Una strana opinione serpeggia da parecchio tempo nel suolo italico: “il fantastico all’italiana non esiste, non vale nulla, perché roba per bambini e sfigati un po’ squilibrati”.
Signori, credo che questo sia il più grande delitto ideologico del nostro mondo culturale contemporaneo e intendo dimostrare la falsità di queste posizioni.
Iniziamo con la seconda parte di quest’accusa: “roba per bambini e sfigati un po’ squilibrati”.
Senza perdersi in troppi sofismi, pensate ai generi narrativi come i gusti dei gelati: c’è a chi piace la fragola e le commedie romantiche, chi il cioccolato e le storie di terrore, chi il limone e i polizieschi ecc… E proprio perché son gusti pare futile criticare una persona solo perché non gli piace quello che a noi piace, o gli piace qualcosa di “strano”; ma ancor più inutile e fastidioso è colui che guardando ai gusti degli altri si permette di denunciare in luce di ciò uno squilibrio psico-attitudinale con gravissime ricadute “morali” (che poi basta andare indietro nel tempo per capire che quelle stesse discussioni che toccano ora gli appassionati di fantasy se le erano già sorbite gli appassionati di thriller, in Italia si prendano come esempio il caso di Diabolik e Kriminal o i film di Argento e Di Leo). Insomma questa è un’accusa che non si regge in piedi, e che ciclicamente ritorna quando nuovi “gusti” si affacciano e si scontrano con “il gusto prevalente”.
E ora passiamo all’accusa più grave, la prima parte: “il fantastico all’italiana non esiste, non vale nulla”.
Dai vecchi miti etruschi e latini all’Eneide di Virgilio, dalla Divina Commedia di Dante, la prima opera in “italiano”, al Guerrino detto il Meschino di Andrea da Barberino per poi passare all’Orlando Furioso di Ariosto, il simbolo dell’immaginifico e avventuroso per eccellenza presso le corti di tutta Europa per almeno 3 secoli, considerando anche le tante trasposizioni nell’Opera e coi Pupi, a cui si aggiunge la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso che porta a compimento la “favola cavalleresca”, mentre Alessandro Tassoni con La Secchia Rapita apre alla stagione del poema eroicomico che avrà ampia fortuna sia in Italia, visti anche i numerosi autori che si cimentarono nel genere anche col proprio dialetto regionale (Giulio Cesare Cortese, Giovanni Camillo Peresio, Giuseppe Berneri, Giovanni Battista Lalli, Lorenzo Lippi), sia all’estero (si pensi ad Alexander Pope e Voltaire).
Ma il discorso potrebbe dilungarsi a dismisura ricordando tanti altri autori italiani il cui catalogo pullula (sorprendentemente dirà qualcuno a vedere “certi nomi”) di versi, racconti, novelle, romanzi, opere non-mimetiche o fantastiche: Boccaccio, Pulci, da Barberino, Machiavelli, Boiardo, Basile, Straparola, Goldoni, Gozzi, Leopardi, Collodi (Pinocchio è il romanzo italiano più letto e tradotto al mondo), Carducci, Capuana, Fogazzaro, Papini, Perodi, Salgari, Bontempelli, Tarchetti, Pirandello, Landolfi, Calvino, Buzzati, Rodari, Manganelli, Morselli, Altieri, Evangelisti ecc…
In Italia il genere “fantastico” c’è sempre stato e ha fatto anche scuola (se non mi credete ascoltate le parole di Tolkien e Lewis che nella conferenza Sulla Fiaba riconoscono l’influenza capitale che sul genere hanno avuto Ariosto e Tasso). Si è presentato sia secondo i canoni del genere (cavalieri in armatura lucente, gnomi, fate e folletti, orchi, mostri irreali assetati di sangue, stregoni, pozioni e oggetti magici, maledizioni da scongiurare, belle principesse da salvare, castelli, paesaggi meravigliosi ecc…), sia secondo coordinate “oblique”, che seguono il gusto e l’immaginazione personalissima dell’autore (un arcidiavolo inviato sulla Terra per capire se il matrimonio sia peggiore dell’inferno, un archeologo che dialoga con le sue mummie, una marionetta che crede di essere un bambino, un cavaliere inesistente, una goccia che sale le scale ecc…); ed esattamente come tante altre opere extra-italiane affini, potevano avere come unico obiettivo quello di divertire e rallegrare il proprio pubblico, trascinandolo in un altro mondo diverso “dal solito”, oppure sfruttare il “fantastico” come nuova prospettiva per comprendere ancora meglio il “reale”, o magari usare quegli arabeschi immaginifici come segni, simboli con cui raccontare dinamiche psicologiche multiformi e complesse che ogni uomo in diversi stadi della vita si trova ad affrontare.
Se volete saperne di più sul fantasy italiano e sulla profondità del fantastico come genere eccovi un paio di fonti a cui attingere: QUI e QUI e QUI ma anche QUI.
Tuttavia colgo l’occasione di allungare il discorso e smontare le rimanenti tesi che intendono relegare l’Italia a un ruolo marginale nel genere fantastico.
“Uno degli influssi cardine dietro la sola idea di creare opere non-mimetiche immaginifiche si ritrova nel folclore di un popolo e in Italia non è mai emersa alcuna grande voce fantastica proprio per questo motivo”.
Senza riprendere il listone di nomi elencato poc’anzi, anche qui non posso che notare una certa “dimenticanza” sul folclore italico. Ma dico, buttereste via tutta la commedia dell’arte, con le sue maschere e invenzioni scenografiche o le varie feste di carnevale sparse per lo stivale? Gettereste alle ortiche il palio di Siena con le sue colorate e fantasiose contrade, o le varie leggende e miti come quella di Porsenna, di San Giorgio e il Drago, di Eliodoro, di Pietro Bailardo, del Lariosauro di Como, e della tante città magiche sparse per la penisola (fra tutte cito almeno Torino essendo l’unica al mondo facente parte sia del triangolo della magia bianca con Praga e Lione sia quello della magia nera con Londra e San Francisco). Ben più grave però “dimenticarsi” della Borda, della Masca, dell’Anguana, dei Confinati, della Pantafica, della Succube, della Manticora e molti altri personaggi che da sempre abitano il nostro immaginario folcloristico (che poi se non basta questo potete sempre recuperare il folclore di uno dei tanti popoli antichi che hanno abitato la penisola e la chiamavano Esperia, Enotria, Saturnia Tellus) ampiamente studiato da Carlo Ginzburg, Giuseppe Cocchiara e Anna Tallachini Achiardi.
“Massi tanto quello che conta davvero è il paesaggio, perchè è attraverso il rapporto col mondo esterno che uno scrittore si lascia ispirare nella stesura di un’opera fantastica, in Italia luoghi fantastici non ce ne sono.”
Sarà, ma io di fronte all’Isola di Loreto, ad Alberobello, al Bosco Monumentale del Sasseto, al Giardino di Ninfa, a Castel del Monte, all’Abbazia di San Galgano (quella della spada nella roccia), al Parco dei Mostri di Bomarzo, all’isola di Burano, a Rocca Calascio, a La Scarzuola, al Giardino dei Tarocchi, al Lago di Resia, a Civita di Bagnoregio, al Castelluccio di Norcia, alle Grotte di Frasassi, al Castello Aragonese d’Ischia, a Selinunte, qualche “ideuzza” fantastica e immaginifica ce l’ho, e di posti fantastici o capaci di ispirare questo genere l’Italia è ricca (tra i vari parchi regionali e nazionali e residenze dei molteplici principati, ducati, repubbliche passate e delle tante manifestazioni culturali dei vari popoli antichi). Che poi tra Grand Tour e Romanticismo inglese (Byron, Shelley e Keats sono i primi scrittori che mi saltano in mente, ma se dovessi fare l’elenco di pittori… faremmo notte), mi sembra che l’Italia abbia ispirato la realizzazione di diverse opere non-mimetiche di un certo rilievo.
La cosa buffa però è che nonostate queste continue evidenze su pressochè tutti i fronti culturali alla parola fantastico si associa subito la terra d’Albione (tanto che oggi si dice fantasy), soprattutto al cinema dove è esploso solo recentemente grazie a due trasposizioni: quella del Signore degli Anelli per mano di Peter Jackson e la saga di Harry Potter.
