Dettagli
Titolo: “Le Cronache di Prydain“
Autore: Lloyd Alexander
Editore: Mondadori
Collana: Oscar Draghi
Genere: fantasy
Pagine: 756
Prezzo: 28 Euro
Sinossi
Nel primo volume, Il libro dei tre, facciamo la conoscenza di Taran, Assistente Guardiano di Maiali, che vive nella bucolica Caer Dallben assieme al fabbro Coll e al vecchissimo mago Dallben. Taran sogna di diventare un grande guerriero, ma il suo compito è quello di prendersi cura della scrofa profetica Hen Wen, su cui vorrebbe mettere le mani il Re dalle Lunghe Corna, emissario del malvagio signore di Annuvin, Arawn. Un giorno Hen Wen scappa, e da qui hanno inizio molte avventure per Taran, che parte alla ricerca della maialina e finisce per incontrare molti compagni di viaggio – il principe Gwydion, la creatura Gurgi, la principessa Eilonwy, il re e bardo girovago Fflewddur Fflam e il nano Doli – e per affrontare temibili nemici, come la strega Achren e i Figli del Calderone, un esercito di non-morti al servizio di Arawn.
Nel secondo volume, Il calderone nero, il principe Gwydion riunisce a Caer Dallben un consiglio di principi e guerrieri per sventare la minaccia del malvagio Arawn, che ha in suo possesso un calderone magico in grado di far resuscitare i cadaveri e di creare un esercito di guerrieri invincibili, chiamati, per l’appunto, i Figli del Calderone. Il piano è quello di attaccare Annuvin e distruggere il calderone, ma le cose si complicano quando si scopre che il Crochan Nero (così si chiama il calderone magico) è scomparso. La quest consisterà dunque nel ritrovarlo e distruggerlo, ma non senza un prezzo da pagare. Il tono di questo secondo romanzo è più cupo rispetto a Il libro dei tre, e affronta tematiche come la perdita e il sacrificio, come nota anche Lloyd Alexander nella sua Nota dell’autore: «Se al di sotto di una certa esaltazione dell’animo fa capolino una sfumatura più cupa, questo è perché gli avvenimenti di questa seconda parte hanno importanti conseguenze sia per la Terra di Prydain sia per Taran, l’Assistente Guardiano di Maiali. Per quanto si tratti di un mondo del tutto immaginario, Prydain non differisce troppo da quello reale nelle sue parti essenziali: in esso umorismo e disperazione, gioia e tristezza s’intrecciano costantemente, e le scelte e le decisioni che un perplesso vice-porcaro si trova a dover affrontare non sono meno difficili di quelle a cui ci troviamo di fronte noi stessi. Perfino nel regno della fantasia, è necessario pagare un certo prezzo per raggiungere la maturità» (p. 133).
Nel terzo volume, Il castello di Llyr, la principessa Eilonwy «fa molto di più che affrontare l’inevitabile (e per lei assolutamente superflua) impresa di diventare una giovane signora» (p. 261). Eilonwy viene infatti inviata alla corte dell’Isola di Mona (da Ynys Môn, nome gallese dell’isola di Anglesey) per ricevere un’educazione degna del suo nobile casato, la Casa di Llyr. Taran e Gurgi la accompagnano a malincuore a Mona, dove incontrano il goffo principe Rhun, il bardo Fflewddur Fflam e il principe Gwydion sotto mentite spoglie. Ma ecco che Eilonwy viene rapita da Magg, siniscalco della famiglia reale di Mona al soldo della malvagia strega Achren. Inizia così per Taran e i suoi amici una quest per ritrovare la principessa.
