Torna sulle nostre pagine virtuali la penna di Juri Villani, e lo fa con una short story dal sapore classico ( forse certi nomi vi suoneranno familiari…! – blink – )intitolata…
La Danzatrice del fuoco
Tutto è in frantumi e danza
“Ehi, maledetti cani! Statemi bene a sentire se non volete assaggiare nelle budella la mia scimitarra. Ci fermeremo il meno possibile, quanto basta per far riprendere i cavalli e bere un goccio, e poi ce ne andremo come se avessimo alla calcagna tutti i diavoli del deserto armati di frusta! Avete capito, miei sciacalli?”
Nessuno della sua turba dei Lupi Blu osò rispondere al capo Yar Afzal; farlo era solitamente segno di stupidaggine. Tentare la sorte quando era arrabbiato poteva significare morte certa.
Il predone del deserto, dalla corporatura possente non celata dalle azzurre stoffe del caffettano, vibrava di pericolosa tensione, come se si trovasse faccia a faccia con una bestia feroce. E i suoi uomini erano turbati dal vederlo così preoccupato anche in assenza di tangibili pericoli. Erano fuggiti dalla ricca città di Shamzar, depredandola facilmente, come se fosse una giovane e sciocca donzella. E che bottino! Le schiave del serraglio reale! Giovani ragazze dalla bellezza esotica, pelle profumata e occhi di smeraldo. Sembravano esseri caduti da un sogno invece che persone reali. Yar Afzal era stato chiaro a riguardo: chi le avesse guardate per più di istante avrebbe avuto un occhio cavato.
Poi, lentamente, un’atmosfera di tranquillità calò tuttavia sul gruppo dei ladroni. Erano lontani da ogni pericolo, nessuno li aveva seguiti, e presto si sarebbero ingrassati con la preziosissima refurtiva. Erano arroccati su una collina rocciosa dalla quale avrebbero avvistato nemici con larghissimo anticipo. Avevano del vino, le pipe, i narghilè, il tabacco e il fuoco.
Solo il loro capo sembrava, senza apparente motivazione, inquieto. I muscoli degli avambracci gli guizzavano come se si preparassero a uno scontro. Gli occhi di falco, con la sclera tanto bianca da rischiarare apparentemente la notte, dall’intensità dello sguardo, non si davano tregua, scrutando ora qui ora là, come se un qualche fantasma si potesse materializzare dal niente.
“Mio signore”, lo approcció con calma Shevatas, il suo braccio destro, “prendete qualche attimo per riposarvi e buttate giù un sorso di vino. Possiamo concederci una breve tregua dopo una fuga così ardita e invisibile, che sarà cantata in tutto il maul non appena ritorneremo.”
“Hai ragione, Shevatas, mio gentile amico”, disse il signore dei Lupi Blu, posando la sua mano ruvida sulla spalla dell’altro, che era assai più esile di corporatura, ma tuttavia letale. “Ma questo posto non mi piace… mi ha ricordato una vecchia storia, e lo sai, per la coda di Bel, quanto io sia dannatamente superstizioso.”
“Volete confidarvi?”
“Questo luogo… questo passo in cui ci siamo nascosti… ha un nome, antico. Ylana Alraqs Nar. La danzatrice del fuoco. Si dice che una maledizione lo infesti. Lo spettro di una donna!
“Ma perché, dunque, nella vostra ponderata strategia, ci avete condotto proprio qui?”
“Perché mi è sovvenuto adesso, maledizione!… Fanne parola con gli uomini e ti taglio la lingua.”
Il riposo dei razziatori si protrasse più lungamente del previsto… attorno al fuoco, una figura d’ombra (che nessuno seppe riconoscere), anch’essa vestita da sete blu, ma dalle linee del corpo più snelle e gentili, versò un po’ più vino del solito, che con grande soddisfazione fu accolto dalle gole impolverate di quei poveri diavoli assetati. Fumando il narghilè e le pipe nell’attesa dell’ordine di ripartire, che non sopraggiunse, finirono per assopirsi e perdersi in dolci sogni animati da splendide ballerine nude, i cui piedi e i cui fianchi scattavano così velocemente dal non poter essere seguiti, e facevano sembrare ubriaco chi provasse a farlo.
E Yar Afzal? Si era anch’esso assopito. Dopo aver impartito gli ultimi ordini ai suoi con brutali imprecazioni si concesse di posare per qualche attimo la schiena contro a una grande roccia, da dove si dominava la vallata e ancora si poteva contemplare lo spettacolo notturno delle luci di Shamzar, dei quartieri (che conosceva bene) che non dormono mai, dove un dolce bacio femminile può sopraggiungere con la stessa rapidità di una coltellata nella schiena; e delle torri magiche abitate dagli stregoni, rilucenti di colori senza senso, e infestate da chissà quali demoni che è sempre comunque meglio lasciar stare.
