16.05.2023 h 20.45 – Siracusa, Teatro Greco
È finita.
Davvero finita. Finita così, con il pavimento della scena che si solleva, si inclina, lascia cadere in ordine sparso il ricco mobilio di una casa moderna che rappresenta il palazzo reale di Corinto. Una voce lirica accompagna la musica drammatica. Ora che i protagonisti, Medea e Giasone, sono usciti dalla tragedia rimane solo il coro delle serve che, munite di secchiello e con passo strascicato, risalgono il piano inclinato. La voce sale di un’ottava, è una pugnalata al cuore. Le serve sono in ginocchio e, con rabbia, estraggono dei panni tinti di rosso – panni che all’inizio della tragedia erano bianchi.
Il rosso del sangue che è stato versato.
Finisce così Medea di Euripide, regia di Federico Tiezzi, in scena per oltre due mesi al Teatro Greco di Siracusa [1]. È sempre uno spettacolo prodigioso: gli spettatori in piedi, gli applausi, l’ovazione e gli attori che, deposti i ruoli, escono per mano a raccogliere il consenso del pubblico. La tragedia inizia sul fare della sera e termina oltre il tramonto, la fila di cipressi sul retro della scena è ancora visibile; sopra gli alberi brillano le stelle e l’intera cavea del teatro accende le luci di un cellulare per sottolineare l’atmosfera magica che si respira. Per un attimo, dimentico di essere nel XXI secolo e torno indietro di duemilacinquecento anni. Era il 431 a.C. e Medea di Euripide debuttava ad Atene, piazzandosi soltanto al terzo posto delle Grandi Dionisie, i festeggiamenti dedicati al dio Dioniso, durante il quale venivano rappresentate le opere teatrali greche. Esco dal teatro inviando le foto più belle dello spettacolo ai miei familiari, scrivendo alcune note preliminari su Medea, forse uno dei personaggi più controversi dell’intera mitologia greca.
Medea, Medea… come hai potuto?

Medea, il mito
20.05.2023 h 15.00 – Siracusa, soggiorno di casa
Apro l’anta della vetrina che funge da libreria, tiro fuori un volumone e lo sfoglio sul divano cercando di scacciare la sonnacchia che minaccia il primo pomeriggio. I Miti Greci di Robert Graves, uno strano compendio di mitologia greca diviso in sezione e sottosezioni, con note critiche e fonti primarie impiegate dall’autore [2]. In una parola, uno dei migliori riferimenti sul tema. Sfoglio l’indice passando in rassegna gli episodi che riguardano Medea.
Medea è una principessa, figlia di Re Eete della Colchide, un antico stato corrispondente alla piccola area occidentale dell’odierna Georgia. La sua ascendenza è prodigiosa: da via paterna, Medea è imparentata con Elio, il Sole; per via matrilineare, invece, Medea viene ricondotta a Idia, una ninfa del titano Oceano. Entrambi questi elementi, la provenienza da un paese ‘barbaro’ al limitare dei territori greci, e la vicinanza alla tradizione dei Titani, rendono Medea una donna esotica, dal fascino misterioso [3]. Analogamente a Circe, di cui è nipote, Medea è una maga capace di manipolare i pharmakeia, un termine che include droghe e pozioni magiche e che, per estensione, per lo più con un’accezione negativa, finì per indicare gli stregoni. In un passo del romanzo Circe, Eete vanta alla sorella una profonda conoscenza delle arti magiche, in grado di stregare i sensi degli uomini e di velare il cielo di nero: «Pharmakeia, così si chiamano queste arti, poiché hanno a che fare con i pharmaka, quelle erbe con il potere di operare mutazioni nel mondo, quelle che spuntano dal sangue degli dei così come quelle che crescono comunemente sulla terra. Saperne estrarre la potenza è un sono, e non sono il solo a possederlo. [4]».