Commento
Le Cronache di Prydain sono state pubblicate per la prima volta nella gloriosa Fantacollana Nord per poi non essere più ristampate. Nel 1986 uscì, come sessantaquattresimo numero della Fantacollana, La Saga di Prydain, che conteneva i primi tre volumi della pentalogia scritta da Lloyd Alexander: Il libro dei Tre (The Book of Three, 1964), Il Calderone nero (The Black Cauldron, 1965) e Il castello di Llyr (The Castle of Llyr, 1966). Successivamente, nel 1989, uscì il novantesimo numero della Fantacollana, intitolato Taran di Prydain, che conteneva i restanti due volumi: Taran il girovago (Taran the Wanderer, 1967) e Il sommo re (The High King, 1968). I due volumi della Fantacollana vennero poi riuniti in un volume unico del 1998, Storie della terra di Prydain, che includeva tutti e cinque i romanzi della saga.
Il 22 novembre 2022 è finalmente uscito per Mondadori un volume della collana Oscar Draghi che in più di settecento pagine raccoglie tutte Le Cronache di Prydain e colma una lacuna editoriale nel campo della letteratura fantasy durata oltre venti anni. Questa splendida nuova edizione illustrata da P.J. Lynch, oltre a mantenere la traduzione di Annarita Guarnieri, contiene anche otto racconti finora inediti in Italia che appartengono alla raccolta Il trovatello e altre storie (The Foundling and Other Tales of Prydain, 1973).
Dotta, come sempre, la prefazione del curatore Massimo Scorsone, I colori di Prydain, che si apre con una citazione in esergo tratta dall’epistolario tolkieniano: «Conosco le cose celtiche (molte nelle loro lingue originali, irlandese e gallese), e non mi piacciono molto: soprattutto per la loro fondamentale irrazionalità. Hanno colori brillanti, ma sono come una vetrata rotta e riassemblata senza un progetto»1. Tale citazione, seppure opportunamente contestualizzata in nota, non rende pienamente giustizia allo spirito di Tolkien, qui presentato come intransigente fautore di un high fantasy (si noti che il termine è stato coniato proprio da Lloyd Alexander nel 1971) fondato sul «nordicismo eddico» (p. VI). Quello tra Tolkien e le Celtic things, è certo un rapporto «complesso e ambivalente» (p. V), ma non dobbiamo dimenticare l’amore e la passione che sempre hanno accompagnato Tolkien. Basti pensare che nel 1914, ancora studente, spese i soldi vinti grazie allo Skeat Prize (£5) – unico premio mai vinto a Oxford – per acquistare alcuni testi di William Morris e la Welsh Grammar (1913) di Sir John Morris-Jones, su cui si mise a studiare gallese. A Oxford, il suo mentore Joseph Wright, Diebold Professor of Comparative Philology, gli diede questo consiglio: «Occupati del celtico, ragazzo mio; è lì che si fanno i soldi»2; anche se, come sappiamo, Tolkien divenne un’autorità nel campo della filologia germanica. All’università di Leeds insegnò, tra le altre cose, gallese medievale; come è stato riportato da Carl Phelpstead nel suo Tolkien and Wales: Language, Literature and Identity (2011), operò inoltre una traduzione, purtroppo incompiuta, dell’episodio di Pwyll, il primo dei Quattro Rami del Mabinogion gallese (Bodleian A.18/1.135-153). Nel suo saggio Inglese e gallese (1955) scrisse: «il gallese è di questa terra, di quest’isola, la lingua più vecchia degli uomini di Britannia; e il gallese è bello»3, e ricordiamo che questa lingua ebbe un notevole influsso sul Sindarin.
