“Il drago supremo è dentro di te. È il tuo ego che ti blocca.” – Joseph Campbell
“Nutrite l’anima perché la fame la trasforma in una belva che divora cose che non tollera e da cui resta avvelenata. Amici miei, saggio è nutrire l’anima, per non allevarvi draghi e diavoli in seno.” – C. G. Jung
Queste sono le ultime due citazioni fatte da Baricchi nel suo splendido articolo che non ho potuto far altro che divorare tutto d’un soffio. Ciò che scriverò qui sarà un mio punto di vista, chiedo il permesso di poterlo esprimere: so che, purtroppo, essendo nell’era dei terribili social network è diventato impossibile esprimere un punto di vista serio e costruttivo su un qualsiasi argomento, motivandolo in maniera “robusta” (sono uno statistico di formazione) dati gli esiti che tutti noi vediamo in quei pollai, specchio della realtà (“Specchio, specchio delle mie brame, chi ha l’ego più grande del reame?” – fine della polemica…anche se i social sono l’ennesimo drago, e persino supremo, per dirla alla Campbell). Siamo, quindi, nell’estremo paradosso in cui chi ha qualcosa da dire non può far altro che citare ciò che hanno detto altri, che, per carità, deve essere la norma, ma osare qualcosa in più arricchirebbe i propri interlocutori che, a loro volta, gioverebbero a chi inizia il dibattito. Vorrei provare a farlo in questo contesto. La società è piena di idioti e di ignoranti funzionale (si stima uno su tre nelle ultime rilevazioni), ma, per fortuna, non ce ne sono tra i lettori di Hyperborea.
Trovo assolutamente corretto tutto ciò che Baricchi scrive nel suo articolo, che è impossibile qui riassumere e invito tutti a leggerlo: emerge la base di Campbell, come storico delle religioni, e del grande Jung, che di archetipi è il massimo canonizzatore, Nietzsche e molti altri.
L’articolo tralascia un aspetto che io reputo fondamentale per far proprio il tema dell’eroe, della ricerca, del combattimento, della fanciulla, etc…e del drago in sé, il protagonista-antagonista del nostro discorso. Anche alla luce non solo del nostro tempo, ma di tutti i tempi: ogni epoca, ogni generazione ha i suoi draghi. È il motivo per cui si combattono che ci dà il senso alla lotta, al sacrificio, all’essere eroe. È uno degli aspetti, e per me è il fondamentale, che dà il “senso”. E qui scaglio la mia lancia come Alessandro Magno quando sbarca in Asia con la sua armata per invadere l’Impero Persiano all’inizio dell’impresa che scolpirà il suo nome nella Storia: “δουρίκτητος ”, scagliare la lancia.
L’aspetto è: la Religione, in primis, quella cristiana, di cui siamo eredi.
Essendo figli dell’età illuministica abbiamo escluso la religione dalla vita mettendola allo stesso piano di tutte le storie, di cui non solo noi appassionati sognatori di mondi fantastici ci nutriamo, facendo si di togliere loro il senso. Un enorme vuoto, dato che questi racconti, che siano più popolari, folkloristici o di “alta cultura”, antichi o meno, benché spesso rimaneggiati, un senso lo hanno sempre. La religione è una delle chiavi per il loro senso, se non la chiave principale che uomini superbi nel presente e nel passato, in nome di qualche superiorità culturale e scientifica hanno volutamente eliminato per, forse diventare dei loro stessi? Molto spesso “uccidere Dio” equivale a far diventare un dio il suo stesso assassino. Anche se poi non ha le qualità per esserlo.
La religione in queste storie è come la variabile mancante in un sistema di equazioni. Come figli dei Lumi l’abbiamo bocciata come oscurantista e per nulla scientifica, perché spesso non chiede dei limiti, ma li identifica mentre noi moderni non ne vogliamo, ma vogliamo sempre andare oltre, un po’ come degli asini che vogliono volare. Laddove questi limiti sono stati superati abbiamo posto la scienza come nuovo dio: la scienza è un mezzo, non il fine. Mai. E mai lo sarà. Non dà senso alla nostra esistenza: l’amore, la religione, la filosofia, si; sono forse scientifiche? Allora per una volta lasciamola da parte ed utilizziamola per il solo scopo che ha, essere un mezzo e niente di più. Non è cosa da poco riuscire a farlo – tra l’altro, amore e religione sono forse gli unici aspetti che riescono a dare “bellezza” alla vita degli esseri umani, il resto no, e nel cristianesimo sono uniti.
