The Wolfings: Antimodernismo e Principi di Innovazione nella letteratura fantastica

Quando fin troppo, come nelle pubblicazioni e le aree di dibattito accademiche di letteratura anglosassone; o quando raramente, come invece nelle aree di appassionati lettori, studiosi privati, professionisti o amatoriali della Fantasy, allorchè si parla di William Morris, è menzionato come elemento tipico il fatto che Bosco Atro comparve per la prima volta nel romanzo The House of the Wolfings (1888) per essere poi più famoso molti anni dopo, come luogo situato nella regione del Rhovanion, dove si svolgono parti significative delle vicende narrate ne Lo Hobbit (Tolkien, 1937). Le sinergie degli elementi singoli e di quelli più generali tra William Morris e J.R.R. Tolkien non si fermano certo qui e non riguardano ovviamente soltanto gli Wolfings bensì anche i romanzi Fantasy nella sensibile parte finale dell’attività di Morris. Esse tuttavia, pur significative, non rappresentano il punto dove unicamente concentrare il focus delle nostre osservazioni dacchè è di gran lunga più ampia l’analisi riguardante le componenti dell’opera del Morris, e nello specifico delle “Cronache degli Wolfings” che non quella atta solamente ad individuare gli ammiccamenti e i rimandi di Tolkien. I due romanzi degli Wolfings, pur assumendo tutte le tipicità del romanzo epico, e parte di quelle del romanzo storico, riescono a centrare un “quadrante inafferrabile” comportando una grande innovazione sia filosofica che stilistica. La prima è fuor di dubbio espressa nel principio antimodernista puramente riforgiato da parte di Morris, quindi diverso, indipendente e perfino opposto all’antimodernismo dei decadentisti sebbene anche questi ultimi debbano certamente le loro origini all’antipositivismo, al romanticismo e ai concetti di John Ruskin. Il secondo aspetto, quello stilistico è nell’ esecuzione letteraria che non si ferma al solo potere simbolico e retorico dell’elemento fantastico e inventato, ma anche ad una natura metrica, strutturale e concreta, che – non in senso deteriore – risulta “ingombrante” al punto da trasformare il Mirkwood e le varie Marche abitate dai clan dei Goti come quello degli Wolfings in elementi di un Secondary World mancato.

Soffermandoci in queste fasi iniziali su un discorso puramente stilistico risulta evidente come i romanzi epici degli Wolfings abbiano una certa difficoltà a trovare “l’aula giusta” nella “scuola storica dei generi”. Vagando per il metaforico corridoio dell’istituto, Thiodolf degli Wolfings (come anche i protagonisti di The Roots of the Mountain) potrebbe entrare nella classe di Ivanohe e di tutti i romanzi storico-epici, andrebbe d’accordo su numerosi argomenti con essi, e certamente prenderebbe qualche buon voto in pagella potendo ben rispondere a domande su Goti, Romani e Unni. Ma ben poco potrebbe parlare dei suoi fervidi racconti di veggenza, Nani e Spiriti del Bosco senza che sembri l’alunno più indisciplinato della classe. D’altro canto, il guerriero della House of Wolfings, anche andando alla porta successiva, quella dell’aula fiabesca, troverebbe certamente buone compagne di banco nelle graziose Fate dell’Ombra di George Mac Donald con le quali si perderebbe in bei discorsi sui Nani e sulla cotta di maglia incantata da essi fabbricata, sugli spiriti del Bosco di Mirkwood e sui latenti contenuti sociali, folk e antropologici che però, al tempo stesso, impedirebbero di scambiare le figurine a ricreazione con Pinocchio e Peter Pan, negando anche la speraranza di sbirciare qualche risposta al compito in classe da Alice e Dorothy, che a quei contenuti antropologici e sociali risponderebbero con argomenti pedagogici e psicologici ben poco collegati. Potremmo anche divertirci ad immaginare, sempre prima che suoni la campanella, Thiodolf in compagnia di Hank Morgan a fare qualche marachella. Ma quanti istanti passerebbero prima di pensare che il protagonista di Un Americano alla corte di Re Artù sarebbe invece maggiormente affascinato dai fantastorici viaggi nel tempo a ritroso che anche lui ha vissuto, dal Lollardismo e da una così insolita visione del medioevo di John Ball, piuttosto che dai racconti di ascia, spada, sfide con Romani e Unni degli onorevoli ma barbarici guerrieri Wolfings?

A meno che non si apra una scuola privata da frequentare solo con Lady Augusta Gregory, Il “quadrante inafferrabile” di The House of the Wolfings e The Roots of the Mountain è quindi l’attributo che rende i due romanzi dei “disadattati in classe”, scoprendosi derivante da una coesistenza di elementi che ad oggi risultano certamente plausibili, finanche scontati, ma che appaiono assai meno ponderabili se analizzati in maniera comparativa con le opere parentabili del periodo. Nel cercare di schematizzare il concetto appena espresso apparirebbe naturale riconoscere quindi il “quadrante inafferrabile” come una sintesi di elementi riguardanti i seguenti punti:

  1. le differenze delle storie degli Wolfings con altri romanzi epici o storico-epici di guerra e anche con i romanzi fiabeschi.
  2. La radicazione diretta dei due romanzi verso i miti, che conduce altrettanto direttamente alla letteratura Fantasy.
  3. L’ Antimodernismo di William Morris che nell’essere diverso e indipendente sia da quello decadentista e “pre-decadentista”, sia anche, in fin dei conti, da quello di John Ruskin, genera la transizione verso la Fantasy.

Scendendo nello specifico dei tre punti appena espressi, In The House of the Wolfings e The Roots of the Mountain si amalgamano elementi del romanzo storico, in quanto narrazione di Goti, Romani e Unni, non priva di finezze filologiche, ma edulcorata tuttavia dalla forte e diffusa componente fantastica. Quest’ultima non si limita ad esprimersi nel singolo fatto; come la presenza d’un veggente, un fatto inspiegabile, l’avverarsi di una leggenda o profezia in un contesto generale che si mantiene realistico e storico; bensì ad una costruzione diffusa, configurata e precisa di uno scenario fantastico e inventato. Quest’ultimo è composto da una costellazione di storie, da una toponomastica che va oltre il proporre toponimi “romanzati in maniera plausibile”, da dinamiche e interpretazioni quotidiane o aneddoti vari. A ciò si aggiunge un manto vivido di magia e veggenza, le presenze concrete e incantate di spiriti dei boschi o la stessa “Vala di Odino“, o il misterioso Cervo Rosso che d’un tratto compare, così anche dai nominati Nani o il Drago Lingworm. In definitiva nella composizione quindi di un qualcosa che oggi potrebbe chiamarsi “Lore“, formata in maniera stabile e radicata e che parrebbe troppo ampia per non non essere quella di un Secondary World, o quantomeno quella di un romanzo epico che è incubatrice della Fantasy. Si potrebbe definire The House of the Wolflings infatti come un romanzo Proto-Fantasy, Epic Fantasy, o come Romanzo Neo-Epico; tre modi diversi e nessuno di questi, presumiamo, risulterebbe in fin dei conti scorretto.

In aggiunta a questo è utile considerare che in tutte le varianti del romanzo storico ed epico ottocentesco, procedendo quindi con gli esempi più banali: Storico-Epici; come Weaverly (Scott, 1814) Rob Roy (Scott, 1817) Ivanohe (Scott, 1819) Ettore Fieramosca – La Disfida di Barletta (D’Azeglio, 1833); Storico-Avventurosi: I Tre Moschettieri (Dumas, 1844) Robin Hood (Dumas, 1872/1873), Le Allegre Avventure di Robin Hood (Pyle, 1883) Le Tigri di Mompracem (Salgari,1883-1884); Storico-Sentimentali: I Promessi Sposi (Manzoni,1827), La Figlia del Capitano (Puskin, 1836); e in ultimo Storico-Sociali: I Miserabili (Hugo, 1862) Guerra e Pace (Tolstoj, 1867) si tende, su un paradigma ideologico, a creare Epica Rinnovata per mezzo di una propensione verso la solidità del realismo fondando quindi le proprie innovazioni sul distacco dall’epica mitologica, in quanto romanzi storico-epici. L’ epica rinnovata dei romanzi storici e storico-epici diventa quindi il corredo identitario della propaganda – non necessariamente in senso deteriore – che si desidera ottenere. Ogni movimento, partito o corrente d’altronde sceglie le proprie cosmologie in maniera oculata. Un processo assolutamente diverso avviene nei due romanzi epici su sfondo storico di Morris dove invece in risposta a quella epica rinnovata, vien creata un’epica che solo in apparenza è sinonima, vale a dire una Neo-epica, che fonda invece le proprie innovazioni non sull’apparato ideologico, ma su quello antropologico e folk, non certamente minore nel suo riflesso sociale, ma che crea un legame rafforzato e diretto con l’epica antica e il mito. Non è certamente casuale che The House of The Wolfings scaturisca dopo una lunga attività di traduzione di poemi epici norreni, anglosassoni e greci e di composizioni di poemi originali. Ciò condurrà ad un romanzo dalla metrica ibridata di prosa e versi, dove i toni storici sono fortemente intimati con quelli fantastici.

Si scopre tuttavia necessario al termine di questa “guida” introduttiva ripercorrere in estrema sintesi la “cronologia semantica” di William Morris, senza la quale sarebbe indubbiamente complesso inquadrare definitivamente i romanzi degli Wolfings nella loro area storico-letteraria. Scopriremo che sarà fondamentale considerare “le cronache degli Wolfings“, il basamento del pensiero antimodernista e le “anticamere poetiche” per capire i “principi di innovazione” della Fantasy e delle letteratura fantastica in senso generale.

1856 – Il Romanzo Fiabesco: La Terra Cava

Ne La Terra Cava appaiono già elementi come la battaglia tra famiglie e casati – come la House of Lily e la rivale – presenti anche nei Fantasy più attuali come nella nota saga di George Martin, oggi conosciuta maggiormente come Il Trono di Spade. Presenti sono anche i concetti di un Fantasy eroico e cavalleresco, che riconducono Florian al viaggio di ricerca simile a quello di Parsifal. Si può tuttavia inserire questo esordio nel contesto dei Romanzi Fiabeschi, in virtù della sua essenza simbolica e allegorica fondata su psicologie individuali, le quali sono volte a riflessioni sull’arbitrio e la morale, la giovinezza e la vecchiaia, il bene e il male. Nel considerarlo quindi come Romanzo Fiabesco, occorre sottolineare che La Terra Cava è postumo soltanto alle Fiabe del Focolare (Fratelli Grimm, 1812), Le Fiabe (Andersen, a partire dal 1935) e le Fiabe Norvegesi (Asbjorsen e Moe, 1841), risultando quindi antecedente a tutti i romanzi fiabeschi considerati più innovativi: iniziando con Le Fate dell’Ombra (MaC Donald, 1858), Alice nel Paese delle Meraviglie (Carrol, 1865), La Principessa e i Goblin (MaC Donald, 1872) Pinocchio (Collodi, 1881), Le Fiabe Irlandesi (Yeats, 1888) Il Meraviglioso Mago di Oz (Baum, 1900), Peter Pan (Berrie, 1912), un dato che certamente non è trascurabile. La Terra Cava si inserisce inoltre sia nei romanzi dove si accede al mondo “oltre il portale” (Portal Fantasy, come gli stessi Alice, Oz e Peter Pan) sia in quelli inerenti al concetto di Terra Cava, anticipando Verne in Viaggio al Centro della Terra (1864) Edward Bulwer-Lytton, considerato pioniere di questa sottospecie con La Razza Ventura (1871) e John Uri Loyd, scrittore stimato negli ambiti Weird, autore dell’interessante Etidorhpa (1895). Anche se parzialmente inerenti si ritiene utile citare testi come Il Viaggio Sotterraneo di Niels Klim (Holberg, 1741) e La Casa sull’Abisso (Hodgson, 1908).