Anche in questo caso però, mi duole ripetermi, avete la memoria corta: il cinema come spettacolo audio-visivo nasce con Cabiria (1914), che guarda caso era un film epico con molti elementi fantastici, e guarda caso era italiano.
Insomma fatevene una ragione: l’Italia ha avuto un ruolo marginale nello sviluppo del genere fantastico solo nelle vostre ottuse opinioni. Quando si parla di fantastico, in qualsiasi forma, c’è sempre un contributo italiano.
Ecco dunque il mio ultimo grande regalo per voi: una raccolta essenziale di film a carattere fantastico o storico italiani, o con “gusto italiano”, che spero possano divertirvi come il sottoscritto e convincervi ancora una volta non solo della bontà del nostro cinema (anche povero), ma anche della costante seppur silenziosa presenza di un fantastico e avventuroso all’italiana; e chissà magari ispirare anche i più arditi scrittori e sceneggiatori (e artisti perchè no), fra voi a continuare questo genere.
P.S. Ho limitato l’inserimento di film ambientati prima del medioevo perchè ne ho già ampiamente discusso QUI. Nella lista ne compaiono diversi giusto per dare l’idea di quanto fantastico possa emergere nelle storie nostrane antiche. Inutile dire che la sezione fantastica, avendo escluso i vari peplum e il ciclo dei barbari, sia piuttosto esigua. Tuttavia spero possiate fare buon uso di questo listone come nei precedenti casi (e vi rassicuro che anche questo vedrà regolari aggiornamenti).
Piccola nota storica prima di iniziare: la critica italiana è figlia del neo-realismo, dunque una critica impegnata che ha sempre mal visto tutto quel cinema “di cassetta” o popolare perchè, secondo loro, erano prodotti nati unicamente con scopo di lucro e poco sviluppavano i gusti o le menti del pubblico. Nonostante la verità di queste affermazioni (su 300 film di genere del periodo d’oro l’80% erano imitazioni se non direttamente plagi meno riusciti dei grandi successi americani o italiani, che divertivano il pubblico al momento ma si dimenticavano in fretta, riempiendo le casse dei produttori che solo così potevano produrre film di qualità), questa esigenza anti-conformista e sociale ha prodotto una distorsione univoca su tutto il genere gettando nell’oblio grandi artigiani del nostro cinema. Questi, per nostra fortuna, sarebbero stati (ri)scoperti in seguito, soprattutto dopo il ’68 quando la critica iniziò a svecchiarsi con l’arrivo di giovani che avevano visto il cinema sin da piccoli senza grosse distinzioni e lo avevano anche studiato all’università, ansiosi di analizzare tutto il cinema “sommerso”; d’altronde cosa c’è di meglio che ridare lustro a grandi cineasti bistrattati, soprattutto quando a citarli sono i nuovi maestri della settima arte?
Storici Conflitti e Avventurosi
Ettore Fieramosca (1938) di Alessandro Blasetti>> Nel 1503, Francesi e Spagnoli si contendono la regione circostante il castello siciliano di Morreale. Giovanna (Elisa Cegani), la bella castellana, anela a liberarsi dal giogo straniero e per questo vuole sposare un coraggioso cavaliere. Graiano d’Asti ( Mario Ferrari) la inganna facendo combattere al proprio posto Ettore Fieramosca (Gino Cervi) e poi vantandosi lui con Giovanna dell’impresa, riuscendo in tal modo a convincerla a sposarlo, ma dopo le nozze Graiano rivela le sue vere intenzioni: intende contrattare con i Francesi lasciando loro controllo della regione in cambio della nomina di duca di Morreale, ovviamente Fieramosca non ci sta. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Massimo d’Azeglio e ispirato alla vicenda storica della disfida di Barletta, l’opera di Blasetti nonostante sia figlia del suo tempo, e vi sia dunque un sovraccarico di ideologia, retorica e patriottismo ormai di cattivo gusto, si lascia guardare ancora con piacere per l’immenso lavoro produttivo (che culmina proprio nel duello finale) che ha indirettamente influenzato anche i peplum 20 anni dopo. Da spulciare.

Un’Avventura di Salvator Rosa (1939) di Alessandro Blasetti>> Nel Regno di Napoli del XVII secolo, l’oppressione spagnola si fa sempre più cruenta dopo la rivolta popolare capeggiata da Masaniello presto schiacciata dal viceré di Napoli e dal conte Lamberto (Osvaldo Valenti) suo consigliere. A tutto ciò si oppone Salvator Rosa (Gino Cervi), celebre pittore ed eroe mascherato conosciuto come Formica. Se la precedente opera di Blasetti era troppo posata e lontana dai gusti di “noi moderni”, questa pellicola si rivela, pur nel suo classicismo, più spigliata, ironica, dotata di un gusto per l’avventura che si avvicina alle grandi produzioni americane dell’epoca con Errol Flynn come protagonista (ma il nostro Gino Cervi si difende benissimo). Tuttavia qui il modello americano viene riempito dalle eccellenze italiane (pittura, architettura, teatro e scherma) e le sue tipicità (la maschera che ricorda quelle da commedia dell’arte, il prendersi gioco delle autorità corrotte con brevi messaggi vernacolari, scherzi popolari e trucchi da teatro, l’ispirazione storica della vicenda), impregnando così la storia di un gusto mediterraneo unico. Insomma questo film è un vero gioiellino che testimonia l’indubbia qualità del cinema italiano anche in un’epoca buia come quella del periodo fascista. Da vedere!
Fra’ Diavolo (1942) di Luigi Zampa>> Il brigante detto “Fra’ Diavolo” (Enzo Fiermonte) combatte per cacciare i francesi dal Regno di Napoli. Il suo successo permette l’instaurarsi di un nuovo governo che lo onora con la nomina di colonnello dell’esercito regolare e col nuovo incarico arriva anche il matrimonio con una nobile napoletana che aveva conosciuto e amava dai tempi in cui era un brigante. Tuttavia il ritorno ancora più aggressivo dei francesi guidati da Giuseppe Bonaparte obbliga il nostro a rivestire i panni di “Fra’ Diavolo”… Altro film di impianto classico dove si prende spunto dalla Storia per costruire un racconto avventuroso (anche se un po’ troppo posato per i miei gusti) che celebra il coraggio, l’astuzia, l’amore e l’altruismo civile. In questa pellicola però emerge chiara la critica alla politica e burocrazia partenopea che ben rispecchia la corruzione e inefficienza di quella fascista dell’epoca (divertente quando Fra’ Diavolo incalza e sbugiarda un signorotto locale che si vantava di aver tenuto a bada il brigante, così come ilare è la scena del nostro, ormai colonnello che ritrova due vecchi compagni ora prigionieri e anzichè punirli ci gioca insieme a carte condividendo con loro la sua insofferenza per la burocrazia). Un piccolo aneddoto: l’anno di uscita rivela come questa sia una delle ultime pellicole presentate nei cinema italiani che avrebbero chiuso di lì a poco a causa dell’occupazione tedesca. Il film, parlando di briganti che combattono per liberare la patria dagli invasori, fu certamente di grande ispirazione per i giovani che avrebbero preso parte alla resistenza dopo l’8 settembre 1943. Infatti diversi furono i partigiani che scelsero come nome di battaglia Fra’ Diavolo (se non mi credete recuperate l’intervento di Barbero in merito al minuto 25). Da spulciare.

