Ambientazioni e luoghi fantasy #4: Sardathrion, di Lord Dunsany

Con questo articolo continuiamo la rassegna di luoghi e ambientazioni fantasy parlando del worldbuilding astratto descritto da Lord Dunsany, autore di fine Ottocento e precursore del genere fantastico.

Una volta, quando gli dei erano giovani e solo il loro servo nero Tempo non aveva età, essi dormivano vicino a un grande fiume sulla terra. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

Diversamente dai lavori di Tolkien, della cui concretezza abbiamo parlato in un precedente articolo, l’ambientazione del racconto Tempo e gli Dei  di Lord Dunsany esprime appieno lo spirito Romantico e il gusto per il meraviglioso e il grandioso. In questo modo l’autore crea mondi simili a dipinti della sua stessa epoca, impressioni, simboli, astratte considerazioni: storie ancestrali volte verso un orizzonte immortale, ampio, ma simile a nebbia.

È proprio a partire da una sorta di foschia che l’autore descrive l’ambientazione principale di Tempo e gli Dei: Sardathrion.

L’etimologia del nome ricorda una radice indoeuropea, con un suffisso ispirato al greco antico, che porta alla memoria inconscia del lettore dimensioni altre, remote, sepolte a fondo nella mente e nell’immaginazione, nelle radici del mondo inteso come costrutto immaginativo. Eppure emana anche sapori, odori, colori e impressioni che ci riportano in alto, verso l’origine di ogni cosa.

E con cupole e guglie i sogni si levavano e si ergevano orgogliosi tra il fiume e il cielo, e tremolavano tutti bianchi nel mattino. In mezzo alla città il marmo lucido di migliaia di gradini saliva alla cittadella dove si levavano quattro guglie a salutare il cielo, e nel bel mezzo delle guglie c’era la cupola, immensa, come gli dei l’avevano sognata. Tutt’attorno, una terrazza dopo l’altra, si allargavano distese marmoree ben guardate da leoni di onice e scolpite con le effigi di tutti gli dei, che sfilavano tra i simboli dei mondi. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

 

L’ispirazione neoclassica  permette di contestualizzare il periodo storico in cui Lord Dunsany scrive, imbevuto di quella voglia di riscoperta, anche e soprattutto dal punto di vista archeologico, delle età più antiche. Sardathrion è una città figlia dei sogni degli dei. Ma quali dei? Di un intero pantheon, elemento che ci riporta indietro nel tempo, all’antichità, al mito. Lord Dunsany scrive infatti di “effigi di tutti gli dei”. Ci troviamo di fronte a qualcosa che richiama la romanità e la grecità, ma anche un mondo ancora più antico, fumoso, perso tra le pieghe delle epoche.

Con uno scampanio di campane lontane, in un paese di pastori nascosto da una collina, le acque di innumerevoli fontane si lanciavano in alto verso la loro patria. Allora gli dei si svegliarono e là c’era Sardathrion. Non a uomini comuni avrebbero gli dei concesso di passeggiare per le vie di Sardathrion, né a occhi comuni di vedere le sue fontane. Soltanto a coloro ai quali sui colli solitari nella notte gli dei hanno parlato, affacciandosi tra le stelle, a coloro che hanno udito le voci degli dei al di sopra del mattino o ne hanno visto i volti chini sul mare, solo a questi è dato di vedere Sardathrion, di stare dove le sue guglie s’intrecciano nella notte appena uscita dai sogni degli dei. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

“In un paese di pastori” è un richiamo alla poesia bucolica greca e latina. Sardathrion è quindi forse una sorta di Arcadia, il luogo sognato dai pastori. Eppure le sue guglie e i suoi marmi ci rimandano sì a qualcosa d’idilliaco, ma che nulla ha a che fare con John Keats e il suo Endimione. È infatti un non luogo che si rivela solo a coloro ai quali gli dei hanno parlato, qualcosa di sacro e grandioso, un richiamo a Babilonia ma anche ad una splendida e radiosa Atene, o ad una Roma imperiale nel massimo della sua gloria, ma anche di più. Sardathrion assomiglia quasi a un’Atlantide sospesa non tra gli oceani, ma tra le nubi e tra i sogni, tra immagini a metà tra la notte e il giorno.