1858-1887 – Restaurazione dei Poemi Epici, Elaborazioni ispirate e componimenti Originali:

In questo lungo periodo William Morris lavora con intensità ad una serie innumerevole di poesie, frammenti e poemi. Tra i più importanti, senza distinguere rielaborazioni ispirate, traduzioni e originali potremmo citare: La Difesa di Ginevra e altre opere (1858) La Vita e la Morte di Giasone (1867) Saga di Grettir (1869) L’ Amore è Abbastanza (1872) Eneide (1876) La Saga dei Volsunghi (1877) Odissea (1877). La traduzione dell’Odissea fu fortemente elogiata da Oscar Wilde e precede The House of the Wolfings, dove si farà un salto verso la prosa, in un romanzo ibridato tra prosa e versi poetici in parti pressocchè eguali. Da considerare tuttavia che è proprio dall’anticamera poetica che precede la narrativa di William Morris che scaturisce una parte fondamentale delle riflessioni di questa analisi, ritorneremo quindi su questo segmento alla fine della  trattazione.

1887-1890 – Passato e Futuro: Romanzi Epici e Utopici

Dopo la lunga anticamera basata sulla rielaborazione ispirata, le traduzioni e i componimenti originali di poemi epici e dei miti, William Morris ritorna dopo tanti anni alla narrativa gettando uno sguardo posteriore e uno anteriore. Verranno scritti infatti A Dream of John Ball, che narra di un viaggio nel tempo a ritroso sino alle rivolte contadine medievali, The House of the Wolfings e The Roots of the Mountain rivolti invece agli scenari delle guerre tra Goti, Romani e Unni. Ma uscirà nel 1890 anche un romanzo utopico e futuristico, Notizie da Nessun Luogo. Mettendo da parte i due romanzi utopistici che si esprimono interamente in prosa è utile notare che dopo la transizione dall’anticamera poetica sopracitata viene condotta una ulteriore transizione anche nei due romanzi stessi degli Wolfings. The House of the Wolfings, come accennavamo, presenta dei contenuti divisi equamente tra prosa e versi, mentre The Roots of the Mountain evolverà verso una presenza maggioritaria della prosa, limitando gli inserimenti poetici al minimo delle scelte casuali dei personaggi di cantare brani e canzoni o recitare poesie lungo la storia. Si ritiene utile considerare che in questi anni, precisamente nel 1886/1887 usciva lo straordinario romanzo She (H.R.Haggard); un incastro complementare perfetto alle quattro opere del Morris in quanto queste, trattanti le tematiche del; viaggio nel tempo a ritroso sino al medioevo (John Ball), romanzo storico-epico-fantastico (i due Wolfings), utopia al futuro (Nessun Dove) risultano sprovviste proprio d’una  “definitiva” opera di alto profilo sul tema dei Mondi Perduti. Si può certamente riscontrare che in tale contesto vi erano già state altre voci come quelle dei sopracitati Holberg, Verne, Bulwer-Lytton, ai quali potremmo aggiungere Casanova, Poe o Butler, ma il romanzo di Haggard è notevolmente addentrato nella mentalità avventurosa e fantastica per non darvi un rilievo maggiore ad una semplice citazione in elenco. Autori come la “Divina Tanith” (Lee) hanno tratto linfa da She non in maniera minore a come Lovecraft si è nutrito della Storia di Arthur Gordon Pym di Poe.

1890 – Il caso a sè: Storia della Pianura Seducente

Il romanzo Storia della Pianura seducente rappresenta un’area a sè stante. La sua forma è definitivamente in prosa. Vengono quindi eliminati ulteriormente gli inserimenti poetici minoritari di The Roots of the Mountain ma presenta al tempo stesso dei dialoghi quasi sempre dilatati e lirici. La storia esprime forme talvolta approssimative, finanche addirittura superficiali nella definizione dei personaggi secondari e nei loro percorsi. Mancanze che certamente potrebbero far storcere il naso ad un lettore giustamente esigente. Ben poco si sa e si saprà perfino di personaggi come Aquila di Mare o la stessa Hostage eccetto la sua scomparsa e la sua appartenenza alla House of Rose, che per tradizione univa i suoi giovani in matrimonio alla House of Crow. Si potrebbe dire che gli unici personaggi compiuti siano il protagonista Halblithe e Gracile Volpe. Nonostante le zone nebulose si trovano tuttavia dei punti di forte interesse, in quanto l’opera offre interrogativi che già La Terra Cava sollevava al tempo degli esordi, ponendo anche quesiti e angolazioni su temi reperibili in Notizie da Nessun Luogo. Il romanzo regala suggestive, malinconiche e solenni descrizioni ed è permeato di profonda angoscia e palpabile inquietudine nella psicologia individuale del protagonista. L’unico momento di quiete per Halblithe è l’inizio, quando questi è impegnato a costruire una lancia alla House of Raven, il maniero del Casato dei Crow, ovvero quando sta svolgendo – non a caso – un lavoro di semplice artigianato. La forte componente di mitologia islandese rappresentata dalla Landa degli Immortali mette il protagonista in condizioni di valutare, nella scelta se essere immortale o meno, il valore della serenità scambiato però con le ragioni identitarie dell’individuo nella vita, incontrando quindi la possibilità d’incappare nella distopia al senso più stretto di antitetisi all’utopia, la quale è nascosta dietro l’inganno della tentazione di una vita divina e serena. In questo “interrogativo a contrasto” al fondo dell’opera vengono macroscopicamente anticipate di 40 anni le ragioni di fondo de Il Mondo Nuovo di A. Huxley. L’inganno, l’illusione sono materiale principale nella riflessione distopica di Story on a Glittering Plain. Agrodolce è il personaggio de Il Re. Egli rappresenta una autorità dal comportamento mite ma che “nessuno oserebbe contestare avendo una voce così accattivante“, ritraendo le accortezze di un certo progressismo “pacifico e liberale” che promette serenità in cambio della rinuncia del possedere un’identità e una proprietà dell’io, finendo all’esser quindi “nullatenenti” nella propria anima. Bisogna tuttavia riconoscere che i meriti di Storia della Pianura Seducente nel creare una “distopia a contrasto” sono da dividere con il breve ma sorprendente Erewhon di Samuel Butler del 1872.

1892 – 1896: Gli Heroic Fantasy “Propriamente detti” e il Secondary World

Essendoci soffermati in questo quadrante già a lungo nell’articolo uscito qui su Hyperborea a Giungo si ritiene necessario soltanto ricapitolare brevemente che Walter Golden e il Bosco Oltre il Mondo ritrae un Heroic Fantasy basato sul viaggio avventuroso del singolo eroe in un “mondo secondarioFantasy. Nel romanzo La Fonte ai Confini del Mondo avviene invece una transizione sul finale verso la High Fantasy. L’ opera presenta infatti non solo l’avventura e il conseguimento del viaggio dell’eroe singolo ma anche uno scenario di guerre tra regni con grandi eserciti, maggiormente inclini al romanzo storico di guerra e quindi, per netta conseguenza, alla High Fantasy. Questi due romanzi introducono tuttavia altri “principi d’innovazione” oltre ai due fondamentali sopracitati; vale a dire la chiara manifestazione del “medioevo inventato” d’influenza pre-raffaelita condivisa con John Ruskin e lo spostamento dal proto-socialismo pagano e antropologico dei romanzi degli Wolflings ad un monarchismo genuimente cristiano e cavalleresco, ma ugualmente “Folk“. Sebbene con molta fatica si possa definire “Avventura Fantasy” la vicenda al femminile di Water of Woundrous Isles , dacchè la bella Birdalone – bisogna ammettere – ben poco altro fa oltre a cambiarsi decine di vestiti ed essere coinvolta in storie amorose con cavallereschi giovanottoni, è doveroso segnalare l’elemento della Terra di Unsought che porta in emersione il concetto di Wastelands, ovvero la terra bruciata, o in senso esteso “corrotta e usurata”, che spesso nella fiction fantastica è sede del nemico. Frequentemente questa rappresentanza avviene con presenza di un vulcano, arricchimento che si deve certamente alla più iconica delle Wastelands: Mordor. La “terra bruciata o corrotta” sarà largamente utilizzata nei romanzi, fumetti e film fantastici, compresi Fantasy, distopici e fantascientifici, trovando un suo apogeo non solo nella famosa terra di Sauron, ma anche in varie fiction negli anni ’80. ¹

Mordor. La più famosa delle Wastelands (Alyssa Rosales, 2019)

1897: Il Romanzo High Fantasy: The Sundering Flood

Nell’ultimo segmento di questa sintetica cronologia semantica avviene l’ulteriore evoluzione verso la High Fantasy che si era già vista nello sviluppo finale de La Fonte ai confini del Mondo. La storia, anche se regolata dall’evento negativo del rapimento di Efhild e il desiderio di Osberne di salvarla, si baserà essenzialmente sulla guerra tra due potentati. Ritorna un eroe di ispirazione norrena come Osberne Wulfgrimsson, un guerriero non nobile e senza una casata di prestigio alle spalle come la House of Golding per Walter Golden o come il contesto di Ralph, Rampollo del Regno di Upmeads. Osberne è possessore della magica spada Broadcleaver affidatagli dal padre e con essa, unendosi al cavaliere Sir Godrick di Longshaw, si abbatterà contro il regno nemico retto da plutocrati tiranni. La sua amata è un personaggio femminile carismatico ed etereo che ricorda sia le tolkeniane Luthien e Arwen, sia – attingendo “in casa” – la Hall-Sun e la Wood-Sun del ciclo degli Wolfings. Osberne Wulfrigmsson non è un barbaro di stampo howardiano, tantomeno è un cavaliere come quelli dei Fantasy cavallereschi citati nel precedente quadrante. Egli è un eroe con natali umili, di ispirazione norrena ma anche classicamente medievale. Effettivamente non esiste modo migliore di definire questa “vaga classicità” se non come “Guerriero con Spada“, anche se in questo caso, si tratta d’una spada magica.

Warrior with Sword (Aleksander Karcz, 2019)

Una prima riflessione che scaturisce dal prendere atto di questa sintetica cronologia della carriera di William Morris è quella utile a riconoscere che ogni area, periodo dopo periodo, ha avuto una transizione evolutiva. Il percorso sopra schematizzato contiene una procedura che è in fin dei conti  identica a quella dell’evoluzione stessa del genere Fantasy. Si potrebbe ritenere plausibile, giocando d’approssimazione, che Niccolò Tommaseo possa essere un precursore del romanzo psicologico, posto però che l’espressione definitiva e concreta di quest’ultimo avverrà una ventina d’anni dopo con Dostoevskij e alcuni altri; sino a Pirandello e Svevo che lo porteranno ad un livello psicoanalitico. Allo stesso modo sarebbe difficile affermare come appartenenti all’ Heavy Metal i Deep Purple, i Led Zeppelin e i Black Sabbath senza premettere che essere precursori implica qualcosa di diverso dall’essere gli effettivi iniziatori, come potrebbero esser stati, sempre seguendo l’esempio, gli Iron Maiden e i numerosi restanti esponenti della New Wave of British Heavy Metal. Avviene qualcosa di diverso e piuttosto inusuale invece nel percorso di William Morris che è precursore, ma anche iniziatore effettivo e infine addirittura innovatore nell’ampliare l’Heroic Fantasy britannica in High Fantasy.

Un intervento simile è ravvisabile anche nella carriera di Robert E. Howard. Egli senza dubbio amplierà la sua narrativa eroica creando una storia come Oltre il Fiume Nero che si muove verso approcci d’un romanzo più storico e di guerra. Ovviamente, l’intervento di Howard non ha avuto soggetti come Walter Scott a riferimento. Tuttavia, romanzi come quelli della Calza di Cuoio di James Fenymore Cooper , oltre ad essere la risposta americana al Cappa e Spada e gli antenati del romanzo western, hanno rappresentato una forma di storie avventurose dove oltre al singolo avventuriero anche le trame di battaglia e di guerra giocano un ruolo fondamentale. Le minuziosità geografiche espresse nelle guerre di confine e nelle collocazioni dei fortini hanno fornito ad Howard l’ispirazione per creare un’avventura Sword and Sorcery che somigliasse anche ad un romanzo di guerra, dal sapore epico e storico. Non ci sono ragioni ovviamente per credere che Oltre il Fiume Nero non appartenga pienamente alla Sword & Sorcery, essendone anzi un onorato e onorevole esponente, tuttavia ci sono ragioni per azzardare l’ipotesi che quest’ultimo sia quanto di più simile alla High Fantasy che la Sword & Sorcery possa mai proporre.

