I duellanti

Un racconto fantasy…

I duellanti

Il sangue gli martellava violentemente in testa, fin quasi a fargli dimenticare la sensazione di gelo provocata dalle sferzate di vento contro la pelle. Ansimava, oscurandosi la visuale con l’alone del suo stesso fiato. Sentiva ogni singola goccia di sudore colargli lungo il viso e lasciare una traccia umida, subito asciugata dalle raffiche. Era strano sudare in una notte d’inverno come quella, pensò Frey, ma stava lottando per la propria vita e il più piccolo errore avrebbe potuto essere l’ultimo.

Inginocchiato su una roccia di granito, nascosto tra gli alberi del colle boscoso, scrutava incessantemente il limitare delle rovine del tempio a meno di un centinaio di metri davanti a lui. Gli occhi in cerca del minimo movimento, ogni muscolo pronto a scattare al primo cenno. Frey era sicuro che il suo avversario presto si sarebbe esposto, poiché non era nella sua natura attendere a lungo, di questo era certo.

Tuttavia già da alcuni minuti tutto taceva. Le imponenti colonne di pietra svettavano immobili e spezzate, e nulla si muoveva tra di esse; gli spazi vuoti del luogo sacro erano stati riempiti dalla vegetazione e in mezzo ai rampicanti e agli arbusti che emergevano dalla pavimentazione non era possibile vedere alcunché.

In un pericoloso calo di adrenalina Frey sentì sopraggiungere la stanchezza, acuita dal rigore invernale e dalla strana quiete che regnava lì, interrotta solo dagli ululati del vento. Si concesse di distendere un poco i nervi e, nell’attesa, il suo respiro tornò regolare. Lasciò passare ancora alcuni istanti poi tentò di alzarsi, lentamente, staccando la mano appoggiata alla roccia e distendendo le gambe. Fu raggiunto da una fitta improvvisa al fianco sinistro; il dolore lo costrinse a piegarsi e ad abbassare lo sguardo. Allontanò con cautela la mano che tamponava la ferita e la esaminò: era un taglio piuttosto serio sotto le costole, ma per fortuna non così profondo da impedirgli di continuare la lotta. L’emorragia si era quasi fermata. Pose entrambe le mani a meno di una spanna di distanza dalla carne lacerata e approfittò della pausa per imbastire le prime cure utilizzando i poteri del suo terzo occhio.

concentrazione, calore, energia…

Un debole bagliore ambrato si sprigionò dai palmi e Frey iniziò ad avvertire un intenso formicolio: i lembi della ferita si richiudevano.

Immerso nella meditazione necessaria per rendere efficace il flusso curativo, ebbe un sussulto quando intravide uno spostamento tra le rovine: si era trattato solo di un’ombra, ma ben distinguibile alla luce della luna e sufficiente a metterlo in allarme. Mantenendo il terzo occhio concentrato sulla guarigione, rivolse gli altri due alla costruzione abbandonata.

Per quanto si sforzasse non riuscì a individuare il nemico, ovunque guardasse continuava a vedere solo colonne e bassi muretti diroccati. Niente.

L’uomo-lupo non era uno stupido, si disse Frey. Di certo sapeva che, dopo essersi esposto, muoversi di nuovo avrebbe significato rivelare la propria posizione. Per evitare di compromettersi, quella specie di animale avrebbe aspettato ancora prima di attaccare: dopotutto nemmeno lui era illeso.

Il pensiero gli fece provare una cupa soddisfazione.

Nuovamente, il triclope sentì attorno a sé una quiete irreale, un silenzio che sembrava isolarlo dal resto del mondo. A parte il vento, tutto era calmo. Lui e il suo avversario si trovavano in un’arena che pareva costruita apposta per loro.

Restava da vedere chi avrebbe sfruttato al meglio quel luogo pieno di nascondigli e chi avrebbe resistito di più al clima ostile e alle ferite. Non si trattava di un semplice duello, ormai era diventata una guerra di logoramento che sarebbe stata vinta da chi avesse approfittato per primo di una buona occasione.

Sopravvivere avrebbe significato guadagnarsi i favori del cielo con l’astuzia.


Lam era nascosto dietro una colonna larga e integra, circondata da cespugli e ricoperta da rampicanti.

Chinato a terra, cercava di occultare il più possibile la propria presenza. Aveva provato a raggiungere un luogo più sicuro per sferrare un attacco, approfittando del momento in cui l’avversario sembrava distratto, ma aveva sbagliato i calcoli.

Senza tenere in conto la bruciatura al petto, si era accorto troppo tardi di come questa gli rallentasse i movimenti; era stato goffo nello spostarsi e aveva dato la possibilità al triclope di individuarlo. Ne era sicuro, era stato visto anche se si era trattato di un attimo soltanto. Se ci avesse messo un secondo di più a mettersi al riparo il mutante lo avrebbe investito con un altro attacco di energia dalla distanza.

Non poteva rischiare di uscire di nuovo allo scoperto, sarebbe stato fatale.

Perlomeno Lam non credeva che l’avversario si sarebbe mosso per primo: avrebbe aspettato un suo ulteriore passo falso per contrattaccare. Convinto di ciò, indietreggiò con prudenza, appoggiò la schiena ai resti di un muretto di pietra e distese davanti a sé le gambe. Al posto suo molti membri del branco avrebbero preferito un assalto diretto, trovando insopportabile restarsene lì ad attendere. Ma lui era diverso. Da tempo aveva imparato a controllare i propri istinti e la propria natura selvaggia di lupo.

Adagiò la nuca contro quel rigido sostegno e cercò di rilassarsi un istante. Si toccò il petto cauterizzato, dolorante, e si guardò intorno: fissò lo sguardo sui resti del tempio, sulle sue colonne spezzate e sui pochi mosaici rimasti sparsi in giro. Era un posto curioso. Si chiese quali dei venissero venerati lì, e quanto tempo prima. Pareva una costruzione vecchia, persino per essere della prima, estinta, razza umana.

A un tratto la luce fioca che filtrava dal cielo fu inghiottita da un banco di nubi e tutto piombò in un’oscurità più profonda; ciononostante Lam continuò a vedere perfettamente. A differenza del triclope, i suoi occhi da creatura dei boschi erano abituati a illuminazioni scarse e non avevano alcuna difficoltà a distinguere ogni cosa anche nelle tenebre. Maledisse la sua impazienza: sarebbe bastato aspettare ancora qualche istante e la sua sortita non sarebbe stata scoperta.

Scacciò la frustrazione e lasciò che i suoi occhi stanchi si chiudessero. Permise ai sensi di esplorare il tempio abbandonato: gli pareva di sentire ancora il debole odore di sangue umano che in epoca antica aveva impregnato quella costruzione, il sangue degli schiavi che avevano eretto un monumento non destinato a loro. Sorrise al pensiero che tutto quello che rimaneva della cosiddetta civiltà antica, la razza originale dell’uomo, fossero i ruderi di opere realizzate da coloro che un tempo erano stati i rifiuti della società.

