Il 25 Febbraio 2022 è uscito Elden Ring, nuovo videogioco open world di From Software e Bandai Namco.
La realizzazione del progetto è iniziata anni fa, annunciando una collaborazione tra due nomi abbastanza “grandi” nella fantasy più oscura e grimdark, uno è George R. R. Martin, autore di diversi racconti di fantascienza e fantasy e della saga “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, sua opera più famosa, sebbene ancora incompleta, l’altro è ovviamente Hidetaka Miyazaki, autore e game director di videogiochi tra cui la serie dei “Dark Souls”, “Bloodborne”, e ambientato nell’epoca Sengoku del Giappone feudale “Sekiro : Shadows Die Twice”. Dal 2014 Miyazaki è diventato presidente della From Software e la narrazione dei suoi giochi è caratterizzata dall’essere sempre molto criptica, minimale, il giocatore si ritrova in un mondo a lui completamente sconosciuto, ostile, con un gameplay con cui deve proprio farci la mano, imparare come muoversi, quali vie e quali questline percorrere, quali scelte fare, e capire la storia e gli intrecci di trama soprattutto tramite le descrizioni degli oggetti e le conversazioni con gli NPC.
Quest’ultimo elemento ha portato la community di videogiocatori a creare tantissime teorie e a portare avanti una mole di discussioni, fan art, streaming di gameplay, riferimenti e citazioni che ha dell’unico nell’universo videoludico contemporaneo. “Dark Souls” e gli altri titoli citati hanno dato inizio a un’onda di creatività e hanno dato una vera e propria scossa a una community di videogiocatori che voleva giochi “nuovi”, ma che ricordassero nella difficoltà, nell’ispirazione, e nella struttura, la narrazione fantastica e meravigliante di titoli come, per esempio, la saga dei vecchi Final Fantasy, o andando più nello specifico e in una tipologia di gameplay vagamente simile, Gothic, almeno i primi tre, si potrebbe citare anche Fable, o le varie opere videoludiche dedicate al mondo di Dungeons & Dragons. Nel caso di “Elden Ring” il riferimento a D&D è abbastanza palese, non a caso Hidetaka Miyazaki ha dichiarato pubblicamente di aver lasciato scrivere la lore, la storia, le origini del mondo di gioco da George R. R. Martin proprio come se quest’ultimo fosse un Dungeon Master.
Gli dèi presentati da Martin sono simili ai suoi personaggi de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, o meglio, si assomigliano nel seguire dinamiche psicologiche molto umane e umanizzate, anche se di umano hanno ben poco, quasi nulla, nelle opere di Martin è difficile trovare un vero e proprio eroe o anti eroe, tutti i personaggi sono talmente umani, da essere molto scostanti e da cambiare fazione, idee, seguaci, in un modo talvolta repentino che ricorda un po’ le dinamiche di gioco di D&D, ma con l’aggiunta di una profondità psicologica che porta i personaggi a fare scelte molto crude e realistiche. “Elden Ring” è difficilmente collocabile in un genere, così come anche i suoi creatori. Miyazaki e George R. R. Martin mescolano spesso e volentieri fantasy e fantascienza, riferimenti alla storia, ispirazioni di derivazione tolkieniana ce ne sono a bizzeffe, e in questo nuovo open world anche a Michael Moorcock, al ciclo di Corum, alla tematica del Campione Eterno.
Il tutto è interpretato e visto in un modo molto disilluso e cupo, e non è neanche troppo diverso dalla visione di Moorcock, anche se gli elementi che compongono “Elden Ring” sono apparentemente molto più fiabeschi rispetto all’oscurità perenne di “Dark Souls” e sia le ambientazioni, sia i personaggi, sia anche banalmente la grafica e la luminosità sono completamente differenti, è molto meno oscuro nell’immagine e nell’atmosfera.
Anche se i retroscena della trama e gli intrighi tra divinità e semidivinità sono simili alla lotta per il potere molto cruda e grimdark che leggiamo ne “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. Tuttavia, non voglio dilungarmi sulla trama, anche perchè la community nel momento in cui scrivo sta ancora facendo illazioni, e molti, moltissimi elementi, sono lasciati in sospeso e sono materiale per DLC, espansioni future del mondo e della trama di “Elden Ring”.
Il videogioco è un open world che ricorda moltissimo nelle sue dinamiche di esplorazione “Gothic” rifatto però in chiave moderna e action rpg come tipo di gameplay e con un motore grafico di nuova generazione.