Don Cesare di Bazan (1942) / Le Sette Spade del Vendicatore (1962) di Riccardo Freda>> Siamo nel 1650, la Spagna è al suo apice grazie alle colonie americane, ma qualcuno intende porre fine a questo strapotere finanziando con armi e denaro i separatisti della Catalogna… Freda è l’unico regista che nell’Italia fascista (ormai agli sgoccioli) e nell’immediato dopoguerra (in pieno contrasto col neorealismo imperante) ereditò la lezione avventurosa e popolare di Blasetti iniettandola di “puro dinamismo hollywoodiano”. La prima pellicola, sceneggiata da Brancati e Zavattini, si apre con un breve piano sequenza dove si segue la danza di una ballerina in una locanda che ripara i viaggiatori dalla burrasca, per poi continuare con duelli (l’ultimo nella torre funestata dalla tempesta è epico), fughe rocambolesche per i tetti, incontri in cui nascono amori o si spartisce il potere politico ed economico, matrimoni, pubbliche esecuzioni e morti che “tornano dall’oltretomba” per vendicarsi. Si nota sin da subito un’abilità registica notevole tra eleganza nei movimenti di macchina e un montaggio serrato nelle scene più concitate, una cura nei costumi e nelle scenografie che abbraccia i moschettieri di Dumas e la spavalderia hollywoodiana di Errol Flynn, una fotografia attenta a restituire le ombre che si muovono furtive nella notte e i volti distorti dalla fiaccola delle torce e da emozioni turbolente. La seconda pellicola, anche conosciuta col più bel titolo La Lama del Giustiziere, è un libero rifacimento della precedente e questa volta Freda forte della propria maturità e di una produzione più ricca indugia maggiormente su ambienti e paesaggi “d’epoca”, iniettando nella vicenda ancora più duelli (anche in questo caso l’ultimo è da antologia), fughe, e intermezzi comici e amorosi rafforzati da una colonna sonora capace di esaltare l’indirizzo emotivo di ogni sequenza e una fotografia “baviana” (colori accesi ed enfasi su ombre). Entrambi da vedere!
Aquila nera (1946) di Riccardo Freda>> Nella Russia degli Zar il perfido Kirila Petrovic (Gino Cervi) uccide il conte Dubrovskij e si impadronisce di tutti i suoi beni costringendo il figlio Vladimiro (Rossano Brazzi) a darsi alla macchia. Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo, pertanto quando in una delle sue scorribande assalta la carrozza della figlia del suo nemico (Irasema Dilian), decide di infiltrarsi nella casa come antipatico professore di francese, peccato che tra i due scoppi l’amore… Di tutti i film che Freda diresse nella sua lunga carriera “popolare” questo remake di un film con Rodolfo Valentino (adattamento di un romanzo breve incompiuto di Puskin), fu tra i più grandi successi dell’epoca in pieno neorealismo. E il motivo è semplice: Freda presenta una solida messinscena (fotografia, scenografia, costumi, recitazione), che eleva la già ottima sceneggiatura (con tutti i clichè tipici dell’avventura letteraria ottocentesca), dalle firme nobili (oltre a Freda, Monicelli, Steno, Fellini). Purtroppo la versione attualmente in circolazione è quella ridotta a 95/97 minuti e l’impressione che si ha è di una pellicola melodrammatica e posata per tre quarti e furente solo nell’ultima sezione dove l’azione prende davvero piede. Da vedere, anche se in versione censurata (ma spero un giorno di recuperare l’originale a 109 minuti, magari più avventuroso). Evitate invece il seguito La Vendetta di Aquila Nera (1951), perchè ancora più melodrammatico e strappalacrime dell’originale.

Il Cavaliere Misterioso (1948) di Riccardo Freda>> Il segretario del doge, Antonio Morin, viene accusato del furto di una preziosa lettera della moglie del doge di Venezia. In suo soccorso giunge il fratello, Giacomo Casanova (Vittorio Gassman), agente segreto della Serenessima che si troverà ben presto a dover sventare una cospirazione ai danni della Regina dell’Adriatico… Freda continua nel secondo dopoguerra a dirigere pellicole avventurose di buona fattura (intuizione geniale quella di girare nel parco nazionale dell’Abruzzo d’inverno per simulare le freddi distese russe), anche grazie alla sceneggiatura scritta con Steno e Monicelli, dove regnano azione (il furente duello e il gong), emozione (i tanti siparietti romantici reali o artificiali di Casanova), e tensione (l’inseguimento finale) con un Gassman già mattatore, nonostante sia ancora alle prime armi, e una Gianna Maria Canale esordiente ma nei cui occhi è già scritto un futuro da femme fatale. Il miglior film dedicato al Casanova agente segreto della Serenissima. Da vedere!
Donne e Briganti (1950) di Mario Soldati>> Sul letto di morte, il signor Luciani confessa al figlio Peppino (Paolo Stoppa) che sua sorella Marietta è in realtà la figlia illegittima di Ferdinando IV di Borbone, suggerendogli di sposarla per non tornare ad essere povero come era lui. Peccato che Marietta sia già innamorata di Michele Pezza (Amedeo Nazzari), che la ricambia. Peppino lo odia e sfrutterà la spavalderia di Michele pe provocare un incidente, nel quale però perde la vita una guardia del re, obbligando Michele a darsi alla macchia e diventare un brigante, Fra Diavolo. Rispetto alla precedente pellicola di Luigi Zampa sullo stesso personaggio, con cui condivide il genere strappalacrime (o neorealismo d’appendice), Soldati con la sua regia fresca e vivace imprime alle vicende il suo gusto per l’avventura e l’azione (mirabile il duello a fil di spada con il sergente francese) che lo confermano quale secondo erede, dopo Freda, della tradizione popolare inaugurata da Blasetti. Consigliato.
Il conte di Sant’Elmo (1951) di Guido Brignone>> Siamo nel Regno delle Due Sicilie, a metà ottocento, un nobiluomo napoletano, il Conte di Sant’Elmo (Massimo Serato), si divide tra l’attività di carbonaro e le serate di gala. Una pellicola che più posata e melodrammatica non si può. Allora perchè la cito? Per mettere in chiaro che a nessuno interessa una brutta copia di un’opera americana (in questo caso Zorro è il modello primario), ma che occorre specificare le proprie opere, infonderle di quel carattere nazionale, che sto cercando di volta in volta di far emergere dalle pellicole più meritevoli, perchè solo così si potrà “accendere” un’interesse nazionale e internazionale. Pensateci un’attimo: perchè la filmografia di Leone e Corbucci, Argento e Fulci è riuscita a conquistare platee italiane e straniere nonostante i mezzi irrisori in confronto a Hollywood? Perchè pur seguendo un canone conosciuto a livello globale (western e thriller per dirla all’americana), hanno aggiunto quel “guizzo italiano” che da “piacevole variazione” si è evoluta in capostipite di quel genere (pensate solo alle colonne sonore, se dico western tutti pensano subito a Morricone, se dico thriller ecco apparire i Goblin). Da spulciare.

Il Brigante di Tacca del Lupo (1952) di Pietro Germi>> Nel 1863 il capitano Giordani (Amedeo Nazzari), uomo d’azione energico e risoluto, viene incaricato di liberare l’area di Melfi da una banda di briganti al cui comando c’è Raffa Raffa, fedele ai Borbone. Ad aiutarlo giunge da Foggia un poliziotto, Siceli (Saro Urzi), i cui metodi sono l’esatto opposto del settentrionale, mentre sullo sfondo si consuma la triste vicenda di una paesana che vittima di una violenza sessuale di Raffa Raffa cerca di ricongiungersi col marito ora obbligato a dimostrarsi “uomo d’onore”. Pietro Germi è stato uno dei maestri assoluti del cinema italiano, e in questa pellicola si nota tutto il suo amore per il cinema americano, in particolare John Ford e il western a stelle e strisce, “corretto” dalla lezione del neorealismo. La sceneggiatura scritta con Federico Fellini, Tullio Pinelli e Fausto Tozzi, tratta dal romanzo di Riccardo Bacchelli, affronta la questione meridionale con garbo e intelligenza, senza criticare o giudicare ma mettendo in scena uomini con valori diversi e caratteri diversi, tutti impegnati a gestire una situazione critica e complessa (ecco la lezione neorealista); le musiche di Carlo Rustichelli fanno il resto. Da vedere!