Ma torniamo a Lloyd Alexander, che per scrivere la sua pentalogia de Le Cronache di Prydain si ispirò al Galles leggendario del Mabinogion. Si tratta di una raccolta di undici storie gallesi a noi giunta in due manoscritti: il Llyfr Gwyn Rhydderch (“Libro Bianco di Rhydderch”, inizio XIV secolo) e il Llyfr Coch Hergest (“Libro rosso di Hergest”, fine XIV – inizio XV secolo)4. Tuttavia, la natura di questo corpus di leggende – alcune delle quali collegate al ciclo di re Artù – è piuttosto composita, e affonda le proprie radici nel patrimonio dei miti celtici e nella tradizione orale. Il nome deriva dal titolo della prima traduzione inglese dell’opera, The Mabinogion (1838-49), coniato da Lady Charlotte Guest. Il termine deriva dal gallese mabinogi (plurale mabinogion), che significa “racconti dell’infanzia”. Nel 1982 uscì per gli Oscar Mondadori uno splendido cofanetto dal titolo Saghe e leggende celtiche, con all’interno due volumi: La saga irlandese di Cu Chulainn e I racconti gallesi del Mabinogion, curati e tradotti da Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini. Curiosamente, i volumi avevano in copertina due illustrazioni dei Fratelli Hildebrandt: “Il Matrimonio tra Aragorn e Arwen” e “Il ritorno di Gandalf”. Tanto J.R.R. Tolkien quanto Lloyd Alexander hanno tratto ispirazione dal Mabinogion per le loro opere, ma una più fedele trasposizione della raccolta medio-gallese (quello che oggi chiameremmo un retelling) è la tetralogia del Mabinogion della statunitense Evangeline Walton: The Island of the Mighty (1970), The Children of Llyr (1971), The Song of Rhiannon (1972), Prince of Annwn (1974), riuniti e tradotti nel volume I Mabinogion (Garzanti–Vallardi 1980 e Tea 2004).
Lloyd Alexander, scrivono gli autori di The Encyclopedia of Fantasy, «come con le opere di J.R.R. Tolkien, passa da un fantasy per bambini relativamente leggero ad affrontare tematiche complessivamente più elevate, profonde e oscure. […] L’ambientazione da terra fiabesca assomiglia al Galles mitico del Mabinogion, porzioni del quale L[loyd] A[lexander] ha liberamente e talvolta bonariamente adattato. Ciò porta a semplificazioni: Gwydion, amorale in modo affascinante, e Arawn (un re dell’Oltretomba), torvo ma rispettabile, si tramutano rispettivamente in un impeccabile seppure schivo eroe e un ordinario quanto malvagio Signore Oscuro»5. Quelli qui citati non sono gli unici elementi tratti dal Mabinogion, ma prima di analizzare gli altri premettiamo le parole dello stesso Lloyd Alexander nella Nota dell’autore a Il libro dei tre: la sua saga, afferma, «non intende essere una trasposizione in termini nuovi della mitologia gallese: Prydain non è il Galles, o almeno non lo è del tutto. L’ispirazione da cui è nato il racconto è sorta da quella splendida terra e dalle sue leggende ma, essenzialmente, Prydain è un luogo che esiste soltanto nel mondo dell’immaginazione. Alcuni, ma pochi dei suoi abitanti sono stati estratti da antichi racconti: Gwydion, per esempio, è una “vera” figura leggendaria, e Arawn, il cupo signore di Annuvin, proviene dal Mabinogion, la classica raccolta di leggende gallesi, anche se a Prydain si comporta in maniera senz’altro più malvagia. Un’autentica base mitologica è reperibile anche per il calderone di Arawn, per la scrofa profetica Hen Wen, per il vecchio mago Dallben e per altri personaggi ancora, sebbene sia Taran, Assistente Guardiano di Maiali, sia Eilonwy dai capelli biondo ramato esistano solo nel mio Prydain» (p. 7), o ancora, nella Nota dell’autore a Il calderone nero: «I lettori che si avventurano per la prima volta in questo regno dovrebbero anche essere avvertiti che il paesaggio, a prima vista, potrebbe sembrare quello del Galles, e gli abitanti potrebbero evocare eroi delle antiche leggende gallesi. Queste erano le radici e l’ispirazione. Ma il resto è opera di fantasia, simile solo nello spirito, non nei dettagli» (pp. 133-134).
Ecco un breve elenco di luoghi, oggetti e personaggi di Prydain ispirati alle antiche leggende gallesi:
Achren, un tempo regina di Prydain e consorte di Arawn / probabilmente ispirata ad Arianrhod o Aranrot, figlia di Don e sorella di Gwydion.