Si è quindi appurato che le due “Cronache degli Wolfings” sono opere scaturite a risultato della lunga anticamera del lavoro sui poemi e soprattutto il primo, The House of the Wolfings è incline ad un notevole virtuosismo tecnico, che mostra una penna erudita e finemente educata. Il testo vanta ricchi impianti retorici e passaggi complessi. Anche le parti di prosa che fungono da impostazione e preparazione per i frequenti interludi poetici sono armoniosi quand’anche complessi e lunghi, delicati ma anche palpitanti e pregni di umori immaginifici. Assai frequenti sono i Kenning che Morris usa onorando le saghe norrene così come gli schemi allitterativi che omaggiano invece le maniere più omeriche. skaliLe uniche parti che effettivamente presentano un dispositivo puramente di funzionalità sono quelle riguardanti le descrizioni delle Longhouse norvegesi e degli Skali islandesi che contribuiscono a condurre il lettore in un’atmosfera fortemente scandinava. Vengono descritti gli interni degli edifici di legno e le due file di pilastri che scendono longitudinalmente lungo il salone diviso in due navate, i posti letto ripartiti nelle navate, e i tre focolari al centro della stanza. longhouseLe descrizioni degli edifici di legno, comprese quelle delle fortificazioni composte da paletti fissati nell’argilla hanno anche lo scopo di disporre le informazioni da dare al lettore per orientarlo agli appuntamenti sociali come il Doomring (seduta al cerchio di pietre), il Thing-Steads (Raduno principale) o il Thing (Raduno ordinario). Si riporta che un esercizio così virtuoso e preciso dello stile norreno di ibridazione di prosa e versi si rintraccia nel poco famoso Alcassino e Nicoletta, [1] opera che ritrae una cavalleresca e tenera storia d’amore francese risalente al dodicesimo secolo. A riguardo dello stile del Morris su The House of the Wolfings si espresse di nuovo Oscar Wilde, dopo aver già dipinto con toni entusiastici la traduzione dell’Odissea un anno prima, sempre nelle sue “temute” recensioni sulla Gazzetta di Pall Mall.

“L’ultimo libro di Morris è un’opera d’arte dall’inizio alla fine, e la stessa lontananza del suo stile dal linguaggio comune e dagli interessi ordinari dei nostri giorni conferisce all’intera opera una strana bellezza e un fascino sconosciuto. La scrittura consiste in una prosa antica e versi combinati, similmente alla fiaba medievale. Quando il risultato è così bello il mezzo è giustificato…un’eccellenza!” (Oscar Wilde)

Si è parlato più volte, anche qui su Hyperborea della specifica interpretazione fondale tra i significati di The House of the Wolfings e in parte di The Roots of the Mountain. Ci limiteremo quindi solo per completezza a ripetere brevemente che nel romanzo che narra le gesta di Thiodolf si è rappresentata nella potenza romana la forza divoratrice della rivoluzione industriale che trova contrapposizione nell’anima eroica e identitaria dei vari clan -o Houses- come gli Wolfings, Laxings, Bearings, Hartings, Shieldings e altri ancora, i quali sono protettori appassionati della famiglia, degli dei e delle tradizioni, oltre che della Fell-Folk, le famiglie dei caduti e della Folk,la popolazione semplice. Ancor più degenerata e irreparabile è tuttavia la rappresentazione degli Unni in The Roots of the Mountain, descritti come individui crudeli “senza gioia nè passione”, non dissimili dagli Orchi della Terra di Mezzo. Se sui Romani si ha un una repressa ammirazione che stenta ad uscire dietro i denti stretti, sugli Unni il disprezzo è assolutamente irreparabile come lo è quello per il degrado definitivo e alienante – parola spesso usata dal Morris per richiamare alle visioni peggiori – della società industriale e moderna.

The Roots of the Mountain è certamente caratterizzato da minori complessita tecniche rispetto a The House of the Wolfings e non solo per la diminuzione sostanziale degli inserimenti poetici ma anche per una prosa complessivamente più semplice. I due romanzi mostrano differenze strutturali anche nell’essere considerati in proiezione alle loro rispettive influenze. Entrambi hanno senza dubbio fornito una notevole influenza su Tolkien, ma se in The House of the Wolfings, i guerrieri appartenenti ai vari clan distribuiti nel Mark; Upper Mark, Mid-Mark e Nether-Mark, anche in qualità effettiva di “Uomini del Mark“, si mostrano sommariamente simili ai cavalieri di Rohan, in The Roots of the Mountain, soggetti come Sum-Beam o Folk-Might  sono invece assolutamente al principio dell’intero impianto dei Dunedain. In The House of the Wolflings vi sono forti caratterizzazioni su Thiodolf, sulla Hall-Sun e la divina Wood-Sun. I restanti Warduke o semplici guerrieri, come Herjulf degli Wolfings, Lontra, Asbjorn, Stirbjorn, Elfo degli Harthings, Otter dei Laxings, Athalulf, Vinglund, Volpe il Rosso dei Hrossings e altri ancora, finalizzano le loro caratterizzazioni esclusivamente ai loro ruoli di guerra. Tale defezione certamente potrebbe esser vista come un difetto per alcuni lettori. Tuttavia la cosa non da un gran peso all’economia complessiva e qualitativa del romanzo che è approntato radicalmente alla preparazione e alle azioni di guerra e non sull’avventura individuale. I soggetti menzionati, pur non andando molto oltre all’esser guerrieri, combattere, comandare e riportare notizie da ricognizioni o esperienze riescono a rapire e a coinvolgere grazie alla piacevole retorica dei loro racconti che sospinge il lettore a perdersi perfino su come  poteva essere un anonimo pomeriggio di quei tempi antichi e così ammantati di leggenda. Diversamente gli Wolfings di The Roots of the Mountain hanno nomi propri “non onomastici”, ma psicologie più specifiche. Graham Seaman, nella sua introduzione del 2003 si è espresso a riguardo dell’influenza del romanzo sul Signore degli Anelli.

Roots of the Mountains sembra veramente aver ispirato i subplot dei Dunedain e gli amori di Aragorn, Faramir, Arwen e Eowyn” (Graham Seaman) [2]

A prescindere tuttavia dallo schema delle storie d’amore riproposte da Tolkien, ciò che realmente rende gli Wolflings del secondo romanzo più simili ai Dunedain è il loro ruolo di paladini, benefattori e protettori invisibili verso le comuni genti di Burgdale. Computo non diverso da quello che assume la Grigia Compagnia dei Raminghi nei riguardi della Contea degli Hobbit. Al medesimo modo non è molto diverso dalla Contea lo stesso pago di Burgdale, sebbene l’associazione più lampante sia con Dale, cittadina anch’essa alla “Radice della Montagna“, ma in questo caso, la Montagna Solitaria sorvegliata dal drago Smaug. Chi interagirà maggiormente con Sum-Beam, Folk-Might, Bow-May e gli altri Wolflings sarà “Volto Divino” ² protagonista e semplice abitante di Burgdale, che riceverà per primo l’avvertimento dell’avanzata degli Unni. ricordo di thiodolfEmozionanti sono le battaglie vittoriose degli Wolfings uniti alle genti comuni per sconfiggere gli Unni e liberare Rosedale e Silverblade. The Roots of the Mountain riesce a penetrare con forza nelle emozioni. Le storie d’amore dei componenti di ciò che rimane dei vecchi e gloriosi Wolflings avvengono su uno sfondo crepuscolare e malinconico, ricco di riflessioni. Aleggia il ricordo dei giorni vittoriosi di Thiodolf e la presenza magica della Wood-Sun. Gli Wolfings, demograficamente abbattuti e ormai residuo di tempi eroici dimenticati faticano ad inserirsi nella società di Burgdale che loro stessi proteggono sbarrando il fronte contro gli Unni.

Ben risaputo è che Morris abbia sempre considerato le “arti comuni” al pari di quelle alte, e che sempre per lui l’artigianato semplice, quand’anche umile e campagnolo, veniva inteso quasi come un gesto di poesia. La difficoltà degli Wolfings nell’inserirsi con i pur benvoluti artigiani, conciatori, fabbri di Burgdale conferisce al romanzo un grande realismo e una voglia di superare ogni facile retorica, perfino quella retorica del bagaglio stesso di Morris. Pur tentandovi, regna insinuante un sentore di tempus edax rerum. Nessun turpiloquio o disillusa estetica del cinismo che molto seduce le correnti più recenti della Fantasy potrà riprodurre mai un’autenticità reale come questa.

La connotazione completamente benevola rende tuttavia diversi gli Wolfings dai Dunedain alla percezione finale e definitiva. Gli Adunaici ricordano un passato di gloria imperiale e dalla parziale natura malvagia sin da prima dei fatti “Atlantidei” dell’Akallabeth. Gli Wolfings invece narrano ai loro genuini vanti solo un fiabesco passato di glorie eroiche e forestali. Interessante notare, riguardo ai Dunedain, che coloro che non divennero raminghi, scegliendo la gloria e seguendo Ar-Pharazon, diventando pertanto malvagi, hanno commesso invadendo Valinor in fin dei conti lo stesso crimine commesso da Re Artù nell’invadere il Regno di Annwyn o Regno d’Altromondo. Con il paradosso però d’esser diventati malvagi dopo aver sconfitto Sauron stesso. Anche Artù , nel poema inerente al libro di Taliesin, così come i Dunedain, pagò caro l’oltraggio. Gli Wolfings mai avrebbero commesso tale sconsideratezza.

Le paludi morte e gli ingressi al Morannon devono qualcosa al nord della Francia dopo la battaglia della Somme. Ma Devono ancor di più a William Morris e ai suoi Unni e Romani, come in The House of the Wolfings o The Roots of the Mountains” (J.R.R. Tolkien) [3]

Se tuttavia, The Roots of the Mountain, anche per i valori toponomastici e per le descrizioni geografiche ben dettagliate ha forse rappresentato un’influenza su Tolkien ancor più forte di The House of the Wolfings, quest’ultimo, per i suoi tratti palpitanti ed emotivi, per la capacità di rendere vivi i tratti del fitto bosco mormorante e d’un sottobosco brulicante, ha senza dubbio penetrato col suo influsso la fervida letteratura di Lord Dunsany.

[…] Il chiaro di luna si spandeva come una grande marea su tutta l’erba, e la rugiada stava cadendo nell’ora più fredda della notte, e la terra odorava dolcemente, […] e non vi era alcun suono che provenisse da alcuna creatura vivente […] salvo quello d’un gufo bianco che stava sbattendo le ali vicino ai cornicioni della dimora […] Thiodolf si mosse verso la foresta, e camminò verso gli alberi sparsi di nocciolo, e da li verso il folto della faggeta, e quindi andò avanti ancora e ancora […] fino a che il chiaro di luna non si fu spento sopra la volta delle foglie di faggio, e nonostante tutta l’oscurità nessun uomo poteva trovarsi là e non sentire verde il tetto sopra di lui. Egli proseguì ancora nonostante il buio […] ora splendeva una luce che non proveniva interamente dalla luna, sebbene potrebbe essere difficile dire se quella luce potesse provenire dalla memoria dei giorni passati o dalla promessa dei giorni futuri […] e accadde una piccola meraviglia; su un sedile di pietra era seduta una donna incredibilmente bella, vestita di abiti splendenti, nel chiaro di luna i capelli diafani sciolti sulla pietra grigia sembravano i campi d’orzo nella notte d’agosto […] « Oh Lanterna del Bosco! tu sei il tesoro della mia vita che ho trovato da giovane e l’amore della vita che possiedo ora che la barba è imbiancata […] »

Seguiranno lunghi dialoghi lirici intrisi di poesia e veggenza che interesseranno guerra, amore e morte. Vi sono molti altri tratti caratterizzati da questo genere di suggestioni, si è scelto questo poichè è qui che viene presentata la Wood-Sun. woodsunSi estendono nel testo brani di prosa e versi pregni di poesia d’amore e del bosco, ma frequenti sono anche i momenti dove si ricorre alla retorica animosa della battaglia, nonchè quelli dei resoconti delle ricognizioni dei guerrieri dei vari clan come Volpe il Rosso o Geirmund degli Shieldings, che recano una frizzante e militare attesa della guerra. Lord Dunsany ricorre più spesso a schemi simili come quello riportato, dallo stile incalzante e l’uso reiterato di aggiunte che iniziano con la congiunzione “e”, quando divisa con virgole sulla lunga linea o quando con il punto. Morris ricorre ad un uso vario degli stilemi basati sulla descrizione, ma è necessario specificare che la brevità fulminea dei racconti di Dunsany consente di ricorrere spesso ad una narrazione così palpitante. Anche Dunsany riesce a trasmettere l’umore del soggetto che descrive, adoperando un grande realismo nella frenesia che comunica. Lo stile usato dai due scrittori è simile, ma per rappresentare circostanze del tutto diverse, la prima sognante e languida, la seconda frenetica e disperata, eppure entrambi dimostrano grande capacità di essere dentro ai loro personaggi, conferendo un dettaglio realistico al loro vissuto.

