Il Culto dei Grandi Antichi nel Death Metal – di Luca Pivetti

Quella fra il death metal e l’immaginario horror è una relazione che si perde nella notte dei tempi, fino a raggiungere i primi vagiti del sottogenere musicale. Se dovessimo seguire il senso comune (non condiviso da chi scrive, a dirla tutta), che vede nei Death di “Scream Bloody Gore” gli assoluti padrini del genere, potremmo tranquillamente sostenere che il death metal ha da subito incorporato numerosi elementi cari al mondo del cinema e della letteratura horror fra zombie, vampiri, maledizioni, squartamenti, decapitazioni e tutte le derive splatter/gore che poi hanno fatto la fortuna di band quali Cannibal Corpse o Mortician (tanto per citare i primi che vengono in mente). La cosa non dovrebbe nemmeno stupire più di tanto, dal momento che l’heavy metal in generale ha mostrato da sempre una particolare sensibilità per certe tematiche letterarie horror o fantasy, basti pensare all’epic metal e la sua lunga relazione con autori quali Moorcock, Tolkien o Howard, tanto che è difficile immaginare un fruitore di tale musica che non abbia mai sentito parlare di Elric di Melniboné, di Conan il Barbaro o Sauron. Ma se dell’importanza che il fantasy ha ricoperto nel forgiare un certo immaginario dell’heavy metal se ne è parlato in lungo e in largo, altrettanto non si può dire dell’influenza della letteratura horror/weird di Lovecraftiana memoria nel vasto, imperscrutabile e oscuro mondo del death metal. Ascendente in realtà assolutamente riconosciuto, talmente dato per assodato che spesso viene lasciato in secondo piano e dato per scontato, tanto da essere diventato quasi una barzelletta, soprattutto per gli ascoltatori più giovani.

Eppure, il matrimonio fra Cosmic Horror e Death Metal è tutt’altro che banale, dal momento che le due forme d’arte, seppur estremamente diverse, a livello filosofico e concettuale vanno a convergere verso gli stessi lidi: varcare confini e soglie proibiti, abbattere le barriere, radicalizzare, portando a compimento, ciò che li aveva preceduti (che si tratti di proseguire ed estremizzare le lezioni di Poe o Lord Dunsany da una parte, o di prendere gli Slayer e fargli fare un ulteriore passo nel buco nero del caos sonoro dall’altra). Per certe band, quindi, non si tratta solo di riprendere gli scritti di Lovecraft citando a casaccio Yog-Sothoth o Dagon nei testi: si tratta di condividerne la visione, di assimilarla e di diffonderla, come un morbo (o un culto innominabile) per il mondo.

Non è quindi un caso che i Morbid Angel, fra i padrini del genere e massimi esponenti della scena floridiana, abbiano eretto gran parte della loro carriera sulle fondamenta gettate dal Solitario di Providence, giungendo a diluire cosmogonia lovecraftiana e sumera con volontà di potenza e filosofia nichilista in un calderone nel quale, soprattutto negli ultimi lavori, ci si capisce poco o nulla, nonostante gli sproloqui di Trey Azaghtoth, Deus ex-Machina della band, all’interno del booklet del controverso “Heretic”. Ciononostante, se inizialmente il rapporto fra death metal e horror era più naif e votato a parlare di zombie o trasportare in musica i film horror più malsani, i Morbid Angel furono fra i primi a sdoganare l’occulto e Lovecraft in maniera più costante e scientifica. Ecco quindi che Cthulhu trova spazio in brani quali “Lord of All Fevers & Plague”, “The Ancient Ones” , “Angel of Disease”, “Heaving Earth”, “Hellspawn: The Rebirth” e “Umulamahri”, mentre I Grandi Antichi vengono citati nei testi di “The Ancient Ones”, “Sworn to the Black” e “Prayer of Hatred”, e chiaramente non mancano riferimenti a Shub-Niggurath e Yog-Sothoth. Anche i Deicide, altro grande nome dei primi anni ’90, si prendevano ogni tanto una pausa dal loro attacco al cristianesimo per tributare il giusto onore ai Grandi Antichi, come in “Dead but Dreaming”, brano-capolavoro estratto dal seminale “Legion” (1992). Gli stessi Nile, fra i nomi più altisonanti nel genere del nuovo millennio, entrati nell’immaginario death metal anche grazie ai testi nei quali domina l’immenso amore per l’Egitto, hanno esordito sotto il segno di Lovecraft con “Amongst the Catacombs of Nephren-Ka” (1999), citando il sacerdote di Nyarlathotep del Ciclo di Cthulhu, e tornando a più riprese sugli scritti del Solitario di Providence, come nel maestoso inno “4th Arra of Dagon”, leviatano di otto minuti che dal vivo, durante il ritornello, assume i toni di un mantra ossessivo e blasfemo, un’empia preghiera dedicata al Dio degli Abissi.

