella corruzione dell’Anello lo porta a distrarsi sempre di più dallo studio e dall’attenzione agli alberi e al cielo, per portarlo verso le radici della terra, e quindi della mente, e sprofondare nell’oscurità della caverna che raffigura l’inconscio quando Bilbo lo incontra ne “Lo Hobbit”. Il decadimento di Smeagol e la trasmutazione in Gollum è piena di immagini e raffigurazioni che rispecchiano una condizione interiore sempre in via di deterioramento, così dai fiumi limpidi e puri, che rispecchiano la mente genuina dell’Hobbit Smeagol, si passa al lago sotterraneo nella caverna nascosta dal Sole, a una psiche sottratta alla ragione, al logos, ossia il Sole, platonicamente.

Non per niente quando Frodo incontra per la prima volta Gollum vi è la luce della Luna, simbolo delle forze più irrazionali, istintive, brutali e in un certo senso malefiche, così come lo è la notte, la figura del vampiro, l’ancestrale paura di ciò che è nascosto. Anche se è proprio tramite lo scontro con il potere dell’Anello e con la figura di Gollum che Frodo porta la sua cerca a compimento, e l’Anello viene distrutto per sempre.

Le tenebre svolgono un ruolo importante nella raffigurazione dell’ambientazione della Terra di Mezzo di Tolkien, tant’è che calano sopra i regni degli uomini, in decadenza, con una rapidità sconcertante.

I regni degli uomini sono ispirati fortemente e marcatamente dalla mitologia germanica e nordica, anche in questo caso l’autore partì dai nomi. Tolkien in un’intervista disse che la sua fonte d’ispirazione primaria erano appunto i nomi, da un nome riusciva a inventare una storia che calzava perfettamente a pennello per quel determinato fonema, dandogli un contesto, delle radici solide, rendendo la Terra di Mezzo un luogo collegato alla sfera della fantasia e dell’immaginazione, ma molto concreto.

Più la decadenza dei regni degli uomini si fa evidente, e più l’oscurità di Sauron avanza. Sta agli uomini ritrovare l’antico coraggio che li contraddistingue, dentro di loro, dentro l’essenza del loro popolo, tramite le loro radici, tramite il Ritorno del Re.

Vi è qualcosa di messianico nella figura di Aragorn, senza dubbio,  ed è un’interpretazione abbastanza diffusa, quella cristica del ritorno del Re inteso come ritorno del Messia, di colui che salva l’umanità dal male. D’altronde, Melkor è molto simile alla figura di Satana nella Bibbia. E Tolkien stesso scrive,  nella lettera del 2 dicembre 1953 a padre Robert Murray, che “Il Signore degli Anelli’ è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica”. Tuttavia che la mitopoiesi di Tolkien attinge anche a contesti diversi: la mitologia norrena, le saghe dei Nibelunghi, il ciclo arturiano.

Minas Tirith è la capitale di Gondor, “dalle bianche torri”, una città che ricorda in qualche modo le cerchia di mura dell’antica Ilio, e che rappresenta sia geograficamente e strategicamente sia dal punto di vista simbolico l’ultimo avamposto degli uomini in contrapposizione alla terra di Mordor. Il suo colore distintivo è il bianco e l’argento, contrapposto appunto al nero onnipresente di Mordor.

Il suo simbolo è l’Albero Bianco. Ancora un altro albero, un altro elemento che richiama le radici con la terra. Quando Pipino e Gandalf giungono a Minas Tirith quest’ultimo spiega allo Hobbit che quando il re di Gondor tornerà l’Albero rifiorirà, mentre adesso, come la stirpe degli uomini, è privo di foglie, è infruttuoso, sta decadendo, appassendo, si sta allontanando da ciò che è vita ed esistenza.

Rohan è l’altro regno degli uomini raffigurato ne “Il Signore degli Anelli”. E’ il reame dei Signori dei Cavalli, di conseguenza l’ambientazione è caratterizzata da immense praterie e da valli sconfinate, un po’ brulle e rocciose, ma la caratteristica principale di Rohan è il senso della lontananza, della distanza, dell’orizzonte senza fine, la sensazione di un galoppare veloce e libero per brughiere ventose. C’è fierezza tra i valori del popolo di Rohan, orgoglio, libertà intesa come indipendenza. Ricordano quasi ambientazioni scozzesi, o che si rifanno a paesaggi della Germania e della Francia, la fonte è celtica, ma al solito, anche norrena. Edoras è la capitale di Rohan, una collina che si staglia in mezzo a una piana frustata dai venti freddi delle Montagne Nebbiose, dove appunto, nell’acropoli, sulla sommità, risiede re Theoden. Edoras ricorda gli antichi villaggi vichinghi, ed è stata utilizzata come fonte d’ispirazione anche in un videogioco abbastanza recente, “The Elder Scrolls V : Skyrim”, la città di Whiterun ne è un chiaro riferimento, dal punto di vista visivo. Il senso di comunità e fratellanza degli uomini di Rohan è molto forte, cavalleresco, medievale. Essi sono un richiamo ai poemi del ciclo carolingio, ma anche alla romanità tardo imperiale, e alla Ravenna dei Teodosii e dei Valentiniani, soprattutto per quanto concerne la figure della famiglia reale.

