Per molti, il personaggio di Kull sarebbe una sorta di cugino di Conan, e la sua saga è ritenuta un’opera minore, uno schizzo preparatorio, quasi una prima bozza delle avventure del cimmero. E’ vero?
A cominciare da “Il regno ombra,” troviamo Kull carico di una disperazione esistenziale che Conan non ha. Anche se in superficie il re di Valusia e Conan sembrano molto simili, sono personaggi diversi. Le storie di Kull, da “L’esule di Atlantide” passando per “L’altare e lo scorpione“, spesso riguardano la religione, il culto, il rapporto con le divinità, epifanie e prodigi. Kull stesso è una figura che si pone domande, che cerca di capire, che mostra una costante angoscia. Sulla sua vita pesa l’enigma, il mistero imperscrutabile. Possiamo anche collegare tanta inquietudine all’epoca a cui appartiene. Nella cronologia immaginaria howardina, Kull, con la sua età di Thurian, precede l’età hyboriana di Conan di un lasso di tempo non specificato. Sappiamo solo che le due età sono separate dal Grande Cataclisma. E’ possibile, allora, che le tensioni spirituali di Kull siano quelle tipiche di una società che va dritta verso la rovina, e la presagisce. L’attitudine di Conan è, invece, quella di un mondo che è sopravvissuto al disastro ed ha fame. Conan è un uomo fiducioso nelle sue capacità, spinto da una sete di vita, che cattura il momento. Kull può essere selvaggio quanto Conan sul campo di battaglia, ma serba sempre un’indole riflessiva e problematica.
Con “Il regno ombra“, pubblicato su Weird Tales nell’agosto del 1929, Robert E. Howard presentò al pubblico un re barbaro impegnato a combattere degli orribili esseri magici, gli Uomini Serpente. Non è il gesto eroico l’aspetto centrale del racconto, ma la riflessione ampia e sofferta sull’esistenza di maschere sociali. A quelle tipiche dell’ipocrisia delle società civilizzate, si sommano quelle sovrannaturali degli Uomini Serpente, capaci di duplicare l’aspetto fisico degli umani. Valusia, il regno che Kull ha conquistato, è un covo di intrighi, di doppiezze, di slealtà ed imposture. Gli uomini nascondono i loro reali propositi nell’adulazione, con maschere servili, ingannatrici, edulcoranti. Lo stesso Kull si strugge in un interrogativo che rimane sospeso: chi è lui? Il barbaro conquistatore o il re che si adatta alla vita di corte? Pensa alla sua storia, rimugina sul suo passato e sul suo presente e si chiede come possa essere stato così tanti uomini diversi nel corso della sua esistenza. E’ inquieto, ottenebrato, sembrano inghiottirlo mille ombre. E’ la congiura degli Uomini Serpente che sottrae agli umani le loro corrotte identità in un trionfo di malvagità. E quando Kull capisce che un sortilegio ha posto una sua copia nella Camera del Consiglio, vacilla sull’orlo della follia chiedendosi chi sia il vero Kull, lui o la sua copia. Il titolo non mente, Valusia è il reame delle ombre.
Sorprende poi il disinteresse dell’atlantideo per le donne, verso le quali mostra sempre un atteggiamento cavalleresco e pietoso, e sorprende anche che la sessualità sia spesso descritta come decadimento e depravazione (“Abisso nero”). Kull guarda con compassione agli amori dei giovani che sfidano le consuetudini e le leggi classiste di Valusia, ma ne resta uno spettatore distaccato. E’ una figura malinconica, lontana dal trasporto edonistico, dagli slanci e dalla ferocia di Conan. Lo vediamo chiedersi cosa sia il futuro, se sia già scritto, se esista il libero arbitrio, se un oracolo possa conoscere e rivelare la volontà del singolo (“La gatta di Delcardes”). Lo ritroviamo ad ascoltare la filosofia del sapiente Kuthulos secondo cui “tutto è un’illusione” (“Il teschio del silenzio”) ed a smarrirsi nella sua immagine riflessa in “Gli specchi di Tuzun Thune”. E’ il secondo racconto che Howard gli dedica. Qui Kull non sfodera neppure la spada, è semplicemente sopraffatto dalle visioni misteriose degli specchi magici, il suo travaglio interiore lo ha spinto tra gli incanti di un mago. E’ confuso e guarda alla vita come qualcosa di privo di senso e profondità, una dimensione vacua perduta nell’indefinibile che, però, lo attrae e l’invoglia a trascurare tutto per andare oltre la superficie dello specchio e capire, verificare, conoscere.
Come in questo racconto, spesso la sua tendenza spirituale lo porta nei guai, nonostante servitori come Thu o il pitto Brule lo mettano in guardia. E tuttavia non è uno sprovveduto, la sua non è mai ingenuità. Sin da “L’esule di Atlantide”, Kull si mostra, infatti, diffidente, incredulo, sospettoso. Resta un uomo d’azione disilluso e per tale ragione la sua indagine spirituale è anzitutto esperienziale. Così Kull, attraversa le dimensioni in una sorta di rapimento astrale per poi affermare “il tempo e lo spazio non esistono; perché ho compiuto il viaggio più lungo della mai vita e ho vissuto innumerevoli milioni di anni…” (“Il colpo di gong”).
Angelo D’Ambra
Fine prima parte