[…] anche iraine fu colpito a morte, e la ferita era orrenda e non si sarebbe saldata. E Iraine era l’ultimo dei capitani e si allontanò a cavallo da solo. Fu lunga la strada fino al cupo abisso, e Iraine temette di non riuscire ad arrivare al luogo dell’estremo riposo degli antichi eroi, e spronò il cavallo, e si aggrappò alla sella con tutte e due le mani. E mentre cavalcava, spesso perdeva i sensi, e sognava dei tempi quando per la prima volta era balzato in sella per le grandi guerre di Welleran, e di quando Welleran gli aveva rivolto parola per la prima volta, e delle facce dei compagni di Welleran quando in battaglia andavano all’assalto. E ogni volta che si riaveva, un grande anelito affiorava, la brama di giacere insieme ai resti degli antichi eroi.” (Lord Dunsany, La Spada di Welleran)

Non mancarono alcuni dissidi e opinioni contrastanti attorno ai due romanzi degli Wolflings, come quello che coinvolse May Morris quando dichiarò che le due storie ambientate nel centro e nel nord della Germania scaturirono principalmente dalle “Visioni fantastiche e dall’influenza delle saghe norrene” del padre. A questa opinione si contrappose l’accademico Thomas Shippey, che esplicitamente asserì che May “non ci ha capito proprio nulla“, in quanto le due opere sono più puramente storiche di quanto non sembrino. Secondo Shippey, The House of the Wolfings e The Roots of the Mountain furono ambientati in un’area che va da Est del Trentino Alto Adige fino ai Carpazi. Bisogna tuttavia osservare che nomi come Burgdale, Rosedale o Silverblade non sembrano frutto di una toponomastica romanzata plausibilmente ad un’area geografica come quella indicata dall’accademico, specificando anche tuttavia che effettivamente, tali nomi non sono neanche molto adatti alla Germania stessa. Si svolge inoltre un dialogo al Colle delle Orazioni nel momento della comparsa di Volpe il Rosso dei Hrostings, dove egli rivela di essere di origine cimbra, i fatti che vengono rivelati a riguardo del fatale colloquio tra Volpe e Hrosstyr sembrano svolgersi molto più a Nord rispetto a come indicava Shippey, dove si allude al “Fiume dei Goti” e ad incontri fugaci con i Burgundi, lasciando adito all’ipotesi che quanto riportato si sia svolto quindi intorno alla Vistola pertanto in Polonia. Volpe il Rosso specificherà che il luogo non è in prossimità del colle dove lui si trova nel momento del dialogo, ma ben più lontano. Ovviamente nessuno può escludere che alcuni tratti dei due romanzi in oggetto possano essersi svolti nei luoghi menzionati dallo studioso britannico.

Io provengo dalla casa dei Hrostings della Marca Mediana, e sono appena stato nominato uomo della famiglia: sebbene io non vi sia nato; poichè sono il figlio di una bella e potente donna della stirpe dei Kimry che fu presa quando era in attesa di me: mi chiamano Volpe il Rosso

Thomas A. Shippey, esperto autorevole della letteratura anglosassone, colloborò con Harry Harrison nella scrittura della Saga del Martello e della Croce ³. Egli più volte si dimostrò incline a trovare una solidità storica ai romanzi degli Wolflings squalificando sia le opinioni di May Morris riguardo suo padre che quelle di Moorcock riguardo Tolkien. Che sia chiaro che le opinioni di Shippey sono assolutamente meritorie e largamente condivisibili, soprattutto quelle a riguardo delle parole screditanti di Moorcock su Tolkien. Bisogna tuttavia dire che un caso assai diverso è quello riguardante May Morris e che accomunarlo a quello dell’autore della Saga di Elric, per giunta nel parlare del proprio padre, appare piuttosto insolito. Gli stessi Cimbri summenzionati, e la loro guerra con i Romani sono inerenti ad un’età assai lontana dall’epopea gotica che Giordane descrive con il riferimento iniziale della migrazione di Berig dalla penisola scandinava all’area polacca della Vistola. Una cosa è sostenere che i romanzi degli Wolfings non siano sempre basate su granitiche evidenze documentali storiche e che siano liberamente ispirati, ben altra cosa è ignorarne i significati sociali e antropologici. Appare piuttosto chiaro che Morris possedeva vastissime e profonde conoscenze della storia e della filologia germanica e che le sue “libere ispirazioni” non derivavano certo da incuria, bensì da una volontà di creare un romanzo neo-epico che descrivesse una storia dai tratti eroici e fiabeschi, con una società basata sul “Folk-Mote“, composta da clan legati ai propri spiriti totemici e da un sano e genuino elitarismo di clan integrato con artigiani – e in senso antropologico – “comunardi liberi“, discriminati da essi solo e unicamente perchè non professionisti della spada, dello sciamanesimo e l’erboristeria. D’altro canto, se The House of the Wolfings fosse stato un semplice romanzo storico sui Goti, quand’anche il più rigoroso mai scritto, avrebbe avuto una portata storico-letteraria inferiore a quella che invece possiede come romanzo neo-epico, proto-fantasy o epic fantasy. Si ha l’impressione, che esprimiamo qui umilmente e senza alcuna voglia di elargire sentenze, che Shippey difenda la storicità di Morris e Tolkien poichè contestarla è come – secondo lui – paralizzarne i significati sociali, e da ciò forse deriva il suo commento sulle reazioni di May Morris e di Michael Moorcock sui rispettivi temi

L’ uso stesso del termine “Mark” in The House of the Wolflings dimostra che Morris padroneggiava le conoscenze più erudite e filologiche. A me sembra abbastanza probabile che nella sua narrativa Morris stesse proprio cercando di dire qualcosa alle classe sociali anche se si tratta di qualcosa che sua figlia e i critici della sinistra bempensante non vogliono sentire, ma come dimostrano le reazioni di May Morris e Moorcock, il problema (soprattutto per certi inglesi) è riuscire a trattare le questioni di classe senza rimanere intrappolati dentro” (Thomas A. Shippey) [4]

A prescindere tuttavia dalla sottigliezza delle evidenze storiche, reali sono le ragioni di Shippey che effettivamente trovano un riscontro, anche in qualche vento polemico riguardante il razzismo che si sollevò sulla raffigurazione degli Unni e sulla loro impossibilità di riprodursi con i Goti che viene menzionata in The Roots of the Mountain. Senza fermarci troppo sul fatto che effettivamente, occorre del coraggio per sollevare sospetti di razzismo su un uomo che così si esprimeva sul colonialismo:

La nostra civiltà desidera ardentemente conquistare nuovi mercati e produttori di materia così che le manifatture “civilizzate” siano forzate su di loro. Tutte le guerre intraprese ora, con il pretesto di “missioni civilizzatrici” sono guerre da Imperialismo Vampiro e Colonialismo, premi da riportare al grande mercato mondiale […] Il Colonialismo Africano porterà ad una depressione e ad una grande guerra europea e dopo di essa, uno stato di guerra che non finirà mai” (William Morris, 1887) [5]

Come si accennava nelle fasi introduttive è evidente che William Morris creò un antimodernismo indipendente che pur condividendo larghi tratti con il pensiero di John Ruskin ha preso le distanze dal suo Rovinismo estremista, il quale è molto più affine ad un antimodernismo di stampo decadentista. Morris era infatti maggiormente orientato alle manutenzioni capillari ed oculate degli edifici antichi piuttosto che contemplare romanticamente delle rovine cadenti come invece piaceva più a Ruskin, ai rovinisti e ai decadentisti. Ma soprattutto le distanze sono state prese infine anche dal marxismo. Ben diverso è l’antimodernismo espresso in The House of the Wolfings che poco sopra abbiamo descritto, rispetto all’antimodernismo filogermanico di Friederich Engels di cui si fa menzione in Origini della Famiglia che, si ha l’impressione, sia servito più che altro a disporre di argomenti di propaganda e dibattito sulle politiche contadine da utilizzare nell’ambito del Partito Socialista Tedesco. Il testo di Engels verte poi sulle teorie protostoriche matriarcali di Johan Bachofen, in totale contrasto con Morris, lontano dal vedere una protostoria matriarcale poi ribaltata, più propenso invece ad interpretare un ruolo complementare dei due sessi, estetizzato certamente su un paradigma che prevedeva il sesso maschile verso l’artigianato e il combattimento, quello femminile nelle arti erboristiche e sartoriali. Vi sono tuttavia anche discipline per entrambi, come la musica, l’arte e l’agricoltura. Non compare affatto una reale subordinazione o dominio di uno dei due generi. La cosa viene in realtà riconosciuta anche in ambito accademico, dove viene ammesso che:

L’influenza del lavoro di Engels sui romanzi di Morris, sembra essere stata piuttosto lieve” [6]

Si tenga presente che in certi posti, per via di una sorta di “galateo editoriale” la parola “lieve” è sinonimo di “inesistente“. Per chiudere tuttavia questa parte specifica sui romanzi degli Wolflings, è bene dare definitiva concretezza al fatto che la transizione che si è svolta da The House of the Wolfings a The Roots of the Mountains non ha interessato soltanto la diminuzione della parte poetica e uno slittamento verso la quasi integralità della prosa, ma vi è stata anche una transizione concettuale della rappresentazione dei valori, prima sulla genuina società barbarica di clan e dopo su quella cavalleresca.

Sono finiti l’austerità e la severità del lavoro precedente. La storia è ancora piuttosto grave, ma Morris ha già iniziato a scivolare nel mondo dei suoi ultimi romanzi. È passato dall’età eroica e barbarica a quello che considerava l’inizio della cavalleria“[7]

gothsknight

Per mantenere la promessa del titolo di questa analisi sugli antimodernismi e i principi di innovazione bisogna tuttavia necessariamente ritornare alla sintetica cronologia semantica della carriera di William Morris che abbiamo schematizzato poco sopra, e soffermarci brevemente sulla sua anticamera poetica.

