Vampire Hunte D: Bloodlust

Vampire Hunter D : Bloodlust è un film d’animazione del 2001 diretto da Yoshiaki Kawajiri e prodotto da Madhouse. E’ tratto dal soggetto originale di Hideyuki Kikuchi e dalla sua serie di light novel dall’omonimo titolo Vampire Hunter D.

Il protagonista è un dampyr, un mezzo vampiro, cacciatore di demoni e vampiri. Il design di D influenzerà personaggi come Alucard di Hellsing e le ambientazioni dark e futuristiche rendono l’opera di Hideyuki Kikuchi e l’adattamento, successivo al film del 1985, di Madhouse e Yoshiaki Kawajiri una pietra miliare della cultura anime / manga giapponese con un lungometraggio che riconferma lo stile del regista. Kawajiri mantiene il ritmo della narrazione alto, con stacchi e contrasti tra personaggi e ambientazioni, forti stacchi anche cromatici, si passa dal rosso e dal nero dei castelli e delle architetture gotiche all’azzurro del cielo e le tonalità dorate della sabbia del deserto. Ci troviamo in un mondo perso in un futuro distante, la società umana è tornata a qualcosa di molto simile al Medioevo occidentale, mantenendo parte della tecnologia più avanzata. Nel film di Kawajiri vediamo anche ambientazioni molto simili a un western in salsa sci-fi futuristica, come nel manga Trigun di Yasuhiro Nightow. Le persone vivono di espedienti e sono diffusissimi i cacciatori di taglie, in particolar modo i cacciatori di vampiri e di demoni, come il protagonista D. I vampiri hanno governato sulla terra per molto tempo, ma ora sono in decadenza e stanno svanendo dal mondo. D viene assoldato per salvare la figlia di un ricco signorotto John Elbourne da un vampiro di nome Meier Link, che ha rapito la ragazza.

Da questo presupposto molto semplice la trama si sviluppa in un susseguirsi di scene di viaggio e landscapes che ci mostrano un futuro post apocalittico dove le superstrade si gettano nel deserto come fiumi nell’oceano, mescolandosi a ruderi dimenticati, fiumi e città distrutte. Il contrasto tra la tecnologia e le ambientazioni futuristiche con l’aspetto dark fantasy e gotico del film è molto interessante e bello visivamente, nonché armonioso e non troppo forzato, come forse lo era nella pellicola del 1985. Tutto risulta scorrevole e fluido, appropriato, solido nel worldbuilding di un mondo che ha sia caratteristiche horror e dark sia una vena sci-fi. La trama è tratta dal terzo volume della serie di light novel di Hideyuki Kikuchi.

Il cacciatore di vampiri si trova ben presto alle prese con un’altra banda di cacciatori di taglie, i fratelli Markus, mentre le forze del male, i Barbaroi, servi dei vampiri, difendono Meier Link durante l’inseguimento che copre gran parte delle trama del film.

D ha la sua mano sinistra caratterizzata da un simbionte che assorbe le anime che gli parla in continuazione e che rappresenta una sorte di voce interiore, un alter ego, un doppelganger, e ricorda Kiseiju, manga di Hitoshi Iwaaki.

Il design del protagonista e il perchè di un remake

Le light novel di Hideyuki Kikuchi sono illustrate da Yoshitaka Amano, per il nuovo film di Vampire Hunter D si occupò della caratterizzazione e dell’aspetto del personaggio principale. D è un mezzo vampiro, pallido, una figura scarna e sottile, un’ombra che si muove sinuosa nelle tenebre di un mondo devastato e imbevuto di malvagità, dotato tuttavia di una certa fisicità proprio nella sua dinamicità e nel suo essere indefinibile e indefinito, caratteristica che gli è data anche dalla sua cavalcatura nera come la pece e muscolosa, nervosa, cinetica, e dal cappello a tese larghe che ricorda personaggi come Solomon Kane di Robert E. Howard e l’archetipo fantasy dell’inquisitore. E’ creatura della notte e allo stesso tempo ha una parte umana che si rivela nelle sue azioni e nelle sue scelte, oltre che nella sua debolezza al Sole, non come un vampiro vero e proprio, ma mal sopporta la luce solare. L’idea di fare un nuovo film dedicato a Vampire Hunter D nacque da una richiesta di un fan che l’autore Hideyuki Kikuchi approvò, reputando il lungometraggio del 1985 scarno e povero della spettacolarità ed espressività che poi Kawajiri è riuscito a conferire.

L’elemento horror e gotico

Dopo una lunga parte dedicata a introdurre i personaggi e il mondo in cui si muovono e di cui sono figli, il regista traspone su schermo il personaggio di Carmilla Elizabeth Bathory, ispirata alla contessa Bathory, nobildonna ungherese che trucidò e torturò più di seicento ragazze. “In guerra con se stesso, temuto da tutti, torturato e solo”, così viene descritta la figura di D nel prologo: in effetti qui i vampiri, e i mezzi vampiri, si rifanno fortemente alla matrice Romantica del termine, alla riscoperta del gusto gotico nell’Ottocento, sono esseri aristocratici, belli e velati di una certa malinconia proveniente dalla condizione di estrema solitudine e di esseri legati al mondo della notte e nonostante l’apparente aspetto umano si rivelano mostruosità dannate, demoni in cerca di sangue, sono creature sfuggenti. La caratterizzazione horror di Vampire Hunter D, specialmente nel personaggio di Carmilla Bathory, è un’interpretazione in chiave anime del gotico occidentale europeo di stampo Romantico. Ci troviamo di fronte a questo vampiro dal volto cinereo, pallido come la luce lunare riflessa su di uno specchio d’acqua, con abiti dal rosso e dal cremisi che creano un tutt’uno col pallore del volto e il rosso delle labbra, che richiama il colore del sangue, con un character design che ricorda un abito da nobile del basso Medioevo, interpretato e rielaborato ed espresso in chiave futuristica, anche Carmilla è figlia del luogo in cui dimora e si muove. Gli ambienti vivono con i loro personaggi, in una fluida simbiosi, il castello nella reinterpretazione futuristica del genere gotico è un simbolo molto forte che si rivela essere sia roccaforte, sia tana del vampiro, del mostro, del demone, caverna di tutto ciò che è sepolto e oscuro nelle profondità della notte, sia un mezzo, un tramite, per una salvezza della stirpe dei vampiri nella città tra le stelle, come se i vampiri tornassero alla loro essenza principale, alla notte stessa.

1 comment

  1. Il film non era male, ma la visionarietà e l’abilità grafica di Amano Yoshitaka è ahimé su altro livello. Merita sul serio la visione, accettando i suoi limiti (ci vuole un po’ di sforzo per apprezzare il mondo siffatto).

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