Cosmogonia egizia – L’oceano del Nulla

La cosmogonia, la storia dell’ origine del mondo e dell’universo, rappresenta un cardine molto importante sul quale si fonda la cultura e la società egizia. Oltre ad essere un mito riguardante la creazione del mondo, la valenza è duplice, infatti tratta anche dell’origine del potere politico del faraone.

Il faraone rivela la sua natura divina proprio nel momento in cui inizia il suo regno e viene incoronato, rifacendosi al dio Horus, archetipo e modello simbolico del potere del sovrano.

Nella mitologia egizia è presente il concetto di preesistenza, e questo è importante da sottolineare. Vi è l’Atum, il Tutto. Questo dio si creò da solo, sorgendo su una collinetta di sabbia che spuntò dall’indistinto oceano del Nulla, Nun.

Nun è una divinità rappresentata con un corpo bluastro e la testa di rana piumata, raffigura l’acqua intesa come elemento primordiale che fornisce vita, è il dio del Nilo e di tutte le acque sotterranee. Nun è la parte maschile dell’oceano primordiale, Nunet è la parte femminile. Gli egizi attribuivano le piene del Nilo proprio a Nun, e questo esplica una connessione intima tra il popolo e la divinità, che regola e scandisce l’esistenza della società egizia antica, essendo essa stessa la rappresentazione del Nilo e delle piene del fiume. Il popolo egizio infatti si stabilì presso le sue sponde per via del terreno reso fertile dal limo portato dalle piene, come è ben noto. Nun è quindi generatore di vita in potenza, una astrazione volendo affine in senso filosofico all’Uno di Plotino. Il filosofo studiò infatti ad Alessandria d’Egitto, in tarda età imperiale, fu allievo di Ammonio Sacca, e fu influenzato in larga misura dal substrato culturale e dalla mistica egizia.

Da Nun, il Nulla, l’indistinto, l’oceano primordiale, il Caos, nacque Atum, creandosi da sé. Atum, identificato anche con il Sole al tramonto, era una divinità menzionata molto spesso nei Testi delle piramidi, risalenti alla V e VI dinastia (2510 a.C. – 2192 a.C.) e il suo culto era diffusissimo: è citato infatti come creatore del Tutto, del conosciuto, del reale, distinto dall’indistinguibile, e soprattutto come padre del faraone. Uno degli elementi cardine del popolo egizio era, anche questo è risaputo, la discendenza divina del faraone, che si spingeva oltre il concetto di sovrano inteso come capo della tribù, del clan, nell’Egitto antico il regnante era investito di un ruolo che si rifaceva alla mistica, esulava quindi dall’area della politica, e del potere terreno. Il faraone era un dio a tutto gli effetti. Questo ricorda in qualche modo la discendenza divina della casata imperiale giapponese, più che altro per la potenza politica che ne deriva per la longevità della dinastia, ma il concetto può essere applicato anche a molte famiglie nobili della Grecia dell’età micenea, che vantavano anch’esse ascendenze da dèi o semidèi, un fenomeno che si estende nel tempo fino alla figura di Alessandro il Grande e all’antica Roma. Alessandro infatti traslò il concetto di sovrano di origini e ascendenze divine su di sé, capendone l’importanza nel mantenimento del potere presso le popolazioni che erano appunto solite vivere con la consapevolezza di avere un dio come re, o qualcosa di molto simile a un dio. Alessandro il Macedone si fregiò del titolo di figlio di Amon, un titolo che gli venne dato dall’oracolo del dio in questione, che più precisamente è definito Amon-Ra e rappresenta l’energia invisibile del Sole, e all’epoca di Alessandro era stato assimilato alla figura di Zeus, in quanto a comando del pantheon degli dèi..

Atum, il dio del Tutto, creatosi da sé, sorto dall’oceano del Nulla e dalle acque primordiali dell’omogeneità e del Caos – che altro non è che mancanza di distinzione, mancanza di logos, che ordina e cataloga le informazioni tratte dal reale – generò Shu e Tefnut.

Da questa coppia e dalla sua discendenza nacquero gli elementi che compongono la realtà e il mondo, e che furono ereditati dalla tradizione greca e dalla filosofia prima pitagorica, poi platonica. I passaggi che compongono la cosmogonia egizia non sono molto differenti dalla cosmogonia di Esiodo dell’antica Grecia. Da Shu e Tefnut nacquero il cielo e la terra, Nut e Geb, l’una una donna rappresentata spesso nuda con un corpo formato da un manto di stelle, e l’altro un dio maschio di colore verde per richiamare l’idea e la sensazione e l’esperienza della terra. Shu, loro padre, li divise spingendo l’uno verso l’alto e schiacciando a terra coi piedi l’altro, formando così appunto, la terra e il cielo.