Una società collassata a causa delle sue follie, si ricordò, e che aveva dato vita a innumerevoli stirpi di post-umani in perenne lotta fra loro per il dominio di un pianeta privo di un legittimo padrone.

Che senso avevano tutte quelle battaglie? Si chiese, non per la prima volta.

Aprì gli occhi e scrutò con nuova attenzione lo sfacelo del tempio che lo circondava, destinato ad essere inghiottito dalle sabbie del tempo, senza più un significato o uno scopo. Che cosa sarebbe restato in futuro di lui e del suo branco? Cosa sarebbe rimasto di tutti loro?

… odore di metallo e di elettricità, luce…

L’uomo-lupo balzò di lato pochi istanti prima che il muretto cui era appoggiato esplodesse in una deflagrazione. Un fulmine era partito dall’oscurità del bosco.

Con poche falcate, Lam trovò un altro riparo, si voltò e vide che tutto, nel raggio di un paio metri, era stato bruciato dalla scarica elettrica: lo stesso tipo di attacco che lo aveva colpito in pieno petto pochi minuti prima. Ora si trovava dall’altra parte di un muro divisorio ma non era abbastanza protetto, il triclope lo avrebbe presto raggiunto. Si allontanò ancora, cercando di non rivelare la propria posizione e nel frattempo rifletté velocemente su quanto era appena successo: non immaginava che il mutante avrebbe fatto la prima mossa. Era stato uno sciocco, avrebbe dovuto aspettarselo; invece aveva sottovalutato l’avversario e aveva abbassato la guardia.

Il suo maestro Fenrir lo avrebbe fatto a pezzi se lo fosse venuto a sapere.

– La lotta è come una caccia – gli ripeteva sempre – i ruoli del cacciatore e della preda si possono invertire molto rapidamente.

Poco male, si disse Lam, anche Fernir era morto ormai.

Quanto alla caccia: se al momento lui era la preda, allora non si sarebbe limitato a fuggire ma avrebbe preparato una controffensiva. Sentì i passi del nemico che si avvicinavano, i passi di un guerriero sicuro di sé; a quanto pareva era convinto di avere la vittoria in pugno e questo era un punto debole di cui bisognava approfittare.

Lam individuò una colonna intatta, dall’aria ancora solida, che culminava in un capitello dalla larghezza sufficiente a consentirgli di appollaiarvisi. Nel silenzio più totale, il lupo si arrampicò aggrappandosi alla pietra con gli artigli neri e, con la stessa agilità di una lince, raggiunse la cima, si accucciò e si mise in attesa.


Frey procedeva lentamente.

Il pavimento deteriorato, frammentato in sassi resi lucidi dall’umidità, scricchiolava sotto i suoi stivali. Per quanto si sforzasse non riusciva a evitare di fare rumore, aveva la sensazione di fare un chiasso infernale. Mentre avanzava guardandosi attorno circospetto, si rimproverava per essersi fatto prendere dalla fretta. Se solo avesse osato avvicinarsi di più prima di scagliare il suo colpo, ora si sarebbe già tutto concluso. Invece era stato precipitoso e il nemico era corso al riparo.

… sono stato un idiota…

Inutile recriminare, si disse, meglio concentrarsi sulla caccia. Il momento era favorevole, l’avversario gli era sembrato distratto e adesso era certamente confuso; Frey avrebbe fatto bene ad approfittarne prima che si riprendesse.

La vegetazione selvaggia che aveva invaso le rovine del tempio rendeva difficoltosa la ricerca, offrendo al lupo un’infinità di nascondigli. Forse il triclope avrebbe dovuto prendere maggiori accorgimenti per evitare di essere individuato, mimetizzarsi con l’ambiente, lasciare che le ombre lo avvolgessero. Tuttavia preferì giocare d’attacco, puntando a finire quello che aveva iniziato. Si accucciò, tese i sensi per captare ogni indizio che gli suggerisse la posizione del nemico, ma continuò a procedere. Non poteva permettersi di perdere tempo prezioso, ogni istante che passava dava modo alla bestia di riorganizzarsi. C’era il rischio di commettere di nuovo lo stesso errore, ovviamente, ed essere precipitosi una seconda volta avrebbe potuto rivelarsi fatale. Ciononostante, decise di forzare la mano.

Arrivò nei pressi di un’ara, un altare di pietra sui cui bordi erano ancora visibili antiche raffigurazioni di uomini e donne. I disegni recavano solo tracce sbiadite di quelli che un tempo dovevano essere stati colori brillanti: oro, verde e rosso.

Senza dare una seconda occhiata oltrepassò l’ara e si diresse verso la sezione più a oriente del tempio. Non sentiva alcun suono sospetto, né tantomeno riusciva a individuare tracce fresche. Giunto all’estremità opposta del colonnato che delimitava il perimetro della costruzione si fermò un attimo, incerto su come procedere.

In quel preciso istante sentì rizzarsi i peli sulla nuca.

… un refolo di vento… una piccola variazione nell’aria…

Senza nemmeno un fruscio, un’ombra piombò dall’alto con tutto il suo peso. Un bruciore terribile percorse la schiena di Frey. Se non avesse fatto un passo in avanti, allertato dalle proprie percezioni, gli artigli del lupo lo avrebbero squartato.

Era vivo per miracolo ma il dolore lo annebbiò. Intravide appena in tempo la bestia chinarsi, pronta a sferrare un secondo assalto. Frey reagì d’istinto e produsse un’onda d’urto, sufficiente a interromperne a mezz’aria il balzo e a scagliarla alcuni metri più indietro.

Opponendo una strenua resistenza al dolore, il triclope indietreggiò barcollando, tenendo gli occhi puntati sull’avversario e tentando di mettere un po’ di distanza tra loro due; le gambe non rispondevano bene e non riuscì ad allontanarsi molto. Incapace di raggiungere una distanza minima di sicurezza, fu costretto a subire un terzo attacco. Il lupo, scuotendo la testa per riprendersi dal colpo, tornò alla carica con maggiore slancio e lo raggiunse in pochi balzi. Quando gli fu addosso lo atterrò con tutto il peso, facendolo cadere all’indietro.

Frey sentì i denti duri e affilati penetrare nella spalla sinistra, attraversare la carne fino a toccare le ossa; per un attimo fu accecato dalla sofferenza e urlò con una voce che non gli parve la sua. Mentre il morso si faceva ancora più feroce, visualizzò col potere del terzo occhio il proprio corpo in preda alle fiamme, immaginò di bruciare. La bestia fu investita da un’ondata di fuoco e subito allentò la presa delle mascelle sulla spalla; appena Frey la vide ritrarsi per il dolore e la sorpresa, la allontanò sferrandole un violento calcio in pieno ventre e, senza il tempo di respirare, raccolse le ultime forze e cercò rifugio dietro il colonnato, lungo il perimetro esterno del tempio.