I Tre Corsari (1952) di Mario Soldati>> Il castello dei conti di Ventimiglia sotto assedio degli spagnoli è infine conquistato grazie al tradimento di Van Gould (Marc Lawrence) che uccide il Conte di Ventimiglia (Gualtiero Tumiati) e spedisce i tre figli di quest’ultimo Rolando, Carlo ed Enrico (Renato Salvatori, Cesare Danova e Ettore Manni), a marcire nelle piantagioni di Maracaibo. La nave che li scortava viene però assalita dai pirati e i tre fratelli liberati diventano dunque corsari con un’unica missione: vendicarsi di Van Gould, nelle Antille per riscuotere il suo premio per la disfatta della famiglia dei Ventimiglia. Una pellicola scattante che lungi da essere un mero adattamento delle opere di Salgari ne coglie la summa poetica e la travasa sul grande schermo grazie ad’ottima messinscena. Uno dei migliori film italiani a tema piratesco e ispirate alle opere del capitano eterno ed immobile Emilio Salgari. Consigliato.
Il falco d’oro (1955) di Carlo Ludovico Bragaglia>> Siena, 1600: un odio secolare divide le famiglie Montefalco e Della Torre. Per porre fine a questo stato di cose, si pensa a un matrimonio tra Massimo Montefalco (Massimo Serato) e Ines Della Torre, ma una fanciulla, Fiammetta (Anna Maria Ferrero), non è d’accordo e s’inventa il bandito “Falco d’oro” che gli tirerà parecchi tiri mancini… Una commedia di cappa e spada firmata da un Bragaglia divertito e attento (alcuni fotogrammi mostrano un’influenza pittorica), che riadatta una celebre opera di Tirso de Molina. Da spulciare.
Giovanni dalle Bande Nere (1956) di Sergio Grieco>> Giovanni de’ Medici (Vittorio Gassman), soprannominato “dalle Bande Nere” perché indossava sempre un’armatura nera e agiva con le sue truppe di notte, è impegnato in scontri con i francesi al comando di Francesco I e poi contro i tedeschi governati da Carlo V. Quando Camillo di Sermoneta viene brutalmente assassinato la situazione inizia a prendere una brutta piega perchè il nostro Giovanni capisce che è in atto una congiura contro di lui e non si fermerà fino a quando giustizia sarà fatta. Ispirato da un romanzo di Luigi Capranica, Sergio Grieco dirige con discreti risultati questo feuilleton dedicato ad uno dei più famosi capitani di ventura italiani. Una messinscena rigorosa traghetta lo spettatore alla fine di questa piacevole pellicola popolare dove il melodramma è spezzato da sequenze più spigliate (per lo più di guerra o di razzie contro i villaggi). Forse la migliore scena è proprio l’inizio, dove assistendo ad uno scontro all’arma bianca di Giovanni, facciamo sia la sua conoscenza sia soprattutto quella del suo “circolo sociale stretto”, i suoi amici e consiglieri, ognuno con una specifica idea di questo guerriero e dell’esito dello scontro. Da spulciare.
Il cavaliere del castello maledetto (1958) di Mario Costa>> Ugone di Collefeltro (Massimo Serato) imprigiona lo zio, conte Oliviero (Carlo Tamberlani), legittimo signore del feudo di Valgrande, con lo scopo di estorcergli un documento di abdicazione in suo favore. All’ennesimo rifiuto del conte, Ugone richiama al castello la contessina Isabella, figlia di Oliviero, col proposito di sposarla, divenendo in questo modo il legittimo proprietario del feudo. Ad impedirglielo rimarrà solo un misterioso cavaliere nero (Luciano Marin) che getterà scompiglio tra le truppe di Collefeltro risvegliando una rivolta dei contadini del feudo. Mario Costa, forte di una buona sceneggiatura scritta da Corbucci e Vivarelli, realizza una pellicola medievaleggiante dignitosa che si lascia apprezzare per le scenografie, tra castelli, rocche, villaggi e spazi naturali (tutto italiano, ad ulteriore dimostrazione che anche nel belpaese di scenari medievali abbondiamo), e per i costumi. Da spulciare.
Il segreto dello sparviero nero (1961) di Domenico Paolella>> Un documento di straordinaria importanza finisce nelle mani dei pirati in seguito ad un saccheggio. In una stanza dei bottoni di Albione si decide di inviare il temibile corsaro “Sparviero Nero” mentre nella penisola iberica altri potenti optano per il capitano Herrera (Lex Barker). Domenico Paolella, nome abituale del cinema di genere italiano con diversi peplum all’attivo, dirige con garbo questa pellicola popolare, degnamente sceneggiata con Sergio Sollima e discretamente interpretata da Barker, celebre Tarzanide, e Livio Lorenzon, tra i caratteristi più importanti del cinema comico e di genere italiano dell’epoca. Da spulciare (come sempre fa pensare quanto il cinema di genere italiano dell’epoca, con tutte le ingenuità e ristrettezze, fosse capace di produrre questo tipo di qualità media, perfettamente in linea con le produzioni equivalenti americane ed espressamente diretta ad un pubblico giovane; lode alle maestranze del passato!).
La Congiura dei Dieci (1962) di Baccio Bandini ed Étienne Périer>> Un vecchio mercenario inglese (Stewart Granger) è assunto da una potente famiglia senese come guardia del corpo della figlia Orietta Arconti (Sylva Koscina), presa di mira da un gruppo di sovversivi conosciuti come “I Dieci”. Questo melodramma in costume ambientato in un’Italia sotto il giogo spagnolo è un fumettone senza infamia e senza lode, ben simboleggiato dal Palio o ancora meglio dal suo protagonista Stewart Granger, lontano dai fasti passati e inevitabilmente fuori posto nonostante riesca ancora a stupire con qualche colpo ben piazzato. Da spulciare.
Il Leone di San Marco (1963) di Luigi Capuano>> Nella Venezia seicentesca, Manrico Venier (Gordon Scott), figlio del doge, vorrebbe combattere i pirati uscocchi che infestano l’Adriatico, ma il padre l’ha destinato alla carriera diplomatica. Manrico allora, sotto mentite spoglie del “Leone di San Marco”, combatte ugualmente i pirati con l’aiuto d’un gruppo di veneziani. Il nome degli attori (tra cui spiccano Gianna Maria Canale e Rik Battaglia) e l’anno di uscita della pellicola dichiarano a lettere cubitali come queste pellicole storico-avventurose siano figlie dei peplum, e dunque condividano scarsi mezzi, discrete maestranze e un pubblico giovanile. Insomma questo Zorro veneziano, che sfoggia un leone d’oro sull’armatura, diverte senza impegno tra battaglie e serate di gala. Da spulciare (così come l’altra opera dello stesso regista del medesimo anno Il Boia di Venezia).

Il magnifico avventuriero (1963) di Riccardo Freda>> Benvenuto Cellini è un irrequieto orafo e scultore fiorentino con una sfrenata passione per le donne che “stempera” solo con risse e audaci peripezie. In una di queste finisce con aiutare un certo Frangipane ed entrare così nelle grazie del Papa che gli assegna una scultura. In questa ennesima ottima pellicola di cappa e spada di Freda (tutto fuorchè una puntuale biografia), spiccano gli esterni e gli interni (che ben rappresentano l’Italia rinascimentale), ma soprattutto la sceneggiatura che ben evidenzia l’imbecillità e assurdità della politica (italiana e non solo) di secoli passati (la scena del Papa che spiega a Cellini perchè stanno per attaccare Castel Sant’Angelo è da antologia). Il Cellini di Freda potrebbe essere il perfetto prototipo di eroe italiano di cappa e spada: un uomo che ama la vita (e le donne), ne succhia il nettare fino a scoppiare ed è solo con l’arte che riesce a realizzare un degno tributo al suo vivere, ma il suo carattere passionale lo porta talvolta a rispondere con violenza il che lo trascina in una spirale di lotte e vendette; sono dunque queste le sue “audaci” avventure che vince sia grazie alle sue doti di combattente, sia soprattutto grazie alla sua furbizia e carisma (che sfrutta appieno quando serve un politico o prelato, consapevole che ogni potere è terreno e mortale e la politica è il regno della cupidigia e lui mira solo alla riconoscenza del denaro). Ecco però la differenza dal modello di Blasetti (visto con Salvator Rosa): quello di Freda è un eroe tragico e oscuro perchè individualista e in parte nichilista (crede solo in sè e non negli uomini, e le sue scappatelle amorose sono comunque legate ad un ideale personale e poco concreto), mentre l’eroe di Blasetti è positivo perchè affronta di petto anche la politica (la tirannia soprattutto, che non ha paura di schernire e demistificare grazie alla sua opera di eroe del popolo vernacolare e teatrale), consapevole che le persone fanno del bene non in funzione di un alto ideale, un simbolo di purezza, ma di un esempio concreto, una persona che possa fungere da modello di condotta qui e ora, e lui con la sua autonomia un po’ anarchica e carnevalesca è qui per dimostrarglielo. Chissà cosa si potrebbe tirare fuori dalla biografia di altri grandi artisti italiani come Caravaggio… Da vedere!