Riprendiamo quindi da quel tratto:

1858-1887 – Restaurazione dei Poemi Epici, Elaborazioni ispirate e componimenti di Poesia e Poemi Originali:

Come già detto, in questo segmento che occupa una significativa parte della carriera letteraria di William Morris troviamo una costante attività di traduzione, componimenti originali ed elaborazione ispirata dei poemi epici antichi anglosassoni, norreni e greci. Tra i lavori significativi in queste tre aree vi sono La Difesa di Ginevra e altre opere (1858), contenente, tra le menzionate in titolo “altre opere” anche Amore e Psiche e gli originali Haystack in the Floods, poema medievale sulla guerra dei cent’anni e Golden Wings, poemetto cavalleresco romantico. Segue un periodo di traduzioni di segmenti incompleti e frammenti principalmente di ambito norreno, sino a La Vita e la Morte di Giasone (1867) e  Il Paradiso Terrestre (1868), poema originale, nonchè luogo d’incontro tra mondo germanico e mondo ellenico, contenente anche cinque inediti tra i quali: l’interessante e battagliero poemetto La Storia di Aristomene, basato sulle gesta del capo militare protagonista della seconda guerra messenica contro Sparta e la rielaborazione di Orfeo ed Euridice. In queste prossimità (1869) si trovano due traduzioni delle saghe islandesi di alto interesse, come quella basata sul particolare e quasi antieroico personaggio Grettis (Grettis Saga) e Gunnlaug il Vermi-Linguo e Raven lo Skald. Degna di nota è anche la parte finale di questo tratto basato sulla poetica, composta anzitutto dalle complessità, forse anche eccessive del poema cavalleresco L’ Amore è Abbastanza (1872) dove Morris sfoggia una profonda erudizione al virtuosismo tecnico, sino a concludere con la traduzione dell’Eneide (1876), l’elaborazione ispirata al mondo norreno della Saga dei Volsunghi (1877) e , dopo l’intervallo composto da saggi e una serie di poemetti e poesie, dalla traduzione dell’Odissea (1887).⁵

Questa ricostruzione approssimativa e sintetica dell’attività poetica di Morris conclusasi con la traduzione dell’Odissea del 1887 è funzionale certamente nel capire, come si è chiarito in precedenza, la transizione verso il nuovo corso della narrativa dello scrittore britannico ma è altrettanto utile per notare come Tolkien abbia essenzialmente raccolto la torcia di William Morris, svolgendo anch’esso un’attività d’anticamera basata sui poemi prima di generare i suoi romanzi fantasy antimodernisti. Nel 1917 Tolkien ha composto parte dell’opera poetica di Beren e Luthien, tra gli anni ’20 e ’30 ha invece affrontato La Leggenda di Sigurd e Gutrun e Beowulf, per poi concludere nell’inoltrarsi agli anni ’30, trascurando ampi dettagli come Sir Gawain e il Cavaliere verde, con La Cadutà di Re Artù rielaborato da Thomas Malory. Nel 1937 si giungerà all’importante romanzo Lo Hobbit. L’ attività poetica e mitologica e la narrativa fantasy antimodernista che sorge in Lo Hobbit, ma che già scaturiva prima con Lord Dunsany e S.R. Eddison si assesta in un quadro di antitesi ad opere rappresentanti del modernismo, come il poema epico Terra Desolata (Elliot, 1922) o il romanzo Orlando (Woolf, 1928) che ben prima di Zygmunt Bauman esplicitava concetti apolidi attraverso la fluidità omnivalente del suo protagonista, ma anche dal poema epico, sempre modernista sulla seconda guerra mondiale intitolato In Parenthesis (Jones, 1937). La prosecuzione dell’antimodernismo di Morris da parte di Tolkien trova una logica anche in Robert E. Howard. Il creatore di Conan il Barbaro, anche se non in forma di poema, ha affrontato la sua personale anticamera di restaurazione epica con il Ciclo Celtico di Bran Mak Morn, “suggerendo” inoltre lo pseudobiblium del poema della Cronaca Numenide in introduzione a La Fenice sulla Lama, vale a dire il racconto che mette a termini concreti la Sword & Sorcery. Non da trascurare è il fatto che in quel periodo Howard poneva le sue attenzioni anche su soggetti come Thomas Bulfinch, non a caso scrittore “post-mitologico“, autore dell’opera intitolata Mitologia Bulflinch (1851). Sarebbe certamente poco realistico dire che Howard sia inquadrabile come antitesi verso i modernisti americani come Tolkien lo fu in senso totale, sia per quelli britannici che americani, ovvero soggetti come il già citato Elliot, Ezra Pound, Gertrude Stein o Hilda Doolittle, contando che il modernismo fu una corrente difforme da un punto di vista ideologico e che ben poco ha senso non considerarlo omogeneamente anglo-americano. Sia Tolkien che Howard hanno proiettato una antitesi al modernismo certamente meno plastica rispetto a quella dei Poeti Georgiani, ma non per questo meno significativa. Non si può negare che Howard abbia tuttavia affermato un genere di risposta altrettanto forte all’interno del suo mondo, quella ottenuta modificando il “troppo britannico” e morrisiano-dunsaniano (si fa per dire) Quest’Ascia è il mio scettro. Si potrebbe ipotizzare che il racconto, nonostante il suo indiscutibile valore si sarebbe assestato come semplice ottimo racconto di Heroic Fantasy americana. Ma inserendo maggiori dosi di magia, narrativa pulp, intreccio cospirativo del Cappa e Spada nonchè soluzioni avventurose come quelle di Harold Lamb o Rafael Sabatini, si è creata la definitiva Sword and Sorcery nella sua forma più cristallina e Fantasy, portando con La Fenice sulla Lama a compimento pieno le attitudini espresse già in Ombre Rosse (Ciclo di Solomon Kane) e The Shadow Kingdom (Ciclo di Kull di Valusia). Necessario altresì specificare che tale lettura dei fatti riguardo la novella di Kull è compiuta con sguardo anteriore. Ad occhi odierni risulta impossibile non riconoscere in Quest’ascia è il mio scettro una storia fondamentale, meritevole d’essere inserita nel “Kit di base” di un rispettabile lettore di Fantasy senza sfigurare in mezzo a molte pietre miliari.

kullIl Principio antimodernista mitologico che viene generato in The House of the Wolfings è quindi indipendente, nonchè principio primo della Fantasy. La restaurazione epica e l’ anticamera poetica che portano a frutto la letteratura di Morris seguono un ordinatore estetizzante e Folk/antropologico, contrariamente al principio antimodernista decadentista che, seppur accomunato dall’antipositivismo e dal romanticismo, segue un ordinatore estetico, ma non estetizzante, raggiungendo un riflesso anarchico e nichilistico. Diverso è anche l’antimodernismo del romanzo storico che segue anch’esso un ordinatore cosmetico, ma polarmente opposto al nichilismo e all’anarchismo, invece che giungere al fine folk/antropologico questi raggiunge l’obiettivo prettamente ideologico tramite un rinnovamento dell’epica: I Patriottismi scoto-sassoni di Scott e di Pyle, Il Patriottismo risorgimentale del D’Azeglio, il Patriottismo identitario e universale di Tolstoij, il moralismo fideistico manzoniano e di Puskin, il patriottismo socio-popolare di Dumas, l’anticolonialismo di Salgari e l’anti-monarchismo di Hugo e Stendhal. Potremmo continuare ancora a lungo. Si noti quindi che nonostante sia comune la sorgente romantica di tutti gli antimodernismi, si hanno poi divergenze, quando assolute o quando relative, nell’espressione filosofica finale. E’ in questa chiave che, come sopra si accennava, Neo-Epica e Epica Rinnovata sono considerabili come due concetti diversi, se non addirittura opposti. Come si considerava nel precedente articolo su Morris riguardante il “Mondo Secondario“, dove si riportava la seguente citazione quasi per intero, perfino Robert Blatchford, personaggio vicino alla Art and Crafts, era tendenzialmente propenso a concepire un rinnovamento dell’epica.

[…] sono pronto a sacrificare il socialismo per l’inghilterra ma non l’inghilterra per il socialismo[…] Robin Hood è il Re Artù dei Poveri, Littlejohn, Will Scarlett e Allan a-Dale i suoi Lancillotto, Gawain e Tristan […] I Nemici dell’inghilterra sono i miei nemici, […] Non approvo questa guerra attuale. Ma non posso andare con quei socialisti le cui simpatie sono con il nemico. Tutto il mio cuore è con le truppe britanniche… sono per la pace e la fratellanza internazionale. Ma quando l’Inghilterra è in guerra io sono inglese” (Robert Blatchford) [8]

Nei termini proposti, riguardanti la guerra Anglo-Boera certamente l’espressione risulterebbe condivisibile anche per lo stesso Morris, bisogna tuttavia considerare che è diversa quella concezione che opera un rinnovamento dell’epica per sviluppare un patriottismo basato sul nazionalismo ideologico, da quella che opera invece un ripristino neo-epico per sviluppare un patriottismo basato su un identitarismo folk e antropologico. Nel considerare tuttavia che Blatchford prendesse probabilmente a riferimento il Robin Hood di William Langland⁶ nel Piers Plowman, più di quelli di Howard Pyle o di Alexandre Dumas, si potrebbe ritenere la sua esternazione più incline alla neo-epica che all’epica rinnovata. Ma questo certo non varrebbe , ad esempio, per i magnifici “eroi popolari” in chiave anti-monarchica di Hugo, o per Kutuzov di Guerra e Pace, sia includendo quindi tutti gli eroi dei romanzi storici scaturiti da genuine passioni sia quelli asserviti alla propaganda ideologica. Walter Scott certamente consiste in un’analisi più difficoltosa, avendo anche lui sviluppato la sua narrativa storico-epica dopo una anticamera poetica svoltasi nei primi dell’800. Prima di pubblicare Weaverly Scott affrontò infatti opere poetiche come Border Ballads o The Lady of the Lake.

Innegabile , come abbiam detto, è che William Morris abbia avuto un impatto enorme, diretto o indiretto, consapevole o non consapevole, oltre che su Tolkien, anche sulla letteratura di Eddison e di Dunsany, ma nello specifico del barone non si può non riconoscere che egli abbia poi percorso un corridoio a sè stante, ricavando uno spazio unico sospeso tra l’antimodernismo mitologico e quello decadentista. In Dunsany si trova certamente un’anticamera folk e poetica simile a quella di Morris, ma anche una connaturazione al decadentismo e ad un “post-dandismo” che sfigura e asserve le reminiscenze mitologiche verso un individualismo onirico che avrà un riflesso diverso nelle immanenze e nei significati della sua letteratura. Potremmo certo trovare delle somiglianze tra la “catalessi onirica” della città di Merimna (The Sword of Welleran, Dunsany, 1908), il fumigante e allucinogeno immobilismo decadente dell’anacronistica e isolata guardia religiosa di Xuthal (L’Ombra che Scivola, Howard,1933) o la defibrazione involutiva – se decadenza risultasse esagerato – di Minas Tirith e della sua elìte cittadina, riassunta nella Casa dei Sovrintendenti (Il Signore degli Anelli, Tolkien,1954) ma vi sono differenze sensibili e totali nell’espressione finale. La risoluzione in Tolkien arriva con l’ascesa di una stirpe che si ripristina, privilegiando un genuino patriottismo dinastico non dissimile da quello di Morris ne La Fonte ai confini del Mondo. In Howard la risoluzione arriva invece per mezzo del vigore barbarico, che è invece espressione più simile alla visione del barbaro come risanatore della perversione della civiltà che troviamo anche in Oltre il Fiume Nero, ma non meno in The House of the Wolfings.

Quante volte nei film d’azione o avventura con Sylvester Stallone, Harrison Ford, Arnold Schwarzenegger o Bruce Willis abbiamo visto i protagonisti, nelle sequenze finali del film , lasciarsi dietro all’ultimo momento il sito nemico che divamperà in un’esplosione alle loro spalle?

actionconanSe tale soluzione in questo genere di film avviene a fini estetici o di alta-tensione è assai diversa la questione nel ciclo che li ha ispirati, ovvero quello di Conan il Barbaro. Il personaggio di Howard molto spesso abbandona nelle sue avventure la fortezza nemica lasciandola guastata, in crollo o alle fiamme. Egli assume il ruolo della forza barbarica che chiude in via definitiva “la gestalt mantenuta aperta” di civiltà perverse e decadenti innaturalmente rimaste in vita ben oltre al loro destino. Quando Conan si è introdotto a Xuthal, non ha incontrato un paladino a proteggerla, malvagio, fanatico o buono che potesse essere, dacchè quello sarebbe stato il segno che Conan avrebbe agito per il caos e che Xuthal, per quanto decadente, nutriva ancora un tessuto “Folk” e un popolo conservato per quanto malridotto, che traeva “chiare soluzioni” dalla propria identità. Al contrario egli vi ha trovato una guardia religiosa passiva e narcotizzata e una sacerdotessa che è custode d’un incubo più che di un culto. Quando Conan guarderà negli occhi della città vedrà la sua vera anima nella forma d’un mostro lovecraftiano che è lo spirito affamato di una civiltà già morta e che si protrae all’innaturale. Non è così ovviamente solo in The Slithering Shadows, ma anche in molti altri luoghi in cui Conan si avventura. Risulta quindi necessario sottolineare che la qualità antieroica del cimmero è maggiormente traducibile come qualità di “Eroe non civilizzato” similmente a quella di Thiodolf e in senso più generale di Osberne Wulfgrimsson, e che egli, quale personaggio antieroico, non rappresenta il castigo del caos barbarico che prima o poi agisce sul mondo civile e a cui gli eroi debbono contrapporsi, essendo lui stesso sia eroe che antieroe nella sua saga, ma rappresenta un concetto che lo stesso William Morris, non a caso, spiegava anni prima.

