Rhapsody – Symphony of Enchanted Lands II – the dark secret

It was a good time for all creatures of the earth,

but fate decreed that the dark prophecy of a demon

knight could bring a tragic end to this peace

scarring their lives forever.”

Era un buon periodo per tutte le creature della terra,

ma il fato decretò che l’oscura profezia di un cavaliere demone

potesse portare questa pace a una fine tragica

lasciando per sempre il segno sulle loro vite.”

The Dark Secret

Tutte le forme di espressione artistica portate a compiutezza in una dimensione professionale e, conseguentemente, commerciale, implicano sforzi economici e produttivi. Entrano così in gioco questioni che ben poco hanno a che fare con i meriti artistici e tecnici dell’opera, ma che cionondimeno ne possono influenzare grandemente il successo. A partire dalla possibilità di investire di più in pubblicità e mettere in moto macchine commerciali potenti, fino alla disponibilità di risorse da impiegare per coinvolgere professionisti di spicco e azzardare soluzioni che permettano di sfruttare al massimo il potenziale del “prodotto” (parola usata non a caso).

In sostanza, così come esistono film indipendenti a basso costo e kolossal hollywoodiani, i Rhapsody, che negli anni avevano provato a etichettarsi come fautori di un improbabile “Hollywood Metal”, con Symphony of Enchanted Lands part II ebbero, in piccolo, il loro Kolossal.

Completata la Emerald Sword Saga sotto l’egida della LMP (Limb Music Products), la band triestina passò alla Magic Circle Music del rinomato Joey DeMaio, leader e bassista dei Manowar.

Che gli stessi Manowar fossero una fonte di ispirazione per i Rhapsody era cosa nota, perciò non sorprese che DeMaio si trovasse in sintonia con quanto prodotto da Turilli & Co. tanto da decidere non solo prenderli sotto la sua ala ma addirittura di investire risorse sufficienti a far sì che il loro nuovo disco fosse del più alto livello possibile. Ciò comportò innanzitutto l’ingresso in pianta stabile di un vero e proprio cast di attori professionisti per impersonare i nuovi protagonisti della nascente Dark Secret Saga (anche se in questo primo capitolo ne compaiono solo due), e in secondo luogo l’impiego della Bohuslav Martinu Philharmonic Orchestra e il Brno Academy Choir della Repubblica Ceca al gran completo. Queste due novità produssero un effetto tutt’altro che trascurabile nell’economia della musica dei Rhapsody, sia perché l’integrazione tra metal e musica classica raggiunse qui il suo apice, sia perché i numerosi interventi degli attori avvicinarono un album di canzoni power/metalliche/orchestrali/folk a una sorta di audiolibro fantasy. Se poi si considera che come narratore d’eccezione DeMaio reclutò nientepopodimeno che Christopher Lee, il gioco è fatto.

Il grande attore, fresco dello strepitoso successo planetario ottenuto proprio in quegli anni grazie al suo Saruman nella trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, nella storia interpreta Re Uriel, il capo della coalizione delle forze del bene. Lee avrebbe accompagnato i Rhapsody con il suo profondo timbro baritonale per tutti gli anni a venire, persino dopo la sua scomparsa (è sempre sua la voce che declama un brano, ovviamente registrato in un’altra occasione, nell’album The Eighth Mountain uscito nel 2019). La sua genuina passione per la musica, anche metal, lo portò a collaborare con il gruppo anche in vesti di cantante, duettando con Fabio Lione nella canzone The Magic of the Wizard’s Dream, seppur non nella versione presente sul full lenght, registrandola in ben quattro lingue diverse (!); della canzone venne realizzato anche un video.