Il protagonista è un Senzaluce, un Tarnished, ritrovatosi nelle Lands Between, tradotto in italiano con Interregno, dopo la distruzione dell’Anello ancestrale. La regina Marika l’Eterna , tramite della Volontà superiore, garantiva l’ordine dell’Interregno tramite l’Anello ancestrale e l’Albero madre, testimonianza della presenza della Grazia sulle Lands. L’Anello ancestrale venne distrutto, disgregato, in varie Rune, custodite dai lord e semidei dell’Interregno, che dopo la deflagrazione dell’Anello si ritrova da, si presume, terra prospera e pacifica, a un teatro di guerra continua e perpetua tra le varie fazioni che possiedono le Rune. L’Ordine aureo e il Lignaggio Aureo seguono la volontà dell’Albero madre, mentre scopriamo che esistono anche lord che non seguono la dorata Grazia e la luce dell’Albero. Per esempio Rykard si è lasciato divorare da un serpente leggendario per divorare egli stesso gli dèi, Mohgwyn, detto Signore del sangue, si è affidato a una divinità che è legata al culto del sangue ed è presumibilmente un’entità ancestrale e ctonia. Il reame magico di Caria, popolato e governato dai discendenti dei primi astrologi, che studiarono il potere e i segreti delle stelle e della Luna, per divenire stregoni molto potenti, ha una posizione dubbia sulla sua lealtà all’Albero madre. La figlia della regina cariana, Ranni, si presenta al giocatore di notte presso una chiesa diroccata con l’aspetto di una strega accennandogli che ciò che gli si viene presentata come via più giusta, e quindi anche come scelte di gioco quasi scontate, in realtà potrebbe non essere la strada più adatta per lui.
Insomma, durante l’esperienza di gioco, si scoprono sempre più elementi di trama che rendono “Elden Ring” immersivo e coinvolgente. Tutto ciò che si scopre sulla trama è relativo a quanto il giocatore ha tenacia nell’esplorazione minuziosa del mondo e nella lettura di ogni dettaglio in ogni descrizione degli oggetti, soprattutto le armi uniche e i set di armatura e corazze, ma anche talismani, collane, e altri ammeniccoli fantasy a cui siamo abituati da moltissimi anni e che si rifanno, come scrivevo, a Dungeons & Dragons, strutturalmente e schematicamente.
I personaggi sono tantissimi ed è innegabile che si tratti di un mondo di gioco molto vasto e con una profondità di lore mastodontica e titanica, il giocatore infatti si rende bene conto della potenza dei semidèi e delle ambientazioni, che hanno un vero e proprio potere, una magia, una fascinazione, una meraviglia, che si rifà al “Magnum Opus” alchemico.
Non mi risulta che Hidetaka Miyazaki o George R. R. Martin abbiano ammesso di essersi ispirati all’alchimia nella realizzazione del videogioco, è molto chiara l’ispirazione a Tolkien, come per esempio nella creazione dei Numen, simili a Nùmenor, o a Michael Moorcock, per quanto concerne la tematica del Campione Eterno applicata alla regina Marika come simulacro di uno spirito che non ha a che fare con lo spazio e con il tempo, proviene da oltre. Anche un Senzaluce può essere visto come un Campione Eterno, in un certo senso, e il Lord ancestrale, titolo che si ottiene solo finendo la trama di gioco, è una figura che ha un ruolo un po’ controverso in “Elden Ring”, come quasi sempre nelle opere di Miyazaki, tutto si adatta a varie interpretazioni, ma che ricorda in un certo senso la malinconica condanna del combattere per sempre e la sostanza filosofica dei romanzi di Moorcock. L’Interregno è un mondo che non muta, cristallizzato nella sua decadenza e brutalità, il protagonista deve ricostruire l’Anello ancestrale sconfiggendo i vari lord che detengono le Rune maggiori, i frammenti dell’Elden Ring, come già scrivevo poc’anzi, ma le sue scelte finali restano personali, e questo secondo me è un elemento imprescindibile nei giochi di ruolo o in qualsiasi titolo che voglia accostarsi al genere, anche con elementi d’azione e non per forza con un gameplay a turni.