Ma questo articolo non vuole essere un semplice elenco delle band che hanno trattato gli scritti di Lovecraft (o dei vari autori che hanno continuato la sua opera) nella loro produzione musicale. Servirebbero montagne di gigabyte di parole per un lavoro realmente esaustivo, e si rischierebbe comunque di consegnare all’oblio realtà importanti finendo col fare un torto a qualcuno.

Molto più interessante, almeno per chi scrive, porre il focus sulle diverse modalità con le quali il Cosmic Horror si è fatto strada, sinuoso come un serpente e lascivo come una divinità extradimensionale, nel vasto mondo del death metal.

La prima modalità parrebbe la più semplice, ma in realtà è la più insidiosa e astratta, ed è quella che vede le band parlare il linguaggio del Cosmic Horror senza in realtà trattare direttamente gli scritti di Lovecraft o dei suoi seguaci. Un po’ come fece il John Carpenter di capolavori quali “Il Seme della Follia” o “Il Signore del Male”: film a sé stanti, che non si rifacevano direttamente all’opera dello scrittore, ma intrisi degli stessi orrori inafferrabili e inconcepibili. Si tratta pertanto di parlare di Lovecraft senza parlare di Lovecraft, condividendone però il pensiero e la filosofia e disegnandone le stesse, impossibili geometrie di follia. È il caso del death metal sperimentale e caotico dei Portal, un buco nero dall’infinita gravità che fagocita qualsiasi cosa, persino la sanità mentale. Ad ascoltare un loro lavoro a caso (ma chi scrive vuole segnalare “Swarth” del 2009) sembra di udire le parole degli Dei Esterni: linguaggio incomprensibile (e infatti i testi sono scritti in un idioma alieno), strutture che si dilatano e restringono senza sosta, chitarre che disegnano forme prive di qualsiasi logica. E come loro i cugini Impetuous Ritual, o gli Aevangelist e i primitivi Antediluvian, tutte band che incarnano l’inafferrabilità di tutto ciò che si trova al di là. Al di là della comprensione e della razionalità, al di là del tempo e dello spazio. Al di là della morale, e degli stessi concetti di vita e morte. Entità soniche che in comune hanno la totale assenza di qualsivoglia melodia e non concedono alcun appiglio sicuro all’ascoltatore, nebulose musicali in perenne divenire ma senza scopo alcuno, se non quello di continuare a esistere in un circolo di distruzione e rinascita senza fine. Musica per pochi, musica per chi ha orecchie disposte a sondare frequenze dolorose e perverse.

La seconda modalità è la più ingenua, ma non per questo meno efficace: quella del puro intrattenimento. Rientrano in questo gruppo tutte quelle band che si rifanno alla concezione del death metal più classico in senso lato, riportando in maniera precisa gli scritti di Lovecraft sul pentagramma, o prendendo spunto dai classici minori (ma meravigliosi) della cinematografia horror di registi come Brian Yuzna o, ancora di più, Stuart Gordon (“Dagon”, “Re-Animator”, “From Beyond”), due cineasti che non hanno mai nascosto la loro venerazione nei confronti dello scrittore. Parliamo di band come Massacre e del loro ultimo lavoro “Resurgence” (2021) che, con brani dai titoli come “The Eldritch Horror”, “Ruins of R’Lyeh”, o “The Innsmouth Strain”, lascia poco spazio a fraintendimenti riguardo l’influenza principale delle lyrics. Non è un caso, tra l’altro, che il primo full-length della band si intitoli proprio “From Beyond”, e il chorus reciti queste parole, ricollegandosi (inconsciamente o meno) al film già citato di Stuart Gordon:

“Horror beyond description
Unnatural bizarre fear
Altered and disfigured
A strange macabre terror
Through the ultra-violet
From the bottom of creation
Past the cosmic barriers
Into this world…From Beyond!”