I Cento Cavalieri (1964) di Vittorio Cottafavi>> Nella Spagna dell’anno Mille i Mori con la loro cultura superiore (l’imposizione della matematica e dei suoi ordini divini in ogni dimensione umana dall’economia alla guerra), si sono impadroniti del Paese. Ovviamente ai piccoli mercanti questa cosa infastidisce a tal punto da radunare un esercito di valorosi per respingere “gli invasori”. Ultimo film per il cinema del grande Vittorio Cottafavi (che abbiamo già apprezzato con uno degli Ercole più belli di sempre e altri meritevoli peplum), che ancora una volta dimostra una capacità registica superiore alla media (basti vedere i primi minuti dove con semplici movimenti di macchina riesce a immergerci in quella Spagna sporca, polverosa e cinica), coadiuvata da una messinscena solida (scenografie ottime, costumi dignitosi e alcuni spunti recitativi molto interessanti, soprattutto quello di Arnoldo Foà). Purtroppo gli elementi comici e satirici, che sembrano prefigurare i futuri sbandati cavalieri di Monicelli, in diverse occasioni mal si sposano col restante tono serioso della pellicola (si pensi all’ultima sanguinosa battaglia e la chiusa retorica). Da spulciare.

L’Armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli>> Nel XI Secolo dopo una baruffa degli sbandati si impossessano di una pergamena, appartenuta ad uno dei caduti, nella quale si decreta il possessore di tale documento nuovo signore del feudo di Aurocastro in Puglia. I nostri però sono consapevoli che senza un cavaliere nessuno gli concederebbe nemmeno un quadrato di quella terra, per loro (s)fortuna incontrano Brancaleone da Norcia! Cosa volete che vi dica? Questo è il punto di svolta dell’avventura all’italiana cinematografica, nonché padre nobile del fantastico all’italiana contemporaneo (da Bruti di Gipi, a Brancalonia e Zappa e Spada, sino alla Saga di Taglia di Mazza e Sensolini). Il valore dell’opera si coglie sin dai titoli di testa, a firma di Emanuele Luzzati grande artigiano dell’animazione nostrana, con questi colori pastello e un disegno bambinesco si intuisce come l’intera pellicola sia votata a divertire il nostro lato più fanciullesco (proprio come i vecchi pupi siciliani avevano fatto per secoli prima del cinema). Ipotesi che si conferma poi con le musiche di Carlo Rustichelli, divertenti e divertite soprattutto nel tema principale della colonna sonora (il fischio finale del motivetto di Brancaleone dice tutto). Se ancora non foste convinti vi basterà osservare i costumi dei nostri strampalati eroi confezionati da Piero Gherardi (anche autore delle scenografie), o ascoltare i dialoghi (merito assoluto di Age e Scarpelli, una delle coppie d’oro della sceneggiatura cinematografica italiana), perfettamente interpretati da alcuni tra i più grandi attori del cinema nostrano come Gassman e Volontè, e giunti a noi grazie all’occhio di Carlo Di Palma. Da vedere!
La cintura di castità (1967) di Pasquale Festa Campanile>> Il Duca Pandolfo prima di partire per le crociate impone la cintura di castità alla moglie e nomina nobile il cavaliere Guerrando che riceve in dono un feudo e pensa di poter disporre di tutto e di tutti a suo piacimento, anche di Boccadoro… Scritto con maestria da Luigi Magni e ben diretto da Campanile, questa pellicola, che non nasconde gli influssi “brancaleonici” è una degna battaglia dei sessi (con diverse critiche femministe di costume, ad alcune ideologie medievali ancora attuali negli anni ’60). Consigliato.
Zorro (1975) di Duccio Tessari>> Il neo governatore Miguel De La Serna, incontra in una locanda un vecchio amico, Diego, col quale si confronta sulle tante difficoltà politiche che lo attendono. Diego lo ascolta ma è un uomo cinico e disilluso sulla natura umana e soprattutto sull’utilità della politica tanto da stuzzicare il progetto “utopico” di Miguel. Purtroppo l’incontro termina con la morte di Miguel per mano di una banda e il nostro Diego si fa carico di una promessa: governare in sua vece secondo giustizia. Senza dubbio il miglior film di Tessari grazie a una sceneggiatura scattante (merito di Giorgio Arlorio), un’ottima regia e delle scenografie perfette. Nonostante il personaggio sia ispano-americano Tessari trasporta un forte sentimento mediterraneo: il cinismo e la disillusione del protagonista, il suo prendersi gioco dell’autorità sia mascherato da giustiziere sia mascherato da nobile pasticcione che mette in mostra la pochezza di questa “alta società”, i tanti rimandi all’opera, e i combattimenti all’arma bianca sempre in bilico tra spettacolo (scena del mercato) e sopravvivenza (il duello con Huerta nel suo palazzo). Consiglio anche Zorro Mezzo e Mezzo super ironico ma con ottime coreografie. Da vedere!
Il Soldato di Ventura (1976) di Pasquale Festa Campanile>> In piena guerra d’Italia del (1499-1504) la scalcinata compagnia di ventura di Ettore Fieramosca (Bud Spencer), galoppa verso il meridione giungendo a Barletta difesa dagli spagnoli e assediata dai francesi. Dapprima i nostri scelgono la parte francese perchè stanchi di combattere dalla parte dei perdenti e intenzionati, per una volta, a vincere “rilassati”. Quando però Bracalone viene umiliato dal comandante francese, Ettore Fieramosca cambia idea… Prendendo a modello Mario Monicelli e la sua armata picaresca, Pasquale Festa Campanile, un regista relativamente mediocre di commedie e commediacce scollacciate, ci dona la sua più bella pellicola, nonchè una delle migliori alternative al capolavoro e capostipite monicelliano del 1966 grazie ad una discreta invenzione scenica, una sceneggiatura divertente e divertita (le tante astuzie belliche, l’inganno dello spettacolo teatrale, il reclutamento dei “patrioti” e un’apprezzabile interpretazione di Bud Spencer e compagni). Da vedere!
Il viaggio di capitan Fracassa (1990) di Ettore Scola>> Durante una tempesta, una sgangherata compagnia teatrale itinerante trova rifugio in un castello diroccato di proprietà dei baroni di Sigognac, il cui ultimo erede è un giovane orfano viziato ed inesperto alla vita. L’ormai anziano servo che li ha accolti chiede un favore ai teatranti: essendo questi in viaggio per Parigi, dovranno condurre il giovane dallo zio, grande amico del Re a cui salvò la vita in battaglia molti anni prima; in questo modo, il ragazzo potrebbe vivere di nuovo nel lusso e sarebbe così salvato da un futuro miserabile. Ettore Scola adatta con grande cura l’opera di Théophile Gautier, grazie ad una scenografia consapevole della propria origine teatrale (non a caso venne girato esclusivamente in studio affinché lo spettatore percepisse il “teatro nel teatro”, affidandosi pure all’arte di Odette Nicoletti, tra le principali costumiste dell’opera lirica), una splendida fotografia (di Luciano Tovoli già occhio di De Seta e Argento tra i tanti), e un ottimo comparto sonoro del sempre valido Trovajoli. Ma forse il merito più grande deve essere riservato proprio alla recitazione dei protagonisti, su cui spicca indubbiamente Troisi nella parte di pulcinella, e alla sceneggiatura che preserva tutte quelle inflessioni di una lingua ormai sepolta e ampollosa, come quella dei teatranti itineranti del XVII secolo, innestandola in un racconto picaresco e di formazione (per gentile invenzione di Cerami). Da vedere!