L’Anello ancestrale può essere paragonato alla pietra filosofale, come simbolo, all’opera alchemica intesa in senso lato. Nel ricostruire l’Anello ancestrale il protagonista affronta un viaggio di tipo alchemico, per così dire, ripercorre in qualche modo l’itinerario descritto nel “Magnus Opus” e i riferimenti alla filosofia ermetica e all’alchimia sono continui e frequenti.
Innanzi tutto partiamo da una condizione di morte. Melina, un personaggio molto enigmatico, ma che risulterà chiave nell’opera alchemica della ricostruzione e rinnovamento dell’Interregno, è la prima che ci aiuta e ci accoglie nel mondo di gioco.
Nigredo, primo stadio del “Magnus Opus” alchemico, o melanosi, annerimento, morte, decomposizione, separazione, caos primordiale, il simbolo del corvo, Saturno, il cambiamento, l’inverno ; Melina è tutto questo. Senza Nigredo non è possibile iniziare la trasmutazione.
Albedo e Citrinitas sono due fasi della lavorazione alchemica che dopo il Medioevo sono state intese come una fase sola, ma esse riguardano due ambientazioni importantissime in “Elden Ring”. Albedo sta a significare l’elemento dell’acqua, la purificazione, lo sbiancamento, la distillazione, la Luna, il femminile, l’adolescenza, l’alba. Citrinitas consiste nella fase appena successiva, l’ingiallimento, xanthosis, associato al simbolo dell’aquila, al maschile, al giorno, al Sole, al colore dorato, all’elemento dell’aria.
Nel mondo di gioco incontriamo due lord iniziali : Godrick e Rennala. Godrick è appieno l’incarnazione della Citrinitas, essendo il lord, a sua detta, di “tutto ciò che è dorato”. E’ il sovrano del Castello di Grantempesta, dove i nemici affrontabili hanno tutti poteri connessi con l’elemento dell’aria e del vento, e sono presenti anche aquile nel dungeon. Il Lignaggio aureo è la casata dalla quale Godrick discende ed è intimamente connesso con il senso dell’onore e della maturità, quasi spingendosi fino al fanatismo, è la potenza del maschile basata sulla forza bruta. Rennala, la regina del Plenilunio, d’altro canto, è l’esatto opposto, rappresentando la Luna. L’arena in cui affrontiamo il combattimento per ottenere la Runa maggiore è fatta d’acqua, con sullo sfondo una Luna piena imponente. Rennala è la regina di Caria, è il femminile, la magia, l’irrazionale, trae potere dalle stelle e dagli astri e dalle entità lunari che risiedono al di fuori dell’Interregno, la cui sapienza fu studiata dagli astrologi che crearono le arti magiche e la stregoneria.
La quarta fase alchemica della “Magnum Opus” è la Rubedo. Simboleggia Ermes, Mercurio, l’androgino, il rosso, il tramonto, il matrimonio tra il cielo e l’inferno, le nozze alchemiche, la pietra filosofale, l’Elden Ring. Non a caso l’elemento dell’androgino è la chiave per interpretare alchemicamente il videogioco di Miyazaki, e appare nel finale della trama principale.
ATTENZIONE : Da qui in poi possono essere presenti degli spoiler, se non avete ancora finito il gioco e non volete rovinarvi la sorpresa, interrompete la lettura.
Nel filmato finale di presentazione dell’ultima bossfight, vediamo la regina Marika, o meglio ciò che ne rimane, tramutarsi in Radagon. In alcune descrizioni degli oggetti e anche da riferimenti degli NPC alla storia e al mythos di Elden Ring si deduce – e anche dalla cutscene appena descritta – che Marika e Radagon siano la stessa entità, un androgino rosso di capelli che simboleggia pienamente Rubedo. Dopo aver bruciato l’Albero madre il mondo e il cielo si tingono di un rosso che ricorda il tramonto. Abbiamo quindi moltissimi riferimenti alla simbologia alchemica medievale e successivamente rinascimentale.
Nel gioco si parla spesso delle Due Dita, o delle Tre Dita. La mano e le dita sono simboli spesso usati dalla sapienza alchemica.