Il cielo e la terra generarono a loro volta quattro figli : Osiride, Iside, Seth e Nefti.

Atum era una divinità molto importante nell’Antico Regno, ossia fino al 2100 a. C. circa. Era una credenza diffusa che Atum facesse ascendere dalla piramide l’anima del faraone fino alla volta stellata e oltre.

Questo dio è collegato con la vita dopo la morte e incarna l’esistenza dell’anima. Sia Nun sia Atum paiono connessi con il concetto di preesistenza, uno dell’essenza della vita, l’altro dell’essenza dell’anima. Tuttavia quest’ultimo è un dio solare, si discosta dal concetto di Nulla, rappresentandone l’altra faccia della medaglia, il Tutto. E’ il Sole al tramonto, mentre Ra è il Sole a mezzogiorno, e Khepri, lo scarabeo, è il Sole del mattino. Di notte il Sole scende nell’oltretomba, secondo le credenze del popolo egizio, e nel viaggio dell’astro solare attraverso il cielo Atum è contrapposto a Khepri. Sembra incarnare le caratteristiche del Sole stesso e personificare l’astro come fonte di vita, di creazione, e tra il culto dell’Antico Regno e quello del Nuovo Regno vi sono alcune differenze. Nel Libro dei morti per esempio, è descritto sorgere dalle acque del Nun sotto forma di serpente.

Dall’oceano del Nulla, dalle acque primordiali, nacque anche Ra, la divinità solare principale, che secondo i Testi delle Piramidi dell’Antico Regno venne portato sulle corna della vacca Mehetueret. In una raffigurazione nella tomba di Ramses VI vediamo Ra portare sulla sua barca tutti gli dèi creatori della cosmogonia egizia sopra le acque del Caos, durante l’alba del primo giorno del mondo.

Un concetto interessante nell’accezione di Caos negli egizi è l’omogeneità del Nulla.

Il Caos non è un moto disordinato e confuso, è qualcosa di molto simile al vuoto, è l’unità nell’annullamento totale delle differenze tra enti. Un annullamento che c’è, esiste, a priori, è un’unità ideale che viene rappresentata simbolicamente dall’acqua. Un’uniformità immensa, una distesa piatta di silenzio. L’acqua rappresenta molto spesso la mente e l’inconscio umano, in molte interpretazioni psicanalitiche e più o meno legate alla tradizione letteraria e culturale. E’ lecito pensare che un popolo che viveva seguendo i ritmi delle acque fluviali del Nilo e delle sue piene rappresentasse l’acqua come origine dell’esistenza, e il Sole, il Tutto, Atum, necessario per le terre fertili e per la crescita della vita, fosse la contrapposizione al substrato primordiale da cui tutto si è creato da sé, per lo meno nella mitologia dell’Antico Regno. Atum è differente da Ra, nonostante la sua figura sia stata assimilata a quella di quest’ultimo dio durante il Nuovo Regno: è legato all’essenza intima della vita e della creazione. Sono figure caratterizzate da sfumature molto sottili. Ra è il modello della potenza politica del faraone, è il dio Sole allo zenit, è un simbolo di forza. Il Tutto per gli egizi era una distesa di campi coltivati sotto il Sole splendente, il Nulla un oceano calmo e silenzioso, immerso in un buio infinito, le due essenze si completano l’un l’altra. La differenza sostanziale è che Atum prima o poi incontrerà una fine, mentre Nun no. Nun è l’energia creatrice dell’universo, è il Tutto in potenza, ma ancora sotto forma di Nulla. Gli dèi sorti dopo sono demiurghi, plasmano un universo da una materia già esistente, e il primo di essi fu appunto Atum. E’ il Sole al tramonto, il Sole più anziano, il signore del Tutto, il più antico e vecchio tra gli dèi. Non si tratta quindi di una creazione dal niente, ma di una creazione da un Nulla inteso come eternità, che esiste da sempre e esisterà per sempre. Nell’oceano del Nulla sono presenti in potenza tutti gli elementi che formano il mondo conosciuto dagli egizi. Osiride e Iside rappresentano l’Ordine, Seth e Nefti il Caos. Di Osiride ci parla Plutarco, nel suo trattato “Su Iside e Osiride”, riassumendo il mito del dio. Osiride è legato ai culti funebri e alla mummificazione, essendo egli stesso un dio morto, ucciso da un complotto ordito da Seth. Ritornò in vita grazie alle arti magiche delle sue sorelle Iside e Nefti. A lui è affidato il regno dell’oltretomba, ma divenne molto popolare come protettore delle messi e della terra fertile della valle del Nilo, che sempre da sottoterra, quindi dal mondo dei morti, sorgono. E’ un dio benevolo, e ha un grande valore politico, essendo stato nel mito un faraone egli stesso, inventore dell’agricoltura, civilizzatore dell’umanità. La figura di Osiride glorifica quella del faraone, e soprattutto il suo ruolo di regnante. A Osiride sono affidate le terre fertili, mentre a Seth, l’antitesi, sono affidate le terre rosse, il deserto.