Il mestiere delle armi 2001 di Ermanno Olmi>> Gli ultimi giorni del grande soldato di ventura Giovanni dalle Bande Nere, nel pieno delle Guerre d’Italia del XVI secolo. Uno dei capolavori del grande regista lombardo, un’imponente film dove l’atmosfera, l’umore del secolo vengono colti grazie ad un influsso pittorico magistrale che coniuga una fotografia lugubre e rarefatta e una scenografia che rinforza quel senso di fame, freddo e stanchezza che ogni soldato ha provato solcando quelle terre desolate, ricoperte di morti in battaglia. Interessante poi la contrapposizione tra Giovanni dalle Bande Nere che difende il papato e dunque il potere spirituale e temporale di stampo medievale, e Frundsberg i cui nuovi valori (tecnologia e denaro) sono il simbolo dello Stato moderno. Da vedere!
Il Primo Re (2019) di Matteo Rovere>> Ne ho già parlato nella recensione apposita QUI.
Fantastici e Favolosi
L’Inferno (1911)>> In realtà lo nomino soltanto per sottolineare come anche nel periodo del muto l’Italia era tra i paesi più audaci della nascente “settima arte”; ancora oggi questa pellicola, pur con tutte le sue limitazioni e ingenuità ai nostri occhi di cittadini del nuovo millennio, mantiene una carica creativa non indifferente.
Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone>> Ne ho già scritto QUI nella sezione Muti.
Maciste all’Inferno (1926) di Guido Brignone>> Ne ho già scritto QUI nella sezione Muti.

La Corona di Ferro (1941) di Alessandro Blasetti>> La spedizione che trasporta la corona di ferro, forgiata con un chiodo usato per la crocifissione di Gesù, inviata dall’imperatore di Bisanzio al papa in segno di pace, attraversa una terra dove si è appena conclusa una lunga guerra con Sedemondo (Gino Cervi) unico vincitore e nuovo dittatore del reame avendo esiliato il re nemico e la sua gente. Egli tenta poi di impadronirsi della corona di ferro ma il suo comportamento non rimarrà impunito e una strega gli rivela una profezia riguardo il suo triste futuro. Altra pellicola di Blasetti, altro grande successo di critica e di pubblico dell’epoca e confermo che per valori produttivi (scenografie di interni ed esterni, costumi, effetti speciali, comparse poi riadattati nel torbido melodramma La Cena delle Beffe uscito l’anno dopo) questo kolossal fiabesco d’annata (ricco di simbolismi e influenze mitologiche) ha ancora tanto da raccontarci a distanza di 80 e più anni con le sue tematiche pacifiste e naturaliste (l’eroe, interpretato da Massimo Girotti è un tarzanide vissuto tra i leoni che come un grillo cerca di risvegliare la coscienza degli uomini i quali pensano solo alla vendetta e si sono dimenticati di essere tutti fratelli e figli della natura). L’elemento fantastico si riduce al reame fuori dal tempo e dallo spazio di Kindaor, alla strega che abita nella foresta e conosce il destino del mondo e alla corona che dà il titolo al film. Da vedere!
Le meravigliose avventure di Guerrin Meschino (1952) di Pietro Francisci>> Il trovatello Guerrino, detto Meschino perché figlio di ignoti, è uno scudiero alla corte della Costantinopoli cristiana, innamorato della principessa Elisenda (Leonora Ruffo) che non può sposare in quanto semplice servo. Al castello sono giunti gli ambasciatori e il Re ottomano, avversari di vecchia data, coi quali il Re di Costantinopoli sta stipulando un nuovo trattato di pace. Tuttavia Pinamonte maltrattando Elisenda obbliga le due parti a “ripulire l’onta” con un duello, vinto poi da Guerrino sotto mentite spoglie. Il giovane però per rivendicare il diritto di matrimonio della bella Elisenda si mette alla ricerca dei propri genitori... Inizio splendido tra voce narrante, fondali illustrati e modellini. Messainscena onesta, tipica di Francisci, che gioca tra ricostruzioni in studio per gli interni, e ambienti reali (tutti in Italia) per gli esterni, recitazione pomposa ma non noisa, e una storia che ripresenta gli stilemi del viaggio di formazione con spunti fiabeschi (giganti, lucertoloni, streghe), liberamente adattati dall’opera di Andrea da Barberino. Da spulciare.
La maschera del demonio (1960) di Mario Bava>> Nella Moldavia del Seicento la principessa Asa è condannata e giustiziata per stregoneria col suo amante e sepolta nella tomba di famiglia. Duecento anni dopo, il dottor Choma Kruvajan e il suo assistente Andrej Gorobec penetrano nella cripta dove è stata sepolta la donna che ancora arde di vendetta… Tra gli esordi più sfolgoranti della cinematografia nostrana, quest’opera prima di Mario Bava, liberamente ispirata a Il Vij novella dello scrittore ottocentesco Gogol, verrà in seguito riconosciuta quale capostipite del gotico all’italiana. Grazie ad una fotografia magistrale, capace da sola di ribaltare il misero livello produttivo del film, illudendoci di avere a disposizione immense scenografie naturali, e ad una lunga serie di intuizioni in fase di montaggio, quest’opera prima di Bava si è guadagnata un numero sterminato di sostenitori, tra i tanti è d’obbligo citare Corman, Dante, Landis, Argento, Fulci, Carpenter, Raimi, Cronenberg, Burton, Tarantino e Scorsese. Da vedere!
I tre volti della paura (1963) Episodio II, I Wurdulak di Mario Bava>> Film a episodi uno più bello dell’altro, ci limitiamo però a quello più fantastico di tutti, quello tratto da un racconto di Tolstoj (Sem’ja vurdalaka, 1839), dove una famiglia combatte un vampiro. Potreste fare tranquillamente copia incolla con quanto avete letto sopra, in questo caso però il nostro Bava eccelle anche con una fotografia a colori, che da qui in poi diverrà uno dei suoi marchi di fabbrica (con i suoi tagli espressionisti e pop), e una storia di pura tensione. Da vedere!
Roma Contro Roma (1964) di Giuseppe Vari>> Ne ho già scritto QUI nella sezione Bizzarri.

L’Arcidiavolo (1966) di Ettore Scola>> Belzebù non è contento: in Italia Papa Innocenzo VIII e Lorenzo De’ Medici stanno per firmare un accordo di pace che rischia di porre fine alle Guerre d’Italia. Per evitare ciò invia sulla Terra l’arcidiavolo Belfagor, facendogli assumere sembianze umane, e dandogli dieci giorni di tempo per riportare i due Stati in guerra. Ettore Scola è riconosciuto come uno dei maestri assoluti del cinema italiano e con questa pellicola, che prende libero spunto dal Belfagor arcidiavolo di Machiavelli, ci regala una commedia nera con tinte soprannaturali davvero sublimi e un’impeccabile messainscena. Questo film parecchio vicino alle novelle di Straparola, e la novella di Machiavelli ovviamente, potrebbe indicare la via del fantastico italiano moderno: una narrazione goliardica e scanzonata sul carattere degli uomini, i loro vizi e virtù, i loro valori, credenze, ordini e riti, una satira di costume resa ancora più nera dall’intervento di un entità soprannaturale che gioca con il sacro e il profano mostrandoci come bene e male siano concetti determinati dalle circostanze e non immutabili, un’entità che assiste felice all’ipocrisia, all’ignoranza e al pensiero dicotomico (tra i principali strumenti di una mente debole e incapace di affrontare la realtà), che abbondano tanto fra i ricchi quanto fra i poveri. Consigliato.