Quindi anche se proprio il giocatore nel riformare e nel ricostruire l’Anello ancestrale, l’Elden Ring, non segue passo passo l’itinerario alchemico, diciamo che poco ci manca, e i riferimenti a tale sapienza sono evidentissimi. Dal punto di vista letterario quello che interessa è il riferimento a Tolkien e al Silmarillion nella costruzione della mitologia e della cosmogonia di “Elden Ring” e al continuo scontro tra Legge e Caos delle opere di Michael Moorcock. Dal punto di vista invece prettamente psicologico è interessante notare come la regina Marika e il suo alter ego maschile Radagon rappresentino esattamente la parte femminile e la parte maschile di una mente umana. Marika è istintiva, intuitiva, dalle parole riferite da Melina durante il gioco risulta un profilo di un personaggio molto femmineo, neanche troppo positivo e pacifico, ma più che altro legato all’istinto, all’impulso quasi, e all’irrazionale. Radagon è detto “dell’Ordine aureo”, quindi è legato alla Citrinitas, all’oro, al maschile, a tutto ciò che è Legge e Ordine, alla mente razionale. Pare quasi che tutti i problemi dell’Interregno siano originati da un conflitto schizofrenico di una persona con il lobo destro e sinistro del cervello completamente scollegati, anche proprio dal punto di vista visivo e caratteriale, sono proprio due personaggi diversi in un unico simulacro di una Volontà superiore di cui viene detto molto poco, se non che fa parte di una serie di entità provenienti dalle stelle e dallo spazio profondo. E qui, sempre dal punto di vista letterario, entra in gioco un riferimento a H. P. Lovecraft e alla sua immensa cosmologia. Gli Antichi, o qualcosa di molto simile ad essi, vengono tirati in ballo più di una volta, in un senso di alieno molto vicino a quello dell’autore di Providence. Essi sono entità che la mente umana non può comprendere, nel videogioco addirittura la mente divina non può comprenderli, sono la fonte della sapienza magica di Rennala, regina del Plenilunio, e di Ranni, la strega, sua figlia. Sono al di là dell’Interregno e dell’archetipico mare di nebbia che avvolge il mondo, vengono definiti la progenie del Vuoto. Questo concetto, il Vuoto, è ripetuto sempre nei videogiochi ideati da Hidetaka Miyazaki, e vi è sempre qualcosa che porta il giocatore a fare delle vere e proprie scelte filosofiche che coinvolgono il destino del mondo di gioco. La decisione riguarda sempre qualcosa che ha a che fare con il cambiamento, con la rinascita, soprattutto in “Elden Ring”, dove la morte non esiste, perchè la Runa della morte è stata trafugata e nascosta, e sarebbe volontà di tutti i personaggi contrari all’Ordine aureo riforgiare l’Anello ancestrale con anche quest’ultima Runa perchè consentirebbe al mondo di uscire dalla stagnazione in cui si trova, dalla decadenza in cui è sprofondato dopo la suddivisione delle Rune tra i vari semidèi, tramite la morte, e la rinascita. Durante tutta l’esperienza di gioco ci troviamo in un eterno Autunno, in un perenne tempo che non scorre, alberi con foglie che cadono, non rifioriscono, tutto rimane la stessa cosa, e ciò è contrario alle forze di Saturno rappresentate da Melina, che è il personaggio che a un certo punto dirà “Questo mondo merita morte indiscriminata”, ma nel senso alchemico. Ovvero, questo mondo, per cambiare, essendo il risultato di un’operazione alchemica di distruzione e disgregazione, ha bisogno di altrettanta disgregazione e putrefazione per poter rinascere a nuova vita. Sono presenti sei finali differenti, e ognuno di essi, e questa è la cosa che più mi ha colpito personalmente, e che ricorda tantissimo l’esperienza di un libro game, è la conseguenza di una scelta filosofica riguardante il destino del mondo, nella lore del gioco, s’intende.
La sapienza alchemica si basa sui presupposti della filosofia ermetica, nata nel clima di eclettismo intellettuale del tardo ellenismo, probabilmente intorno al I e II secolo d.C.
La figura di riferimento è Ermete Trismegisto, tre volte grande, epiteto originariamente assegnato al dio egizio Thot, un risultato questo del sincretismo religioso conseguenza dell’espansione della cultura ellenistica. Con questo nome si voleva infatti assimilare le figure di Ermes, dio del logos e della comunicazione, a Thot, dio dei numeri, delle lettere, della geometria e della matematica in senso lato, nume tutelare dei simboli usati per indagare i vari aspetti della realtà, potremmo quasi affermare. In questo senso Ermes e Thot non sono differenti, essendo sia la parola, sia la matematica, un tipo di linguaggio e di comunicazione.