Avanzò carponi con la schiena e la spalla che gli mandavano fitte lancinanti, e iniziò a distanziare l’avversario. Sapendo di avere poco tempo, diede fondo a ogni oncia di energia per erigere una bassa cortina di fiamme dietro di sé e per allontanarsi il più in fretta possibile. Ciononostante ebbe l’impressione di muoversi con una lentezza esasperante, come se si trovasse sul fondo del mare.

Quando ebbe finalmente raggiunto un riparo, dietro un basso muretto franato in una depressione del terreno, impiegò le sue ultime risorse per fermare l’emorragia. Era sul punto di svenire ma non poteva permetterselo, svenire avrebbe significato morte certa. Doveva tenere duro, anche se sapeva che in un paio di balzi il lupo avrebbe aggirato gli ostacoli e gli avrebbe dato il colpo di grazia.

Non c’era più niente da fare. Era finita. Strinse i denti e tentò di sistemare alla meglio gli squarci che si erano aperti nelle sue carni.

… è un mostro!… i suoi denti orribili… come rasoi…

Anche se intontito dal dolore che aumentava, Frey ripensò agli occhi della bestia e ne fu terrorizzato: occhi iniettati di sangue, famelici e folli, spalancati e quasi schizzati fuori dalle orbite. Non gli occhi di un guerriero, ma quelli di una belva furiosa. I loro sguardi si erano incrociati per un breve istante, ma non poté fare a meno di ripensarci. Fino a quel momento aveva creduto di combattere contro un semplice membro del branco che viveva a est delle colline di Rur, il lembo di terra che i loro popoli si contendevano da decenni. Ora invece era certo di avere di fronte un demone, un diavolo assetato di morte.

Ne fu sconvolto. Se anche fosse uscito vivo da quello scontro, si disse, lo sguardo del demone lo avrebbe perseguitato per il resto dei suoi giorni.


Già in piedi dopo essere stato scalciato via dal mutante, pronto a fare a pezzi quella sagoma strisciante, l’adrenalina impazzita nelle vene, Lam pregustava il pasto di guerra. Questione di un secondo e avrebbe dilaniato quel corpo sanguinante.

L’improvvisa muraglia di fuoco era un ostacolo di poco conto, il lupo scartò sulla destra e superò un cumulo di detriti. Ora vedeva di nuovo l’avversario ferito: si trascinava in avanti, ignaro della sua presenza. Lam si piegò sulle gambe e fece per saltargli addosso quando all’improvviso qualcosa gli bloccò i movimenti. Si fermò, senza capire perché.

Il mutante scivolò via indisturbato tra le colonne e Lam non fece nulla per impedirlo.

Nelle sue orecchie rimbombava l’istinto animale che gli gridava di assalire la preda finché poteva, eppure l’uomo-lupo rimase immobile. Le membra ancora tese, cercò di trovare una spiegazione al suo comportamento. Già da tempo aveva imparato a frenare i propri impulsi selvaggi e questo spesso gli aveva salvato la vita.

Se qualcosa gli aveva inconsciamente impedito di dare il colpo di grazia al nemico c’era un motivo valido, doveva solo capire quale fosse. Pensò subito che fossero state le ustioni e le fiamme ad averlo fermato, ma la spiegazione non lo convinse.

… se non sono le fiamme, allora cosa?…

Respirò a fondo per calmarsi e richiamò alla mente gli ultimi istanti della lotta. Rivide il triclope, steso a terra e inerme, il sapore della sua spalla in bocca, la temperatura del suo corpo che aumentava tutto d’un tratto, il suo sguardo allucinato…

Ecco la risposta.

Quando stava per strappargli via la spalla, Lam aveva avvertito il calore che emanava il corpo del mutante sotto di lui, così aveva alzato la testa e aveva incrociato il suo sguardo. Non era stato l’occhio dai colori cristallini posto sulla fronte ad atterrirlo, l’occhio dal quale provenivano tutti i suoi poteri. Erano stati gli altri due: l’espressione folle che vi aveva visto lo aveva paralizzato e prima ancora che potesse rendersene conto aveva allentato la presa ed era stato spinto indietro.

Si era a malapena accorto delle ustioni che aveva subito, invece quegli occhi avevano seminato in lui una paura che era sbocciata all’improvviso. Nel momento dell’inseguimento, nell’istante cruciale in cui avrebbe potuto vincere la battaglia, il corpo di Lam si era rifiutato di muoversi perché ancora tremava di terrore. Gli occhi del mutante, disperati, letali e carichi di odio, lo avevano inchiodato.

L’uomo-lupo era rimasto immobile finché l’avversario non era sparito alla vista. Ora continuava ad ansimare in silenzio, pensando che una disperazione e un odio così intensi lo avrebbero incenerito se solo avesse osato avvicinarsi. Era un pensiero assurdo, ma non riuscì a scrollarselo di dosso.

Mentre cercava di convincersi che la colpa di quell’indecisione fosse del suo debole lato umano, si trovò costretto a indietreggiare. Si allontanò fino a trovare riparo tra alcuni arbusti cresciuti attorno ai resti di un albero morto. Non c’era nessun motivo per comportarsi così, ripeté a se stesso mentre si nascondeva nel buio.

Passarono lunghi minuti nel silenzio più totale, finché la quiete non venne accompagnata dal debole rumore del vento che riprese a farsi sentire dopo il tumulto del combattimento. Lam sapeva che il triclope stava approfittando di quell’inaspettata pausa per recuperare le energie, sapeva di stare commettendo un terribile errore strategico ma non riuscì a costringersi a tornare allo scoperto.

Rimase dove si trovava.

Incapace di allontanare dalla mente l’immagine di quegli occhi che lo tormentavano, prese a guardarsi attorno con maggiore attenzione, in cerca di qualcosa che lo distraesse un istante.

… dove sono esattamente?…

Studiò i dintorni, sperando di recuperare un po’ di lucidità. C’era un’atmosfera davvero particolare in quel luogo, una sorta di canto silenzioso che rimaneva in sottofondo: costante, impercettibile eppure presente.

Pian piano sentì la paura allentare la morsa e si calmò. Tuttavia non tornò in lui il desiderio di dare il colpo di grazia al mutante. Rimase inerte, in attesa; non avrebbe saputo dire di cosa. Era come se una parte della sua combattività fosse improvvisamente sparita.

