Recensioni: “Atlantide” di Pierre Benoit (1919)

Se dovesse risultare utile suggerire ad un esperto lettore di Fantasy un modo per percepire “Queen of Atlantis” di Pierre Benoit, sarebbe certamente quell’area residuale nella Editrice Nord, riproposta insieme ai romanzi Fantasy anche nella Fantacollana o nella  “Serie Arcano” ad essere citata per stimolare il suo immaginario e farlo sentire a suo agio nel tuffarsi in una lettura del genere. Questo romanzo francese, identificabile perfino come “classico moderno” del 1919, contemporaneo alle prime storie di Abraham Merrit, poteva ben figurare in un ambiente del genere nel trovarsi in compagnia di opere come Il Pozzo della Luna (Fantacollana Nord) o Brucia, Strega Brucia (Arcano), e così l’ottocentesco Olaf Spadarossa (Narrativa Nord). Sia Merrit che Haggard sono stati più volte lambiti nelle precedenti trattazioni come quella su Conan, o l’altra sull’antimodernismo e le innovazioni; e non solo lambiti ma del tutto centrati nella recente “videochiacchiera dalla cripta“. Nelle nostre panoramiche abbiamo sino ad ora preferito schivare il romanzo di Benoit che sarebbe stata in effetti una citazione ridondante essendo questo del tutto sovrapposto alla linea di Haggard, ma oggi recuperiamo questo nome che abbiamo omesso nel recente passato per capire i punti di interesse di un romanzo del tutto derivativo, ma dalla buona personalità e dal temperamento “colto” .

Se da un lato la proposta del romanzo si estende su un’eredità del tutto derivativa, dall’altro il Benoit riesce ad esercitare un buon contrasto imponendo la sua personalità in un contesto dettagliato da un punto di vista “documentale”, che si focalizza sull’area del Sahara e i Monti dell’Ahaggar, sviluppando la costruzione di un preciso e credibile quadro pseudostorico e questo certamente crea una comunanza di indagine non solo con Haggard, ma anche con Burroughs nel Ciclo di Pellucidar. I fatti iniziali, raccontati anche sottoforma di lettera, fanno emergere  personaggi come il Tenente O. Ferreriès e il Capitano De Saint-Avit. I due intraprenderanno una spedizione nel Sahara in una circostanza resa inquieta dall’omicidio di Morhange e quindi da un iniziale – e molto effimero- sentore giallo-thriller, ma anche dall’instabilità politica dell’area geografica, caratterizzata da insurrezioni, tribù in conflitto, scorribande di Tuaregh, azioni di Sultani e ingerenze delle potenze europee.

Il romanzo, dalle sue premesse epistolari, passando per il viaggio della narrazione diretta, sino alla scoperta di Atlantide, impone il suo ritmo piuttosto cadenzato, presentando in questa fase le limitate differenze con H. R. Haggard. Entrambi gli scrittori hanno una voce importante, una personalità forte e una inclinazione lirica non indifferente. Nel primo quest’ultime caratteristiche sono messe al servizio dell’avventura e di un’anima filosofica di fondo impreziosita di immagini e metafore e dal contrasto -non solo visivo – tra personaggi come Holly e il figlio adottivo. Nel Benoit invece vi è una maggiore tendenza al melodramma fondato sull’ossessione, alle peculiarità descrittive e contestuali senza dubbio – come per Haggard – influenzate dai suoi reali viaggi in Africa, e ad un notevole sfoggio culturale-bibliografico. Le opere letterarie, i personaggi e gli scrittori citati nell’opera formano una mole di contenuti piuttosto considerevole che vanno da Platone, Plinio il Vecchio, Ammiano Marcellino, sino a Victor Hugo e i suoi racconti di stampo coloniale. Anche la “Lei” della situazione, Antinea, sembra avere più un approccio “acculturato” che saggio. Rispetto ad Ayesha , l’implacabile immortale di “Atlantida” manifesta la sua sapienza non tanto come una saggezza di principio, superiore e senza tempo ma composta bensì di cultura e nozioni. Questa caratteristica che viene talvolta spesa crea un senso leggermente estraneante che quasi porta in mente il nozionismo di uno dei tarzanidi più famosi, un vero collezionista di civiltà perdute scoperte, vale a dire Akim, benchè si tiene ovviamente conto del contesto disimpegnato dell’eroe dalle mutande leopardate e del fatto che in Antinea la caratteristica è maggiormente proponibile rispetto ad un essere che – per quanto abile – è pur sempre umano come Akim, verso il quale la domanda sorge spontanea:

Ma dove hai imparato tutte queste cose?