Medea, insomma, ha un pedigree di tutto rispetto in fatto di arti magiche e i numerosi episodi che lo coinvolgono non fanno che confermare tale propensione. Il mito più noto di Medea è relativo alla storia d’amore con l’eroe greco Giasone. Giunto in Colchide per conto dello zio Pelia, che regna nella città di Iolco dopo aver usurpato il fratello, Giasone è alla guida di una spedizione per la conquista del Vello d’Oro in compagnia di un equipaggio che, nell’insieme, formano la leggendaria ciurma della nave Argo. Per dissuadere Giasone dalla sua impresa, re Eete, possessore del Vello d’Oro, impone due prove all’eroe. Prove che quest’ultimo non sarebbe mai riuscito a superare se non fosse stato per l’intermediazione di Medea. Innamoratasi dell’eroe, la principessa della Colchide abbandona la sua terra natia per la promessa di un matrimonio con Giasone.
Inizia così la storia di Medea e Giasone, del loro ritorno in Grecia. Sarà l’inizio di una serie di sciagure. Dapprima il matrimonio, segnato dalla morte del fratello di Medea, che stava alle calcagna della coppia per riportare a casa la principessa; poi, l’arrivo a Iolco, paese natio di Giasone. Proprio qui, Medea sfoggia la sua capacità di tessere trame cervellotiche, volte a raggiungere i propri obiettivi, in questo caso eliminare Re Pelia per spianare la strada a Giasone verso il potere: su suggerimento di Medea, le figlie del Re uccidono il padre e ne bollono il corpo smembrato in un calderone che avrebbe dovuto riportare il sovrano alla giovinezza. Tacciata di stregoneria, Medea viene cacciata da Iolco insieme al suo sposo Giasone.
La coppia vaga per la Grecia e ripara nella città di Corinto, alla corte di Re Creonte. L’ospitalità del Sovrano, tuttavia, si rivelerà fatale per Medea. Giasone, infatti, ripudia Medea e i due figli avuti da lei, per accettare uno sposalizio con la figlia di Creonte. È l’ennesima frustrazione per Medea, forse la peggiore di tutte, in quanto mina alla base l’intero motore della sua vicenda, l’amore passionale – quasi ossessivo – per Giasone. La vendetta della maga della Colchide sarà tremenda. Tramite potenti veleni, assicura la morte della futura moglie di Giasone, e insieme a lei quella del padre Creonte, quindi si avvia a compiere un gesto che segna il culmine della sua tragedia.
Uccide i propri figli per vendicarsi di Giasone.
Sembra una maledizione, l’eterno fuga da sé stessa in cerca di un nuovo inizio. Medea fugge da Corinto e da Giasone su un coccio volante, che richiama la sua ascendenza solare, per porsi sotto la protezione di Egeo, sovrano di Atene. Finisce così il mito di Medea? Nient’affatto. Altre macchinazioni attendono Medea che, di nuovo, fuggirà da Atene per fare ritorno in Colchide, la sua terra natia. Medea, Medea… chi sei veramente?

Medea, la tragedia di Euripide
16.05.2023 h 18.40 – Siracusa, area archeologica della Neapolis
Nulla valorizza Siracusa più che le sue tragedie.
Risalgo il largo viale che porta alla zona archeologica, la giornata è fresca e sono carico di aspettative. Macchine in fila, numerosi pullman; un vigile urbano lascia attraversare una flotta di pedoni che varcano i cancelli dell’area archeologica della Neapolis, tutti diretti verso il teatro greco. Si vede un po’ di tutto: coppie ben vestite, insegnanti con un fascio di biglietti stampati alla testa di spedizioni scolastiche, turisti da ogni parte d’Italia traditi dai propri accenti, persino qualche straniero. Una varietà di spettatori che è ricchezza per questa terra, tutti richiamati dal nome magnetico di Medea. Mi faccio spazio nella calca, risalgo i gradini della cavea fino a trovare il posto indicato sul biglietto. Respiro tutto l’entusiasmo che precede la tragedia, un brusio in crescendo che cala di colpo non appena risuona la prima nota dello spettacolo. La tragedia è iniziata, è la settima rappresentazione della tragedia di Euripide nella storia del teatro di Siracusa: la prima messa in scena risale al 1927, l’ultima data 2009 [5].
Un coro assortito di uomini e donne, tutti vestiti di bianco, entra sulla scena e svela al pubblico una figura femminile silenziosa che indossa il volto di un corvo. È Laura Marinoni nei panni di Medea, un’attrice che non è nuova in questo teatro e che nel 2019 si era già resa protagonista di Elena di Euripide. L’apparizione di Medea è fugace, il coro esce e la scena è riservata a due servi della Principessa di Colchide, la nutrice Debora Zuin e il pedagogo Riccardo Livermore. Attorno ai servi gravitano due bambini, i figli di Medea e Giasone che, come la madre, indossano delle maschere zoomorfe che anticipano al pubblico lo svolgersi dei fatti: se Medea entra in scena nei panni di un corvo dai cattivi presagi, un divoratore di carogne, allora quei figli destinati all’omicidio non possono che essere dei teneri coniglietti.