Non a tutti è concesso di vederla, come se fosse qualcosa di prezioso, di speciale. Sta al di là della realtà, ma è in qualche modo anche concreta: ha una sua architettura, una sua materialità. Solo chi percepisce la presenza degli dei, chi sente l’immanenza dell’eternità racchiusa in un piccolo particolare, in una sfumatura del cielo al tramonto, tra le nebbie del primo mattino o nel firmamento stellato, la può vedere. Ecco allora che gli dei si affacciano dal cielo e parlano coi mortali, quei pochi  cui è concesso di vedere Sardathrion.

Perché attorno alla valle si estende un gran deserto che il viaggiatore non riesce ad attraversare, ma coloro che sono stati scelti dagli dei avvertono inaspettatamente, una grande brama nel cuore e superano i monti che separano il deserto dal resto del mondo, e lo attraversano guidati dagli dei. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

 

La sensibilità spiccatamente ottocentesca di Lord Dunsany emerge anche nel richiamo epico, quasi biblico, al concetto della scelta e della predestinazione da parte degli dei: “coloro che sono stati scelti dagli dei avvertono inaspettatamente una grande brama nel cuore”, ovvero un anelito nei confronti dell’infinito.

Allora riescono a superare i monti, altra immagine archetipica presente nell’inconscio collettivo occidentale, ma non solo. Una volta superata l’invalicabilità del limite naturale più antico imposto all’uomo nel suo viaggiare, le catene montuose, gli uomini a cui gli dei hanno parlato riescono a raggiungere la valle dove si trova Sardathrion.

La valle, va sottolineato, è “nascosta nel deserto”, simbolo di solitudine, di raccoglimento, di meditazione. È infatti necessario aver compiuto un certo percorso interiore per raggiungere Sardathrion: bisogna essersi chiudersi in se stessi per aprirsi alla sensazione, alla percezione della meraviglia e dell’infinito, da intendersi secondo la letteratura contemporanea a Lord Dunsany.

È molto interessante notare come gli occhi degli uomini “contemplano” (il verbo usato è proprio questo), Sardathrion. La contemplazione è qualcosa che ha a che fare con l’aspetto più antico e più sacro dell’umano. È uno degli aspetti cardine della poetica della seconda metà dell’Ottocento: la letteratura nasce dalla contemplazione.

Nessuno mai udrà la voce dei poeti di quella città, a cui hanno parlato gli dei. Una città appartata. Non se ne è mai parlato. Io solo l’ho sognata e non sono sicuro che i miei sogni siano veri. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

Lord Dunsany precisa che Sardathrion è una città dalla quale non si può fare ritorno, è qualcosa di nascosto e sacro: “perciò nessuna città udrà mai le canzoni cantate nella cittadella di marmo da coloro nelle cui orecchie risuonarono le voci degli dei”.

Nei passi successivi del racconto viene introdotto il concetto degli “anni di poi”. L’autore menziona un’età aurea, in cui gli dei passeggiavano per le strade marmoree della mitica città,ma, una volta giunti gli “anni di poi”, le divinità, figure oniriche e archetipiche, hanno smesso di frequentare la città.

Vengono ricordate con malinconia, come se, spinte da una necessità che appartiene ad altri mondi, si fossero trasformate in un tipo diverso di divino, da immanente – e incarnato nei fiumi e nelle valli e nei deserti degli uomini  – a qualcosa di estraniato dalla natura, eterno ma freddo, superiore all’uomo nel suo mistero.

Poi gli dei riprendevano a fare il lavoro degli dei, rispondendo alle preghiere degli uomini o castigandoli, e sempre essi mandavano il nero servo Tempo a portar sollievo o a opprimere. E Tempo andava in mezzo ai mondi per obbedire ai comandi degli dei, ma gettava sguardi furtivi ai suoi padroni, e gli dei diffidavano di Tempo perché aveva conosciuto i mondi o ciò che gli dei divennero.– Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

 