La filosofia ermetica unisce il microcosmo al macrocosmo, per questo, in “Elden Ring”, le scelte di gioco riguardano diversi modi di ricostruire l’Anello ancestrale, la pietra filosofale, che paiono quasi scelte esistenziali riguardanti il destino del proprio personaggio. Il personaggio principale è lo specchio, una metafora, così come tutti gli altri NPC della trama, il loro background e la loro psicologia, i nemici, le ambientazioni, i lord, i semidèi, di qualcosa di molto più grande, non sono personaggi fine a se stessi, sono simboli, talvolta di processi alchemici, talvolta di patti con divinità, come quella di Moghwyn Signore del Sangue, che ricordano i Signori del Caos di Michael Moorcock.
Tornando alla filosofia ermetica, è interessante notare come Ermes e Thot siano entrambi psicopompi, ovvero traghettatori e accompagnatori di anime verso l’aldilà.
Quello che succede nel mondo dei “Dark Souls” e anche qui, in questo titolo, è sempre la rappresentazione videoludica di un viaggio di un’anima. Ha poco a che fare con la materia, è qualcosa che allegoricamente si rifà al mondo interiore. E’ comune nelle opere di origine nipponica, poiché la cultura buddista e scintoista di cui il Giappone è imbevuto presuppone anch’essa un collegamento tra il microcosmo e il macrocosmo, e ogni simbolo rimanda a un elemento mistico astratto.
A seguito di un processo di assimilazione, di sincretismo religioso, avvenuto durante l’espansione dell’Impero Romano, Ermete assunse l’epiteto di Thot e le figure delle due divinità si fusero insieme, divenendo Ermete Trismegisto. Si tratta forse di un autore realmente esistito, a cui fu attribuito questo titolo onorario, per così dire, o forse di un corpus di opere dal contenuto simile e assimilabile nella stessa dottrina, che si rifà simbolicamente al dio Ermes e al dio Thot. Entrambi hanno, come scrivevo, caratteristiche simili. Psicopompi, guide di anime sperdute, divinità della comunicazione, l’uno linguistica, l’altro matematica, entrambi dèi della scrittura e della magia, soprattutto.
Athanius Kircher, nel XVII secolo, ipotizzò, teoria plausibilissima, che si trattasse della stessa divinità, dello stesso culto, ma semplicemente con nomi diversi presso il popolo cui ci si recasse, per i Greci era Ermete Trismegisto, per gli Egizi Thot, per i Fenici Tauto, in ebraico era definito Hadores. L’origine dell’ermetismo si perde in leggende di dèi di età preclassica a cui sono stati attribuiti la sapienza eclettica mista di alchemia, magia, astronomia, matematica. Un eclettismo che piacque moltissimo alle corti rinascimentali e al fermento culturale vicino a personaggi e menti senza dubbio eclettiche come Leonardo da Vinci, o come Pico della Mirandola, o Giordano Bruno, che trasse a piene mani dalla sapienza magica egizia moltissimo per i suoi scritti e per la sua filosofia. Il “Corpus” di opere letterarie ermeteiche fu tradotto da Marsilio Ficino e la traduzione fu commissionata da Cosimo de’ Medici, dopo che venne ritrovato dal monaco italiano Leonardo da Pistoia durante un viaggio in Macedonia, o meglio, egli ritrovò quattordici libri originali attribuiti a Ermete Trismegisto.
Infatti a questa figura sono attribuite dalle quarantadue opere, secondo Clemente di Alessandria, alle decine di migliaia secondo Giamblico, anteriori addirittura a Pitagora e a Platone, dai quali questi ultimi avrebbero attinto. Ermete Trismegisto, chiaramente, ha origini leggendarie. Il “Corpus Hermeticum” comprende vari scritti raccolti intorno al IV secolo d.C.