Detto questo, è evidente che nessuna produzione, per quanto ben orchestrata, possa sostituire la carenza di idee o peggio ancora la mancanza di energia di una band; fortunatamente, in questo caso, i Rhapsody sfornarono uno dei migliori capitoli della loro discografia. Arruolato in pianta stabile il bassista francese Patrice Guers (connazionale di Dominique Leurquin, il secondo chitarrista in sede live, ), Staropoli e Turilli ripresero il discorso da dove lo avevano interrotto due anni prima. Quale sarebbe stato il seguito dell’avventura del Guerriero di Ghiaccio? Ovviamente un altro libro… pardon album, ambientato nello stesso mondo fantasy. Non solo, i Rhapsody proseguirono la storia trasformando il precedente antagonista Dargor nel nuovo protagonista. E per giocare ancor più sul sicuro usarono un titolo che richiamasse il loro disco più celebrato e, guarda caso, orchestrale: Symphony of Enchanted Lands.

Proprio come in un film di maggior respiro, o in un libro più corposo, la narrazione si prende qui i suoi tempi e si dilunga per intere pagine a descrivere i retroscena delle vicende che si svilupperanno nelle canzoni a venire. Nel libretto c’è addirittura una pagina dedicata alla cronistoria del mondo conosciuto, con tanto di date e brevi riassunti delle guerre che si sono succedute nella storia, dalla nascita del dio del male Kron fino alla sconfitta del suo lontano discepolo Akron (nella guerra dei Gargoyles del precedente cd).

Questo excursus serve perché le radici del male, in questo capitolo, risalgono ai tempi in cui Nekron, uno dei figli demoniaci del dio Kron, fu sconfitto nell’ultima delle Guerre Primordiali tra angeli e demoni. Poco prima di morire, Nekron usò il sangue degli angeli per trascrivere in sette libri i rituali volti a liberare sette demoni posti a guardia dei cancelli infernali e trasformati in pietra dagli stessi angeli. Anche se sei di questi libri vennero recuperati dalle forze alleate nel corso dei secoli, l’ultimo di essi rimase in mani nemiche. Questo libro contiene il Segreto Oscuro che dà il nome alla nuova saga: il segreto della resurrezione di Nekron. In seguito alla sconfitta di Akron nell’ultimo album, i discepoli superstiti del Black Order hanno cominciato a radunarsi e a perpetrare i rituali atti a riportare in vita Nekron e a scatenare l’assalto definitivo delle creature delle tenebre, e proprio da qui prende le mosse la nuova saga.

Dopo una storia così corposa (che invero come al solito non brilla di fantasia, ma fa il suo dovere) e tante premesse/promesse si può pensare che ci sia troppa carne al fuoco e che in realtà il cd sia un piatto infarcito di fin troppa roba e che a risentirne sia proprio la musica; invece Symphony of Enchanted Lands II – The Dark Secret risulta esattamente quello che dovrebbe essere: un disco sinfonico, intenso, vario e godibilissimo. Va bene, forse un po’ lunghetto con i suoi settantadue minuti di durata…

L’album si apre con un’intro, The Dark Secret – Ira Divina, che questa volta non solo ha il sapore di una vera e propria canzone ma introduce la possente voce di Lee e l’incredibile dinamicità dell’intera orchestra. Entrambi i biglietti da visita si rivelano vincenti e dirompenti e consegnano la sensazione di essere finalmente al cospetto della visione di musica fantasy così come Turilli e Staropoli l’avevano sempre concepita: un film sonoro, magniloquente, ricco e potente.

Le Enchanted Lands si sono riprese dalla guerra contro Akron e la città di Algalord risplende più grandiosa che mai. Unholy Warcry è la perfetta canzone d’apertura: veloce, con un ritornello orecchiabile, cambi di tempo, un bell’assolo di chitarra e l’orchestra perfettamente amalgamata con gli strumenti della band e la voce squillante di Fabio Lione. Risulta sorprendente l’equilibrio tra le miriadi di suoni che si accavallano tra loro senza mai ostacolarsi, occupando ognuno una frequenza differente e arricchendo l’insieme rimanendo al tempo stesso perfettamente distinguibili nelle loro diverse identità. Un plauso al mix dell’onnipresente Sascha Paeth. Di questa prima canzone esiste un video in versione estesa (contenuto anche nel dvd bonus allegato all’edizione europea del cd) che ben risponde all’idea di musica cinematografica dei Rhapsody. E se pensate che il greenscreen dietro a Christopher Lee sia pacchiano, specialmente rispetto ai videoclip odierni, allora non avete mai visto il primissimo video di Holy Thunderforce.