Adaon, figlio di Taliesin, possessore di una spilla dai poteri profetici / citato ne Il sogno di Ronabwy come «il più cortese e saggio di quest’isola» e come figlio di Taliesin.
Annuvin (o Annwn), regno di Arawn / oltretomba gallese.
Arawn, signore della morte e della guerra, antagonista principale della saga / re di Annwn, nel primo ramo del Mabinogion scambia le proprie sembianze con Pwyll, principe di Dyvet, per sconfiggere il re nemico Hafgan.
Belin, spesso invocato da Flewddur Fflam (“Grande Belin!”) / ispirato a Beli Mawr (“Beli il Grande”), sposo di Dôn, leggendario re di Britannia, citato come Belinus nell’Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth. Il suo nome è forse associato al dio celtico Belenus.
Cantrev (o cantref), suddivisione territoriale del Galles medievale.
Crochan (calderone di), calderone magico impiegato da Arawn per resuscitare le spoglie dei guerrieri morti e per costituire un proprio invincibile esercito di non-morti, chiamati appunto Figli del Calderone / si ispira al Pair Dadeni (“Calderone della Rinascita”) che nel secondo ramo del Mabinogion riporta in vita i guerrieri caduti. Si narra infatti che il re di Britannia Brân il Benedetto avesse fatto dono al re d’Irlanda Matholwch di un calderone magico in grado di riportare in vita i morti in riparazione di un danno subito da Evnissyen, fratellastro malvagio di Brân. Scoppiata la guerra tra i due paesi, Evnissyen riesce a distruggere il calderone in possesso degli irlandesi sacrificando se stesso e gettandosi al suo interno, salvando così i suoi compagni. Allo stesso modo, ne Il calderone nero, il traditore Ellidyr si getta nel calderone magico distruggendolo per sempre.
Don (Figli di), casa regnante di Prydain / Dôn, dea madre gallese, sposa di Beli, madre di Arianrhod e Gwydion; associata alla dea madre irlandese Danu.
Dyrnwyn (in gallese, “bianca elsa”), spada ritrovata da Taran e Eilonwy nella cripta del castello della malvagia strega Achren / citata tra i Tri Thlws ar Ddeg Ynys Prydain (“I tredici tesori dell’Isola di Britannia”) come una spada appartenuta alla figura mitica di Rhydderch il Generoso.
Gwydion, principe di Don, erede al trono di re Math, più grande guerriero di Prydain / figlio di Dôn, nipote di re Math, potente mago e astronomo (a lui si deve il nome gallese della Via Lattea, Caer Gwydion). Nel Mabinogion, Gwydion inganna la sorella Arianrhod travestendosi assieme al figlio di lei Lleu Abile Mano da calzolaio, così come ne Il castello di Llyr Gwydion si finge calzolaio sull’isola di Mona.
Llyr (casata di), famiglia reale dell’isola di Mona, i cui membri sono spesso dotati di poteri magici, come la principessa Eilonwy / divinità marina gallese, associata all’irlandese Lir. Da questa divinità potrebbe derivare il nome del leggendario re di Britannia Leir. Alla storia di Leir, ripresa dall’Historia Regum Britanniae, si ispirò Shakespeare per il suo celebre Re Lear.
Math, sommo re di Prydain / figlio di Mathonwy, signore del Gwynedd (Galles settentrionale), uno dei maghi più potenti della tradizione gallese dopo il nipote Gwydion e Merlino.