L’immaginario collettivo del popolo egizio era assai influenzato dall’area geografica d’appartenenza e la sua simbologia è preziosa e particolare. Gli dèi sono antropomorfi, ma evocano la forma, spesso tramite la testa, di un animale della fauna locale. Scarabei, falchi, coccodrilli, serpenti, sciacalli. L’intuizione dei sacerdoti egizi è straordinariamente moderna. Il Nun è un’ideale oceano dove è presente ogni cosa. Se pensiamo alla storia del pianeta Terra viene subito in mente il parallelo con il brodo primordiale. Quando immaginiamo i popoli antichi spesso diamo per scontato un’arretratezza tecnologica, che tuttavia non ha impedito la costruzione per esempio delle stesse piramidi, ma questa è una banalità. La cosa che colpisce e affascina è il substrato mitologico e culturale davvero molto fine e arguto, sottile, razionale e intuitivo. Per ogni aspetto della realtà e della storia della realtà gli egizi identificano epersso un dio, un nume tutelare. Basti pensare alla tripartizione della divinità solare, cui si accennava. Questo è dovuto a un bisogno autentico e primordiale di glorificare, di rendere sacro, ogni aspetto della giornata e della vita, ma non solo, anche della morte, dell’anima, del viaggio che essa compie nella Duat, l’aldilà per raggiungere i Campi Iaru. L’anima, intesa come caratteristica immateriale dell’uomo, è addirittura distinta in Ka e Ba. Il Ka non abbandona il corpo del defunto, il Ba invece è l’anima quasi nel senso che noi contemporanei diamo al termine, che compie il viaggio verso il dio Osiride, giudice del regno dei morti.

Questo ci fa comprendere la complessità dei vari aspetti della mitologia egizia, in particolar modo, nella cosmogonia.

Un mito centrale nell’ordinamento del mondo del dio demiurgo Atum, identificato poi con Ra, è la lotta contro Apofi, o Apopi, o Apophis, in greco, il dio serpente del Caos.

Apofi è il dio del buio, contrapposto al Sole. Secondo le rappresentazioni, viene raffigurato come un serpente, il delta del Nilo era pieno zeppo di pitoni, non è un caso se nell’immaginario collettivo della popolazione egizia un dio malvagio è associato a un animale probabilmente molto pericoloso per chi viveva sulle sponde del fiume.

Simbolo dell’oscurità tenta di rovesciare la barca solare di Amon durante il viaggio nelle terre del buio, quando il Sole è ormai scomparso sotto la linea dell’orizzonte. Questo accade ogni notte, e ogni notte Amon riesce a vincere. Apofi è contrapposto alla dea Maat, che personifica l’armonia e l’ordine dell’universo, un altro concetto molto sottile. Dentro l’ordine vi è il Sole, che simboleggia la vita, e in opposizione, diametralmente, vi è Apofi, il serpente. Già su una ciotola risalente al periodo più antico della cultura egizia, chiamato Naqada I(4000 a.C) è stato notato un grande serpente dipinto sul bordo, insieme ad altri animali del deserto e del fiume, quale possibile nemico di un dio (forse un dio solare) visibile, nella scena, mentre caccia su una grande imbarcazione. Il mito dettagliato lo troviamo durante il periodo storico del Nuovo Regno. Il mito narra che Apofi doveva costantemente trovarsi al di sotto dell’orizzonte perciò era una creatura dell’oltretomba. In alcune versioni del racconto, il mostro attendeva Ra in una montagna occidentale chiamata Bakhu, dove il sole spariva oltre l’orizzonte; in altre narrazioni, gli tendeva un agguato appena prima dell’aurora nella “Decima Regione della Notte”. La moltitudine di luoghi nei quali si riteneva che potesse trovarsi gli guadagnò l’epiteto di “Colui che cinge il mondo”. Il suo verso faceva tremare l’oltretomba. Alcuni miti descrivevano come Apofi, originariamente capo degli dei, spodestato da Ra, fu relegato nel mondo dei morti, oppure di come vi fu relegato a causa della sua natura malvagia. Simbolicamente è la perpetua lotta tra l’Ordine e il Caos, due forze a cui è sottoposta la natura umana e l’universo tutto.