O ancora, è il caso di gran parte dei progetti musicali di Kam Lee e dell’amico Rogga Johansson, che soprattutto con i The Grotesquery di “The Facts and Terrifying Testament of Mason Hamilton: Tsatogghua Tales” (2012), imbastiscono un concept fra Lovecraft e l’amico Clark-Ashton Smith che si dipana in un film musicale che, nello stile della narrazione, pesca a piene mani dal King Diamond solista. Puro intrattenimento, ludico quanto si vuole, ma comunque credibile ed estremamente divertente. O, per finire, pare corretto citare gli svedesi Puteraeon: quattro full-length all’attivo dai titoli decisamente esplicativi quali “The Esoteric Order” (2011), “Cult Chtulhu” (2012), “The Crawling Chaos” (2014) e “The Chtulhian Pulse: Call from the Dead City” (2020). Tutte band che musicalmente si rifanno ai grandi nomi del genere, ben lontane da voler innovare il death metal e che, come in un b-movie, lasciano che la loro musica viva di citazioni più o meno esplicite al Solitario di Providence.

Giungiamo infine alla terza modalità, forse la più comune ma a conti fatti la più affascinante, ovvero a quella folta schiera di band che, oltre a ispirarsi apertamente ai miti di Chtulhu, punta il focus sull’aspetto più fantastico ed epico e sul senso di terrore e meraviglia che si prova al cospetto di culti innominabili, Grandi Antichi e Dei Esterni. Quel misto di stupore e terrore atavico che attanaglia le viscere nel trovarsi di fronte a orrori indescrivibili e inconcepibili, quella paura che ci riporterà a una nuova età oscura, se e quando avremo l’ardire (o l’incoscienza) di lasciare la nostra placida isola di ignoranza per spingerci lontano, troppo lontano. In tal senso, nessuno, negli ultimi anni, è riuscito a tradurre gli scritti di Lovecraft, l’universo weird e la sua cosmogonia, come hanno fatto i tedeschi Sulphur Aeon, che con “Swallowed by the Ocean’s Tide” (2013), “Gateways to the Antisphere” (2015) e “The Scythe of Cosmic Chaos” (2018) ci hanno consegnato un capolavoro dietro l’altro. La loro visione è mastodontica, evocativa e terrificante, intrisa di un’epicità oscura e perversa fra assalti death, afflati black e aperture melodiche di una bellezza sconvolgente. I loro dischi sono esperienze terrificanti, viaggi infiniti in dimensioni che dovrebbero rimanere celate all’occhio umano. Con i loro lavori l’ascoltatore diventa l’onironauta, e malgrado lui si troverà perso negli abissi del tempo e dello spazio, o negli interstizi fra le dimensioni:

“Oneironaut!
Travel through the seven gates.
The act of lucid dreaming
Is revealed.
Oneironaut!
Traveler in time and space
Choose your vessel and
Open the gate!

The first portal
Is leading to the Plateau of Leng,
Whilst the second portal
Leads to the City of Heights…
The third portal
Opens to sunken R’lyeh…
Travel to Yuggoth
By entering the fourth…
The fifth gate
Opens to sunken Atlantis…
Enter unknown Kadath
Through the sixth gate,
And the seventh
Leads to the Temple of Albion.”

“The Oneironaut – Haunting Visions Within the Starlit Chambers of Seven Gates”

I Sulphur Aeon sono la quadratura del cerchio, il perfetto connubio di musica e testi, grazie al songwriting sempre ispirato di T. e alla vastissima conoscenza degli scritti di Lovecraft da parte del singer M., sacerdote oscuro il cui growl declama la grandezza degli Dei Esterni. Brani come “Sinister Sea Sabbath”, “Lungs into Gills” o “Those Who Dwell in the Stellar Void” sono la quintessenza del pensiero di Lovecraft, e difficilmente è possibile sentire di meglio, al giorno d’oggi.