Alla fine, anziché porre fine al combattimento come il maestro Fernir gli avrebbe detto di fare, senza che ci fosse una sola ragione al mondo per giustificare un’azione simile, Lam parlò a voce alta. Prima ancora di rendersi conto di quello che faceva, il suo timbro roco e baritonale ruppe la restaurata calma notturna del luogo sacro.

– Perché non ti arrendi? – chiese.

E attese la risposta.


La domanda colpì Frey come un fulmine a ciel sereno. Per la sorpresa allontanò la mano dalla spalla lacerata, interrompendo il benefico flusso del reiki, e per qualche istante non riuscì nemmeno a capire se si fosse trattato di un’allucinazione uditiva dovuta al dolore.

Il lupo gli aveva realmente parlato?

La frase riecheggiava ancora nell’aria, complice il silenzio li circondava. No, non si era sbagliato: gli aveva rivolto la parola. Si chiese se non fosse un trucco per individuare la sua posizione quando avesse risposto, ma scartò subito l’idea. Il suo avversario era un animale, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rintracciare Frey seguendo l’odore di tutto il sangue che aveva perso.

A dire il vero, rifletté, lo scontro avrebbe già dovuto concludersi durante la sua patetica fuga. Mentre strisciava alla ricerca di un riparo, Frey era sicuro che nulla avrebbe potuto salvarlo da una fine certa. Invece, per qualche motivo a lui ignoto, il lupo aveva esitato e non gli aveva dato il colpo di grazia.

Almeno per il momento sembrava non averne l’intenzione. Il triclope cercò allora di capire perché gli avesse fatto una domanda tanto assurda.

… arrendersi…

Trascorsero alcuni minuti mentre continuava a rimuginarci sopra; nel frattempo cercò di concentrarsi sul flusso curativo, con scarsi risultati. Faticava a focalizzare le energie, era distratto.

Cosa sarebbe successo se avesse risposto?

… per dire cosa?…

Passò altro tempo senza che succedesse niente. L’uomo-lupo non parlò più, eppure era chiaramente ancora là da qualche parte, in attesa. Non attaccava né tentava di avvicinarsi, se ne stava semplicemente acquattato ad aspettare. Incapace di tollerare oltre quello stallo, attanagliato dal dolore alla schiena e alla spalla, alla fine Frey prese la decisione più rischiosa.

– Nessuno di noi cederà le armi! – disse. – Nessuno lo fa. Mai. Si combatte sempre fino alla morte.

Stupito lui stesso dalla sua scelta, si mise in guardia aspettando la ripresa della lotta; dopotutto doveva essere stato solo un trucco cui lui aveva stupidamente abboccato. Sentì l’adrenalina scorrergli di nuovo in corpo, la bestia l’avrebbe assalito da un momento all’altro. Forse era già sopra di lui, con le fauci gocciolanti a pochi centimetri dalla sua testa. Frey alzò di scatto lo sguardo ma non vide niente, solo il nero cielo stellato.

Poi la voce del lupo lo raggiunse di nuovo, alla stessa distanza di prima.

– Tu sai per che cosa combatti?

L’eccitazione per il combattimento imminente si dileguò. D’istinto il triclope voltò il capo all’indietro, come se potesse vedere il nemico attraverso il muretto che li separava.

… che diavolo significa?…

La bestia non si era mossa, aveva aspettato per un’eternità la sua risposta e non appena l’aveva ricevuta gli aveva rivolto un’altra domanda. Frey cercò di immaginarsi la sua faccia, la sua espressione. Stava forse ridendo di lui? Giocava al gatto col topo? Stavolta non lasciò trascorrere che pochi istanti prima di ribattere.

– Che vuol dire? Si combatte per Rur. Da sempre, da prima che noi nascessimo. I padri della mia Confraternita hanno sacrificato la loro vita per la vittoria. Pensare che io possa sottrarmi allo scontro è un insulto. Fallo tu, se sei così vigliacco! Copri di vergogna la tua tribù. Se hai paura di morire voltami le spalle e forse ti lascerò scappare. La tua razza e la mia sono nemiche, come l’acqua è nemica naturale del fuoco! E questa discussione va contro le leggi della natura.

… basta adesso… devo piantarla…

Aveva parlato a lungo mentre invece non avrebbe dovuto emettere nemmeno un fiato. Era stato più forte di lui, le parole gli erano uscite di getto. Erano parole vere, sincere, ma sprecate: inutile parlare con la bestia e pericoloso farlo durante il combattimento.

Lui era Frey, uno dei combattenti più valorosi della Confraternita del Terzo Occhio, mentre il suo avversario non era nient’altro che una creatura letale. Avrebbe fatto meglio a ricordarselo.

Il dolore lancinante alla spalla lo riportò alla realtà. Cercò di concentrarsi e di indirizzare il flusso di reiki sulle ferite ma vi riuscì solo per poco tempo: il terzo occhio iniziava a dolergli. Nelle ultime ore aveva attinto copiosamente alle sue risorse e ora la fonte dei suoi poteri era esausta. Si massaggiò la fronte e si impose di spremere ancora un po’ di energia. Doveva assolutamente richiudere i tagli prima che la battaglia riprendesse. E sarebbe successo presto.

Si scoprì ad aspettare con impazienza quel momento, perché si sarebbe sentito più a suo agio nel bel mezzo della lotta: era qualcosa che capiva bene, a differenza di quel tentativo di conversazione. D’un tratto si chiese perché il lupo tacesse. Forse aveva raggiunto il suo scopo, forse stava per assalirlo pensando di averlo distratto. Quale che fosse stato il senso di quella breve discussione, il tempo delle chiacchiere era finito.


Lam restò in silenzio; nella sua mente vorticavano miriadi di pensieri diversi, accavallandosi e intrecciandosi tra loro. Incapace di prendere una decisione di qualunque tipo, si accasciò contro il tronco dell’albero morto facendo aderire la schiena coperta di folto pelo contro la corteccia.

Era in vantaggio, si trovava in una condizione d’indiscutibile superiorità e avrebbe dovuto approfittarne. Avrebbe dovuto dar libero sfogo al proprio istinto animalesco e finire quel dannato mutante invece di continuare a fare stupide domande. Perdere tutto quel tempo non faceva altro che dare al nemico la possibilità di riprendersi.

Tuttavia scoprì che era più forte di lui: non riusciva a smettere di pensare.

Qualcosa che per molto tempo era cresciuto dentro di lui era infine venuto alla luce, nella maniera più inaspettata e nella circostanza meno opportuna. Benché si trovasse nel bel mezzo di una lotta all’ultimo sangue c’era qualcosa che doveva sapere, qualcosa che doveva necessariamente capire.