Brancaleone alle Crociate (1970) di Mario Monicelli>> Brancaleone da Norcia è di nuovo in viaggio, questa volta alla conquista del Santo Sepolcro, tra le file di volontari del monaco Zenone. In seguito ad una imboscata ad opera di seguaci dell’antipapa Clemente III si salvano solo quattro fedeli, e il nostro Brancaleone che disonorato per non essere morto in battaglia, invoca l’Angelo della Morte. Quando questo si palesa Brancaleone, riesce “solo” ad ottenere una “proroga”, ma ormai il suo destino è segnato: gli rimangono sette lune per morire di una gloriosa morte, altrimenti ci penserà la triste mietitrice in persona. Secondo atto dell’epica medievaleggiante e cialtronesca secondo Monicelli, questa volta ancora più fantastico ed esotico. Qua la commedia dell’arte giunge a personalizzare e mascherare anche entità fondamentali come la Morte (goliardica e beffarda al punto giusto), il cui scontro finale con Brancaleone rimane ad oggi una delle sequenze più meravigliose della storia del cinema per la sua essenzialità allegorica (e per questo si è meritata la copertina dell’articolo che state leggendo). L’unico difetto di questa pellicola è che è il seguito di un capolavoro dirompente, quindi il senso di novità e originalità è inevitabilmente minore. Consigliato.
Orlando Furioso (1975) di Luca Ronconi>> Sceneggiato televisivo prodotto dalla Rai e diretto dal grande regista teatrale Luca Ronconi, che porta sul piccolo schermo il proprio spettacolo del 1969, è un sentito omaggio ad una delle opere fondamentali del fantastico occidentale. Una trasposizione coraggiosa e sperimentale che non smette di stupire ancora oggi e valorizzata da alcune delle eccellenze di quell’Italia ormai lontana. Alla sceneggiatura oltre a Ronconi troviamo Edoardo Sanguineti, alla fotografia Vittorio Storaro e Arturo Zavattini, costumi e scenografie “metafisiche” forti debitrici di De Chirico (segnalo almeno il Palazzo Farnese di Caprarola, le Terme di Caracalla, la Basilica di Santa Maria in Cosmedin, Teatro Farnese di Parma, Palazzo della Pilotta) di Pier Luigi Pizzi, mentre le splendide musiche portano la firma di Giancarlo Chiaramello. Da vedere!
The Barbarians (1987) di Ruggero Deodato>> Ne ho già parlato nella recensione apposita QUI.
Ator Il Guerriero di Ferro (1987) di Alfonso Brescia>> Ne ho già parlato nella recensione apposita QUI.
Fantaghirò (1991) di Lamberto Bava>> Figlio d’arte, Lamberto dirige questa miniserie con grande garbo e capacità, risultando a distanza di anni ancora godibile (pur essendo un prodotto esplicitamente diretto ai più giovani). Consigliato.

Il Racconto dei racconti (2015)>> Questo film a episodi, tratto da Lo Cunto de li cunti di Basile (secondo adattamento dopo C’era una volta del 1967), che vanta una sequela di attori internazionali è ad oggi una delle migliori opere fantastiche mai prodotte nel vecchio continente. Il merito di Matteo Garrone e della sua squadra è stato di ricordare all’Italia e agli italiani l’enorme tradizione fantastica del Belpaese. Si pensi alle scenografie tutte italiane tra castelli (Roccascalegna, del Monte, Donnafugata, Sammezzano, Gioia del Colle, Caetani ecc…), e scenari mozzafiato (Gole dell’Alcantara, Vie Cave, Villaggio rupestre di Petruscio, Bosco del Sasseto, Ponte della Maddalena, il labirinto di Donnafugata ecc…). Quello che però stupisce è la fotografia, mai banale, sempre attenta agli influssi pittorici e i giochi geometrici, ma è da segnalare anche la sceneggiatura capace di destreggiarsi tra i tanti umori e personaggi che abitano questa strepitosa pellicola. Da vedere!
Pinocchio (2019)>> Mastro Geppetto, un povero falegname, vedendo che nella sua città è arrivato il teatro delle marionette di Mangiafuoco, decide di costruirsi un burattino di legno per guadagnarsi da vivere tenendo spettacoli. Si dirige quindi dall’amico Mastro Ciliegia per chiedergli un pezzo di legno da lavorare. Questo decide di donargli un tronco “strano”. Geppetto si mette subito al lavoro ma si accorge ben presto che la sua marionetta, Pinocchio, è viva e senziente! Dopo il celebre sceneggiato di Comencini del 1975 Garrone rischia tutto e decide di ridurre il capolavoro di Collodi per il grande schermo e ancora una volta stupisce tutti con il suo amore per il fantastico fiabesco (di cui non edulcora mai la componente oscura), che risulta evidente in ogni singola inquadratura. Da sottolineare gli effetti speciali che si dividono tra trucchi e computer senza mai sovrapporsi. Da vedere!
BONUS
Eccovi una manciata di film, sia fantastici sia storici, nè diretti nè sceneggiati da italiani, nè per forza legati al suolo o alla storia d’Italia, ma con diversi elementi da sempre presenti nelle opere italiane, o comunque delle “minuzie” fantasmagoriche vicine al “gusto italiano” da cui trarre ispirazione.
Il Principe delle Volpi (1949) di Henry King>> In pieno Rinascimento Cesare Borgia (Osrson Welles) decide di conquistare il Ducato di Ferrara per mezzo di Andrea Orsini (Tyrone Power), il quale però ha altri piani… Henry King fu uno dei più grandi artigiani del cinema americano delle origini e dell’epoca d’oro di Hollywood e al pari di Raoul Walsh e Cecil B. DeMille uno dei più importanti fondatori dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences che da circa un secolo coi suoi premi oscar rappresenta uno dei massimi riconoscimenti della settima arte. Questa pellicola in pieno stile americano è un caleidoscopio concentrato di stereotipi (una semplice credenza più o meno superficiale e negativa o positiva), una grande giostra a tema Italia (Venezia, Firenze, il vino e il cibo, l’architettura, la Chiesa, l’arte, l’amore, le passioni, le feste carnevalesche e lo stile) e Rinascimento (machiavellismo, macchine da assedio leonardesche, saloni, arazzi, intrighi e congiure, belle dame e duelli a fil di spada o di coltello). Questo può sembrare strano per noi ma per l’americano medio tutto ciò è esotico quanto per noi lo è una vicenda ambientata nel Giappone feudale. Insomma queste pellicole per noi italiani viaggiano sempre a metà tra il piacevole omaggio e tributo all’Italia, alla sua grande storia e cultura, e una caricatura distorta, ottusa e superficiale del Belpaese. In questo caso siamo più vicini alla prima prospettiva grazie soprattutto alla fotografia di Leon Shamroy, una onesta sceneggiatura (un melodramma in costume liberamente adattato dal romanzo di Samuel Shellabarger), delle belle scene di assedio e le ottimi interpretazioni di Power e di Welles. Consigliato.
La leggenda dell’arciere di fuoco (1950) di Jacques Tourneur>> Dardo, un cacciatore e montanaro lombardo del XII secolo è il nemico giurato del conte Ulrico, governatore tedesco meglio conosciuto come “Il Falco”. Costui rapisce il giovane figlio di Dardo, Rino, e lo porta con sé a vivere a corte insieme alla sua madre naturale, la plebea Francesca, che anni prima abbandonò Dardo e Rino stesso attratta dal benessere della vita nobiliare. Tourneur, più che discreto regista di genere, dirige con gusto e sobrietà questa pellicola di stampo hollywoodiano (evidente soprattutto per le acrobazie di Lancaster e Cravat, le colombe e l’orsetto addomesticato, e il finale con il circo), che cerca di incanalare i vecchi fasti del Robin Hood di Errol Flynn. Le scenografie e gli esterni dunque erano tutti di marca americana (diversi poi riciclati per Il Prigionerio di Zenda del 1952) e la Lombardia e la questione italiana rimane un pretesto per raccontare le avventure di un’arciere giustiziere dell’epoca medievale (con qualche timido rimando alla Resistenza italiana appena conclusa). Consigliato proprio per questa attitudine a divertire che manca tanto nel cinema italiano (e non solo), che si divide tra serissimi commentari storici o sociali (o peggio individuali con biografie che abbracciano la retorica e l’onanismo) e commediacce o strappalacrime senza gusto.
