“The Head Hunter” è un film del 2018 di Jordan Downey, sceneggiatura di Kevin Stewart dai toni cupi e dark fantasy.
L’ambientazione è un costante susseguirsi di brughiere, boschi, piane innevate con un Sole spesso assente e coperto da pesanti nubi grigiastre e notti senza stelle, siamo nel profondo dell’Inverno.
Il lungometraggio, abbastanza breve rispetto ai canoni recenti di questo genere cinematografico, poco più di un’ora di pellicola è stato girato con un budget basso e con pochi elementi riesce a rendere bene sia la storia sia l’atmosfera.
I dialoghi non sono molti, si tratta di un “revenge movie”, un film dove la vera protagonista è la vendetta. Il guerriero solitario al centro della storia ogni volta che ode il suono del corno provenire dal castello va a caccia di teste. Le prede sono creature provenienti dal bestiario mitologico e folkloristico dell’area norrena, germanica e nord europea. Tuttavia non sono mai esplicitate sullo schermo come per esempio in una serie tv come “The Witcher”, il basso budget porta probabilmente il regista a compiere una scelta, e gli effetti speciali hanno un certo costo, si rivela tuttavia vincente il susseguirsi della caccia del guerriero e il mostrare ogni volta il suo trofeo, una testa, come il titolo suggerisce.
Si tratta di uno degli strumenti narrativi tipici del genere horror, il nascondere, piuttosto che mostrare apertamente. Le scelte di sceneggiatura di questo film si discostano molto da quello che siamo abituati a vedere al cinema pensando a un fantasy medievale con toni dark, non ci sono battaglie campali, non ci sono duelli epici, c’è solo la quotidianità di un guerriero e della sua costante caccia.
Scopriamo, mano a mano che la pellicola si svolge, sempre più dettagli sul guerriero e sul suo background, sulla sua storia e sul perchè stia combattendo e stia dando la caccia a creature che di solito gli uomini tendono a evitare. E’ qualcosa che riguarda l’amore verso una persona cara, senza entrare troppo nei dettagli e rovinare la visione a chi ancora dovesse fruire di questo lungometraggio.
Con poco il regista riesce a confezionare e creare un piccolo lavoro di genialità e originalità, basandosi su lunghi e vuoti silenzi, su ampi spazi e paesaggi stupendi che poi diventano estremamente inquietanti durante le notti d’Inverno in cui è ambientato il film. Il bosco, figura archetipica di ogni fiaba e mito germanico e norreno, simbolo dello sconosciuto, dell’ignoto, dello stesso inconscio umano, è un personaggio della storia anch’esso. Il guerriero è figlio dell’ambiente in cui si muove e combatte, e l’ambiente è imbevuto dell’essenza del guerriero, solitario, narratore di molte storie, ma silente, la sua storia è nel profondo dei suoi occhi, Christopher Rygh fa un buon lavoro attoriale e dimostra una presenza scenica molto potente, anche nelle molte scene in cui l’azione è assente e anche il dialogo, è al suo debutto, ma è perfetto per il ruolo, norvegese, un gigante barbuto.
Gli effetti speciali sono usati poco e sono per lo più artigianali, usati bene e con la dovuta parsimonia, riescono a rendere il finale cupo della storia che lascia lo spettatore basito, ammutolito, silenzioso come il bosco innevato.
Si tratta di una pellicola mai didascalica, mai scontata, il worldbuilding è stabilito dalla fascinazione e dalla meraviglia della natura fredda nel pieno dell’Inverno, i dialoghi sono ridotti all’osso, le immagini sono il vero punto di forza. Il regista riesce con pochi e brevi cambi a raccontare una storia solida e convincente, funziona, arriva allo spettatore, si tratta di un tema molto usato nel cinema, anche nel cinema fantasy, la vendetta, la caccia dei mostri, le landscapes nordiche, il tutto in un minutaggio che negli ultimi anni è più tipico di una serie tv che di un film di questo genere. Va sicuramente annoverata tra le opere più originali degli ultimi anni, a battaglie campali e lunghe narrazioni di gesta epiche, Jordan Downey e Kevin Stewart contrappongono minimalismo e oscurità distillata. Certo, vi è anche di mezzo la necessità, ricordando il basso budget utilizzato per realizzare la pellicola, e questo è un esempio perfetto di fare di necessità virtù, ma anche di saper creare con poco, di saper rendere l’idea di un mondo molto più ampio di quello messo realmente in scena, di saper mostrare una storia senza doverla troppo giustificare con lunghe spiegazioni, è tutto mostrato sullo schermo, è tutto lì, basta immergersi nell’atmosfera e nel silenzio che fa da protagonista a questo film.
Si tratta di un lungometraggio che verte sul dark fantasy e sull’horror, un buon lavoro realizzato con 30.000 dollari di budget. Consiglio la visione a tutti gli appassionati del genere fantasy, specialmente sword & sorcery, che spesso si mescola con tinte cupe, sebbene qui la magia è qualcosa che esiste solo nella sua forma più tetra e oscura. Se vi piacciono i racconti di cacciatori di creature notturne, boschi innevati, freddo acciaio, questo è un film da vedere assolutamente.