Solo i barbari sono in grado di ringiovanire un mondo in preda al crollo della civiltà moderna” (William Morris)

La barbarie è la condizione naturale del genere umano […] la civiltà è innaturale, un capriccio del caso, alla fine la barbarie trionfa sempre” (Conan il Barbaro)

Nella letteratura di Howard si realizzerà questo stato proprio in Oltre fiume Nero, vicenda che, per tutto paradosso, ritrae Conan non come agente individuale bensì come eroe in cooperazione con il civilizzato Balthus. I due, uniti da contingenze casuali portano avanti lo scopo di proteggere le genti di frontiera dai Pitti, selvaggia tribù che svolge il ruolo che Conan ha svolto ogni volta che ha dovuto addentrarsi nel residuo di qualche “rovinata civiltà perversa“. La sua attività di protezione si volge certamente più agli incolpevoli coloni, quindi al tessuto folk, che al Forte Tuscelano in sè. Se quindi, come abbiam detto, nel Signore degli Anelli vi è un basamento sul genuino e cavalleresco patriottismo monarco-dinastico della Stirpe di Aragorn simile a quello delle piccole monarchie religiose e cavalleresche de La Fonte ai Confini del Mondo, in Conan, maggiormente troviamo invece il disegno proto-sociale tribale e pagano, pertanto folk e antropologico di The House of the Wolfings. Abbastanza sorprendente tuttavia è che nonostante queste due apparenti diversità, non cambia la resa effettiva di queste due declinazioni in società, ovvero di una civiltà basata sui valori, che “ringiovanisce”  e risana la perversa civiltà tramite qualcosa che di certo non è nuovo: Il Mito.

dunsanyRecuperando quindi l’inevitabile chiamata verso Lord Dunsany che la digressione appena esposta aveva smarrito, ci si rende consapevoli di come lo scrittore anglo-irlandese, pur condividendo un antimodernismo influenzato da Morris, dal romanticismo e dall’antipositivismo, abbia poi una risoluzione diversa nel relazionarsi al mito tramite il suo individualismo anarchico e onirico che il decadentismo nutre nelle sue narrazioni. La Spada di Welleran, ritrae un eroe nella città summenzionata di Merimna, potenza che un tempo opprimeva le tribù regionali ultramontane ma che ora è incline a non guerreggiare più per una condotta pigra e catalettica che per pio pacifismo. Se a Xuthal la droga è il loto, se a Minas Tirith la dipendenza è l’autoreferenzialità delle sue aristocrazie, a Merimna è il ricordo dei fasti passati l’allucinogeno più consumato, ma nel chiarire tuttavia che questo fornisce più un inganno che una soluzione di risveglio del popolo e del tessuto folk. Non vi è certo la deriva di Xuthal, ma la prosecuzione della storia avverrà nella presa di possesso d’una spada magica, insanziabile e vampirica che è personificazione d’un ricordo antico e persecutore come una tragica vita precedente e che non illumina quindi con le “chiare soluzioni” l’ eroe che la brandisce come invece farebbe la memoria del mito. L’Anima di Welleran e della spada si personificano come si animano i tormenti di fantasmi, gli incubi di personaggi come Gaznak, o le voci parlanti di uragani e tempeste. Rold assume la sua consacrazione eroica brandendo quindi un’arma disarmonica come la Stormbringer di Elric. Sword of Welleran avrà un impatto enorme sulla letteratura di Lovecraft e di Moorcock che sono, in effetti, pur alle loro differenti maniere due narratori “sospesi” come lo è lo stesso Dunsany.

Una paura dilatata all’estremo, che guarda un cosmo inquieto, insonne eppure vivido di incubi colossali per Lovecraft; così come i richiami cavallereschi, lo slancio dei regni giovani, la perversione dei melniboneani e un approccio più tragico e psicologico che antropologico per Moorcock, ci mostrano chiaramente che nessuno dei tre; Dunsany, Lovecraft e Moorcock, guarda al mito come quella “chiara e luminosa soluzione“[9] ma tutti e tre subiscono il mito sottoforma di incubo, di insano pensiero o maledizione. Tutti e tre sfruttano le visioni del mito per alimentare il proprio onirismo, ciò culmina con una straordinaria capacità di questi tre autori di rimanere sospesi e mai compiuti tra un antimodernismo decadentista e quello mitologico di Morris; l’incredibile bravura come scrittori ha fatto il resto per renderli intramontabili.

Ma se Dunsany, Lovecraft e Moorcock sono rimasti nella bolla sospesa tra l’antimodernismo di Morris e quello decadentista, v’è un soggetto nella letteratura fantastica che invece ha operato quella scelta, creando quindi il suo “principio d’innovazione“, dato che è di questo che si sta parlando come vien detto in titolo, verso l’antimodernismo decadentista: Clark Ashton Smith. Anche il “Necro-romantico”, si perdoni questo nomignolo appena sfornato, ha avuto la sua anticamera poetica, ma non rivolta ai poemi epici e al mito, bensì alle “elevazioni degli Albatri” dove è possibile avvistare Charles Baudalaire. Il risultato di questo è stato creare una letteratura che contempla nello Spleen dal “bordo del mondo” – non necessariamente quello di Lord Dunsany – una terra destinata a morire e inabissarsi, e non solo dalle acque, per tanto il suo “ideal” lo si trova nel nichilismo e l’anarchia. I suoi mondi “perduti” sono anche irrimediabilmente “persi” in un disfacimento morale e sociale e un’inconsistenza dei suoi regnanti che recedono alla più amorale magia durante una crepuscolare storia d’agonia. Lo Smith indica più d’ogni altro una sfumatura che si è accennata alcune volte e che corrisponde alla differenza tra la volontà estetizzante dell’antimodernismo mitologico di Morris, e quella estetica dell’antimodernismo decadentista. Nel primo, si intende risvegliare il bello mediante ciò che vive ancora sopito nei sogni e nell’immaginario del popolo; il mito. Nel secondo, l’intenzione è quella di riesumare ciò che invece è già morto attraverso l’estetica del bello, ottenendo pertanto il grottesco. Non diverse sono le sensazioni che emana l’eccentrico Kitschig di un dandy ottocentesco, così come non sono meno grotteschi i festini decadenti, colorati e affollati, ove una coltre di spezie patina il marcio nella casa di Des Esseintes in A Rebour di J. K. Huysman, o dove i magnifici quadri antichi sono coperti dalle polveri. Clark Ashton Smith è irrimediabilmente caratterizzato da una narrativa e una poesia “Mutilate a vicenda”, nella sua narrativa si scorge una poesia inespressa, nella sua poesia si respira una narrativa egualmente incompiuta. Il fatto che tutto sia così perfetto, anche stavolta; … è da attribuire alla straordinaria abilità dello scrittore.

Nel trattare l’argomento basandoci sui “principi di innovazione” non è certo possibile escludere uno scrittore che insieme ad Howard rappresenta forse il principale tra gli innovatori americani. James Branch Cabell ideò una saga dal sapore satirico e pittoresco, composta da più di venti avventure di cui solo poche sono state tradotte in italiano, basata su un  mondo secondario puro, quindi non planetario nè perduto; chiamato Poictesme, che è tra i più “antichi” tra quelli della Fantasy. Anch’egli si riconosce in un antimodernismo mitologico e antiborghese che tuttavia non fornisce risposte come quelle di Morris, Howard e Tolkien. Non vi sono concetti di risanamento, nè gli innesti antropologici profondi che penetrano al tessuto del Folk. L’essenza picaresca che senza dubbio tributa a profili letterari come Guzman de Alfaranche o Don Chishiotte de la Mancia si sostituisce alle caratteristiche onorevoli dei barbari o i valori dei cavalieri, ed in senso più generale alle qualità degli eroi. La sua radice pagana e mitologica vive per alimentare vorticose e desultorie azioni d’un fato caotico a cui il protagonista assoluto, il povero Don Manuel, è abbandonato e sballottato. Cabell avrà un impatto enorme su Fritz Leiber. Quest’ultimo tuttavia, seppur notevolmente influenzato dallo stile di Cabell, riprodurrà attitudini che, a ben vedere, avranno una somiglianza più formale che sostanziale. Essa in realtà copre differenze nel pensiero profondo. Comune ad entrambi è ovviamente una certa voglia antiborghese di esercitare critica ad eroi infallibili, paladineschi e senza sbavature per mezzo di avventurieri imperfetti e talvolta sprovveduti,  di scandalizzare riproducendo storie in balia delle picaresche disavventure più che di eroiche avventure, maggiormente basate su ciò che si perde rispetto a quel che si guadagna, ma le premesse di Leiber contrariamente a Cabell sono quelle di fondare la propria narrativa sul manierismo più estremo, abilmente nascosto dietro i suoi approcci antiborghesi. Fritz Leiber è infatti così estremista nell’essere manierista che riesce a creare una letteratura basata sulla parodia degli stereotipi, ma con un fatto inaspettato: l’assoluta assenza di sarcasmo. Occhi attenti noteranno che Leiber usa un’ironia che non è creata dal prendere in giro degli stereotipi ritenuti ingenui, bensì al contrario, da una conoscenza e un amore così profondo per quest’ultimi da potersi permettere di maneggiarli mentre “ride e scherza”. Ciò è sottilmente diverso da una semplice parodia ironica. Il creatore di Farfhd and Gray Mouser non è molto diverso da quel giocoliere che non ha paura di distrarsi mentre svolge i suoi numeri talmente ben conosciuti da permetersi il lusso di fare qualche risata di troppo. L’ amore di Leiber per la Fantasy Eroica è lampante e le sue avventure in realtà “ridono seriamente”, ed è proprio dalla radicazione verso stereotipi sottolineati da toni parodistici che ricavano la propria originalità. In fin dei conti, quando ci si muove in città come Neverwinter, Waterdeep o Calimport, sulla Costa della Spada o nei Regni Dimenticati di Dungeon and Dragons, è quasi impossibile non trovare gilde di ladri o avventurieri in stile Leiber.

Richiede una medesima attenzione notare che Lyon Sprague De Camp rappresenta qualcosa di diametralmente opposto. L’ amore di De Camp per il genere eroico sembrerebbe più simile invece a quello d’uno scienziato per una creatura buffa e degna d’esser studiata. Questo tipo di relazione certamete implica momenti di “coccole”, ma anche punzecchiate, esperimenti e sberleffi. Contrariamente a Leiber, nel più infaticabile dei “custodi” howardiani si avverte un certo sarcasmo controbilanciato però da una voglia di rendere rigorosa e solida una storia da lui ritenuta potenzialmente importante, e questa è probabilmente la manifestazione più positiva dei suoi approcci. L’ attività di De Camp, e non solo per i suoi lavori sul mondo howardiano talvolta anche contestati dal pubblico, si è indubbiamente rivelata importante. Da non trascurare il suo romanzo L’ Abisso del Passato (1939), ritenuto una pietra miliare dei romanzi ucronici, anch’esso basato sul popolo dei Goti.