Ad Antinea, alla fin fine, non faremo mai una domanda del genere, si troverebbe il modo di darci una risposta da soli, ma senza dubbio l’interrogativo potrebbe balenare in mente seppur messo a tacere dalla visione d’insieme. Innegabile che una saggezza proposta con “blocchi elementari” di pensiero, più anacronistica, primitivamente filosofica e superiore, nello stile di personaggi “eterni” o magici come Merlino, la stessa Ayesha e “figlie” varie – dall’incontro con un antidiluviano nosferatu magari- come Akivasha ne L’Ora del Dragone o Akasha ne la Regina dei Dannati avrebbe dato un qualcosa in più. In quest’ultima, creata dalla recentemente scomparsa Anne Rice vi è certo il vantaggio di essere una vampira pervenuta ai tempi moderni che permette di giustificare quel senso di “Up date” nozionistico, ma questo ci porta a riflettere sulla difficoltà di creare un personaggio “eterno” e di raccontarne una saggezza e un carisma che possa prescindere dal bisogno di “aggiornamenti” e dal richiamo culturale come mezzo per rappresentare una conoscenza sovrumana. Vi sono comunque dei punti di forza su Antinea che nell’insieme risulta infatti apprezzabile e riuscita, i quali sono espressi sul racconto della sua ambiguità e la sua capacità di tramutarsi in ossessione. La tensione onirica e melodrammatica che genera Antinea è l’asse portante del romanzo, leggermente maggioritario rispetto a quello prettamente avventuroso e condurra ad un finale sul quale non si ritiene necessario fare alcun tipo di considerazione, essendo questa una semplice recensione.

Famiglia, Patria, Onore… per lei negherete tutto” (Professor Le Mesge)

Pur con queste differenze – come detto – permane una voce da alto narratore simile a quella di H. R. Haggard, rimane intatta la morbosità diffusa nella storia, le ossessioni psicologiche nel romanzo e non solo negli amanti uccisi e conservati come statue di oricalco ma anche nei comportamenti ossessivi e “magnetizzati” dei protagonisti verso viaggio e scoperta che in maniera meritevole tracciano una differenza tra avventurieri eroici e “avventurieri misterici”. Sono altresì ammirevoli le descrizioni dei paesaggi e dei luoghi. Antinea, oltre ad accostarsi macroscopicamente con Ayesha e caricarsi del fascino della leggendaria Tin Hinan assume una somiglianza con la Maga Circe. Talvolta, la storia scritta dal Benoit pecca nel non far uso di ciò che essa stessa propone. Vengono posti molti elementi estetici, digressioni e potenziali tratti interessanti, come i grandi felini e i leopardi che talvolta compaiono, ma Benoit preferisce focalizzarsi sui toni melodrammatici e non attingere dagli elementi che avrebbero portato maggior senso d’avventura, pur dimostrando di possedere numerose frecce per il suo arco e di essere abile nelle fasi avventurose.

L’ opera ebbe una risposta di gradimento importante che ne comportò la vittoria al Gran Prix del Romanzo di Parigi (1919), e una serie nutrita di trasposizioni cinematografiche a partire dal 1921 (l’Atlantide, J. Feyder, 1921) proseguendo per gli anni 30 (L’ Atlantide, Pabst, 1932) , arrivando a Siren of Atlantis (1949, Tallas) e culminando con un richiamo piuttosto vistoso nel film del 1952 di Mario Mattioli, Totò Sceicco, sino al gran finale di un’ulteriore opera nella pellicola di Edgar G. Ulmer dal Titolo Antinea, l’amante della città sepolta, che vanta la presenza di… udite udite: Amedeo Nazzari e Jean Louis Trintignant. La storia di Benoit fece tuttavia parlare di sè anche in termini negativi, con le accuse di plagio complessivamente ingiuste verso il romanzo di Haggard il quale non prese mai parola a riguardo e mai concesse appoggio agli accusatori. Nonostante la sua matrice vistosamente derivativa è innegabile che il romanzo riesca a scandire una sua voce e una personalità forte. L’abilità tecnica, l’impronta colta e autoriale e la capacità descrittiva di Benoit sono state decisive per ottenere i sopracitati e soddisfacenti risultati, sebbene non capaci di impedire un crollo di notorietà successivo agli anni ’60, al quale non solo il forte richiamo haggardiano, ma anche lo stigma di opera razzista, maschilista e colonialista, ha certamente contribuito a provocare, dimostrandosi tuttavia una sentenza assolutamente miope e poco accurata, forse strumentalmente utilizzata per attaccare in realtà gli ideali di destra abbracciati pubblicamente da Pierre Benoit. Il personaggio di Antinea è stato visto da molti come un modo di Benoit per suggerire la malvagità delle culture esotiche colonizzate e un’estensione verso una condanna sul sesso femminile, tuttavia quest’ultima più che una sentenza maschilistica alla tentazione del comportamento femminile sembrerebbe incarnare le bellezze dell’ignoto, che attraggono l’ambizione e la curiosità umana verso lo svelamento dell’occulto, lasciando l’uomo a capire troppo tardi che non si può turbare sempre ogni equilibro nascosto nei misteri della storia, della natura e della magia. Il fatto che sia stata scelta una “eterna”, meravigliosa, predatoria e seduttrice invece che un tesoro, una razza magica o un talismano maledetto sembrerebbe solo e semplicemente un fatto letterario.

Note e altro

Wikipedia – la Leggendaria Tin Hinan

Imdb – L’ Atlantide (J. Feyder, 1921) – la prima trasposizione cinematografica

Videocchiacchiere dalla Cripta ep. 2 – Il Pozzo della Luna (A. Merrit, 1919)

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