Per quanto onnipresenti e fondamentali, occorre in questo specifico caso tenere da una parte per un attimo le implicazioni della letteratura puramente gotica nel senso più diffuso del termine, rivolgendo sicchè la nostra attenzione soltanto alla primissima forma ottocentesca della letteratura fantastica che si identifica con la parola Fantasy, contraddistinta da narrazioni basate sulla rappresentazione del tropo avventuroso ed epico , profondamente intimato con il mistico, il magico e folcloristico. Quest’ultima è scaturita per mezzo di un distacco dagli obiettivi formativi e pedagogici delle antologie fiabesche, maggiormente ereditati da romanzi fiabeschi come Alice nel Paese delle Meraviglie, Pinocchio, Il Meraviglioso mago di Oz, L’Uccellino Bianco, Peter Pan e molti altri. Per quanto apparentemente somiglianti, queste opere appena elencate, sono state incontestabilmente diverse da quelle che invece hanno rinunciato alla attitudine educativa di Andersen e alla metodologia formativa di Goethe, come ad esempio La Principessa e i Goblin e Lilith (MaC Donald), La Terra Cava (Morris) Il Re del Fiume d’Oro (Ruskin) che non si limitano pertanto ad essere solo dei normali romanzi o racconti fiabeschi, ma raggiungono bensì anche e soprattutto il ruolo storico di primissime opere di Fantasy conclamata mai scritte nella storia. Ma sono esistiti nomi e luoghi dove si è cercato di riunire queste due linee in “antitesi”? La risposta è indubbiamente si.
Già con T. H. White è piuttosto palese un tentativo di ricontaminare e ricomprendere nella Fantasy “propriamente detta”, puramente eroica, adulta e cristiana, le attitudini dei Grimm, Andersen e Goethe, cosa che non mancherà d’esser puntuale nemmeno in Prydain negli anni sessanta. A ben guardare, chi ha riunito i due elementi è stato perfino il “Fantasy Neoclassico” per eccellenza, ovvero la Saga di Belgariad di David Eddings negli anni ottanta. Tuttavia, il discorso inizia ben prima di Eddings, di Alexander e perfino anche di T.H. White, poichè già nei primissimi decenni del novecento, scrittori come Naomi Mitchison, Edith Nesbit, Herminie T. Kavanagh, Thomas B. Swann, tanto per citarne qualcuno a caso, hanno indubbiamente proposto una letteratura mitologica talvolta attingendo alla struttura eroica, altre volte facendo ricorso ad un desiderio di fondo di dar vita a “racconti fiabeschi adulti” o quantomeno universali e generalisti. Questo quadrante è probabilmente quello che interessa in parte maggioritaria l’opera Lars e gli Elfi di Salvatore Privitera, e non è escluso che ci servirà chiamarlo in causa ancora per giungere alle conclusioni.
Sin dalle venature della trama di Lars e gli Elfi appare piuttosto lampante come l’autore ricerchi nel suo racconto una voglia di unire la primissima Fantasy Eroica anglosassone con i racconti fiabeschi dei primi decenni del novecento, ed è un bilanciamento a cui Privitera riserva molta attenzione. Si nota un modo di creare il “Mondo Inventato” sostanzialmente diverso – tutto considerato – dalle metodologie creative del mondo di ambientazione – o Worldbuilding se preferite – della “Fantasy Neoclassica” anni ottanta e della High Fantasy degli anni novanta, in quanto viene tenuta intatta una attitudine – non solo retorica – simil mitologica e fiabesca paragonabile alle atmosfere nelle narrazioni di scrittori già citati come Naomi Mitchison o H. T. Kavanagh. In questo punto, il modo in cui è descritta l’ambientazione e le sue vicende appare molto deciso e coerente con tali esigenze anche nelle specificità più sensibili e facili da menzionare, come la voragine al centro di una radura contornata da un cerchio di Castagni secolari che è luogo ancestrale di origine ed esistenza degli Elfi, e così altri elementi che in tutta evidenza ricercano una forte suggestione mitologica che si integra con l’intento perenne di afferire al racconto locale, che descrive il capillare ma omette il macroscopico geografico che è più incline alla High Fantasy. Sempre in questa inerenza, occorre inquadrare la decisione di Salvatore Privitera di puntare su una scrittura spietatamente semplice che accoglie solo una minuscola parte delle velleità e dei fronzoli estetico-poetici della Heroic Fantasy, che in questo caso sarebbero tornati abbastanza utili per elevare di più la componente eroica che Lars e gli Elfi desidera possedere. Basti pensare alla natura stessa degli Elfi; alla circostanza casuale ed episodica con cui Lars ne viene a contatto; o a segmenti come quello iniziale che ritrae la cavalcata bizzosa dello scoiattolo, degno di un ricordo qualsiasi di Darby O’ Gill o dei racconti di Katherine Mary Briggs. A bilanciare queste componenti da romanzo fiabesco e fantastico-generalista si trova tuttavia l’entità centrale di Lars, riconducibile ad un eroe classico nel pieno archetipo nordico-arturiano, che vive una avventura difficile e con implicazioni portentose, oltre che uno schema di nomenclatura piacevolmente curato e simil tolkeniano che contribuisce a rendere più forti i legami del lavoro di Salvatore Privitera con l’Heroic Fantasy di stampo avventuroso. Lo scopo del racconto era indubbiamente dividersi tra la Fantasy fiabesca “impropria” e generalista del primo novecento e l’Heroic Fantasy vera e propria, e le due componenti che operano questo bilanciamento alla fine funzionano bene per l’intento di raggiungere lo scopo.