Esso comprende papiri di carattere magico e iniziatico. In alcuni papiri vi sono informazioni su come imprigionare un demone in un simulacro, un’entità in un oggetto. In altri troviamo vere e proprie formule per animare manufatti, o incantarli. Tuttavia gran parte della letteratura ermetica non è solo un compendio delle superstizioni dell’età preclassica, ha un grande significato allegorico e metaforico, e ha diversi livelli di lettura. Il corpo ermetico termina con il “lamento di Asclepio” in cui si denuncia l’abbandono della religione egizia perché si è perso il significato spirituale della stessa. C’era un tempo in cui i sacerdoti riuscivano a far parlare le statue perché si mettevano in contatto con il divino. I sacerdoti vi riuscivano perché erano i mediatori fra il divino ed il sensibile. Col tempo questa spiritualità venne meno. Si tratta quindi di un discorso relativo al divino e al sensibile, e alla mediazione tra i due aspetti dell’interiorità umana, messi in connessione con il mondo e con l’universo che sono uno specchio di ciò che è l’uomo, e l’uomo è specchio dell’universo stesso. Nel lamento di Asclepio i sacerdoti distruggono le statue, non essendo più esse il simulacro di un dio, ma soltanto pezzi di pietra, e questo simboleggia la perdita di spiritualità da parte della casta sacerdotale. Il sapere ermetico è dunque un lascito di una sapienza mistica perduta nel tempo e distrutta dalla corruzione umana, da sacerdoti che non sono più stati in grado di fare da tramite, secondo il lamento di Asclepio, posto alla fine del Corpus Hermeticum forse figlio di una volontà di riscoperta dell’antichità tipica dell’età bizantina, e anche del Rinascimento poi.
La filosofia ermetica è il presupposto dell’alchimia medievale, senza di essa non esisterebbe l’altra. L’alchimia medievale è infatti un misto di allegoria, simbologia e chimica. Un’opera alchemica dal punto di vista moderno è qualcosa che trasforma lo spettatore, nel caso di un film, un romanzo, nel caso della letteratura, e in questo il sentiero dell’eroe di Campbell e la fantasy riguardano sempre un processo alchemico, in un modo o nell’altro, oppure un videogioco. E per quanto riguarda “Elden Ring” e tutto quello scritto finora la domanda giusta da porsi, a mio parere, è, può un videogioco o un’opera letteraria o cinematografica rispettare i presupposti che la trama suggerisce? Mi spiego meglio, è davvero alchemica l’esperienza, in qualche modo, arricchisce, trasforma? La difficoltà dei giochi di Hidetaka Miyazaki da veramente l’impressione di compiere un’impresa epica, perchè ogni duello e ogni combattimento richiede molta concentrazione e dimestichezza coi comandi e con le movenze delle armi e dei vari personaggi e l’uso delle classi, ma questo è gioco di ruolo, deriva chiaramente dall’universo Dungeons & Dragons, come roleplay. Dal punto di vista esperienziale gli NPC risultano talvolta troppo criptici nei giochi di Miyazaki, e spesso molti aspetti della trama si perdono, ma senza dubbio con il worldbuilding e la caratterizzazione delle atmosfere e dei lord legato principalmente ai metalli e alle fase alchemiche della Grande Opera, in Elden Ring l’atmosfera è palese ed espressiva, meravigliante, e questo è ciò che un’opera fantasy deve fare, soprattutto se parliamo di un videogioco, esprimere, comunicare, meravigliare, i presupposti di Elden Ring sono epici, e il gioco li mantiene. E’ una tipologia espressiva diversa dagli open world in stile “The Elder Scrolls”, con la narrazione molto aperta e chiara. Qui le cose sono molto più complesse, le fazioni molte, le scelte da fare non sono molte come in altri titoli, ma sono concettualmente importante. Mi ha molto colpito questo, dei giochi di Miyazaki, il vivere la fantasy come qualcosa di minimale e di simbolico, la storia di una spada talvolta ti rivela molto di più delle parole di un personaggio, o un’armatura ti rivela la storia della casata a cui apparteneva il cavaliere che la indossava, o meglio, alcuni dettagli, che messi tutti insieme formano un quadro molto grande sul quale la community videoludica si sta ancora interrogando e sta ancora teorizzando.
La mia disamina su “Elden Ring” più che altro riguarda l’aspetto del worldbuilding e delle ambientazioni, non per niente si vocifera che quest’ambientazione, essendo molto solida e ben costruita, ed avendo molto da esprimere, possa essere utilizzata anche tramite qualche altro mezzo artistico e creativo che non riguardi l’ambito videoludico.