Cercò di trattenersi fino all’ultimo, si sforzò in ogni modo di lasciar perdere ma non ci fu niente da fare; alla fine rinunciò e si abbandonò a quella forza ineluttabile. Fece cadere le braccia lungo i fianchi, pescando piccoli sassolini dal terreno e rigirandoli tra gli artigli. Si lasciò cullare dall’atmosfera del tempio in rovina, abbandonato da secoli; lasciò che la sua musica silenziosa si adagiasse sul suo corpo come un velo morbido e leggero. Quasi fosse dotata di vita autonoma, la sua voce viaggiò di nuovo nella quiete della sera.

– Leggi della natura, dici. Sono parole tue o ripeti discorsi fatti da qualcun altro? Mi sembra la scusa di chi non sa pensare con la sua testa.

Il tono era eccessivamente confidenziale ma si compiacque della sensazione che provava. Parlare al triclope era come addentrarsi in un territorio inesplorato. Divenne ancora più sfrontato.

– Non hai un motivo più personale per lottare? Qualcosa che non sia la lealtà verso persone che non hai mai visto o il desiderio di possesso per terre in cui nessuno di noi due vivrà mai. Qualcosa che non ti abbiano inculcato in testa dal giorno in cui sei nato. – Inspirò. – Sai che né tu né io vedremo mai la fine di questa guerra, vero? Finiremo per farci ammazzare e basta. Forse persino le nostre razze si estingueranno senza avere ottenuto niente.

Questa volta la reazione fu immediata.

– Hai un bel coraggio a dire una cosa del genere dopo che mi hai quasi staccato la spalla! Non sarò io a morire stanotte, e i tuoi giochetti non attaccano.

La voce del triclope tremava, Lam non seppe dire se per la rabbia o per il dolore. La conversazione si interruppe e lui non fece più alcun tentativo per ravvivarla.

La risposta brusca dell’altro avrebbe dovuto farlo uscire da quella specie di stato di ubriachezza in cui si trovava, fargli riacquistare lucidità. Meglio scrollarsi quella sensazione di dosso prima che fosse troppo tardi. Ma non ci fu nulla da fare, i sensi di Lam erano come inebriati. Colse la fragranza della terra umida e delle foglie morte, del sangue e della pietra; ascoltò i fruscii e lo scalpiccio dei sassi che rotolavano sul pavimento di pietra; studiò ogni anfratto dell’edifico in rovina, esplorando le colonne e spingendo lo sguardo fino alle cime degli alberi. Giunse a guardare persino le nuvole. Il suo sguardo si perse nel mare oltre la coltre di stelle e d’un tratto la sua mente ricominciò a vagare, senza che nemmeno se ne accorgesse.

… sotto lo stesso cielo…

Fu folgorato da un’intuizione. La marea dei pensieri che lo sommergevano divenne chiara e limpida come acqua di sorgente. Un’idea, semplice e vera, giunse a rischiarare il fondo. Il fiato creò delle forme evanescenti nell’aria mentre Lam formulava una nuova domanda.

– Dici che l’acqua combatte il fuoco, che è nella natura delle cose essere nemici mortali e combattersi fino alla fine. È naturale, quindi è bene. È questo che pensi?

Strinse con forza il sassolino nel palmo della mano, fino a conficcarsi gli artigli nella carne.

– Io credo invece che quando la razza originaria degli uomini si estinse con l’ultima grande guerra, seimila cicli lunari fa, non pensasse affatto che fosse una cosa naturale. Riesci a immaginare che cosa significhi essere messi di fronte alla propria autodistruzione? La fine di tutto. La fine di una specie.

– Da quella fine siamo nati noi – rispose l’altro.

Lam sorrise.

– È vero. Noi non esisteremmo se la razza originale dell’uomo non fosse scomparsa. Forse era davvero nella loro natura combattersi fino a sterminarsi gli uni con gli altri, forse era inutile rifiutarsi di arrendersi o tentare di opporsi. Ma il risultato quale è stato? Che loro non esistono più. E non mi sembra che noi siamo molto diversi. Ritieni davvero che l’annientamento totale faccia parte della natura? Se fosse così, se fosse nella natura degli esseri viventi combattere e uccidere non per sopravvivere ma per il solo gusto di sopraffare, solo per sete di conquista, allora io credo che vorrei andare contro questa natura.

Il lupo sentì sciogliersi un nodo dentro al petto mentre confessava al suo nemico i dubbi che non aveva condiviso neppure con i suoi fratelli, le incertezze che il maestro Fenrir avrebbe condannato come patetiche debolezze. Le sue angosce si dissolsero nell’aria come vapore. E più Lam parlava più sentiva il bisogno di proseguire.

– Non lo pensi anche tu? Non pensi che se tu dovessi scegliere tra annientamento insensato e vita sceglieresti la vita? Anche se ti dicessero che è una cosa contro natura.

Silenzio.

– Rispondi.


Frey era infastidito. No di più, era disturbato da quella conversazione; come se il lupo stesse tentando in tutti i modi di confonderlo. Gli pareva di sentirlo scavare alla ricerca di una breccia, uno spiraglio attraverso cui passare. Era un tentativo ridicolo, ovviamente. Niente di quello che avrebbe potuto dire quell’animale l’avrebbe scalfito.

Tuttavia non riusciva a capire perché la bestia si fosse messa a fare della filosofia spicciola con lui, invece di venire a finirlo una volta per tutte. Era un mistero. La guerra per Rur era giusta, tutti lo sapevano. A che serviva parlarne?

… tanto meglio per me… continua a blaterare…

Quella pausa forzata gli stava permettendo di recuperare una parte delle energie che aveva perso. Il dolore pulsante al terzo occhio si era affievolito, quasi scomparso.

Frey poté finalmente riprendere il flusso di reiki. La spalla guariva meno rapidamente ma i tagli sulla schiena erano già migliorati; ancora pochi minuti e avrebbe potuto ricominciare a combattere, magari non nel pieno delle forze, ma comunque con qualche speranza di uscire vincitore da una situazione che inizialmente sembrava senza uscita.

Capendo che il combattimento non sarebbe ripreso tanto presto, il triclope ebbe la possibilità di dedicarsi a fondo alla guarigione, mettendo in atto tutto quello che era in suo potere fare. Niente e nessuno lo disturbò durante il processo. In seguito avrebbe avuto bisogno di cure adeguate, se mai fosse sopravvissuto, ma per il momento poteva bastare.

Una volta medicate le ferite, si concesse il lusso di abbandonarsi a quel silenzio morbido che lo circondava e lasciò che la mente e il corpo stremati si rilassassero un poco. La notte era umida e un manto bagnato imperlava di rugiada ogni pietra o foglia sulla cima del colle solitario. Si chiese se altri suoi compagni avessero mai combattuto prima in quel luogo; era un buon punto strategico, sebbene fosse fuori rotta rispetto ai campi di battaglia abituali. Cercò di pescare qualche ricordo utile ma non gli venne in mente niente: nessuno gli aveva mai parlato di quel posto.