Prydain, termine gallese che nella tradizione medievale costituiva l’espressione Ynys Prydain (“Isola di Britannia”, cfr. latino insula Britanniae) o Prydain Fawr (“Gran Bretagna”) nell’uso moderno. Durante la dominazione romana, le popolazioni a nord dei confini, stanziate nell’odierna Scozia, vennero chiamate Pitti (il termine latino Picti deriva dall’abitudine di dipingersi il corpo prima di scendere in battaglia). La terra dei Pitti era detta Prydyn in antico gallese, termine che originariamente indicava la sola Scozia, ma che venne successivamente usato anche come sinonimo di Prydain. Lo storico greco Diodoro Siculo definì le isole britanniche Pretannike, termine ripreso dagli scritti di Pitea di Marsiglia. Tale termine di origine celtica doveva significare appunto “(l’isola degli) uomini dipinti o tatuati”. Secondo la tradizione gallese, basata sulle Triadi gallesi (Trioedd Ynys Prydein) e sulla Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, la Gran Bretagna si divideva nelle regioni di Cambria (latinizzazione del termine gallese Cymru “Galles”), Loegria (dal gallese medievale Lloegyr “Inghilterra”, da cui il reame semi-leggendario della matière de Bretagne nota come Logris ne Le Morte d’Arthur e Logres nelle opere di Chrétien de Troyes) e Albany (dal gaelico scozzese Alba “Scozia”, citata nei testi greco-latini come Albione).
Taliesin, bardo supremo di Prydain / mitico bardo gallese del VI secolo
Le Cronache di Prydain sono un titolo imprescindibile per gli appassionati dell’high fantasy. Questa saga, pubblicata negli anni ‘60, non sembra particolarmente invecchiata: la sua scrittura è fresca e scorrevole. Le atmosfere fiabesche dipingono un Galles leggendario, ma Lloyd Alexander non si limita a trasporre la materia delle leggende gallesi in chiave fantasy e in una forma accessibile a un pubblico di ragazzi, ma la reinterpreta in maniera originale e personale. L’autore dà anche prova di conoscere gli antichi costumi celtici: per esempio, l’immagine del dare alle fiamme canestri di vimini in cui sono rinchiuse vittime sacrificali, definita da Gwydion «un altro antico costume che sarebbe meglio dimenticare» (p. 33), è ripresa direttamente dal De Bello Gallico (VI, 16) di Cesare. Il suo protagonista, Taran, è un eroe riluttante, che non si sente all’altezza del proprio compito. La sua è anzitutto una storia di formazione, come si può evincere anche dalle ultime pagine de Il libro dei tre, quando tornato alla bucolica fattoria di Caer Dallben sente che qualcosa è cambiato, capisce di essere cresciuto. Il viaggio dell’eroe è sempre un percorso di crescita del personaggio: Taran, infatti, ha imparato a prendersi le proprie responsabilità e a portare a termine i suoi compiti.
Dai libri al film: Taron e la pentola magica (1985)
«Nella leggendaria Terra di Prydain vi era un tempo un re così crudele che perfino gli dei lo temevano. Poiché non esisteva prigione dove potesse essere tenuto rinchiuso, venne buttato vivo in un crogiolo pieno di ferro fuso. Ma la sua anima malefica non morì, e prese la forma di una grossa pentola magica. Per secoli e secoli, uomini malvagi andarono alla ricerca della pentola magica, ben sapendo che chiunque l’avesse posseduta avrebbe avuto il potere di radunare un esercito di guerrieri immortali, e quindi, di dominare il mondo»
(Prologo del film Taron e la pentola magica, 1985)
Con queste parole si apriva un grandioso quanto sottovalutato film d’animazione Disney, Taron e la pentola magica (The Black Cauldron, 1985). Il film, diretto da Ted Berman e Richard Rich, è basato sui primi due romanzi delle Cronache di Prydain, Il libro dei tre e Il calderone nero. La trama, tuttavia, subì pesanti rimaneggiamenti da parte dei registi di Red e Toby. Come ci si può facilmente aspettare da una pellicola così dark (tanto è vero che molte scene vennero tagliate per evitare divieti), il film si rivelò un flop di critica e di pubblico, oggi giustamente riscoperto e rivalutato. Taron e la pentola magica, tra l’altro, è stato il primo film di animazione a fare uso di computer grafica (CGI), e può vantare un giovane Tim Burton come art director. Per chi fosse curioso di sapere quale opinione avesse Lloyd Alexander di questo film Disney, ecco le parole dell’autore in una sua intervista: «Per prima cosa, devo dire che non c’è alcuna somiglianza tra il film e il libro [Il calderone nero]. Ciò detto, il film in sé e per sé, l’ho trovato molto godibile. Guardandolo mi sono divertito. Ciò che spero è che chiunque guardi il film senz’altro si diverta, ma spero anche che abbiano letto davvero il libro. Il libro è abbastanza diverso. Una storia molto potente, molto toccante, e credo che la gente troverebbe molta più profondità nel libro».