Si prosegue con un pezzo più canonico, Never Forgotten Heroes, che celebra gli eroi della precedente Emerald Sword Saga e presenta anche un primo assolo di tastiera. I cori dell’inizio sono chiaramente debitori della colonna sonora che Howard Shore compose per i film di Peter Jackson (“la fonte d’ispirazione per i miei prossimi dieci album” cit. Turilli).

Vengono poi un breve brano strumentale folk e la già citata Magic of the Wizard’s Dream, un lento poetico e suggestivo in cui Iras Algor (il nuovo mago interpretato dall’attore Toby Eddington e che sostituisce il pensionato Aresius) sogna il suo legame con il Libro Bianco: un’altra preziosa reliquia creata dall’angelo Erian, colui che scoprì i sette libri di Nekron e scrisse a sua volta un testo per annullare l’oscura profezia in essi contenuta. In questa bella ballad Lione ha modo di dare fondo alla sua verve più drammatica e operistica.

Fin qui, dopo ben cinque canzoni, ci si accorge di come in realtà di avvenimenti nella storia non ci sia stata nemmeno l’ombra. Questo lungo cappello introduttivo serve da apripista per la monumentale Erian’s Mystical Rhymes, una delle suite più riuscite della band. Iras Algor e Re Uriel insieme ad altri re, maghi, elfi e nani formano il White Dragon’s Order, un’alleanza nata con lo scopo di agire di nascosto per impedire il risveglio di Nekron ed evitare una nuova guerra. La loro missione segreta sarà l’avventura della Dark Secret Saga. Avendo già messo in musica battaglie sanguinose e scontri terribili, in questa seconda storia la band sembra voler prendere una direzione diversa, più narrativa, con maggior spazio per digressioni e rallentamenti. Per quanto riguarda la musica, se ancora ci fossero dubbi sull’influenza dei film di Jackson sul nuovo corso dei Rhapsody, per fugarli basta ascoltare l’inizio di Erian’s Mystical Rhymes, introdotta dalle voci gutturali dei discepoli del Black Order che parlano nella loro lingua oscura e che ricordano tanto gli Uruk Hai del fosso di Helm. Da qui parte un tripudio di orchestrazioni, assoli (di cui uno persino di basso), acuti e ritmiche marziali che non possono fare a meno di soddisfare anche il palato più esigente in tema di epicità. La voce di Toby Eddington chiude il brano presentando i nuovi eroi scelti dall’Ordine del Drago Bianco: la principessa Lothen, il guerriero Khaas, l’elfo Tarish, lo stesso Iras e infine il redento Dargor, assoldato come guida per le DarkLands. Loro il compito di recuperare il settimo libro, nascosto nelle profondità di Dar-Kunor nel cuore delle Terre Oscure, e strapparlo dalle grinfie dell’Ordine Nero. Finalmente comincia il viaggio.

La successiva The Last Angels’ Call è un piacevole intermezzo di power metal canonico, anche se niente di eclatante. Lo stesso dicasi per Dragonland’s Rivers, una ballata semi acustica e suadente che accompagna i viaggiatori nei primi giorni della loro cerca. I flauti di Manuel Staropoli si ritagliano finalmente uno spazio al centro del palco e riportano gli ascoltatori ai tempi dei primi due album del gruppo.