Un alito di vento lo accarezzò e Frey, non più concentrato sul reiki, lasciò scorrere lo sguardo tutt’attorno, tra i ruderi di quel tempio così strano e apparentemente placido. Distinse il cicaleccio e i fruscii notturni, mentre l’odore di terra umida gli riempiva le narici. Il mutante si stupì debolmente del fatto di fare fatica a tenere gli occhi aperti, avvertiva appena il contatto con il terreno freddo sotto di sé.

… ho perso troppo sangue…

Rimase inerte, assorto in contemplazione, vagamente cosciente della presenza del suo avversario da qualche parte alle sue spalle. Se ora si fosse alzato forse avrebbe avuto forze sufficienti a portare un nuovo attacco; ma il suo corpo era intorpidito, la mente indolente. Rimase seduto, la schiena appoggiata al muretto di pietra, finché gli occhi non gli si chiusero del tutto e cadde in un sonno pesante.

Si ritrovò tra le fiamme, completamente circondato da un muro di impenetrabile fuoco!

Girò freneticamente su se stesso, alla ricerca di un passaggio nella barriera. Dove si trovava? Che posto era quello? Cos’erano quelle masse scure che stavano bruciando?

Ansimò e i suoi polmoni si riempirono immediatamente del puzzo rivoltante di cadaveri bruciati, di corpi decomposti che venivano inceneriti. Era un gigantesco rogo di cadaveri. Frey non riusciva a vedere niente oltre le fiamme, abbassò lo sguardo e vide armi luccicanti abbandonate sul terreno, arrugginite e spezzate. Ogni altra cosa era immersa in un’oscurità nera come la pece, un buio tangibile e assolutamente perfetto.

Il mutante capì dove si trovava, era un luogo a lui molto famigliare: un campo di battaglia, uno qualunque, uno come cento altri.

L’odore acre gli impediva di respirare e ad un tratto le sue orecchie furono assalite da un’ondata di suoni raggelanti: gemiti, grida, voci disperate e folli di vittime di guerra e di soldati. Le urla di quelle anime lacerate si innalzarono verso il cielo, visibili come fossero fumo, pire vorticanti di dolore e abbandono. Grida inumane, vere. Senza requie, senza vita.

Frey si coprì le orecchie con le mani, con l’impressione che i timpani gli scoppiassero, che il cervello fosse trapassato da miliardi di strilli taglienti come coltelli. Si accasciò sulle ginocchia e si accorse che il terreno sprofondava sotto il suo peso, era bagnato e fangoso. Vide che le ginocchia affondavano in una fanghiglia color del rame, ma il rosso delle pozze non era dovuto ai riflessi delle fiamme: il triclope giaceva in una palude di sangue. Sentì la disperazione accarezzarlo, tirarlo a sé per farlo urlare, per trasformare anche lui in fumo affinché si mettesse a gridare insieme al corteo delle anime straziate.

Frey sollevò gli occhi e vide aprirsi un varco tra le fiamme. Una bambina bionda gli si fece incontro, una bambina umana senza mutazioni, come si diceva che fossero gli umani della razza originale. Era bellissima, vestita di bianco. Avanzò verso di lui con le mani tese, i palmi rivolti verso l’alto come a chiedere l’elemosina o a pregare. Non aveva occhi, al loro posto solo due orbite cave riempite di grumi di sangue. Parlava, ma Frey non riusciva a sentirla perciò si scoprì le orecchie. Continuò a non udire nulla, non uscivano suoni dalla bocca della bambina, la sua voce era sovrastata dalle urla dei morti.

La piccola continuò ad avvicinarsi a lui finché non lo raggiunse. Inginocchiato, il mutante era alto quanto lei e i loro visi si trovarono a pochi centimetri di distanza; lei accostò il suo fin quasi a sfiorare quello di lui. La vista ravvicinata delle orbite mutilate era insostenibile eppure Frey non poté distogliere lo sguardo.

Finalmente la udì, sentì quello che gli stava dicendo: parlava in un sussurro, un suono appena percettibile, il suo fiato era una lama gelida che tagliava la pelle.

– Ridammi la luce – bisbigliò.

Frey si svegliò di soprassalto soffocando un grido.

E subito si accorse di come quel sussulto per poco non gli fosse costato la vita.


Il corpo di Lam era rilassato, privo della benché minima tensione, un riflesso del suo attuale stato d’animo. Persino il braccio sinistro, quello che manteneva gli artigli a pochi millimetri dal collo del mutante seduto sotto di lui.

Se avesse voluto, avrebbe potuto sgozzarlo nel sonno ma non era questo che desiderava; non si era spinto fin lì per far finire in maniera così deludente il loro duello. La minaccia degli artigli serviva solo a impedire che il triclope reagisse; costringerlo ad ascoltare.

Quando lo aveva trovato addormentato, aveva dovuto mettere di nuovo a tacere il proprio istinto per evitare di ucciderlo. L’uomo-lupo era stupito che il mutante avesse ceduto al sonno; forse era stato a causa dell’emorragia, si disse, eppure non poté fare a meno di pensare che in qualche modo c’entrasse lo strano posto in cui stavano combattendo.

Quale che fosse la ragione, ora il triclope era di nuovo sveglio e Lam voleva che lo ascoltasse. Aveva un irrefrenabile bisogno di parlare, di comunicare a qualcuno la straordinaria intuizione che aveva avuto. Sorrise tra sé: in un momento del genere il fato aveva voluto che un nemico mortale fosse tutto il suo pubblico. Chissà, forse era stata solo sfortuna. O magari tutto il contrario.

– Come vedi non ti conviene muoverti – gli disse con voce roca, più cupa che mai. – Sempre che tu non sia stanco di vivere.

Il mutante fece un minuscolo cenno di assenso, quanto glielo consentivano gli artigli puntati alla gola.

– Sei stato furbo, lupo – gli disse. – Ma non c’era bisogno di ricorrere a questi trucchetti per farmi abbassare la guardia. Ero già ferito gravemente, non avresti avuto problemi a uccidermi.

Lam sorrise: – Credi che se ti avessi voluto morto a quest’ora staremmo qui a parlare? No mutante, io non ho fatto niente. Dev’essere questo posto. C’è qualcosa di strano qui, che a quanto pare ha un’influenza su entrambi. Non era certo nelle mie intenzioni mettermi a discutere con te. Però ormai è successo e non c’è niente che possiamo fare per evitarlo. Non credi?

Il triclope rimase in silenzio.

– Bene, se non hai obiezioni forse ti farà piacere continuare per un po’ la nostra conversazione. Sai, dal momento che la tua risposta alla mia ultima domanda tardava ad arrivare mi sono risposto da solo.