Scaramouche (1952) di George Sidney>> Quando il marchese Noël De Maynes (Mel Ferrer), il più abile spadaccino di Francia, gli uccide sotto gli occhi il suo più caro amico, André Moreau (Stewart Granger), un simpatico perdigiorno senza arte né parte, vivrà col solo scopo di vendicarlo! Cosa c’è di più italiano di un incontro di scherma in un teatro in cui va in scena l’opera italiana? Questo film diretto dallo stesso George Sidney che ci regalò diversi anni prima un altro grande capolavoro di cappa e spada sul grande schermo (I tre moschettieri), è l’apice assoluto del genere e una degna trasposizione del romanzo di Rafael Sabatini (italiano europeissimo stanziatosi poi in Inghilterra). Perfetto in ogni sua componente. Da vedere!
I Tre Moschettieri (1973)/ Milady (1974)/ Il Ritorno dei Tre Moschettieri (1989) di Richard Lester>> La storia la conoscete tutti, dunque glisso tranquillamente. Quel che forse non sapete è che il regista Richard Lester raccolse materiale per 3 ore ma la casa di distribuzione decise di tagliarlo e venderlo in 2 film (una delle prime volte in assoluto che si divideva un film per esigenze di incasso). Esilarante. Il ritmo è quello di Salgari: al fulmicotone. Gli scontri all’arma bianca nella loro improvvisazione e arrabattarsi sono fantastici, degni dell’epica di Monicelli. E poi il grande sottotesto dell’amicizia virile, di famiglia e le tante scappatelle e amori del giovane D’Artagnan sempre passionali nel bene e nel male… Da vedere!
Ladyhawke (1985)>> Il ladruncolo Philippe Gaston (detto le Rat, “il Topo”) riesce a fuggire dalle prigioni di Aguillon ma solo grazie all’intervento di un misterioso cavaliere non finisce nuovamente sulla gogna. Quello sconosciuto soccorritore Etienne Navarre rivela al giovane il motivo del suo gesto: in quanto unico evaso da quella fortezza è anche l’unico capace di entrarci furtivamente, per uccidere il vescovo! Grande produzione USA-Italia con Parson alle musiche (troppo fuori luogo) ma Storaro alla fotografia pastello e i costumi della grande Nanà Cecchi da soli salvano la baracca. Il grande e sottovalutatissimo Richard Donner alla regia (per un’ambientazione tutta italiana che vi lascio il piacere di scoprire), dirige alla perfezione la coppia Hauer-Pfeiffer davvero ben scelta e che ben recupera il dualismo falco-lupo della maledizione attorno a cui gravita la pellicola. Consigliato.
Legend (1985) di Ridley Scott>> Il film (oltre a La Storia Infinita), senza il quale non avremmo avuto la grande saga videoludica di The Legend of Zelda (quindi vi lascio immaginare che tipo di storia sia). Ve lo lascio scoprire con calma ma vi avverto: se sembra procedere per salti non preoccupatevi, la produzione adoperò dei tagli corposi (dai 113 della Director’s Cut ai 94 europei), e cosa ben peggiore dei nuovi montaggi. Consigliato.
La Storia Fantastica (1987) di Rob Reiner>> Un ragazzino è costretto a letto da un’influenza. Il nonno decide di leggergli una favola, così da distoglierlo dai videogiochi almeno durante la malattia. La storia narra le vicende di due innamorati, un garzone e una principessa, il primo sa di non poter sposare la sua amata senza una qualche ricchezza, così salpa in cerca di fortuna ma muore dopo lo scontro con un terribile pirata. Dopo una lunga resistenza la principessa accetta di maritarsi con un malvagio principe che ama solo il suo regno e trama di ucciderla la prima notte di nozze, ma un misterioso pirata è arrivato nel regno e promette di metterlo in subbuglio…Una pellicola strepitosa, merito del grande sceneggiatore William Goldman, adatta tanto ai piccini quanto ai più grandicelli nonostante l’elemento fantastico sia veramente esiguo per meritarsi una recensione completa. Il motivo per cui sta in questa classifica? Oltre al carattere prettamente comico quasi alla Monicelli (si pensi al duello di furbizia col siciliano), è degno di nota che una delle scene più belle del film (il duello iniziale), veda la citazione (nella versione originale) da parte di Inigo Montoya dei suoi maestri, tutti grandi nomi della scherma italiana (ancora oggi una delle eccellenze del belpaese): Ridolfo Capoferro, Camillo Agrippa, Bonetti. Consigliato (e recuperatevi pure il libro!).
Le Avventure del Barone di Munchausen (1989) di Terry Gilliam>> Una città immaginaria sul mare è assediata dai Turchi; nonostante ciò, all’interno di un piccolo teatro, va in scena la straordinaria storia di Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen. Peccato che un vecchio si presenti come il vero Barone di Munchausen . Film, come i prossimi due, che sfrutta il fantastico come veicolo non solo di puro spettacolo ma soprattutto di analisi e descrizione di questioni della massima importanza che da sempre occupano gli uomini di ogni epoca e latitudine (cercando così di definire l’uomo da sempre in cerca del suo significato). Questo è il capitolo centrale della cosiddetta “trilogia dell’immaginazione” di Gilliam, regista poliedrico, ed istrionico che ha segnato la settima arte in modo indelebile anche grazie a diversi italiani: in questo caso specifico troviamo Gabriella Pescucci (costumista di fama ormai internazionale che fattasi le ossa coi nostri maestri, Fellini, Scola e Leone ha lavorato molto in Europa e America), Dante Ferretti (scenografo, anche lui dopo una lunga gavetta presso gli stessi maestri italiani summenzionati a cui si aggiungono Petri e Pasolini, si apre al mondo legandosi per molto tempo a Scorsese), e Giuseppe Rotunno (direttore della fotografia di Monicelli, Visconti e Fellini si internazionalizza con Nichols e Kramer). Da vedere!
The Fall (2006) di Tarsem Singh>> In un ospedale nella periferia della Los Angeles dei primi del Novecento Alessandria, è una giovane bambina curiosa che per noia si mette a conversare con gli altri pazienti. Fra i tanti il più interessante è un giovane stuntman, Roy che con le sue doti narrative le racconta ogni giorno un pezzo di una storia epica. Così giorno dopo giorno la nostra giovanissima si appassiona, alle vicende dei cinque personaggi: l’arciere Otta Benga (un ex schiavo africano), Luigi (un esperto italiano di esplosivi), un guerriero indiano, il naturalista inglese Charles Darwin con la sua scimmietta Wallace e il “Bandito Mascherato” (o “Rosso”), tutti uniti per uccidere il malvagio governatore spagnolo Odious che, in modi diversi, ha recato loro offesa personale. Il miglior film di Tarsem Singh, noto per le sue pellicole visivamente ineccepibili ma fallimentari al botteghino, ci ha donato uno dei gioielli cinematografici del nuovo millennio. Anche in questo caso l’elemento fantastico è minimo e la storia ha ben altri temi da esplorare (più si avanza e più questi personaggi sembrano legarsi al passato del giovane stuntman che serba però un oscuro segreto). Da vedere!
Il Labirinto del Fauno (2006) di Guillermo del Toro>> La guerra civile spagnola si è conclusa da tempo, e Francisco Franco ha pieni poteri e ovviamente la prima questione è inviare i propri fedelissimi ad eliminare ogni ribelle. Tra questi c’è il capitano Vidal che non rinuncia a questa missione nemmeno con la moglie incinta, infatti se la porta dietro e con lei la sua prima figlia Ofelia nata dal primo matrimonio. In questo contesto di tensione, con la madre sofferente e un patrigno ostile, Ofelia sfrutta la sua immaginazione e si rifugia in un mondo incantato che però si sovrappone alla realtà, rivelando quanto anch’esso sia reale e non solo una fantasia. Idem come sopra, anche in questo caso l’elemento fantastico, ben più preponderante rispetto alla pellicola di Singh, è una “scusa” per esprimere temi più “profondi”. Consigliato.
Ottimo articolo, scritto con competenza e zeppo di spunti. Anche se l’argomento non finisce certamente qui! Per adesso mi appunto la pagina per rileggere il tutto con calma