I racconti di Satampra Zeiros: “Le fatiche di Steve Reeves” di Alberto Henriet

Il nostro veterano Alberto Henriet torna su Hyperborea con un racconto che omaggia la fantastica stagione del cinema peplum, fucina di pellicole divertenti e pittoresche che tanto bene si sposa col fantasy mediterraneo, spesso condita da un pizzico di umorismo. Ecco dunque per voi…

 

Le fatiche di Steve Reeves

Roma, febbraio 1958

Nelle sale cinematografiche italiane, il 20 febbraio 1958 venne distribuito il film peplum Le fatiche di Ercole diretto da Pietro Francisci, e interpretato dal culturista statunitense Steve Reeves. I manifesti colorati del nuovo spettacolo mitologico erano incollati ovunque, e producevano una piacevole e bizzarra sensazione di rinascita pop dell’antico mondo pagano greco-romano. Il film diventò presto uno dei maggiori successi commerciali della stagione cinematografica italiana 1957/1958. Era nata una stella del cinema Sword & Sandals. Il direttore della fotografia era Mario Bava, che a sua volta si sarebbe affermato come un maestro del cinema fantastico all’italiana.

L’auto della produzione, una Fiat 1100 Necker grigio metallizzata, si fermò davanti all’albergo romano Nazionale dove Steve Reeves aveva la sua stanza. L’attore americano aveva appena assistito a una affollata proiezione del suo film. Ed era stato accolto in modo entusiastico dal pubblico, che aveva apprezzato la sua virile prestanza di culturista sullo schermo, accompagnando la visione del film con numerosi applausi e ingenue esclamazioni di genuina meraviglia. Il fumo delle sigarette aveva creato nuvole grigie che si mescolavano ai fasci azzurri di luce del film che veniva proiettato sul grande schermo del cinema Rialto. Dopo lo spettacolo, Steve aveva autografato molte foto che lo ritraevano nel ruolo di Ercole mentre i paparazzi aggressivi lo assediavano con i lampi delle loro macchine fotografiche.

«Mister Reeves, please, un altro scatto!»

«That’s enough! Thanks!» rispondeva l’attore, sorridendo e schermandosi gli occhi per il bagliore dei flash.

 Era stata una serata faticosa, ma alquanto piacevole. E ora era piuttosto stanco.

Steve entrò nella sua stanza, e chiuse la porta a chiave dopo avere lasciato all’esterno un cartellino con la scritta “Non disturbare”. Si tolse la giacca e la camicia, e restò a torso nudo davanti allo specchio lucido dalla cornice liberty in argento della camera da letto. Osservò con piacere il suo fisico e il suo volto con una barba corta e ben curata. Era in ottima forma. E con Ercole aveva trovato il modo giusto per ottenere il meglio dalla carriera aleatoria di attore cinematografico. Già si parlava di un nuovo film con Ercole da dirigere a breve. E questa volta sarebbe stato pagato meglio per via del successo commerciale arriso al primo episodio. Ai lati dello specchio c’erano due lampade accese, e la loro luce ambrata scolpiva il fisico scultoreo del trentenne con giochi d’ombra d’effetto. Si spogliò, si fece una doccia calda e poi indossò il perizoma greco che aveva usato sul set de Le fatiche di Ercole.

Ho trovato una nuova strada. La mia carriera cinematografica sta prendendo finalmente la giusta direzione verso il successo dopo un duro lavoro.

Si avvicinò a un tavolino, e si versò del whisky. Dalla finestra aperta entrava il rumore del traffico cittadino: il rombo delle automobili italiane. E anche il vociare chiassoso dei Romani gaudenti che non andavano a letto fino a tarda notte. Sorrise. Vuotò il bicchiere. E si mosse verso lo specchio per spegnere le lampade. Provava una irresistibile attrazione quasi sensuale verso la lastra riflettente, come se fosse sotto l’effetto di un incantesimo. Oltre la soglia la sua immagine riflessa ondeggiò, e poi vide se stesso muoversi in un ambiente di pietra illuminata di verde, tra alte colonne auree scanalate. Affascinato, dimenticò le lampade. E si lasciò assorbire dalla visione dello specchio. Ben presto, la stanza d’albergo svanì. E si ritrovò altrove. Nel cuore misterioso dell’ignoto.