Il discorso cambia con la seconda e ultima suite del disco: Sacred Power of Raging Winds. Christopher Lee-Re Uriel declama con tutta la potenza della sua voce un incantesimo protettivo per il gruppo di eroi e Dargor, interpretato dallo stesso Lione, affronta il suo personale tormento dialogando con lo spettro di suo padre, Akron, che gli ricorda la sua natura per metà demoniaca e gli rinfaccia di averlo tradito. La duplice natura di Dargor, personaggio ben diverso dall’adamantino e incorruttibile Warrior of Ice, sarà il tema principale della Dark Secret Saga, insieme ovviamente ai continui riferimenti all’importanza di preservare le bellezze naturali del mondo e la sacralità stessa della vita. Musicalmente Sacred Power of Raging Winds incarna in tutto e per tutto lo spirito sinfonico dell’album, con archi, cori, un lungo assolo di flauto, gli immancabili riferimenti alle musiche dei Goblin e, soprattutto, lunghe digressioni di musica classica che rimandano immediatamente al primo Symphony of Enchanted Lands. Difficile trovare di meglio in questo campo.

Guardiani del Destino colma l’unica lacuna finora riscontrata nell’album: l’assenza della lingua italiana. Mentre infatti The Power of the Dragonflame era stato un notevole passo avanti in questo senso, qui l’utilizzo dell’italiano si è considerevolmente ridotto. Compensa in parte la situazione questa canzone cantata interamente in italiano, una sorta di omaggio a Branduardi anche nello stile vocale adottato da Lione; neanche da dire che i flauti di Manuel Staropoli tornano protagonisti. Per chi scrive, è uno dei pezzi meglio riusciti del disco.

Per compensare inoltre la minor dose di aggressività rispetto agli ultimi due dischi, i Rhapsody piazzano Shadows of Death, dove Holzwarth può pestare per benino sulle pelli e Lione spinge la sua vocalità su terreni più estremi, senza però utilizzare lo screaming che aveva sperimentato in precedenza. Anche i riff di Turilli si fanno un pelo più cattivi, ma la presenza quasi costante dell’orchestra mitiga la durezza del brano e in effetti questo è forse l’unico caso del cd in cui sarebbe stato meglio sentire solo la band senza ulteriori impianti orchestrali. Particolarmente ficcanti e prolungati gli assoli, con chitarra e tastiera che si inseguono e duellano su note e ritmi quasi isterici. Anche i testi si movimentano un po’ e ci sono le prime scene di azione mentre gli eroi tentano di accedere all’entrata di Dar-Kunor.

La conclusiva Nightfall on the Grey Mountains rallenta i ritmi e riporta al centro il coro e l’orchestra riprendendo il tema iniziale di Ira Divina contenuto nell’intro. In onore a DeMaio e soci, una marcia tipicamente Manowariana saluta il gruppo di protagonisti e li lascia ai confini delle Darklands, in attesa di affrontare le prove che li aspettano sul prossimo cd, pardon… libro.

Su queste note il leader dei Manowar avrebbe portato i Rhapsody in giro per il mondo come gruppo spalla insieme agli Holy Hell (band da cui gli stessi Rhapsody avrebbero in seguito attinto per breve tempo un secondo chitarrista). Divertenti le riprese dei backstage nel documentario del making of dell’album, inserito nel dvd bonus dell’edizione limitata europea, in cui si scopre ad esempio come la produzione abbia addirittura chiuso le strade al traffico per limitare i rumori di fondo durante le registrazioni dell’orchestra. Un ulteriore dvd sarebbe stato pubblicato l’anno seguente al termine del tour mondiale, immortalato in un live-documentario chiamato Visions from the Enchanted Lands.

Symphony of Enchanted Lands II – The Dark Secret fu un ulteriore passo avanti per Turilli e Staropoli, ora circondati da musicisti di varie nazionalità e di provata esperienza e supportati da una macchina produttiva di caratura superiore. Quest’ultimo aspetto, tuttavia, avrebbe presto rivelato un’altra faccia della medaglia e li avrebbe visti impegnati in una battaglia imprevista e ben poco attinente al mondo della musica, una battaglia che avrebbe addirittura rischiato di mettere in dubbio il prosieguo della carriera del gruppo. Ad ogni modo, curiosamente, questo fu a tutti gli effetti l’ultimo album dei Rhapsody. Almeno nel nome.

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