Inclinò il capo per osservare più attentamente il nemico in suo potere. Riusciva a sentire l’odore della sua paura; se fosse rimasto in quello stato di tensione non avrebbe prestato attenzione al suo discorso, invece era necessario che ascoltasse.

– Così non va, sei troppo agitato.

Lentamente, più lentamente che poté, ritrasse la mano allontanandola dalla gola del prigioniero; dopodiché, senza togliergli gli occhi di dosso, fece due passi indietro e si sedette adagio su una grossa pietra. Era un rischio, Lam non sapeva se l’altro se ne sarebbe rimasto buono lì dov’era, ma doveva tentare. Giunto a quel punto avrebbe giocato il tutto per tutto. Fissò il triclope che gli stava di fronte, pensando a quali parole usare per esprimere ciò che sentiva il bisogno di dire.

Fu il mutante a toglierlo d’impaccio: – Sei forse pazzo? – gli chiese.

Il tono della domanda era serio e composto, voleva davvero saperlo. Lam sorrise e rifletté prima di rispondere.

– No, non credo.

– Allora che significa questa buffonata? Perché non mi hai ucciso nel sonno? Potevi farlo anche prima, mentre ero ferito.

– Avresti preferito che l’avessi fatto? Siamo ancora in tempo.

Il mutante si irrigidì: – Se speri che ti riveli qualcosa sulla mia Confraternita ti sbagli di grosso. Puoi anche torturarmi se vuoi ma non ti dirò niente.

Lam respirò profondamente.

– Non è questo che voglio. Sappiamo che è inutile cercare di estorcervi informazioni con la forza: grazie ai vostri poteri siete in grado di proteggere i vostri ricordi, siete persino in grado di darvi la morte. E privarvi del terzo occhio equivale ugualmente a uccidervi.

L’altro non sembrò credergli.

L’uomo-lupo insistette: – Non è per questo che ti ho risparmiato la vita. Voglio solo che ascolti quello che ho da dire. Tutto qui.

Il triclope parve rilassarsi appena un poco.

… ecco, ci siamo…

Lam non sapeva bene da dove iniziare. Cosa dire a un individuo pronto anche a morire pur di ucciderti? In questo loro due erano molto simili: fino a poco prima anche lui si sarebbe sacrificato senza esitazione. Ora quella parte di sé sembrava sparita, la parte cieca della sua anima era finalmente morta. Che cosa restava adesso?

– È un posto strano questo, vero? C’è una strana atmosfera – disse.

Non era una vera domanda e non si aspettava una risposta, eppure il mutante, che era rimasto sul chi vive per tutto il tempo come se stesse aspettando l’attimo giusto per saltargli addosso, mutò espressione. Pareva finalmente incuriosito.

Lam scelse con cura le parole: – Parlavamo della razza originaria degli uomini, ricordi?

Nessun cenno.

– Io sono convinto che la loro scelta fu di non scegliere. Si abbandonarono alla marea che li stava travolgendo limitandosi a reagire per difendere se stessi e i loro cari. Chi per paura, chi per malafede finirono tutti quanti con l’adeguarsi alla guerra. Immagino che fosse più facile lasciarsi accecare dall’odio e usarlo per innescare una faida senza fine anziché tentare di rimediare ai danni causati. Credo che, alla lunga, l’odio sia diventato un fondamento ideologico per continuare ad uccidere. Senza che abbia più nemmeno un significato. Una sorta di odio ereditario.

– Le tue argomentazioni sono ridicole. Sai cos’è la guerra – rispose il mutante con sprezzo.

Il volto del triclope era una maschera di pietra. L’uomo-lupo invece lo fissava senza vederlo, perso nella rievocazione di giorni lontani che nessuno di loro poteva ricordare. Continuò come se non lo avesse nemmeno sentito.

– Chissà, forse ai tempi qualcuno si accorse del pericolo che stavano correndo tutti quanti, ma ormai le cose dovevano essere andate troppo avanti. A un certo punto, far tornare sui propri passi un’umanità condannata dovette risultare impossibile: troppo sangue e troppi morti da tutte le parti per sperare di ricominciare.

Aveva senso parlare di queste cose con il mutante? Era in grado di capire quanto gli stava dicendo? Lam non lo sapeva, però attraverso le parole gli sembrava di pagare una specie di tributo ai morti. Lui, uno dei combattenti più valorosi del branco delle Falci dell’ovest, era stato illuminato su quel colle, tra i resti di uno strano tempio in rovina.

– Sai qual è la verità? Che il mondo è l’esatto prodotto delle nostre azioni come specie e come individui. Siamo noi a creare la realtà che ci circonda, con le nostre azioni. Alla fine, tutti noi pensiamo sempre di riuscire a vincere, per questo continuiamo a lottare; in un piccolo angolo del nostro cuore pensiamo sempre che la vittoria alla fine sarà nostra. Ma c’è un errore di fondo: spesso non sappiamo cosa sia la vittoria.


Frey osservava attentamente il suo rivale, non perdeva un solo movimento, studiava persino i muscoli della sua faccia mentre parlava aprendo e chiudendo le fauci spaventose. Doveva fare uno sforzo per reprimere i brividi che gli davano quelle zanne. Gli occhi del lupo guardavano nella sua direzione ma davano l’impressione di attraversarlo, come se si stessero rivolgendo a un interlocutore immaginario.

Le parole che Frey stava ascoltando non avevano alcun senso. Forse tra amici, davanti a un boccale di sidro, avrebbe potuto considerare quei discorsi come un punto di vista qualunque, magari anche più sensato di tanti altri. Era assurdo però che parole simili uscissero da un appartenente alla razza dei Selfian: una bestia che solo pochi minuti prima lo aveva azzannato!

Perché tutto a un tratto un individuo del genere si era messo a chiacchierare nel bel mezzo di una battaglia? Avrebbe voluto chiederglielo ancora una volta ma poi ci ripensò; qualcosa dentro di lui gli suggerì che era meglio non dare troppo spazio a quei discorsi, erano pericolosi. Ragionamenti come quelli erano un vezzo che nessuno poteva permettersi.

In qualche modo si sentiva minacciato; non solo dagli artigli del lupo, ma anche dal fiume di parole che l’altro gli stava riversando addosso. Sembrava che non dovesse finire mai, un’ondata di parole volta a smantellare le fondamenta di ciò in cui credeva.

… no, questo significa sopravvalutare un pazzo…

– Ci accechiamo con le nostre stesse mani – continuava a dire la bestia – e finiamo per convincerci delle cose più sbagliate.

Preso dalla foga del discorso, il pazzo si alzò addirittura in piedi e allargò le braccia, si mise a parlare al cielo buio, come un lupo che ululasse alla luna. Sembrava ispirato, irrimediabilmente folle.