Tolkien mescolò alchemicamente ogni sua fonte letteraria personale, ogni suo gusto, la sua morale, il suo modo d’immaginare, il suo modo di vivere, e li traspose nel suo mondo. Per questo è sempre molto complicato individuare un’unica e precisa fonte. Vi sono sempre varie figure storiche e mitiche che s’intrecciano, specie nella lunga storia del popolo degli uomini.

Gli uomini descritti e rappresentati da Tolkien sono una sorta di visione eroica dell’umanità, di ideale, non sono gli uomini del Novecento. L’uomo comune si rispecchia molto di più negli Hobbit, specialmente per quanto riguarda la popolazione inglese.

Vi sono tuttavia molti riferimenti alla figura di re Artù e similitudini tra quest’ultimo e Frodo, e tra Gandalf, che per quanto sia un “viandante odinico”, ricorda moltissimo Merlino, e tra i due personaggi vi è lo stesso rapporto che vi era tra il giovane Artù e il mago.

I colori sono importantissimi nell’opera di Tolkien. Minas Tirith e la fortezza di Barad-dur sono lo stesso simbolo di potenza e maestosità, vista sotto due tonalità differenti, il bianco e il nero, la luce e l’oscurità. Saruman il Bianco quando inizia a corrompersi e ad allearsi con Sauron, Gandalf nota che le sue vesti non sono più immacolate, ma piuttosto riflettono diversi colori, sono incerte, mutevoli, sfuggenti, come è sinistro e sfuggente il potere di Sauron e dell’Anello. L’aspetto esteriore rimanda sempre a caratteristiche interiori. Anche le armi e le spade hanno vita propria e una loro storia e loro radici ben precise ne “Il Signore degli Anelli”. Narsil, riforgiata, rispecchia la decisione di Aragorn di tornare a sedere sul trono di Gondor.

Sullo sfondo della decadenza della stirpe degli uomini e degli eserciti di Sauron sempre più potenti e inarrestabili vi è l’abbandono da parte del popolo degli elfi della materia e del legame con la Terra di Mezzo. Lunghe carovane nascoste dai fitti boschi viaggiano per raggiungere i Porti Grigi e salpare verso la terra immortale. E’ come se Tolkien, in un certo senso, avesse preso Yggdrasil e l’avesse trasposto in orizzontale. Valinor potrebbe essere un richiamo a Asaheimr, dove è situata Asgardr, la terra degli dei per la mitologia norrena.

La grandezza di Tolkien sta nel rendere concreto un mondo fantastico, esistente solo a livello del pensiero e dell’immaginazione, ma che riecheggia di storie e di leggende talmente ancestrali e antiche e ben radicate nelle nostre tradizioni che “Il Signore degli Anelli” ci sembra famigliare, ci appare concreto, ben saldo, reale, sebbene sia un’opera di fantasia. La costruzione del mondo e delle ambientazioni e dei luoghi è talmente dettagliata ed esauriente che a ogni domanda che un lettore può porsi è possibile trovare una risposta, e poi un’altra domanda ancora, e un’altra risposta, è un mondo vero, è un mondo vivo, per nulla astratto, immaginato certo, ma nei minimi dettagli.

Tolkien influenzerà ovviamente, credo anche a causa di queste caratteristiche, oltre alla sua capacità narrativa, tutto il genere fantasy, creando archetipi e miti che saranno poi ripresi come fonte d’ispirazione da moltissimi autori che fanno parte dell’high fantasy. A mio parere è un buon esempio di narratore e di romanziere anche per qualsiasi altro genere letterario. E’ anche un punto di riferimento per chiunque voglia costruire un romanzo solido, ricco di dettagli, ben curato. La calma e la lentezza e la cura per i dettagli sono le caratteristiche principali di J. R. R. Tolkien, e la sua potenza raffigurativa ed evocativa è indubbia, nella sua penna vi è tutta la forza ritrovata dei popoli degli uomini, Narsil riforgiata in Anduril, ma anche la leggerezza e la dolcezza dei luoghi degli elfi, la semplicità e la tranquillità stupenda della Contea e dei suoi verdi campi e dei focolari delle case Hobbit, la magia potente e antica degli stregoni, la fierezza delle montagne, la libertà del vento, l’oscurità dell’animo di Gollum e la continua tentazione del potere oscuro dell’Anello, la redenzione, il ritorno a casa, la parte migliore del viaggio.

“Il Signore degli Anelli” termina con l’immagine di una nave che si allontana oltre l’orizzonte infinito del mare, gli eroi  abbandonano la Terra di Mezzo, metafora della condizione umana, a metà tra l’oscurità più profonda e la luce più splendente, gloriosa e sempiterna. Merry e Pipino tornano verso la terra di Buck e Sam a Hobbiville. A questo punto il vero uomo comune e punto di vista possibile del lettore coincide con quello di Sam, che dopo aver vissuto / letto un’avventura imponente e immensa, ritorna a casa, ritorna alla realtà, godendo dei frutti di una vita tranquilla, secondo la natura tipica degli Hobbit, un popolo nato dall’immaginazione di Tolkien, ma che ha caratteristiche talmente reali e concrete da ricordarci noi stessi, noi lettori.

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