Recensioni: “Il mago” di Somerset Maugham

Dettagli


Titolo: “Il mago

Autore: Somerset Maugham

Editore: Adelphi

Collana: Biblioteca Adelphi

Genere: romanzo occulto

Pagine: 254

Prezzo: 18 Euro

Sinossi

Corpulento, teatrale, sfrontato, gli occhi che sembrano trapassare l’interlocutore, Oliver Haddo ha l’aria di «un prete sensuale, malvagio». Conosce come pochi la letteratura alchemica e la magia nera, si definisce Fratello dell’Ombra ed è ossessionato dal desiderio di vedere «una sostanza inerte prendere vita» grazie ai suoi incantesimi – dal desiderio «di essere come Dio». Arthur Burdon, il brillante chirurgo che lo incontra a Parigi, non ha dubbi: è uno spregevole ciarlatano, un impostore, forse un pazzo. Ma quando Margaret, la giovane dalla bellezza perfetta che sta per sposare, e che per il mago provava all’inizio un violento disgusto, comincia a esserne morbosamente attratta – come se «nel suo cuore fosse stata seminata una pianta infestante, che insinuava i lunghi tentacoli velenosi in ogni arteria» – e fugge con lui in Inghilterra, comprende che dovrà misurarsi con forze immani, di cui sinora ha voluto ignorare l’esistenza. Dalla sua parte si schiereranno il dottor Porhoët, appassionato di alchimia, e la fedele amica e protettrice di Margaret, Susie, ma lo scontro – che Maugham trasforma in una spirale di irresistibile tensione – sarà aspro, tenebroso, lacerante: perché il male che il pragmatico dottor Burdon dovrà combattere è in fondo un’oscura «fame dell’anima», fame di una vita infinitamente viva, di rischiose avventure, di conoscenza soprannaturale e di ignota bellezza.

Commento

Incensi e velluto nero – Il ritorno de “Il mago”

Oliver Haddo – è noto – costituisce una maschera per Aleister Crowley.

Non importa cosa abbia asserito a riguardo Somerset Maugham, autore de “Il mago”, secondo cui, in fondo, allo spunto iniziale ispirato dalla figura del celeberrimo stregone inglese, sarebbe poi seguita una gargantuesca esagerazione, per la quale al suo personaggio egli diede “poteri magici che, pur vantandosene, Crowley non possedette mai”.

Ben conscio che la magia è “la Scienza e l’Arte di causare cambiamenti in conformità con la Volontà”, Crowley si adoperò a tutto campo per divenire nel tempo ben più di Haddo che, nel suo essergli troppo familiare, gli era risultato come uno specchio sgradevolmente sincero. Surclassarlo, dunque, ma alla sua maniera, rendendolo più vero del vero. Gli riuscì.

Basterebbe ricordare questo punto iniziale, annotandolo bene, perché le coordinate di un romanzo come “Il mago” smettano di allontanarsi da quello che è il suo centro ineludibile. E del resto, anche numeri e date virano tutti inesorabili verso questa parte, che non è poi altro che quella di un altro nome il cui incontro non è certo inatteso: Golden Dawn.

Famigerata, copiata, spezzata e ricostituita. Eppure manifestazione esemplare, nel suo essere la congrega esoterica più nota dei suoi giorni, di una certa porzione dello Zeitgeist europeo all’inizio del XX secolo, prima delle tempeste d’acciaio.

Nel 1904 Machen, suo iniziato, pubblica il romanzo esoterico per eccellenza della sua produzione, “Il Popolo Bianco”. Nello stesso anno Crowley, che della Golden Dawn era ai tempi l’autorità, si reca al Cairo atteso dalla misteriosa entità che gli annuncerà, la sua voce incanalata da segrete cerimonie, l’avvento di un nuovo eone. Due anni dopo Algernon Blackwood, ennesimo autore dedito al soprannaturale membro del sodalizio, pubblica “The Empty House and Other Ghost Stories”, in parte ispirato a reali episodi di “ricerca psichica”.

È infine nel 1908 che Maugham, non personalmente adepto, ma vicino tramite varie amicizie all’ambiente esoterico londinese, pubblica “Il mago”. Quando si dice cogliere il momento giusto.

Probabilmente, quello che Crowley non gradì del suo alter ego, era il ristagno ben poco mirabolante degli interessi di Haddo. Pur rispecchiando con la sua tronfia megalomania l’attitudine inveterata de “La Bestia” nel ritenersi il predestinato alle massime ascese verso le nuove regioni della gnosi, Haddo è in fondo banale nel suo slancio faustiano di ricreare la vita.