Sono un eroe, un semidio. La mia forza sovrumana è leggendaria tra gli uomini. E sono immortale. E questa condizione a volte mi rende difficile comprendere l’intima natura degli uomini, che invecchiano e muoiono. E passano gran parte del loro tempo a lottare gli uni contro gli altri per futili motivi materiali.

Aveva un temporaneo vuoto di memoria, come se non ricordasse affatto in quale regione della Grecia si trovava e per quale scopo. Ma confidava nella sua forza e nella sua intelligenza. E queste doti avrebbero senz’altro compensato da sole la sua inquietante amnesia. Non era escluso che il suo stato attuale fosse dovuto all’intervento di un dio o di una dea a lui ostile, ma non era realmente preoccupato. Al collo portava un medaglione aureo e un gioiello magico, che splendeva di una luce interna cangiante. Era l’occhio di Zeus. E poteva all’occorrenza scagliare fulmini contro i nemici. Tra le colonne, fece capolino un giovane bellissimo. Ercole lo riconobbe immediatamente. Era Ila, lo scudiero, che viaggiava con lui attraverso le isole del mare Egeo sulla nave Argo.

«Ercole! Ero preoccupato. Pensavo che fossi tornato alla nave Argo senza attendermi» disse il ragazzo. E si fece avanti nella luce nebulosa verde smeraldo.

«Come puoi pensare a una simile cosa? Non sarei partito senza di te. Ma devo avere battuto la testa da qualche parte in questa caverna perché ho perso la memoria. E non ricordo che cosa stiamo facendo in questo luogo. Anche se posso avvertire la presenza della magia nera in maniera molto chiara.»

«Per evitare di essere colti da una violenta tempesta che stava per scoppiare sul mare, la nave Argo si è fermata nel porto naturale di un’isola ignota. E abbiamo iniziato a esplorarla mentre gli Argonauti restavano a bordo del vascello. Abbiamo trovato l’ingresso di una misteriosa caverna, e una volta entrati ci siamo persi in un labirinto, illuminato da strane luci dai colori vividi e brillanti. E poi ho smarrito le tue tracce fino a pochi istanti fa. Sono contento che tu sia ancora qui. Da solo non sarei stato in grado di trovare la via di uscita» spiegò Ila.

Ercole era accigliato, e non rispose subito. Era armato di una clava in legno robusto, macchiata di sangue. Forse prima di perdere la memoria aveva combattuto con qualcuno o contro qualche mostro locale. Indossava un perizoma di cuoio, e portava la pelle invulnerabile del leone Nemeo che aveva soffocato con la sola forza delle proprie braccia e puoi scuoiato di persona. Si avvide che i ricordi cominciavano a tornare in modo progressivo e selettivo nella sua mente. L’effetto di uno strano incantesimo, che lo aveva reso quasi incosciente, si stava attenuando. Sorrise a Ila.

«Non temere, giovane scudiero. In mia compagnia non ti accadrà nulla di male!»

Si mossero insieme nella galleria di roccia. La luce verde diventò purpurea. E nella mente di Ercole strani lampi mnemonici lo turbarono. Erano squarci su una realtà misteriosa che non riusciva a comprendere. Sogni a occhi aperti su un mondo che non conosceva. In uno di questi, era a bordo di una bizzarra nave metallica che si muoveva su quattro ruote. E che rombava. Era un veicolo lucente, e sapeva che il suo nome era Fiat 1100 anche se non aveva mai sentito prima di allora un nome così strano per un vascello che viaggiava sulla terra ferma. A pensarci bene, non poteva essere una nave, ma forse un nuovo tipo di carro senza cavalli. Probabilmente il prodotto della scienza magica delle decadenti e sofisticate civiltà del Medio Oriente. A Babilonia avrebbero potuto usare senz’altro un simile mezzo di locomozione. Sorrise all’idea.