Fu un particolare odore a catturare l’attenzione dell’uomo e a fargli abbassare la guardia. Zenzero, forse. Gli ricordò il profumo di una donna che aveva amato per molto tempo, quando era più giovane, e rilassando la testa all’indietro gli era parso di sentire persino il tocco di lei, morbido e sensuale, sulle spalle, come era solita fare, prima di lavarlo e amoreggiare, quando era di ritorno a notte fonda da qualche fortunata scorreria.
In poco tempo, il grande capo dei Lupi Blu russava profondamente, perso in dolcissimi pensieri.
Yasmela prese coraggio e uscì dalla tenda in cui l’avevano rinchiusa. Da molto non sentiva nessun rumore provenire dall’accampamento dei propri rapitori, ed era stata l’unica ad aver avuto il coraggio di provare ad allentare i nodi con cui lei e le sue compagne di sventura erano state imprigionate. Forse l’umile origine, e la cocciutaggine che ne derivava, l’avevano aiutata nell’ultimare tale risoluzione. Coperta solo di una corta gonnella che le celva di poco l’inguine, uscì all’aria aperta, e il bacio dei venti del deserto la fece rabbrividire. La sentinella che avrebbe dovuto vigilare su di loro dormiva, pesantemente ubriaco.
Se, là fuori, qualcuno avesse potuto ammirare la giovane, avrebbe certo compreso il perché, nonostante venisse dai quartieri poverissimi della città, fosse stata scelta per il serraglio reale. La Natura le aveva concesso una bellezza pura e semplice, primordiale, senza bisogno di abbellimenti artificiosi. Linee delicate e sensuali delle gambe e dei glutei, e una certa innocenza sul volto da ragazza.
Tremando di paura si diresse in punta di piedi verso l’unica cosa che sembrava, in quel difficile momento, poterle dare conforto: il falò, che ancora scoppiettava, animato da rosse braci. Ne accolse il calore come un abbraccio materno e, avvilita per la situazione di prigionia nella quale si trovava, si ritrovò a pregare gli Déi per la salvezza e a maledire se stessa per l’impotenza in cui era costretta. Abbassando il capo e prendendoselo tra le mani, desiderò di essere una guerriera, anziché una concubina. Sarebbe stato bello avere la forza per uccidere i suoi catturatori e andarsene poi libera, dove il cuore l’avrebbe condotta. Sentì che forse il fuoco aveva recepito i suoi pensieri, perché le rispose con un improvviso crepitio. Dopo un po’ la ragazza alzò lo sguardo e trasalì. Di fronte a lei si ergeva una figura di fiamme e tenebre guizzanti. Tali elementi sembravano magicamente intrecciati e vivi, tali da animarsi in una figura chiaramente femminile, dalla gambe snelle e guizzanti di muscoli, i fianchi incavati e sottili, le braccia aperte in una posa da danzatrice, carica di tensione, con la schiena inarcata all’indietro come un arco che stesse per essere scoccato. L’apparizione si mosse con una rapidità non percepibile da un occhio umano e scattò in avanti per ergersi in una tesa figura di vitalità e forza. Una voce le uscì dalle labbra, simile al suono di una lama d’acciaio temprato che tagliasse una fiamma. “Le tue preghiere saranno esaudite, ragazza.”
Said il ladro, Lupo Blu anch’egli, si svegliò di colpo, colto dall’urgenza di correre a svuotare la vescica. Quel vino bianco di Sophir andava giù come acqua fresca di fonte, ma non era altrettanto gentile con la lucidità mentale. L’uomo per un istante si guardò attorno spaventato, temendo di essere colto in flagrante durante quel momento di debolezza… ma vide che i compagni erano messi peggio di lui. Accasciati disordinatamente qua e là, russavano come porci in una fresca notte di primavera.
Armeggiando per liberarsi il basso ventre dagli indumenti, scansó un paio di compagni riversi a terra, schiacciò per sbaglio la mano di un altro che non emise suono, tanto era ubriaco, e infine svoltò una tenda trattenendo a stento l’urina… ma non riuscì a farla. La scena che vide lo paralizzó. Il fuoco era vivo! Aveva la forma di una donna, che iniziò a danzare, con movimenti sinuosi e carichi di elasticità. Due lame ricurve, di fiamma, le comparvero tra le mani affusolate, e attorno a lei, come sciacalli richiamati da oltre il Velo della notte, si materializzò un branco di fantasmi, dall’aspetto di femmine nude e volteggianti.