Un dialogo fra i due servi introduce il tema della tragedia, l’afflizione e il dolore di Medea per le seconde nozze di Giasone. Il tema si articola intorno ad alcuni punti che saranno fondamentali per il proseguo della narrazione: Medea è una donna, per di più una straniera in terra greca; ma è una donna diversa dalla altre, temuta per la sua indole e le sue capacità. Ecco allora delinearsi il quadro della protagonista, aggravato dal suo essere maga e dalla provenienza da un paese posto ai margini del mondo civilizzato dai greci. La tragedia di Euripide diventa lo specchio della società greca, diffidente nei confronti degli stranieri, concetto questo ben rappresentato dall’origine etimologica della parola ‘barbaro’, volta a identificare colui che non è greco. La fama di Medea è ben nota e non sorprende che Roberto Latini, nei panni di Creonte, bandisce Medea e i suoi figli da Corinto, condannandoli all’esilio. La scelta del sovrano è dettata dalla paura dell’ignoto, rappresentato dalle possibili azioni vendicative di Medea che, pure, riesce a intenerire il sovrano nell’accordarle un altro giorno a Corinto. Un unico giorno prima dell’esilio. Un giorno in cui tutto si compirà.
Medea medita una vendetta nei confronti di Giasone, messo in scena da un ottimo Alessandro Averone. A nulla vale il confronto fra l’eroe e Medea. Furibonda, la principessa di Colchide non abbocca alla retorica del guerriero sulla ragionevolezza delle sue intenzioni. Medea e Giasone si affrontano attorno a un tavolo e nella dimensione comune del loro essere una coppia ormai in crisi. Cosa accomuna i due? Un giuramento, ricorda Medea. Un giuramento di amore che Giasone ha tradito per amor proprio. La questione è approcciata in maniera diametralmente opposta dai personaggi e rimane irrisolta. Medea rimarca il suo credito nei confronti delle gesta di Giasone che, al contrario, fa dipendere la sua vittoria dagli Dei e da Afrodite, dea dell’amore e della passione che, con le frecce di Eros, ha fatto infatuare Medea. Una passione che, adesso, a Corinto, sembra mettere in imbarazzo Giasone.
«Salvandomi, certamente hai ottenuto di più di quanto hai dato. Ora te lo spiego: innanzitutto vivi in Grecia e non più in una terra barbara. Ora sai che cos’è la giustizia, e quindi ricorri alle leggi e non alla forza bruta. Tutti i Greci conoscono la tua sapienza e ti sei guadagnata una buona fama.»
Giasone
Giasone espone tutti i vantaggi delle sue seconde nozze, come l’imparentarsi con la casa reale e assicurare prosperità a Medea e ai figli avuti da lei. Quello dell’eroe è un idillio, certamente poco convincente, ma soprattutto ragionato. Ed è propria la ragione con cui Giasone analizza freddamente la situazione a esaltare la passione violenta di Medea, che ora urla terribili epiteti contro Giasone, ora lo avvinghia in un lungo bacio. La dimensione dei personaggi euripidei è quella che oggi definiamo psicologica: il dramma cova nel cuore di Medea, fra propositi di amore e di vendetta, entrambi parti del suo essere. È indicativo durante il corso della tragedia, l’assenza diretta dell’intervento divino. Gli Dei sono nominati, come nel caso già citato di Afrodite, ma la loro presenza è un appello vuoto sulle labbra dei personaggi. Sono gli uomini a dettare gli eventi e, fra tutti, è proprio Medea a farla da padrona. Attorno alla maga gravita il coro dei servi del palazzo di Corinto. Tutte donne che sono ben consapevoli del dolore di Medea, che piangono il suo destino di esule e che tentano, invano, di farla ragionare.
«Gli amori quando superano il limite, non danno gloria non danno virtù. […] l’ho visto con i miei occhi, non l’ho sentito raccontare da altri: nessuno in città, nessuno fra gli amici ha pietà di te che soffri le pene più atroci.»
Coro