Il labirinto di pietra era costellato di lastre di cristallo nero. E ogni volta che Ercole passava davanti a una di queste l’occhio di Zeus cambiava colore, ed emetteva lampi sottili di energia come se volesse comunicare qualcosa. Forse un potenziale pericolo. Alzò la mano destra, e sfiorò la superficie lustra nella quale era riflessa la sua immagine. Vi passò attraverso. E uscì dalla caverna, ritrovandosi in una città di metallo e di antiche rovine. Era notte. Il cielo era sereno. La luna piena splendeva allo zenith. Faceva freddo. Toccò la pelle invulnerabile di Nemeo, che non poteva essere trafitta dalle lame. E si sentì rassicurato. Ila non era con lui. Era armato della sua clava. Non temeva alcun male.

Sono tornato a Roma.

Una voce parlò nella sua mente, come se ospitasse un altro se stesso. Era spaventato, nonostante la sua incredibile forza fisica. Non aveva mai sperimentato prima di allora nulla di così strano.

Il mio nome è Steve Reeves.

Disse lo straniero che era in lui, e che sembrava condividere il suo corpo.

E ho interpretato il ruolo da protagonista nel film Le fatiche di Ercole. Nella finzione cinematografica, sono stato un semidio, una leggenda dell’antico mondo greco mitologico.

Non sapeva che cosa fosse un film. Lui era un eroe, un guerriero. Non era un filosofo o un attore teatrale di tragedie. Doveva trovare il modo di fare ritorno sull’isola del Mare Egeo dove Ila e gli Argonauti lo attendevano. Si guardò intorno. Nell’oscurità della via dove si stava muovendo silenziosamente come un leopardo, vide occhi di brace che scintillavano. Alzò istintivamente la clava per difendersi. Tre lupi argentei si fecero avanti nella sua direzione. Quando furono più vicini, si preparò all’attacco. La clava roteò con un movimento elegante e preciso nell’aria, e colpì il cranio della belva più vicina, sfondandolo in uno schizzo di sangue e cervella. Portò a termine con efficienza la sua fatica, uccidendo anche gli altri due lupi che tentarono invano di assalirlo. Alla fine dello scontro, tre cadaveri giacevano ai suoi piedi. Sogghignò.

Proseguì la sua esplorazione dello strano corridoio artificiale nel quale era sbucato. In fondo, sulla destra una insegna al neon rossa fiammeggiava a intermittenza nella notte.

È il nostro albergo, Ercole. Disse lo straniero che albergava nella sua mente. Si chiama Nazionale. Domani avremo una dura giornata di lavoro. La produzione vuole che leggiamo il nuovo copione. E che firmiamo il contratto per il nuovo film il prima possibile. Andiamo a letto. Dobbiamo riposare. È tardi.

Ercole si fidò di Steve Reeves (Che nome strano! Pensò).

Entrarono nell’atrio dell’Hotel. Presero la chiave della stanza.

Il ragazzo guardò Steve in modo strano, ma pensò che stesse indossando il costume promozionale del film. Salirono per le scale. Non si fidò a fare entrare Ercole in ascensore. Era uno shock culturale che avrebbe potuto creare una reazione imprevedibile nel semidio. Una volta entrati nella stanza, chiusero a chiave la porta, lasciandosi all’esterno lo strano mondo della Roma del 1958.

Ercole era sconcertato. E avrebbe dovuto continuare a fidarsi di quel misterioso Steve Reeves per trovare il modo di fare ritorno alla nave degli Argonauti. I suoi compagni di viaggio lo attendevano. Dovevano portare a termine la ricerca del Vello d’Oro.

Rispondi

%d