Non sono dissimili dai principi di innovazione dei soggetti citati quelli di Henry Kuttner e di Catherine L. Moore. Nello specifico della Fantasy Eroica  lo scrittore californiano con Elak di Atlantide ha ampliato sul finire degli anni ’30 due elementi anticipati da Howard e da Smith, conferendone una robustezza e importanza iconica: L’ orrore profondo di stampo lovecraftiano e l’ambientazione nelle terre perdute di Atlantide. Non inferiore per talento, Catherine L. Moore fu pioniera nello scrivere le vicende di una energica eroina nell’arco di tempo che va dal 1934 al 1939. La saga di Jirel di Joiry rappresenta ad oggi un punto importante della Fantasy Eroica. Nel caso di questi scrittori certamente si potrebbe parlare di uno sviluppo delle innovazioni non basato direttamente dagli archetipi, ma più – non certo in senso spregiativo – dai prototipi e stereotipi, riuscendo a produrre una narrativa di altissimo valore, apprezzabile anche nel considerare che è scontato dire che non sono certo solo le innovazioni che comportano il valore totale d’uno scrittore, ma ben più ampia è una valutazione artistica che terrebbe conto di parametri numerosi e non sempre ponderabili.

La Battaglia della Milestone

Di natura lievemente diversa è la riflessione su Erick R. Eddison che ha certamente costruito uno stile cavalleresco, ampio e ricercato in un Mondo Secondario che ha resa finale simile a quello de la Fonte ai confini del mondo di Morris nell’atmosfera, ma molto più addensata e generosa negli intrecci e nella presenza delle creature. Rispetto al secondary world di Morris egli ha operato un discostamento nell’ibridarlo anche ad un mondo planetario e più strettamente polarizzato nella guerra tra bene e male incarnata da due regni, Witchland e Demonland, come avviene in parte per Tolkien e nei concetti di Lewis. Ciò che si riconosce nell’opera di Eddison è certamente l’intento di strutturare un romanzo in grado di essere una “Pietra Miliare“.

Assai sensibile è il discorso sull’istanza di ricerca della “pietra miliare” della Fantasy che Eddison, Tolkien e Lewis hanno portato avanti, poichè è proprio in questa fase da cui potremmo arrivare alle conclusioni più concrete:

Necessario premettere che William Morris e Robert E. Howard hanno generato una “primigenia di innovazioni” sensibili di cui ampiamente si è parlato, probabilmente le più dirette rispetto ad ogni altro scrittore della Fantasy in senso esteso. Se Morris ha creato l’Heroic Fantasy, Il Secondary World, e la High Fantasy, Howard ha generato la Sword and Sorcery, per poi ampliarla e dare origine ad epigoni come il sottovalutato Thongor di Lemuria del talentuoso Lin Carter, o soggetti minori come l’ottimo Kothar il Guerriero di Gardner Fox o Brak il Barbaro di Frank Frazetta. Si devono probabilmente ad Howard i prodromi delle avventure in party in senso più canonico per il genere della Fantasy così come derivano dalle logiche ribaltate di eroismo di The House of the Wolfings e Oltre il Fiume Nero i complessi sviluppi psicologici degli “allineamenti” di Michael Moorcock nella Saga di Elric, basati su Caos contro Ordine che sono, non a caso le meridiane dove si schematizzano le combinazioni parallele di Bene, Male e Neutralità di Dungeon and Dragons. Si deve sempre ad Howard la connessione tra due ambientazioni (Crossover) che è qualcosa di più radicale che una semplice ricorrenza di luoghi e personaggi. Il “Crossing-Over” di Kull di Valusia nel Ciclo Celtico (Kings of the Night, 1930) è alla base delle connessioni multiversali di Moorcock. Fatta questa premessa è utile aggiungere che la ricerca della “Milestone” è tuttavia un discorso che prescinde dalle innovazioni.

Tolkiens

Fu Tolkien a definire “The Milestone” il romanzo La Fonte ai confini del Mondo di Morris [10] eleggendolo quindi a “Pietra Miliare“. Fu sempre quest’ultimo a incoronare Eddison come “il più convincente dei creatori di mondi” sebbene abbia anche criticato le sue nomenclature. Tali esternazioni hanno un senso concreto in ciò che è avvenuto nella storia della Fantasy. Gli intenti di Eddison con la Saga di Zimiamvia e il Serpente di Ouroboros (1922) non sono infatti diversi in questo senso da quelli ricercati negli anni ’50 da J.R.R. Tolkien ne Il Signore degli Anelli e da C.S. Lewis con Le Cronache di Narnia, ovvero quelli di generare la “Milestone“; una grande pietra miliare in uno scontro ben ampio e totale del bene contro il male, in un’opera che necessariamente doveva essere di altissimo profilo, che potesse ergersi per levatura sui cicli di romanzi brevi o racconti che erano nelle corde di soggetti come Edgar Rice BurroughsJames Brunch Cabell o Lord Dunsany, ereditati dai formati di Poe e Doyle. In questi tre romanzi tutto è concepito per seguire quell’attitudine “Epocale” de La Fonte ai confini del Mondo. Eddison fonde il Secondary World puro – quindi non planetario , nè “oltre al portale – allo stile di Morris creandone uno che fosse al tempo stesso cosmico e planetario come in Burroughs, arricchendolo notevolmente di intrecci di trama, magia e creature come Manticore e Ippogrifi, fondandolo più radicatamente sulla guerra tra due opposti poli. Lo stile di scrittura “Giacobino” e arcaico si colloca anch’esso in una pretesa di virtuosismo tecnico non diversa da quella di Morris, basata su conoscenze vaste del mondo anglosassone e norreno. Eddison ha affrontato un’anticamera poetica ricca come quella di Morris e Tolkien. Sarà infatti sempre lui ad instillare quel concetto di Midgard che Tolkien senza dubbio erediterà nella sua Middle Earth. Tolkien al contrario mantiene il Secondary World puro di Morris, ma condividerà con Eddison un romanzo di straordinaria ricchezza basato anche sulla centralità delle razze, cosa che avrà un impatto enorme sul genere. Una ulteriore scelta sarà quella operata da Lewis che invece darà vita ad un Portal Fantasy che conferisce a Cronache di Narnia anche la caratteristica d’essere ereditario di quei romanzi che a partire del mondo reale slittano alla transizione delportale“, in sinstesi cronologica: Si ritorna da Morris con il portale per Il Mondo Cavo, Il Sogno per il Paese delle Meraviglie, l’uragano per il mondo di Oz,  il passaggio all’alba per l’Isola che non c’è, sino a quelli più recenti ovviamente successivi a Lewis, come la Porta Magica in Coraline di Neil Gaiman o Il Binario magico per Hogwarts nella saga di Harry Potter, escludendo La Storia infinita dove il libro magico per la terra di Fantàsia è un dispositivo metanarrativo.

Si potrebbero considerare in qualche modo “pretese da Milestone” anche quelle di opere uscite in un periodo storico vicino ai tre su cui si è posata la lente d’ingradimento; come il Pozzo dell’Unicorno (F. Pratt, 1948), o Poul Anderson in romanzi come La Spada Spezzata (1954),  T.H. White con il suo ciclo arturiano rivisitativo del Re in Eterno (1938-1958) o Michael Moorcock ne La Saga di Elric, la più tardiva di questo gruppo essendo iniziata negli anni ’60, a meno che non si includa in questi ambiti anche U. Le Guin e Il Ciclo di Terramare (1968-2006). Per vari motivi tuttavia, che siano le cadenze tempistiche troppo dilatate nel tempo, i formati proposti o la brevità o lunghezza dei cicli, la “pretesa iniziale di Milestone” negli specifici termini che intendiamo non è stata mantenuta. Ciò di certo non li relega ad una condizione inferiore, ben inteso. Risulterebbe piuttosto ovvio, se ci basassimo cinicamente sui semplici numeri, considerare Tolkien incontrastato vincitore della “Battaglia della Milestone“, non certo solo per aver superato in fama il relativamente poco conosciuto romanzo di Morris, ma per aver oscurato anche le opere di Eddison e di Lewis entrando addirittura nei 10 libri più letti della storia insieme a La Bibbia, Il Corano, Il libretto rosso di Mao Tse-Tung, La Saga di Harry Potter, Il Piccolo Principe e i restanti altri.⁷

Contrariamente a Morris e Howard quindi gli “incisori della Milestone“, (per così dire) non hanno portato innovazioni “primigenie”, (eccetto forse quella della multispecie di Tolkien) ma hanno di fatto oscurato La Fonte ai Confini del Mondo, a prescindere dalla qualità che si attribuisce ai romanzi ed è certamente ovvio sottolineare la straordinarietà del lavoro di Tolkien che sul Secondary World puro di Morris ha aggiunto le ricchezze capillari di Eddison, ma se in quest’ultimo, la configurazione geografica è rappresentata in aree di competenza in aderenza ai concetti norreni e sassoni di Yggdrasil o Irminsul, (Impland, Goblinland, Witchland, Demonland etc etc…), in Tolkien diventa un mondo de facto reale, con razze che esercitano anche influenze geografiche e demografie in potenziale contrasto con le giurisdizioni umane, come gli Elfi, Nani e gli Hobbit, padroni e colonizzatori demografici dei propri territori e non più corredo ancestrale degli stessi (come folletti, Driadi, spiriti dei boschi o dei fiumi o gnomi). Le microsignorie elfiche sono, almeno politicamente parlando, di stampo rinascimentale. Gli Hobbit ricalcano i “comunardi liberi” che Morris ha lungamente rappresentato ed è paradigmatica la somiglianza della battaglia dei ribelli di John Ball con la Battaglia di Lungacque contro Sharkey, ovvero Saruman sotto mentite spoglie. Ciò influenzerà molto la Fantasy. Dungeon and Dragons rappresenterà “l’agenda segnatutto del 90% dei tropi della Fantasy da Morris sino agli anni ’50/60 del novecento,  sino ad un culmine ventennale dagli anni ’90 e il primo decennio dei duemila. In Germania vi saranno opere letterarie fortemente neo-tolkeniane come la Saga degli Elfi di B. Hennen o la saga della Leggenda degli Albi (2010) di M. Heitz , nella quale potremmo vedere l’ultimo esponente di questa corrente annientata dalle correnti moderniste/post-moderniste. In Italia avrà luogo una radicazione ad una fantasy post-tolkeniana basata sugli Elfi, che unirà gli scenari e le razze tolkeniane, i sistemi di religioni, gilde, clan e allineamenti di Dungeon and Dragons (anticipati in qualche modo tuttavia dallo stesso Morris e da Moorcock), Il Medioevo Inventato di stampo pre-raffaelita e cavalleresco sempre tributario a Morris e una certa inclinazione “ducale-longobarda”. Tali caratteristiche si sono espanse anche oltre i romanzi e la letteratura. Le saghe di Licia Troisi e molti romanzi minori sono certamente in questi quadri, sebbene in essa siano state svilite ognuna di queste caratteristiche.enchanted lands Emersero altre realtà come la rivista Enchanted Lands, stampata a Nepi (Viterbo) nei primi anni del 2000, precisamente rispondente a queste caratteristiche, Gli RPG amatoriali che divennero fenomeni di nicchia significativi come Extremelot, Terre di Extramondo e Terre Spezzate, o il grande filone italiano del Power Metal di stampo Fantasy, iniziato con Legendary Tales dei Rapsodhy (1996), del tutto speculare ad un movimento analogo in Germania. Se non fosse per esiti più longevi, le “RivoluzioniModerniste e Post-Moderniste all’interno della letteratura Fantasy che maggiormente si identificano con i neogotico-romantici, gli Urban Fantasy e i Grimdark, si mostrerebbero sorprendentemente simili alla rivoluzione Punk (1975-1980) a danno dell’Hard Rock settantiano; e quella Grunge (1995-2000) anch’essa nociva per l’Hard Rock/Heavy Metal, anche se quest’ultime iniziarono come rombanti bolidi da Formula 1 per finire ad esser catorci da spingere a mano prima del fine gara, avendo ottenuto due prepotenti “recrudescenze” dell’Hard Rock e dell’Heavy Metal nei rispettivi periodi storici. Notorio è che la Virgin Records pilotò la rivoluzione Punk come le major californiane fecero per quella Grunge. Non molto diverso è nei fenomeni letterari che stiamo ora vivendo nelle correnti nuove appena elencate, che sembrerebbero essere almeno in parte eterodirette e con satelliti nell’industria televisiva.