Il suo intento segreto, scoperto solo nel finale dell’opera dall’incongruo drappello di avversari che tanto richiama i sodali in lotta contro un certo voivoda dei Carpazi, è infatti assieme prometeico e maledetto, ma tutto sommato scontato.

Se Haddo intende donare vita alla materia inerte, restando così vincolato in ultimo al comune mondo sublunare, Crowley intendeva invece usare l’argilla costituita dall’essere umano per trascendere i limiti dell’esistenza, percorrendo a questo scopo ogni tappa della via iniziatica della magia sessuale e dello Yoga come già facevano (non al suo livello, ça va sans dire…) gli affiliati all’Ordo Templi Orientis di Reuss, che infatti divennero presto suoi discepoli nella Legge di Thelema.

Ma c’è di più: Oliver Haddo cela – sotto la spocchia con cui si pavoneggia – degli intenti che, pur straordinari, sono espressione di una malvagità tutto sommato tranquillizzante.

Come Dracula, egli irrompe nello scorrere ordinato della vita di cittadini borghesi, lieto di utilizzarne l’intrinseca debolezza fisica, spirituale e psicologica per i suoi scopi. Se però il patrizio non morto è un parassita, eternamente fluttuante sul confine tra esistenza crepuscolare e sepolcro, il Mago pare essudare un surplus di energia vitale. Solo apparentemente la loro sensualità magnetica si assomiglia, producendo effetti simili da basi opposte. Come il suo ispiratore, Haddo manipola energie che hanno effetto perché sorrette da una unione singolare e sublimata di corporeità strabordante e psiche indomabile. E tuttavia, come accennato, la realtà supera la fantasia.

Solo superficialmente Haddo e Crowley condividono i piaceri della carne e del dominio delle menti. Allo stregone britannico infatti non può che andare stretto un abito cucito su misura per chi ha per orizzonte un potere ancora tutto “di qua”, e le pagine di Maugham diventano sempre più rapidamente una fotografia precocemente ingiallita, quasi un fortuito scatto che ritrae la tappa di un percorso personale altrimenti dimenticata, e da lungi superata. Come accennato, Crowley non perdonò mai l’autore delle pagine che lo limitavano a una malvagità letteralmente teatrale. Maugham, dal canto suo, smise presto di nutrire affetto per un lavoro che, ormai in età avanzata, giudicò stilisticamente desueto e immaturo, e forse troppo ruffiano nei confronti del pubblico.

Cosa resta dunque de “Il mago” oggi che Adelphi lo ha riproposto al numero 712 della collana Biblioteca?

Archiviata la foto di cui sopra, forse molto poco, direbbero i meno accorti, dipendendo in buonissima parte il fascino della narrazione – in sintesi la storia “nera” di una sottrazione muliebre – dal carisma del suo villain.

Ma sarebbe un errore di giudizio affermarlo, qualcuno sviato in questo dall’ennesimo gioco di prestigio che, tra citazioni cabalistiche, dialoghi d’antan e un finale volutamente esagerato, può essere facile scambiare per realtà.

Ancora permeato da classiche atmosfere fine secolo, il romanzo di Maugham è infatti per certi versi una straordinaria silloge di inquietudini genuinamente ottocentesche, vere e proprie eggregore che rifiutano di dissolversi sulla soglia dei confini cronologici. All’incombere di paure nuove e perciò ancor più terrifiche, Maugham rispose con un melodramma oscuro e morboso, che provava a rinnovare stilemi antichi e non – Crowley stesso glielo rimproverò, tra un insulto e l’altro – ricorrendo alla polpa di uno stregone, ingrediente in ciò davvero degno di un grimorio maledetto.

E i traumi dei protagonisti, costretti ad accettare prima l’irriducibile diversità quasi ontologica tra loro e il mago, poi a scorgere il profilo di un altro mondo appena oltre il tranquillizzante orizzonte delle convenzioni, rimangono tutt’oggi questioni irrisolte, fatte sparire sotto il tappeto della postmodernità con la cautela di chi spera di dimenticarsele solo perché comincia un nuovo secolo (come sempre, del resto).

In fondo, che uno dei tanti lasciti di Crowley – Haddo sia costituito dalle allegorie di un personale mazzo di tarocchi, non deve stupirci, anzi: allude molto di più al senso della questione di quanto non facciano forse le elucubrazioni degli psicanalisti.

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