La distanza fra Medea e le donne greche è un altro conflitto che definisce con efficacia la protagonista. Il rafforzarsi dei suoi propositi delittuosi segna la sua solitudine, è l’apice del dramma. Una donna tradita, una madre che rinuncia ai suoi figli pur di perseguire la propria vendetta. La risoluzione finale di Medea passa dal confronto con la propria coscienza che, per un attimo, sembra frenarle la mano.
«Ah ah perché mi guardate così, figli? Perché mi sorridete come se fosse il vostro ultimo sorriso? Ahimè, amiche mie, che devo fare? Mi manca il cuore, se guardo il volto raggiante dei miei figli. No, non posso, non ci riesco. Mando all’aria i progetti che ho pensato poco fa.»
Medea
Ma la passione di Medea è una forza soverchiante, folle, in grado di zittire perfino la propria coscienza. Medea, splendida nel suo mantello riccamente decorato, che risalta nel gioco di luci della scena, si avvia fra le due ali del coro fuori dalla scena, all’interno del palazzo di Corinto. Va alla ricerca dei suoi figli. Il dramma sta per compiersi. Il teatro si illumina di rosso e, sul sottofondo del coro che canta, si odono le urla dei bambini uccisi dalla mano della propria madre.
Chiude la tragedia un ultimo confronto fra Giasone e Medea.
«Non una donna ma una leonessa, più selvaggia di Scilla, il mostro del Tirreno. Potrei insultarti in mille modi ma non riuscirei a scalfirti: sei sfacciata per natura. Ti maledico, turpe assassina dei tuoi figli!»
Giasone
L’eroe greco lancia un urlo che ferisce le orecchie degli spettatori. In fondo, ha perso ogni cosa: i suoi figli, Medea, la sua futura sposa e l’intera città di Corinto. Cosa gli rimane? La sua fine è appena un accenno nel corso della tragedia. Giasone, inseguito dai ricordi e dal dolore, proverà a impiccarsi sulla polena della sua Argo, quella nave che l’ha condotto alla gloria. Un gesto disperato e inutile. La polena si staccherà e, colpendolo, metterà fine alle sue sofferenze.
Medea è una tragedia che parla di uomini, di donne. Una tragedia in cui tutti perdono e non si delinea nessun vincitore. È al tempo stesso una riflessione sull’uomo e sulla donna in quanto tale, sul senso dell’esistenza. Un senso che, deprime l’ascoltatore, perché stando alle parole di Euripide: «La condizione umana non è che un’ombra, non esiste un essere umano che sia felice.»

Medea nell’arte moderna
14.05.2023 h 18.00 – Siracusa, antico mercato
Cammino oltre il ponte in direzione dell’isoletta di Ortigia, nucleo originario di Siracusa e cuore turistico della città. Intorno a me, intere famiglie uscite per la passeggiata domenicale, ragazzini dal passo svelto diretti a chissà quale appuntamento e le prime ondate di turisti che, calzoncini corti e cappellino, sostano per scattare una foto alle barchette ormeggiate, al vecchio palazzo delle poste – ora hotel di lusso – e alle rovine del tempio di Apollo. La mia meta è sulla sinistra, l’antico mercato di Ortigia, un cortile porticato con ampi spazi che l’amministrazione ha adibito a spazio espositivo.
Una mostra di arte contemporanea, un dialogo fra artisti italiani e internazionali attorno al tema di Medea [6].

L’esposizione è come un filo sottile che fa risaltare simbologie nascoste: Medea e il soggiorno a Corinto, proprio la città di provenienza di quei coloni ellenici che, nel lontano VIII sec. a.C., fondarono Siracusa. Un omaggio, se vogliamo, alle radici greche di quest’angolo di Sicilia. All’ingresso della galleria avverto l’odore di pittura fresca e il silenzio che tanto contrasta con la vivacità delle stradine di Ortigia. L’unica persona che presiede la mostra mi ricorda tanto un’antica guardia: composta, silenziosa, immersa fra i quadri e le citazioni di Euripide appena dipinte sui muri, sembra quasi non vedermi. Poco male, mi dico, mentre mi immergo nella contemplazione delle opere artistiche. La galleria è un caleidoscopio di idee e soluzioni artistiche che riprendono, reinterpretano, attualizzano e destrutturano il mito e la figura di Medea.
Mi lascio trasportare dalle pennellate, in breve il salone si popola di altri curiosi.

Alcuni artisti riflettono sulla figura della Maga della Colchide. Il norvegese Sverre Malling, ad esempio, concepisce un ritratto di Medea che rassomiglia alla carta di un mazzo di tarocchi in chiave liberty: la veggente, con gli occhi bianchi, e in vesti trasparenti, tiene un coltello in mano; il ritratto è contornato da una simbologia che richiama la mistica. Di stile diametralmente opposto è il quadro del palermitano Francesco De Grandi: una Medea bambina, intrisa di innocenza, avvolta da una sfarzosa pelliccia tiene in mano un serpente; attorno a lei un paesaggio esotico fatto di pavoni, di una ricca vegetazione al tramonto. E quell’unico uccello nero dal lungo becco appollaiato sul ramo? Non è che un presagio funesto, una nota scura in un quadro dalle tinte forti e rigogliose, del triste destino che attenderà la protagonista. In relazione concettuale con quest’opera, che dipinge la terra natia di Medea, è l’opera della georgiana Rusudan Khizanishvili; l’artista pone al centro del suo quadro il suo patrimonio culturale, lei che proviene dall’antica Colchide: montagne colorate che emergono da un mare scuro, donne dai tratti caucasici, con lunghe trecce e dita intrecciate.