Se prendiamo un po’ di personaggi famosi, dei big di più vari miti o dell’AT (che è il nostro come italiani – l’AT stesso è molto mitologico) come, ad esempio, Abramo, Mosè, Odisseo, Enea, Teseo, Romolo, Lucrezia, Re Artù, Lancillotto, ed infiniti altri e altre… erano e rimangono dei “modelli”, cioè delle figure che la tradizione di un popolo o di popoli che sono sia “fondative” per quel popolo, sia “esemplari”, sia nelle azioni buone che in quelle malvagie – già, non esiste eroe perfetto: Re Artù ricevendo la profezia della sua morte per mano di un suo discendente fa uccidere dei neonati come Erode, nel tentativo di uccidere il piccolo Mordred (Le mort dArtur – Thomas Malory), mentre, subito dopo, fa pronunciare il celebre giuramento di Pentecoste, un toccante richiamo nostalgico ad una mitica età dell’oro della cavalleria cristiana. Dall’altra c’è Lancillotto che tenta di farsi sua moglie, Ginevra nonostante sia il migliore dei cavalieri, combattendo tutta la vita con questa sua passione ardente verso di lei. Idem Ginevra, la migliore delle mogli, delle regine, che deve pure portare il peso della sterilità. (all’epoca una tragedia ben di più di quanto lo sia oggi: niente figli niente successori e ne chi ti manteneva durante la senilità). Già solo il ciclo arturiano ci darebbe tutti gli esempi di questo mondo: specie per gli eroi che falliscono: già, perché si può fallire (Sir Balin e Sir Balan). Al contrario di oggi, benché non lo si ammetta mai ed il fallimento o l’errore non sono mai contemplati: già a scuola si insegna a competere ma solo per diventare dei “winners”, poi nello sport, sul lavoro, nelle relazioni, etc…nessuno deve perdere, solo vincere. Niente loosers,
Invece le storie educative del passato sono piene di fallimenti. Già questo dovrebbe far riflettere. Perché? Perché le religioni hanno un “senso del peccato”: cioè l’andare contro l’ordine naturale che è sempre quello stabilito dal dio di turno, che sia Zeus, Marduk, Jahvè, Allah o Dio-Cristo. Gira e rigira questo concetto non è molto cambiato. Che poi Zeus e Marduk siano scomparsi e sono rimasti Dio-Cristo e Allah che è venuto fuori qualche secolo dopo che condivide quasi tutto del Dio cristiano – tralascio volutamente Jahvè, perché l’ebraismo rabbinico post distruzione finale del tempio durante la rivolta di Simon Bar-Kokheba, il presunto messia ebraico, è tutta un’altra cosa rispetto a quello mosaico, divenuto il Cristianesimo. L’ebraismo medievale e quindi moderno è tutta un’altra cosa rispetto a quello del suo passato e rispetto a Cristianesimo e Islam, con cui, a mio avviso condivide ben poco.
Sia chiaro che nessuna epoca è stata perfetta, ma almeno – e chi ha un po’ di senso storico non-positivista, sarà d’accordo con me – in un passato, non troppo remoto, delle bussole per identificare il bene dal male i nostri antenati le avevano.
La religione era la principale.