Mentre la versione inglese del film manteneva i nomi originali dei personaggi, l’adattamento italiano mutò (probabilmente per ragioni di pronuncia) Taran in Taron, Hen Wen in Ewy, il Re dalle Lunghe Corna (Horned King) in Re Cornelius, Gurgi in Gurghi, Eilonwy in Ailin, Fflewddur Fflam in Sospirello (sic!), re Eidilleg in Fingal e (udite! udite!) le streghe Orddu, Orwen e Orgoch in Orchina, Orcona e Orvina.
Le differenze tra i libri e il film sono numerose: nel film, per esempio, Dallben (qui un semplice guardiano di maiali e non un mago centenario) ordina a Taron di nascondere la maialina Ewy nel bosco, mentre nel libro è proprio la fuga di Hen Wen a mettere in moto l’azione; i gwyhtaint sono tramutati da uccelli in draghi; il castello di Achren diventa la reggia di Re Cornelius, in cui Ewy viene condotta prigioniera al suo cospetto. Taron viene catturato e condotto nelle segrete, dove incontra la principessa Ailin e Sospirello il menestrello. Cercando la maialina, giungono nel regno del Popolo Fatato, che si trova al di sotto di un lago proprio come nel libro. Nel film è il re dei folletti a rivelare che la pentola magica è nascosta a Morva, ed è l’irascibile folletto alato Doli (e non il burbero nano del libro) a guidarli (per poi scomparire in malo modo dopo aver ritrovato il calderone), mentre Ewy viene lasciata nel regno del Popolo Fatato. Nel film le tre streghe decidono di barattare la pentola magica con la spada di Taron, ne Il calderone nero Taran deve invece cedere la spilla donatagli da Adaon. A sacrificarsi e a gettarsi nella pentola magica è Gurghi, ponendo fine all’armata dei non-morti, ma la pentola risucchia al suo interno re Cornelius facendo crollare l’intero palazzo (scena ripresa da Il libro dei tre). Ma il lieto fine disneyiano vuole che alla fine Gurghi venga riportato in vita quando le tre streghe chiedono indietro il calderone barattandolo con la vita della creatura.
L’autore
Lloyd Chudley Alexander (1924-2007), nato a Philadelphia, Pennsylvania. Ha scritto più di quaranta libri per bambini e adulti, tra cui Le Cronache di Prydain, una delle serie fantasy più lette e amate.
Tra le altre sue opere ricordiamo la trilogia di Westmark (da noi è uscito solo il primo volume, Terra d’occidente, edito da Salani), altri romanzi autoconclusivi, raccolte di racconti, testi autobiografici, saggi e persino la prima traduzione inglese de La nausea di Jean-Paul Sartre. Nel suo saggio High Fantasy and Heroic Romance (1971) ha coniato il termine high fantasy.
1J.R.R. Tolkien, H. Carpenter – C. Tolkien (a cura di), Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2018, p. 44
2J. R. R. Tolkien, C. Tolkien (a cura di), Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2004, p. 240
3J. R. R. Tolkien, C. Tolkien (a cura di), Il medioevo e il fantastico, Luni Editrice, Milano–Trento 2000, p. 276
4Quest’ultimo nome potrà ricordare a qualcuno lo pseudobiblion tolkieniano del Red Book of Westmarch
5J. Clute – J. Grant, The Encyclopedia of Fantasy, Orbit, London 1997, p. 17, trad. mia
Articolo di EMILIO PATAVINI