Tuttavia, tante altre band gridano ai quattro venti il loro amore per lo scrittore americano, come gli svedesi Desolator, che con il loro “Sermon of Apathy” (2020) hanno rilasciato il loro lavoro migliore ponendosi come ideale punto d’incontro fra Sulphur Aeon, Nile e Morbid Angel, o i cult deathsters francesi Catacomb, autori negli anni ’90 di perle underground come il demo “The Lurker at the Threshold” (1992) e l’EP “In the Maze of Kadath” (1993). Francesi che non vanno confusi con i Catacombs, one-man-band americana fautrice, con “In the Depths of R’Lyeh” (2006) di un funeral doom asfissiante e claustrofobico, lento come il passo di Chtulhu e dalle melodie sinuose come la danza di Azathoth al centro dell’universo. Un disco ipnotico e senza speranza, dai suoni liquidi e angoscianti, che incarna alla perfezione quel senso di smarrimento così ben descritto nei miti di Chtulhu. E poi? E poi ci sono i sudamericani, che sono quasi una storia a parte. Come i messicani Castleumbra, che nel 2012 esordivano con l’oscuro “Cthulu Wgah’nagl Fntagn” per poi scomparire nel nulla, nonostante a quanto pare siano ancora attivi. In Sud America il culto vive e prospera più che mai, e sono numerosissimi i gruppi death metal a ispirarsi all’opera dello scrittore americano, spesso e volentieri esaltando la sua parte più occulta ed esoterica. Impossibile non citare quindi band come i messicani Denial con il bel “Catacombs of the Grotesque” (2009), coacervo di oscuri miasmi pestilenziali, i cileni Ancient Crypts, i Magnanimus (“Storms of Chaotic Revelations”, 2006) o, soprattutto, gli ormai (giustamente) celebri Unaussprechlichen Kulten, guidati dal chitarrista/cantante Joseph Curwen, soprannome che più programmatico non si può. Attivi dal 1997 (per i primi due anni sotto il monicker Spawn), soprattutto durante la prima fase della loro carriera i folli cileni hanno imperversato fra i fanatici dell’underground grazie a una serie di demo e full-length di death metal brutale e sulfureo, che con il passare del tempo si è fatto sempre più claustrofobico e dissonante. C’è qualcosa di realmente perverso e malsano, nella band di Joseph Curwen e nel suo modo di gestire le melodie dissonanti che, proprio come le creature misteriose e tentacolari di Lovecraft, rimangono inafferrabili, celate nella loro interezza, ma sempre suggerite; un po’ come osservare una ciclopica costruzione dallo spioncino di una porta. E quindi Tsathoggua troneggia nella copertina di “People of the Monolith” (2008), mentre Chtulhu fa il bello e il cattivo tempo sull’EP “Lucifer Poseidon Chtulhu” (2010) e Nyarlathotep si mostra in tutta la sua regale ferocia sul full d’esordio “Wake up in the Night of Walpurgis” (2005). Con il passare degli anni la band cilena, un po’ come già fatto dai Morbid Angel, ha mescolato con costanza sempre maggiore tematiche legate agli orrori di Eldritch, esoterismo, occultismo e anticristianesimo in un vortice sempre più empio e disturbante, ma rimangono uno degli esempi più fulgidi della dottrina Lovecraftiana applicata al death metal.

Come scritto sopra, l’articolo non può essere in alcun modo esaustivo: per una band nominata, ce ne sono minimo altre cinque che non sono state elencate. Indubbiamente i gruppi trattati sono fra i più significativi in questione, ma esorto chiunque fosse interessato a continuare la ricerca, gettandosi senza indugio nei neri mari dell’ignoto.

A conti fatti, sono minimo trent’anni che il death metal ha scelto come padre spirituale e una delle proprie massime ispirazioni H.P.Lovecraft, e a tre decadi di distanza il legame pare tutt’ora inscindibile, più forte che mai. Questo perché non si tratta di una mera moda, o di una trovata destinata a esaurirsi nel giro di pochi anni; questo accade perché le due forme d’arte nascono e prosperano su un terreno comune, ben più antico di quanto si possa pensare. Il desiderio di recarsi, anche solo con l’immaginazione, in un mondo che sia oltre, di gettare lo sguardo sull’imperscrutabile, di raggiungere il limite estremo della conoscenza e dell’essere. Per questo motivo, la storia d’amore fra il death metal e il Solitario di Providence è salda in un abbraccio tentacolare e continuerà negli anni a venire, tenendo conto che c’è ancora molto da trasportare in musica, basti pensare ai numerosi autori che hanno portato avanti la lezione di Lovecraft, che non sono stati trattati se non in maniera tangenziale da alcune band. Ci sono ancora tante storie da raccontare, e così tanti orrori da portare alla luce…

“Beheath. Below. Beyond. Above.
the fusion of dimensions ignites
when sulphur rapes the atmosphere
our crimes resound in bleeding skies

ascending from the sea
descending from the sky
arranging the lines of chaos
levitating – coming adrift from beyond”.

Sulphur Aeon “Beneath. Below.Beyond.Above”

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