In questo passo viene introdotto il personaggio di Tempo, simile alle divinità minori del pantheon greco come Phobos e Hypnos. Gli dei riprendendo a fare “il lavoro degli dei”, mandano Tempo a confortare gli uomini, oppure a opprimerli. Sembra che l’autore in questo racconto narri la trasformazione del concetto di divino e sacro dall’epoca pagana antica e classica fino ad arrivare ad una religiosità di tipo medievale e cristiano, usando termini come “preghiere degli uomini” e “castighi”. Lord Dunsany potrebbe essere stato influenzato dall’entusiasmo nei confronti dell’antichità tipico della sua epoca storica. Sappiamo infatti che la grecità era legata ad un concetto di castigo  e vergogna che nulla aveva a che fare con il peccato in senso morale della tradizione giudaico-cristiana. Esso era connesso al concetto di hubris, la tracotanza nei confronti del divino, delle leggi naturali e delle convenzioni della polis, tramandate prima oralmente e poi sotto forma scritta anche tramite l’epica omerica, fondamento della civiltà greca antica. Nel passo preso in considerazione, in cui l’autore colloca gli dei negli “anni di poi”, traspare un concetto di castigo che rimanda alla Sorte in senso greco, perché gli dei dispensano sia conforto che pene, ma anche a una raffigurazione trasmutata del senso del sacro.

Gli dei in questo passo parlano sempre “al di sopra del Crepuscolo”. Sono un’entità titanica, eternamente eterea, mistica, oscura, misteriosa.

Un giorno, quando Tempo furtivo era andato nei mondi per annientare una città di cui gli dei si erano stancati, gli dei parlando al di sopra del Crepuscolo dissero: ‘Certo noi siamo i padroni di Tempo e anche signori dei mondi. Vedete come la nostra città Sardathrion ancora sta, prima  e ultima tra le città. I fiumi si perdono in mare e i corsi d’acqua abbandonano i colli, ma smpre le fontane di Sardathrion si levano al cielo nella nostra città di sogno. Com’era Sardathrion quando gli dei erano giovani, così oggi le sue strade sono un segno che noi siamo gli dei’. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

 

Tempo è raffigurato in modo simile al dio Hermes, furtivo e schivo, ma privo di caratteristiche positive. L’unica eccezione si verifica quando gli viene ordinato di portare conforto agli uomini, altrimenti si tratta di una figura quasi sinistra, che guarda di traverso e di soppiatto gli dei a lui superiori.

In questo passo le similitudini tra Sardathrion e l’Atlantide platonica sono numerose e lampanti. È la prima e l’ultima tra le città. Tuttavia l’interpretazione può anche essere estesa a moltissime altre città del passato, anche esistite realmente. Tutto il racconto è una metafora dello scorrere del tempo, della bellezza dell’antichità e della voglia di riscoperta archeologica tipica della seconda metà dell’Ottocento. Roma, Atene, la perduta Tebe, Cartagine, Rodi, ciò che resta della civiltà micenea, Babilonia, ognuna di queste, potremmo dire, entità,  rivive nel racconto e nella sensibilità della prosa di Lord Dunsany.

A un tratto la sagoma nera di Tempo apparve davanti agli dei, con le mani che gocciolavano sangue e una spada arrossata che pendeva inutile dalle sue dita, e disse: ‘Sardathrion è sparita! Io l’ho rasa al suolo!’ – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

 

L’inevitabilità e l’ineluttabilità del tempo trasportano il lettore nella malinconia del finale del racconto breve. È la sorte che spetta ai mortali, un ritorno brusco alla realtà, la fine dell’età aurea, la presa di consapevolezza ultima, la metafora della morte e della caducità umana.

Tempus fugit. Se per gli antichi il concetto di morte era venato da un senso di liberazione dagli affanni della vita, per l’uomo dell’Ottocento e per lo scrittore moderno il fatto che le proprie pagine, la propria opera, scompariranno, rappresenta un vero e proprio enigma insolubile e dolente. La tragedia del Romanticismo inglese è il rendersi conto della propria evanescenza, della propria natura mortale: nulla sfugge al tempo. Si potrebbe risolvere la questione con il concetto di rinascita, che è ben presente nella tradizione cristiana, ma che il Positivismo rifiuta categoricamente. L’uomo dell’Ottocento si trova quindi di fronte a un bivio: da una parte l’eterno e il sacro, dall’altra la filosofia intesa come ragione cieca, che non ammette fantasticherie. Da tutto ciò non può che scaturire una visione malinconica. Ebbene, l’autore riesce a mantenere estraniati dalla contemporaneità che egli viveva i toni del suo scrivere. A mio avviso un autore fantastico dovrebbe sempre rifarsi a una dimensione dell’oltre, che muta, selvaggia e indomabile, ma che è allo stesso tempo la radice della creatività, il fondamento su cui si posa tutta la prosa. Un ritorno alle origini, insomma, un magma inconscio da cui scaturisce tutta l’energia di cui l’arte necessita, lo stesso sentire e contemplare che era tipico degli antichi, di cui anche Lord Dunsany parla.