Nell’epoca di Malory si cantava di cavalieri senza macchia come di quelli come Mordred, di donne virtuose e di streghe, etc…ben sapendo che erano protagonisti di un passato forse mai esistito. Ma non importa. Essi servivano ad inquadrare ciò che è bene e ciò che è male: tenendo sempre ben presente che nessuno è perfetto ed i fallimenti sono alla porta e sono…per tutti, nessuno escluso. Il peccato, cioè l’andare contro la volontà di una realtà trascendentale è alle porte, ma! Ed è un ma grosso come una casa, era rimediabile, anche per il più squallido essere umano. Semplicemente, i nostri antenati che vivevano in epoche più religiose avevano ben chiare due cose: la prima è che nessuno è perfetto (alla faccia dei catari), ma si può essere santi, ben diverso. E che la vita terrena è un soffio. Un attimo. Bastava un raccolto andato male, una pioggia di troppo o di meno ed erano dolori.
Alla faccia del “fallimento” moderno, una macchia senza possibilità di essere cancellata. Chi fallisce è uno sfigato.
Purtroppo, le fiabe alla Fratelli Grimm, per quanto belle (quando ben illustrate – ndr) non ci hanno fatto troppo bene perché ci hanno illuso che esistono bianchi e neri, e non che dovremmo lottare contro i draghi interni ed esterni a noi stessi tutta la vita. Il “vissero felici e contenti” non è mai stato una realtà, se non nella sfera “emozionale”, passeggera ed effimera (la sfera “esperienziale”, altro drago moderno).
L’Occidente, cioè il mondo europeo e anglosassone, è figlio tanto quanto dell’astuzia e dell’intraprendenza umana di Odisseo, per il sapersi arrangiare che ci ha sempre contraddistinto, e per la sete di Mistero della parte immortale di noi stessi che porta al senso religioso e trascendentale che parte da Mosè e passa dai filosofi greci e poi da Gesù Cristo, in alcuni più attiva in altri più sopita. Oggi poi, sopitissima per la paura del termine “Religione”. Ci spaventa, rendiamocene conto. È esso stesso, per molti, un drago, anche se, in realtà, non lo è: il drago è la nostra prigione moderna relativista e positivista in cui siamo ingabbiati. Una prigione che non da alcun senso alla vita. L’occidente è figlio della libertà intesa come la possibilità di fare ma soprattutto di non fare determinate scelte in base alle proprie responsabilità verso il prossimo e, soprattutto, verso il proprio dio. Insomma, è libero di scegliere come meglio svolgere il proprio dovere.
Qui sta quindi, la chiave di lettura definitiva. I personaggi arturiani non sono liberi di gozzovigliare proprio come l’eroe non ha molta scelta se non quella di affrontarlo questo stramaledetto drago se vuole andare avanti per la sua strada.
La libertà non è, quindi, fare ciò che si vuole: cioè perdere tempo. Questa è una libertà moderna (Aleister Crowley).
Sconfitto un drago ne troviamo un altro, e ancora un altro e via così: sembrano non finire mai come gli orchi dal Cancello Nero: o forse, il senso del viaggio di Parsifal è una metafora della vita dell’uomo? Un viaggio lungo e denso, irto di pericoli e soddisfazioni, di bene e di male, di compagni e compagne alleati o nemici, di amore e odio etc…ma quello che lo spinge a continuare, a mio avviso è niente meno che il Desiderio, che non spreca per cose materiali ed effimere ma per ciò che è oltre la sua vita. Che sia per la Dama (i cavalieri cortesi), per il Graal, il proprio Re e la propria Regina (Lancillotto), la Gloria imperitura (Achille – anche se dopo la morte di Patroclo va in crisi), oppure…per compiacere gli dèi (i greci) o Dio? In fondo, in fondo, che cos’hanno in comune i poemi greci, l’antico testamento ed il ciclo arturiano? E poi, per passare a racconti più moderni, Tolkien? La Religione.
Si prenda il Graal…diventato famoso per la leggenda del Re Pescatore, ferito all’inguine e re di una terra morta. Il Graal lo guarirà e la sua terra riprenderà vita. Il Graal è la coppa in cui venne raccolto il sangue di Cristo versato per la Salvezza degli uomini, quindi, per la loro vita (anche se in un altro mondo) ed il re, nella tradizione cristiana doveva la sua autorità da Dio in tutto l’occidente. Quanti studiosi si sono arrovellati per dare un significato al Graal quando, in fondo, bastava la lettura più semplice? La lettura per quello che il Graal è e non per quello che poteva essere.