Assolutamente suggestivo è un segmento di opere che hanno come soggetto il rapporto fra l’artista e Medea. Il cinese Wang Guangyi, l’emiliana Nazzarena Poli Maramotti, il ceco Daniel Pitìn e il romagnolo Nicola Samorì. Tutti questi artisti sono accomunati dal richiamo all’iconografia classica di Medea che, tuttavia, viene filtrato dall’osservatore moderno che inorridisce di fronte alla vastità del gesto compiuto dalla Maga. Ne conseguono immagini scuri, sfumate o tendenti all’astrattismo che ben rappresentano lo sgomento al cospetto dell’atemporalità mitica. I pochi dettagli che emergono contribuiscono a sottolineare il senso dell’esistenza tragica di Medea: una mano che regge un coltello, le figure dei figli amati e sacrificati, ora ricomposte tramite figure geometriche, ora velate da colate di colore secondo l’antica tecnica cinese del wu lou han.

Non mancano poi artisti che richiamano il tema dell’infanticidio: il cambogiano Natee Utarit ripropone l’atto ormai compiuto, due corpi privi di vita, di cui uno in primo piano e l’altro oltre la porta aperta di una stanza sullo sfondo. L’insieme è riportato nei giorni nostri, all’interno di una casa borghese come tante, il richiamo al mito rimane in evidenza tramite un quadro appeso alla parete, Giasone e Medea di Charles-André Van Loo, e una statua della Maga su un tavolo. E che dire, invece, della parigina Margaux Bricler? Una Medea nuda e gravida, con il volto della stessa artista, appesantita da una catena al piede da cui pende un uovo; di fronte al quadro pende una tenda di garza, color panna con l’orlo chiaramente insanguinato. L’effetto complessivo è eversivo, tendente al disturbante: la maternità è un’esperienza desiderata, ma al tempo stesso subìta e che pone alla donna tutti i limiti di un corpo che si configura come prigione dell’anima, da cui il titolo dell’opera Sema, Soma [7].

Il mito di Medea, infine, richiama i concetti di distruzione e di vendetta, intesa quest’ultima come annichilimento dell’altro a qualsiasi prezzo. L’attualità dei temi è espressa dal filippino Cian Dayrit e dal monegasco Ruprecht Von Kaufmann, le cui opere riflettono la critica ambientale nei confronti di una società che sacrifica piante e animali in nome dell’industria e di un progresso capitalistico; i richiami alla geopolitica mondiale non si muovono soltanto sul piano simbolico ma si fa concreto; come Medea, gli iracheni durante la prima guerra del Golfo si ritirano incendiando i pozzi di petrolio: il disastro ambientale non è che un prezzo da pagare pur di perpetrare la vendetta.
Termina così la mia visita alla mostra, con la sensazione dolceamara che Medea non è soltanto la protagonista di un mito greco: Medea è la mamma dell’ultima notizia di cronaca nera in tv; Medea è quel tale capo di stato che si ostina in una guerra nonostante le cifre… Medea è un impulso che sopravvive al tempo in quanto parte di un’umanità ostinata, cieca e titanica.
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Note
L’immagine di copertina è un particolare della stuata di Medea dell’architetto Davit Khmaladze, ubicata a Batumi in Georgia. Fonte.
[1] Per il programma integrale si rimanda al sito dell’Inda, Istituto Nazionale del Dramma Antico [2] R. Graves, I Miti Greci, Longanesi (1995) [3] Secondo una variazione del mito proposta da Diodoro Siculo, Medea sarebbe figlia di Ecate, potente dea lunare a cui si riconducono i fantasmi, la magia nera e la necromanzia. [4] M. Miller, Circe p. 73, Sonzogno (2019) [5] link all’elenco completo delle rappresentazioni classiche tenutesi al teatro greco di Siracusa. [6] La mostra Medea, patrocinata dall’amministrazione comunale della città di Siracusa e curata dal critico d’arte Demetrio Paparoni, è aperta gratuitamente ai visitatori dal 5 Maggio al 30 Settembre 2023. [7] In greco Sema (prigione), Soma (corpo); il concetto di corpo come prigione dell’anima si rintraccia nella filosofia di Socrate e sarà ulteriormente definito da Platone nel concetto di Iperuranio, il mondo delle idee.