Le lacrime non ci riporteranno Sardathrion, ma questo possono fare gli dei, che hanno osservato, e osservato con occhi impassibili, le sofferenze di diecimila mondi: i tuoi dei piangeranno su di te. […] Quante volte qundo la Notte calava improvvisa sul Mattino che giocava nei campi del Crepuscolo abbiamo contemplato le tue guglie che emergevano dall’oscurità, Sardathrion, Sardathrion, città di sogno degli dei, e i tuoi leoni d’onice che si stagliavano zampa contro zampa nell’imbrunire. Quante volte abbiamo mandato nostra figlia Alba a giocare con gli alti getti della tua fontana; quante volte Sera, la più bella delle nostre dee, ha indugiato sulle tue terrazze. Che un frammento dei tuoi marmi emerga dalla polvere perché i tuoi antichi dei lo accarezzino, come un uomo quando ogni altra cosa è perduta fa tesoro di un ricciolo della sua amata. Sardathrion, gli dei baceranno ancora una volta il luogo dove un tempo erano le tue strade. C’erano marmi splendidi nelle tue vie, Sardathrion. Sardhathrion, Sardathrion, gli dei piangono su di te’. – Tempo e gli Dei, Lord Dunsany.

 

Tempo minacciosamente si avvicina agli dei, con la lama in pugno, e allora gli dei temono per la loro stessa esistenza. Eterei, l’unica cosa che possono fare è levare un lamento per la città di Sardathrion. Anche in questo riecheggia nella composizione di Lord Dunsany un sapore spiccatamente classico: il genere della lamentazione era infatti molto diffuso nella letteratura greca, così come gli inni dedicati alle divinità. La maggior parte dei frammenti più antichi che sono giunti tramite lo scorrere del tempo fino ad oggi riguardano per l’appunto invocazioni, inni e lamentazioni funebri.

L’autore struttura il finale del racconto attraverso un mix di questi generi, descrivendo gli dei che piangono Sardathrion, un nome che viene ripetuto quasi come una preghiera, un mantra, come per non dimenticarlo, per non lasciarlo andare. Una città, un’idea, una sensazione, un’emozione, un pensiero, un luogo fantastico che ha una forza espressiva e una potenza immaginativa devastante, ancestrale. È qualcosa che a che fare con l’eternità.

Questo racconto fu pubblicato nel 1906 con il titolo Time and the Gods, e fa parte di un più ampio corpus narrativo il cui pantheon di divinità ha influenzato moltissimi autori, dalla letteratura di H.P. Lovecraft al fantasy di ogni tipo. L’ambientazione e i luoghi sono descritti in modo onirico, con uno stile che ha più a che fare con le arti figurative che con la letteratura. Il diciottesimo lord di Dunsany sembra infatti quasi un pittore preraffaellita che col suo pennello dipinga mondi al di sopra del Crepuscolo e divinità antiche, con una sensibilità e un’ispirazione di chiaro stampo Romantico che, tuttavia, porta con sé qualcosa di molto moderno. È un autore la cui lettura risulta ancora oggi scorrevole, e il cui stile narrativo rimane attuale. Le atmosfere mitiche e fantastiche create dalla sua immaginazione, infatti, si rifanno ad una dimensione sia di eternità che di immanenza. Lord Dunsany trasmette al lettore un pervasivo senso di meraviglia e di malinconia che si può riassumere nel termine tedesco sehnsucht, una parola molto usata dai poeti Romantici che sta a significare un anelito, una brama, una nostalgia, una voglia, uno sguardo verso l’infinito, un’apertura all’oltre, tipica della letteratura ottocentesca di cui l’autore fa parte. Tempo dopo il suo stile influenzerà autori come C. A. Smith, il già citato H.P. Lovecraft, che aveva una vera e propria passione per Lord Dunsany, e la letteratura fantastica tutta, proprio tramite il suo modo di costruire un mondo immaginario e la sua spiccata particolarità stilistica e compositiva.

 

 

 

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