Nell’Iliade gli dèi sono i protagonisti della metà delle parole li scritte: nulla avviene senza la loro volontà (Zeus, in primis) o il loro aiuto (Atena nella morte di Ettore, come Apollo per quella di Achille). Il mondo accademico non aiuta: è troppo spesso incapace di trasmettere passione, ma solo grigie e monotone locuzioni.
Torniamo a noi. Achille, Odisseo e tutti gli altri personaggi umani dei miti greci non muovono un dito se non hanno un responso augurale: sarà poi Odisseo un po’ più ribelle quando la necessità lo porterà su quella strada, ma di certo non gli porterà fortuna. Segno che la mentalità greca stava passando dal mythos alla filosofia. Stesso errore odierno. Poi capitò Aristotele che iniziò ad interrogarsi su un dio unico e qualche secolo dopo passò da loro Paolo di Tarso e fusero le due anime dell’essere umano che anche loro stavano separando come noi: il razionale ed il trascendentale. Solo che noi le abbiamo separate, loro le hanno portate a compimento.
Domanda fondamentale alla quale i moderni (pure i preti!) fanno fatica a rispondere: che cos’è la religione? Tralasciamo momentaneamente ciò che direbbero i plurititolati e pluripubblicati accademici e ragioniamo inter nos. Dal latino religare, cioè relegare, mettere da parte vuol dire proprio qualcosa che sto mettendo da parte rispetto alla vita ordinaria. Il che è verissimo quando si pensa al rito. Prendiamo la Santa Messa: non tanto per i gesti e le preghiere che si recitano, ma per l’atto in sé della celebrazione del Santo Sacrificio. In quel momento chi vi partecipa, dai fedeli al sacerdote sono in una dimensione oltre quella fisica, terrena. Il fedele che va a Messa per vera fede e non per essere in pace con sé stesso o per farsi vedere da conoscenti e parenti, sa che in quel momento è in contatto con la Trascendenza. Va, in qualche modo, a “ricaricare le batterie” per la vita ordinaria che ha fuori dal Sacramento, come un eroe, va a ritemprarsi in vista della prossima battaglia. Sì, perché essere veramente religiosi significa essere dei guerrieri: essa ci permette di identificare i draghi interni ed esterni contro i quali combattere tutta la vita (San Paolo). Citando sempre, come esempio, il Cristianesimo, esiste una vera “armatura della fede”. Per atei o agnostici lettori di Hyperborea, pensate a Granburrone. Guarisce le ferite fisiche, ma, principalmente, quelle dell’anima. Esso è un luogo di ristoro separato dalle difficoltà della Terra di Mezzo. La sua sacralità, cioè la sua purezza – la sua divinità – è intatta e non contaminata da nessun orchetto, lupo e persino dallo sguardo di Sauron.
La religione come qualcos’altro dalla vita ordinaria, va bene solo per il rito, e per tutto il resto? Non a caso il termine “religione” è Illuministico: proprio nell’epoca in cui si stava iniziando a separare il sacro dal profano (per uccidere il sacro).
E prima? Non esisteva alcun termine per identificare tutto ciò che ha a che fare con il Sacro, per il semplice motivo che la “religione” era la…vita quotidiana! Tutto è religioso, dalla vita dei contadini a quella dei Re e delle Regine (da dove viene l’Autorità?). Non pensiate che ciò valesse solo per il Cristianesimo, per l’Islam è così ancora oggi, per gli antichi Greci e Romani era lo stesso. Per la maggior parte della Storia siamo stati un tutt’uno con la religione fino a quando qualche illuminista desideroso di potere ha iniziato a separare le due sfere. Le feste del calendario erano religiose, i riti di passaggio – battesimo e cresima? Solo perché oggi sono solo un motivo per ritrovarsi e andare a mangiare al ristorante, non vuol dire che nel passato fossero la versione inutile moderna, anzi! Il battesimo nell’antichità era fatto da adulti a Pasqua e si portava un abito bianco per una settimana. La cresima segnava il passaggio dall’infanzia all’età adulta e quindi, dava possibilità di contrarre il matrimonio. Niente adolescenza, non si perdeva tempo. La vita era breve, i draghi ovunque e l’altro mondo da meritare ad un passo.