Il worldbuilding risulta solido perchè appunto non è costruito sul nulla, si rifà a simboli e ad allegorie molto antiche e che il videogiocatore inconsapevolmente o meno ha assimilato culturalmente, specialmente nel mondo occidentale, suppongo che nessuno si sia sorpreso del fatto che la figura delle veggente sia collegata alle dita di una mano, e in giro per il mondo di gioco vi siano figure chiamate leggidita, che prevedono il futuro tramite la lettura della mano. Così come l’oro è associato alla nobiltà e al senso di regalità che ogni persona ha nella sua mente, o come la Luna stia molto bene accostata ad una regina pallida che usa soltanto incantesimi durante il combattimento contro di lei e di come sia sensato che gli astrologi abbiano la sapienza magica dalla loro. Si potrebbe quasi affermare che la fantasy si basa moltissimo sul concetto di inconscio collettivo elaborato da Jung, il quale studiò anche la connessione tra alchimia e processo d’individuazione dell’Io. Questi infatti, la magia, la Luna, la donna, l’oro, l’uomo, il fuoco rosso della pietra filosofale e dell’Anello ancestrale, l’androgino, sono tutti archetipi dell’inconscio collettivo, sono tutte connessioni culturali e non che la mente umana fa d’istinto, conosce, ci si rapporta continuamente, più o meno consapevolmente. C’è da aggiungere anche che in “Elden Ring” abbiamo due autori, un occidentale, George R. R. Martin, che ha creato il mito e la cosmogonia dell’Interregno, e un giapponese, Hidetaka Miyazaki, che mette nel gioco tantissimo della sua cultura e delle sue radici e dell’inconscio della sua collettività, quella nipponica. Lo scintoismo, come già scrivevo poc’anzi, è imbevuto di simbologia e di ritualità. E’ caratterizzato da un’ampia e complessa cosmogonia e un pantheon fittissimo, ma quello che interessa come riferimento all’open world di From Software e Bandai Namco è Tsukuyomi, il dio della notte guardata dalla Luna, e Amaterasu, la dea del sole, giusto per citare due divinità importanti soprattutto dal punto di vista simbolico. Anche qui abbiamo entità che incarnano forze, energie, che sono immanenti e permanenti nella complessità del reale, e simbolicamente vengono espresse creativamente tramite un medium che può essere anche un videogioco, e in questo ambito Hidetaka Miyazaki è particolarmente bravo, almeno e indubbiamente dal punto di vista artistico i suoi lavori sono molto vicino a ciò che considero arte, e molto distanti da ciò che considero intrattenimento videoludico, due aspetti della stessa medaglia, perchè comunque un videogioco senza intrattenimento non può e non deve esistere. Il paragone che personalmente mi viene in mente è con i Final Fantasy, o i Dragon Age, o gli Elder Scrolls, che sono videogiochi molto ben fatti e che intrattengono tanto, ma che hanno anche storie che potrebbero tranquillamente provenire dalla letteratura fantastica, e il più delle volte, i riferimenti sono anche abbastanza evidenti. Quindi quando esce un titolo come “Elden Ring”, con una portata mediatica tale, è molto interessante analizzare quanto la fantasy alla fin fine sia un genere che bene o male richiama ciò che c’è di più profondo nell’essere umano, le sue usanze più antiche e più magiche, il suo sapere più atavico e istintivo, una connessione con qualcosa di più. Basandomi sui numeri, posso affermare che, a parte la fama dei due nomi messi insieme – Martin e Miyazaki – un gioco non può vendere milioni di copie nel giro di poche settimane e appassionare tutto il mondo che possiede console o pc per un fortuito caso, c’è dietro una struttura e uno studio molto profondo, e il collegamento con l’alchimia è abbastanza palese, aggiungendo il fatto che questo gioco porta avanti i dilemmi esistenziali e filosofici del Campione Eterno, in un mondo costruito ispirandosi al Silmarillion, di certo può essere una buona miscela. Tuttavia le ambientazioni restano molto originali, molto ben pensate, non è un copia incolla di opere fantasy famosissime, e per questo, secondo me, bisogna ringraziare l’originalità e l’apporto orientale di Miyazaki, che porta tutto all’essenza, all’etereo, all’astratto, anche se si tratta dell’oscurità più buia, o dell’Albero madre dorato e splendente nei cieli dell’Interregno, è comunque un simbolo di qualcos’altro, tutto si rifà a un concetto, tutto è molto simbolico, forse a volte fin troppo per un videogiocatore che vuole semplicemente svagarsi un po’, ma del resto, si tratta di un videogioco, si può anche solo guardare e giocare, appunto, senza considerare minimamente la storia e prendere a spadate semidèi e lord in castelli dal level design stupendo che è sempre qualcosa che da molta soddisfazione.
“Fallo incidere sulla tua misera tomba… Ucciso da re Morgott! L’ultimo dei sovrani” – Morgott, il Re Presagio