“Abbiamo fede che il diritto fa potenza, e in questa fede, osiamo, fino alla fine, fare il nostro dovere come lo intendiamo“.
Abraham Lincoln, Discorso al Cooper Institute, 27 febbraio 1860
“Quest’ascia è il mio scettro!” fu rifiutato dagli editori e, rielaborato, entrò nel ciclo di Conan come “La fenice sulla lama”. La sua versione iniziale, come momento dell’ascesa al potere di Kull, re di Valusia, è un racconto molto evocativo, sebbene piuttosto lineare. Buone sono le scene d’azione, più banali gli intrighi politici. Una delle grandi ispirazioni alla sua base fu sicuramente Abraham Lincoln, il sedicesimo presidente americano.
Lincoln fu il “Grande Emancipatore”, l’uomo che pose fine alla schiavitù, che distrusse quella peculiare istituzione che caratterizzava la società e l’economia statunitense, e Robert E. Howard dovette subirne il fascino. Ancora negli Anni Venti circolavano avventurose biografie che facevano di Lincoln un eroe egualitario capace di combattere il razzismo e spezzare le catene degli schiavi col XIII emendamento, analogamente Kull in “Quest’ascia è il mio scettro!” spacca le vecchie tavole della legge permettendo che un nobile sposi una schiava.
E’ vero, Lincoln muore in un attentato, vittima di intrighi, ma Kull si salva, sfugge al complotto. A sottrarlo alla cospirazione è proprio il nobile a cui le leggi impedivano di sposare la donna che amava.
Ancora più evidente è, poi, il richiamo di Kull a Lincoln per quel che riguarda l’arma usata dall’atlantideo. Il presidente statunitense, infatti, era famoso per l’abilità nell’uso dell’ascia.
Finito alla ribalta nazionale come uomo di riferimento del Partito Repubblicano, Lincoln divenne per tutti “the rail splitter”, appellativo che potremmo tradurre come “lo spaccalegna”. Era una avvocato, non un boscaiolo, ma sin da ragazzo, ascia alla mano, aveva vissuto da pioniere, abbattendo alberi ed aiutando suo padre Thomas dopo il trasferimento della sua famiglia dal Kentucky all’Indiana nel 1816.
Lincoln crebbe sgombrando terreni, arando campi, abbattendo alberi, spaccando tronchi e costruendo recinzioni. L’immagine, reale, costruita o esagerata, di un muscoloso uomo di frontiera che brandisce un’ascia pesante e apre in due enormi ceppi, esercitò un enorme fascino sugli elettori, era l’emblema del “self made man”, dell’uomo comune che, con le sue sole forze, diventa qualcuno, diventa presidente (o magari re come Kull).
Nelle biografie si scrisse che sin dall’età di sette anni, Lincoln aveva maneggiato un’ascia, sviluppando la coordinazione muscolare necessaria per colpi netti e crescendo in dimensione e forza fisica. Ancora alla fine della guerra civile, circa una settimana prima del suo assassinio, i reportage di una visita ben pubblicizzata al fronte in Virginia, lo mostravano discutere di asce e cimentarsi con un ceppo di legno per esibire tutta la sua abilità. Questa immagine di Lincoln è stata rispolverata nel 2012 con “La leggenda del cacciatore di vampiri” che ha trasformato il presidente americano in un cacciatore di vampiri che uccide i succhiasangue brandendo un’ascia rotante, tuttavia continuiamo a preferirgli “Quest’ascia è il mio scettro!”.
La rielaborazione di “La fenice sulla lama” ci allontana molto da queste riflessioni. In ambedue le storie, l’eroe prende dal muro un’antica ascia che era appesa al muro “forse da cento anni” (Kull) o da “mezzo secolo” (Conan), ma l’arma per i due protagonisti non ha gli stessi connotati simbolici. E’ indubbiamente legata all’evocazione di una natura barbarica, ma l’enfasi con cui Kull la impugna è tutta condensata nella rivendicazione di un’autorità personale, mentre nell’avventura di Conan non è degna neppure di comparire nel titolo. Kull è uno straniero che si serve di un’arma valusiana per avocare a sé il potere supremo e legittimo di spezzare i grovigli gerarchici e burocratici. Esattamente come Lincoln, l’atlantideo si arroga la forza ed il diritto di spazzare via leggi e tradizioni costruite e consolidatesi nel corso delle generazioni, ma ingiuste e non più degne di essere seguite. La vera forza del gesto di Kull, però, non sta nell’impatto dell’acciaio, ma nella morale che lo sostiene.
Abbiamo sempre visto Kull come nient’altro che un re. Ad eccezione de “L’esilio di Atlantide”, le sue peripezie come pirata, fuorilegge, guerriero… sono consegnate a deboli menzioni. Howard non sviscerò il suo curriculum come fece con Conan, si concentrò su Kull re, si concentrò sulla regalità.
“Quest’ascia è il mio scettro!” è centrale nel ciclo perché ci fa capire quanto il principio cardine su cui la regalità di Kull si fonda non sia la forza, non sia la conquista, ma l’etica. Non ci sono altri elementi discriminanti. Kull è re perché ha un più alto profilo valoriale. Non è esponente di una nuova aristocrazia terriera, neppure guerriera. Kull è re perché si spinge oltre, vive in un perpetuo moto teso a sfrondare le illusioni di una falsa civiltà che si agghinda di menzogne e si abbandona agli orrori di culti depravati. Kull è re perché, a differenza dei suoi sudditi, sfugge alle imposture, alle mollezze del lusso, alle ipocrisie delle relazioni sociali. Kull è re perché guarda in profondità, oltre le maschere che nascondono la natura avara, superficiale e corrotta dell’umanità. Mal digerisce gli scambi di cortesie, sa che davanti a sé ha persone spudorate che, mentre gli tendono la mano, possono finanche tramare la sua morte. Ha un’idea diversa di come debba essere Valusia esattamente come Lincoln aveva una prospettiva diversa degli States e non aveva timore di affrontare i potenti proprietari di schiavi.
Kull è la trasposizione completa del presidente che guidò il Nord nella Guerra Civile, del capo di stato virtuoso e magnanimo, dell’uomo integro celebrato dalla storiografia americana, l’esaltazione di un’etica superiore.