Derivante dal Caos primordiale, Apofi poteva essere combattuto e reso innocuo per un certo tempo, ma non poteva essere distrutto. Apofi è necessario per l’esistenza di Atum e di Ra, e viceversa, creando così un senso ciclico della storia tipico delle popolazioni antiche. Questo dualismo è ancora presente in molte opere, nei romanzi di Michael Moorcok, per esempio, che ha influenzato tantissimo il genere fantasy sword & sorcery. E’ un dualismo che attraversa la storia fino ai giorni nostri ed è un punto cardine della mitologia egizia e racchiude il senso della cosmogonia, ampliandolo. Se Nun è un oceano silenzioso ed è Caos nel senso di non definito, di omogeneo, di non diviso, di primordiale unità, Apofi è il Caos che distrugge, è la notte, è l’irrazionalità, è il luogo dove va il Sole quando tramonta, e quest’ultimo deve combattere ogni notte per non far rovesciare la barca e farsi sbranare dal serpente. Mentre Amut – Ra veniva venerato, Apofi era oggetto di una sorta di contro-venerazione: gli egizi pregavano cioè per la sconfitta di Apofi. I sacerdoti del tempio di Amon a Karnak svolgevano vari riti durante il giorno per assicurare la sconfitta del male per mano del dio solare, al fine di continuare il ciclo del Sole sulla terra e la presenza della vita e di ogni cosa che è contraria al buio e al male. Durante una festività, una volta all’anno, veniva costruita un’effigie di Apofi che poi veniva data alle fiamme, per distruggere simbolicamente tutto il male e le tenebre dell’Egitto. Dal punto di vista simbolico ha una potenza psichica devastante quest’azione. I sacerdoti conoscevano il potere sia politico, sia catartico, di un gesto del genere. Se il Sole è il padre, seppur ideale, del faraone, e il Sole ogni notte vince contro le forze delle tenebre, è il faraone stesso a garantire il bene dell’Egitto e a vincere contro il male, risultando una figura indispensabile per la società del tempo. Secondo la mitologia, dopo essere stato domato dalle forze del bene, veniva incatenato e trafitto coi coltelli; il sangue che sgorgava dalle sue ferite tingeva i cieli mattutini e serali di rosso, un’altra bellissima immagine e un segno caratteristico dell’immaginazione e e del pensiero creativo degli antichi egizi. Il mito di Apofi serve a farci comprendere meglio cos’è Nun, è un Caos creativo in potenza, non è il buio e la distruzione che porterebbe il serpente Apofi, se vincesse, Amut è la spinta che serve all’oceano per creare la vita. Secondo un’interpretazione più di scuola junghiana, per così dire, potremmo affermare che in un inconscio rappresentato da una distesa d’acqua sorge la collina sulla quale spunta il loto di Amut che raffigura l’intelletto, la nascita del pensiero razionale, che crea, ordina, divide, da un nome alle cose, le differenzia, le studia, le capisce, il Sole del resto è il simbolo del logos per i greci, e per la filosofia di Platone, che eredita moltissimo dalla cultura e dalla tradizione egizia.

L’interpretazione è anche valida per Apofi, che è un serpente, simbolo delle pulsioni irrazionali, divinità ctonia, sovrano e custode di tutto ciò che è ignoto e non è illuminato dal Sole. Oltre ad essere la ragione che sconfigge la follia, in un ciclo perenne, è anche la continuità delle messi, in una cultura e in una società fondamentalmente basata sull’agricoltura. Il mito oltre ad essere un’interpretazione psicologica dell’essere umano che crea una storia, un racconto, per capire se stesso, è anche, e nel caso della cosmogonia egizia è palese, frutto dell’ambiente e dell’esperienza di una collettività. La mitopoiesi è una facoltà intrinseca all’essere umano fin dagli albori della specie, e studiare e cercare di comprendere fino in fondo le origini del mondo secondo gli egizi significa comprendere le origini del loro mondo, della loro civiltà, del loro modo di vivere, di pensare, e soprattutto, di immaginare, anche se, mi ripeto ancora una volta, la cosmogonia egizia è anche cratogonia, ovvero è la storia delle origini del potere del faraone, oltre che la storia delle origini dell’universo.

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