Yar Afzal riuscì a bestemmiare col pensiero ancor prima di aprire gli occhi ed essere in grado di muoversi. I rumori che lo avevano destato non promettevano niente di buono! Ma come diavolo aveva fatto ad assopirsi, per gli attributi di Bel?
Ciò che vide, dopo essersi frettolosamente alzato aiutandosi con un’altra gragnola di blasfemie, andò oltre le sue più nefaste aspettative.
Per la corna e la barba di Bel!
Il suo accampamento era divenuto qualcosa sulla linea di confine tra incubo e inferno. Diversi dei suoi uomini giacevano a terra con la gola tagliata, molti fuggivano, pochi erano rimasti a combattere. Ma con chi? Yar Afzal si stropicciò gli occhi, incredulo.
C’erano delle ombre, spettri, o chissà cos’altro, dalle sembianze nude e danzanti, che imperversavano nella mischia, ostacolando con rapidi e armonici movimenti, e lo spettacolo dei loro corpi senza veli, i suoi predoni del deserto. Ma questa, che Bel ci aiuti, non era la cosa più preoccupante. La quale invece era rappresentata dalla materializzazione di tutti i timori superstiziosi che avevano fino ad allora agitato l’animo del ladrone. Fu per egli la prova inconfutabile che le leggende erano vere, e il luogo maledetto. Ylana la danzatrice del fuoco! Era una vera e propria maledizione dunque, non solo una parola al vento citata per spaventare i codardi.
“Animo, luridi codardi, sbudellerò personalmente chiunque veda fuggire.”, ruggì il capo dei Lupi Blu, inutilmente. Ormai i suoi uomini avevano la mente annegata dalla paura di un siffatto evento stregato, e la minaccia di morire per mano del loro padrone non aveva più presa.
Scostando i fuggitivi con manate cattive, Yar Afzal si diresse verso la figura di fiamma e oscurità che aveva annientato il suo campo. Era in quel momento troppo arrabbiato per constatare che forse sarebbe stato meglio fuggire, invece combattere uno spettro. “Cagna, vieni, fammi vedere che sei ancora viva e di carne, in modo che possa vedere il tuo sangue!”. E si gettò in contro alle due spade che guizzavano nelle mani della danzatrice del fuoco.
Fu un combattimento di forza e furia contro agilità e velocità. Yar Afzal, possente e indemoniato, fece ballare la scimitarra così intensamente da tagliare l’aria. Ma Ylana pareva inafferrabile. Si contorceva, balzava ora su un piede ora sull’altro, giocando con la distanza e col ritmo degli attacchi in modo da farsi sempre, provocatoriamente, sfiorare, ma mai colpire. Quando decideva di farsi sentire, invece, ci riusciva con micidiale efficacia, aprendo tagli sulle braccia e le gambe dell’avversario e tenendolo sulle spine col proprio bruciante tocco.
Yar Afzal in vita era stato tante cose. Ladruncolo, scassinatore, assassino, guardia del corpo degli stregoni (che aveva ripulito di molte ricchezze), principe dei ladri, capo-branco dei Lupi Blu, amante delle donne, delle facili ricchezze e dell’avventura, ubriacone… ma mai un folle. In pochi attimi capì che l’avversaria era oltre la sua portata, e decise che riportare le terga al covo sarebbe stato meglio che morire affrontando un fantasma, per quanto affascinante.
Decise che alla prima occasione sarebbe fuggito come un diavolo corre verso il centro dell’Inferno quando il padrone lo chiama. Passò a una scherma difensiva, concentrandosi sulle schivate e sui bloccaggi di quei dannati e focosi fendenti, bramando la prima occasione per voltare le spalle.
Ylana parve intuire questa intenzione e si gettò su di lui senza guardia, compiendo una piroetta su un piede solo mentre l’altro svettava alto come la punta d’una lancia. E ridendo, bacio l’uomo, bruciandoli con la propria presenza di fiamma le labbra e soprattutto la barba di cui il predone andava tanto orgoglioso. Egli imprecò, in ordine d’ispirazione, tutte le divinità che aveva conosciuto nelle sue molte peregrinazioni, e corse via, più veloce del vento. Inciampò, cadde, scivolò, scattò, imprecò, non fermandosi fin quando la collina sulla quale erano sostati non fu che un’ombra lontana, confusa nella notte. Una fiamma ancora lo rischiarava, e Yar Afzal si prese allora un momento per scrutarla.
Sentì una risata femminile echeggiare, divertita e cristallina, nell’aria. Allora si gettò a sedere, esausto, sorreggendosi con le braccia, e rise, selvaggiamente, in risposta.
Per alcuni lunghi istanti le loro due risa si amalgamarono insieme, mescolandosi allegramente nella notte stellata.
“Vienimi a trovare ad Arejun, cagna, che ti offro da bere.”