Questa separazione è stata indolore? Basta vedere ciò che Baricchi ha ben identificato quando parla dei giovani. Nell’età della massima potenza, intraprendenza, fantasia, entusiasmo etc…ci si droga per sfuggire alla realtà? Diciamo anche che la tecnologia non aiuta, anzi. E troppo sport e/o competizione esasperata negli studi e sul lavoro non giovano in alcun modo e possono creare mostri ben più dannosi per il prossimo di un povero drogato che magari riesce ad uscire dal suo incubo e che passa il resto
Il drago più grande da sconfiggere oggi, una specie di Ancalagon il Nero è proprio la barriera che i nostri predecessori hanno eretto contro la trascendenza, contro il rendersi conto che siamo creature mortali e finite e che forse c’è ben di più oltre questa sfera materiale. Si dice, stupidamente, che la religione causò un sacco di guerre. Vero, la religione in sé è talmente totalizzante che ci fa diventare dei cavalieri e ci fa combattere, ma se dovessimo contare i morti per guerre e crudeltà dal 1789 ad oggi – l’epoca della ragione – credo verrebbero superate tutte le cifre del passato, sempre che sia la religione la causa vera di una guerra e non, invece, un pretesto per mascherare altre intenzioni, mentre, sappiamo per certo, che dal 1789 non è stata mai motivo di guerra, ma altre ideologie o teorie scientifiche sono state motivo di “crociate” e di inutili stragi. Siamo nell’epoca subito antecedente all’inabissamento di Numenor: al culmine della nostra potenza “tecnica” ed al contempo al culmine della nostra mancanza di senso e della nostra miopia trascendentale.
In conclusione, visto che questo è un sito di “fantasy”, sarà un caso se i due padri dell’High Fantasy era molto…religiosi? Tolkien era cattolico fino al midollo e Lewis protestante: in Narnia l’aspetto cristiano è voluto (Aslan), in Tolkien no, ma la storia degli Elfi dal Silmarillion in poi che cos’è se non una storia di una primordiale caduta – Feanor ed il suo giuramento – il tentativo di autodeterminazione lontano dai Valar ed il desiderio di domare il male con le proprie sole forza, finendo poi per esserne sconfitti. Fino alla redenzione con il viaggio di Earendil che, sfidando il divieto dei Valar torna a Valinor e chiede pietà a nome di tutti i Noldor e degli Uomini loro alleati. Nonostante egli sia un discendente dei “peccatori” (da parte di madre Idril, figlia di Turgon, figlio di Fingolfin, fratello di Feanor che sfidò i ghiacci dell’Helcaraxe per andarsene da Valinor). Il suo gesto porterà all’intervento dei Valar, alla sconfitta di Morgoth ed al perdono dei Noldor, che da li in avanti potranno percorrere via nave la via che li riporterà a Valinor seguendo Earendil, divenuto una stella con un dei Silmaril sulla sua nave. Similitudine con chi? Chi è la “stella del mattino” nel cristianesimo che indica la via per salvare la propria vita? Cercatelo sul google.
«È come nelle grandi storie, padron Frodo. Quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericoli, e a volte non volevi sapere il finale. Perché come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine è solo una cosa passeggera, quest’ombra. Anche l’oscurità deve passare. Arriverà un nuovo giorno. E quando il sole splenderà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che significavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire il perché. Ma credo, padron Frodo, di capire, ora. Adesso so. Le persone di quelle storie avevano molte occasioni di tornare indietro e non l’hanno fatto. Andavano avanti, perché loro erano aggrappate a qualcosa.»
L’esito dell’avventura di Frodo e Sam è inspiegabile senza un po’ di Provvidenza, e pure Tolkien ce lo dice nelle sue lettere. Se non si deve credere a me che sono un signor nessuno, credere a lui.