– Bisogna avere il coraggio di guardarci per quello che siamo realmente. Dobbiamo affrontare noi stessi, le nostre menzogne. Capisci quello che cerco di dirti, amico?

… amico!…

Frey ammutolì.

– Conoscere noi stessi, conoscerci tra di noi, scoprirci. Fa paura. Significa superare una barriera, creare una possibilità. Ed è terribile, così spaventoso: conoscerci. L’acqua e il fuoco. Che cos’è la nostra natura?

I discorsi della bestia diventavano sempre più deliranti, sempre più alla deriva. Il triclope si aspettava di venire aggredito da un momento all’altro, quando il lupo si toccò il petto e lo guardò.

– Io mi chiamo Lam. So che non mi dirai il tuo nome, ma desidero che almeno tu conosca il mio.

Il pazzo riprese a guardare in su verso la volta nera che li sovrastava.

– Desidero che tutti quanti, i vivi e i morti, le mie vittime e i miei carnefici, sappiano il nome di questo individuo, di questo singolo essere vivente!

Frey osservò il nemico smarrito nel suo dedalo di follia. Quel delirio sembrava nascondere una sua logica occulta, un pericolo che ancora egli non riusciva a individuare. C’era qualcosa nell’aria, in quel posto: una specie di suono che vibrava silenzioso tra le rovine del tempio, sinistro e indecifrabile. Temette di poter essere afferrato dalla medesima pazzia che aveva contagiato il lupo. Per un attimo, Frey temette che la sua mente cedesse come quella della grottesca creatura pelosa che gli stava davanti.

Ma all’improvviso, proprio quando i suoi pensieri stavano iniziando a confondersi, Frey fu folgorato da un dettaglio che aveva ignorato fino a quel momento. Smise di concentrarsi sulle parole della bestia e cominciò a fissarla con maggiore attenzione: le braccia allargate, lo sguardo rivolto al cielo come se parlasse a un qualche dio o chissà cos’altro.

Finalmente si rese conto che la posizione del suo avversario era del tutto sguarnita.

Caricò l’energia del terzo occhio e fece partire un lampo accecante.


Era passato tanto tempo da quella notte sul colle.

Frey si trovava ora in una grotta umida insieme ad altri due compagni triclopi; il più giovane giaceva a terra, agonizzante, il ventre squarciato oltre ogni possibilità di cura. L’altro stava all’imbocco della grotta, scrutando l’oscurità deformata dall’incessante scroscio di una pioggia violenta. L’acqua pareva una sorta di muro semovente, isolava il loro l’anfratto dal resto del mondo. Il mutante di vedetta era alto e magro, non particolarmente muscoloso; nelle sue orbite scavate si poteva leggere la disperazione.

Si trovavano lì da un’ora ormai, accerchiati da un intero branco di uomini lupo; lui e la sua squadra erano caduti vittima di un’imboscata preparata ad arte: da undici che erano ora rimanevano solo loro tre. O meglio due: il giovane non avrebbe resistito ancora per molto.

Frey si accorse, con stupore, di essere ormai rassegnato. Non era da lui smettere di lottare. Ma era anche vero che le speranze di sopravvivere erano minime, e lui non era più quello di un tempo: i sogni di gloria erano svaniti, la fine della guerra non sembrava nemmeno avvicinarsi e lui cominciava a sentirsi stanco, terribilmente stanco.

Si guardò il braccio sinistro, che terminava all’altezza del gomito: lo aveva sacrificato tempo addietro per permettere alla sua squadra di salvarsi. La stessa squadra che era stata appena annientata. Si guardò il resto del corpo, tutto ricoperto di cicatrici, molte delle quali non ricordava nemmeno come se le fosse procurate. D’un tratto gli tornò in mente quello strano incontro fatto molti anni prima, tra le rovine di un tempio antico: un uomo bestia come quelli lì fuori.

Sarebbe dovuto morire allora, rammentò. Eppure il suo nemico, invece di dargli il colpo di grazia, si era messo a parlare con lui del significato della guerra, di come la razza originaria dell’uomo si fosse estinta e altre cose ancora. Non ricordava perfettamente il discorso di quella notte, era passato troppo tempo, ma ricordava perfettamente com’era finita tutta la faccenda: un raggio di fuoco sparato a bruciapelo in pieno petto. Il lupo era morto all’istante.

… come si chiamava?…

Lam!

All’improvviso, non seppe perché, Frey iniziò a ridere: prima sommessamente, poi più forte, fino a prorompere in una risata isterica così violenta che fu costretto ad appoggiarsi alla parete di roccia alle sue spalle. Il compagno di guardia all’ingresso si voltò a guardarlo con un’espressione esterrefatta e gli fece cenno di stare zitto. Quella reazione ridicola, data la situazione senza scampo in cui si trovavano, ebbe come unico risultato quello di far ridere Frey ancora di più.

Mentre si teneva la pancia il triclope pensò che, di tutti gli avversari che aveva ucciso, quell’uomo lupo incontrato sul colle boscoso era l’unico di cui lui avesse mai conosciuto il nome. La risata si smorzò, portando via con sé tutta la tensione e la preoccupazione. Quando ebbe finito di ridere, Frey comprese. Alla fine, dopo tanti anni, riuscì a comprendere ciò che Lam aveva cercato di dirgli.

… le nostre scelte, la vita…

In quel momento gli uomini bestia fecero irruzione nella grotta, il suo compagno lanciò diversi raggi di energia e lottò con tutte le sue forze prima di cadere sopraffatto dagli artigli. Persino il giovane moribondo cercò di reagire; una reazione istintiva di sopravvivenza, o forse un ultimo atto eroico compiuto nella convinzione di essere premiato per il suo coraggio in una vita futura.

Frey invece non reagì, guardò un lupo che si avvicinava. Aveva il pelo chiazzato di grigio in vari punti, doveva essere piuttosto anziano, probabilmente un veterano anche lui. Quando fu sovrastato dalla bestia, schiacciato a terra, gli rivolse la parola.

– Come ti chiami?

Il mutante non provò quasi dolore quando la sua gola fu squarciata. Mentre sentiva il sangue caldo colargli addosso e scorrere in rivoli lungo la fredda pietra della caverna, Frey si ricordò di una cosa su cui aveva riflettuto per giorni, dopo essersi allontanato dal tempio in rovina, dopo aver ucciso Lam nel bel mezzo del suo discorso. Il lupo morto sorrideva, la pace dipinta sul volto animalesco.

Nel tempo di un respiro che non poteva più esalare, Frey rievocò quell’immagine. E anche lui, nell’abbandonare una vita di lotte e di uccisioni insensate, lasciò che sulla sua bocca si disegnasse un sorriso.

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