Appare di perfezione romanzesca il fatto che negli stessi anni di trionfante tradizione del Signore degli Anelli, La Spada Spezzata e Cronache di Narnia , vale a dire quegli anni in cui si cercava un’opera epocale con cui rispondere a Morris e Eddison, sia apparsa anche la Trilogia di Gormenghast (1946-1959), basata proprio sullo scontro della vita individuale con la tradizione. Se Clark Ashton Smith è quello scrittore che operò  la scelta integrale, rispetto a quella “compiuta solo a metà” da Dunsany, Lovecraft e Moorcock, ovvero di fluttuare sospesi tra Antimodernismo Mitologico di Morris e Antimodernismo Decadentista, in Marvin Peake troviamo l’assoluta evasione da tale scelta, pertanto uno spostamento verso il surrealismo e l’allegoria pura. Se esistesse un genere chiamato Don’t Fantasy, sarebbe quello della trilogia di Peake. Interessante notare che l’opera di Peake avrà una certa influenza sul genere fantascientifico pur non appartenendovi affatto. Si riconosce una parte delle sue logiche nel concetto delle Navi Generazionali, in romanzi come Universo (Heinlein, 1963) e alcuni altri.

La fine dell’antimodernismo della Fantasy è accompagnata dal distacco dal mito e questo ci introduce alla parte finale dell’analisi. 

La fine dell’Antimodernismo: il Modernismo, Postmodernismo e Riformismo nella letteratura fantastica e considerazioni finali generali

Se come abbiam detto, Tolkien, Lewis, Carter e De Camp, consideravano “Pietra MiliareLa fonte ai confini del mondo, c’è chi invece lo definì “Solido come una quercia” sulle pagine del Saturday Review dove si scrisse una recensione decisamente positiva a riguardo del romanzo. Ironico è che l’autore sia  Herbert G. Wells, colui che in tutt’altro senso rispetto ad ogni altro assorbì l’arte del creare mondi, riformando la fantascienza e compiendo un distacco assoluto sia dalla concezione diretta del riflesso letterario verso il mito, come nella Fantasy, sia quella indiretta, dove l’impresa diventa risoluzione del mistero, come invece nella Fantascienza avventurosa. In questo caso tuttavia, si scoprirà utile iniziare l’analisi dalla fine per giungere a conclusione.

Dovendo necessariamente tralasciare la vasta complessità dell’Horror, nonchè la maggioranza dei “nuovi generi fantastici modernisti e post-modernisti” come i neo-distopici alla Hunger Games, tanto per esser chiari, gli Urban Fantasy e i Neo-gotici/romantici alla Twilight, molto spesso rivolti anch’essi al pubblico dei “giovani adulti” e che non poco devono a romanzi come Malpertuis (Jean Ray, 1943), Nostra Signora delle Tenebre (Fritz Leiber, 1977), o alle più dirette influenze di Anne Rice e le sue Cronache dei Vampiri (1976-2018), potremmo tuttavia fare menzione di un fenomeno toccato dalla lunga coda delle innovazioni del fantastico e che sempre più ottiene successo nel pubblico ed è quello della Grimdark Fantasy. Sorta con le stesse dinamiche di una “corrente letteraria”, con suoi intellettuali di manifesto e seguaci, essa sviluppa le sue radici in racconti come quelli usciti nei fascicoli e libri di Warhammer Fantasy, ma soprattutto in opere definibili come proto-grimdark come la Saga Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George Martin o quella del Libro di Malazan dei Caduti di Steven Erikson. Sia le storie di Warhammer che le più autoriali saghe di Martin ed Erikson sono pienamente inquadrabili nell’High Fantasy, si parlava infatti a quei tempi più della Dark Fantasy di G. Cook che di Grimdark Fantasy. ma fuor di dubbio hanno anticipato alcuni tra gli elementi ritenuti fondamentali per la Grimdark:

1) Forte diminuzione o assenza della magia e del sovrannaturale

2) Rappresentazione della violenza fisica e psicologica mutuata dalla Narrativa Pulp, dall’Horror e dallo Splatter cinematografico.

3) Assenza di linguaggi aulici e poetici o di stili ricercati pertanto si ricercano descrizioni efficaci e spesso schematiche, ereditate dal Minimalismo letterario alla Raymond Carver o Ernest Hemingway, alla base dei concetti della “Scrittura Creativa”.

4) Uso costante del turpiloquio, dell’espressione colorita e di dialoghi frizzanti in un insieme che trae spunto dall’exploitation cinematografica e dal cinema di azione.

5) Assenza quasi assoluta di eroismo e psicologie archetipiche, pertanto ricerca costante di psicologie ambigue e basate sulle peculiarità individuali.

Ognuno di questi fattori ha lo scopo di plasmare un prodotto finale adempiente il più possibile a ciò che per i promotori della Grimdark Fantasy è evidentemente la cosa più preziosa, almeno per quanto si dice a manifesto, vale a dire Il realismo per ottenere quindi un effetto che sia quasi l’ammodernamento della “focalizzazione 0” del realismo storico. Tuttavia è utile osservare che in realtà si trova un frainteso significato del concetto di realismo in quanto nella fiction, rispetto ai documentari, il realismo si basa sulla verosimiglianza dei fatti rispetto agli eventi proposti in base al genere, a prescindere dal fatto che siano fantastici o meno, e quindi non sulla somiglianza dei fatti alla realtà di per sè stessa, altrimenti non si avrebbe il bisogno dell’esistenza del genere fantastico. Si ipotizzi un romanzo non fantastico e quindi rappresentante del reale, dove un protagonista atterrando in piedi dopo aver saltato da un elicottero, finisca in mezzo a dei nemici armati di mitra, e che armato di un coltello riesca a sopraffarli. Ci si troverà d’accordo nel dire che tale rappresentazione non è detto che sia più realistica di quella d’un romanzo dove un guerriero alle prese con un mago o un drago, affronta le difficoltà che affronterebbe se il mago o il drago fossero reali. Da ciò ne consegue che il realismo non si ottiene dalla maggior aderenza alla realtà di per sè stessa, ma dalla raffigurazione realistica degli elementi della storia, a prescindere che siano reali o irreali. Si potrebbe quindi concludere che più che realismo, ciò a cui ambisce la Grimdark Fantasy è una imitazione della realtà, basata sull’attualizzazione estrema del fantastico e il disegno a ricalco dell’interpretazione storica.

Prendendo due esempi a caso: Morris e Tolkien, si pensi a quanto è realistica la configurazione delle micro-monarchie cavalleresche de La Fonte ai confini del Mondo, e quanto sono realisticamente ben spiegate da William Morris le ragioni del perchè, Upmeads, pur alleato, dovrà restare separato da Utterboll e gli altri piccoli regni. Si pensi, aggiungiamo ancora, a quanto, ad esempio, è estremamente realistica la razza di Rohan di cui vien chiarita la discendenza dagli Eotheod, dalla cui divisione si è originato il popolo di Rohan e quello della Valle (fondatore di Pontelaloglungo), non mancando anche di raffigurare siti arcaici come Framsburg, per dare testimonianza reale al lettore del popolo tribale e proto-civilizzato pregresso e nel bagaglio etnico/linguistico di Rohan. Sarebbbe ovviamente ingiusto operare una comparazione con romanzi medi della Grimdark, essendo noi obiettivi e corretti quindi prendiamo come fattori di paragone il meglio che la Grimdark abbia mai proposto secondo i suoi stessi lettori, ovvero il suo precursore George R. R. Martin e il suo effettivo iniziatore Joe Abercrombie, ottimi scrittori dalle ammirevoli doti che non si desidera affatto mettere in discussione.

George Martin raffigura un continente occidentale (Westeros) a forme di “Inghilterramartin Iperbolizzata”, tuttavia semplificata, suddivisa in potentati simmetrici a signorie famigliari di stampo post-comunale/rinascimentale come: Lannister (Lancaster + Borgia), Stark (York), Baratheon, di cui non troviamo omologhi fonetici, ma che certamente nello stato di legittimo re epurato di Stannis Baratheon trovano sistemazione nei Tudor. A loro si aggiungono gli aleggianti Targaryen (Melniboneani + Borgia) e molti altri minori. Ognuno di questi potentati sovrapposti a signorie compone eserciti di decine di miliaia di unità con estrema facilità, riuscendo ad aggregarne velocemente di nuovi anche dopo inflizioni catastrofiche. Tornando a Ralph in La Fonte ai confini del Mondo, osserviamo come egli ripercorra ogni singolo regno e borgo (e non sono pochi) racimolando mille uomini dopo un lungo tragitto per la battaglia finale contro Gandolf di Utterbol. Morris non ha parlato di subdoli finanziatori, non ha scritto dialoghi con turpiloqui e non ha mostrato un attacco improvviso di diarrea di qualche scalcinato “caporalaccio”;… questo è vero, ma chi è veramente più realistico? D’altro canto lo stesso Morris non ha specificato che nel suo mondo non esistano finanziatori, insulti e diarrea, bensì ha scelto secondo libero arbitrio di operare su altri dettagli, non vi sarebbe pertanto ragione di definirlo poco realistico per tali omissioni, visto che sia Martin che Abercrombie omettono altrettanto in altro genere di particolari.

Il valido Joe Abercrombie ha raffigurato una configurazione tripolare del Mondo Circolare che non necessariamente è maggiormente realistica di un qualsiasi mondo secondario della Fantasy. Al contrario, risulterebbe essa impensabile in un’epoca simil medievale dove le cittadinanze ai regni sono ancora su base etnica. A risposta di questo si potrebbe certamente obiettare che infatti in realtà sia Martin che Abercrombie non richiamino affatto il medioevo, bensì un approssimativo cinquecento-seicento estremamente medievalizzato e decarburato, ovvero senza schioppi,moschetti e cannoni. Ciò non costituisce certo un male, d’altronde Morris fu fautore del “Medioevo Inventato” insieme ai Pre-Raffaeliti direte voi, così come Tolkien e Dunsany hanno riprodotto un secondary world antico-medioevale, leggedario e magico ancor più di Morris. Ma nel parlare di realismo, a meno che le potenze del Mondo Circolare: Unione (Sacro Romano Impero) Gurkish (Impero ottomano) Nord (Vichinghi romanzati e confederati) non siano tutte indiscutibilmente talassocratiche, al punto da rendere le dinamiche telluriche del tutto secondarie se non svilite, un mondo tripolare in un’epoca come quella raffigurata da Abercrombie è del tutto irreale, eppure non ci si lamenta nè si opera un’ingerenza o una squalifica nei loro confronti.

Bisogna considerare brevemente anche alcune affermazioni sul linguaggio scurrile e sul turpiloquio ritenuti un altro sensibile fattore di realismo. Si può certamente capire che un eccesso di interventi arcaici, ibridazioni con poemi o vagheggiamenti romantici possano non incontrare le esigenze di tutti, come può essere altresì verosimile un uso delle espressioni del volgo in un contesto liberamente ispirato al medioevo. Va tuttavia osservato che il turpiloquio nel medioevo è di carattere idiomatico e tribale, quindi non Slangy – sebbene vi siano ovvie implicazioni – nè ad intercalare come avviene ne Il Trono di Spade (soprattutto nella trasposizione televisiva) o nei romanzi Grimdark. Giulio Cersare Croce in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno o Cecco Angiolieri nelle sue varie poesie, hanno talvolta usato, tra le varie, parole come “culo” o “puttana“, ma queste, per quanto rudi, hanno una valenza non troppo diversa di “Saccoccia” o “Capoccia” per indicare “Tasca” e “Testa“, pertanto idiomatica/tribale, talvolta regionale. Di certo vi è una valenza ingiuriante ma non d’intercalare o di slang come la Grimdark usa fare nel riprodurre dialoghi simili al cinema di Quentin Tarantino. Ciò in tutta obiettività non conferisce affatto realismo al testo ma solo una rivisitazione attualistica che non necessariamente è realistica.

Il confronto sul realismo diventa ancora più impietoso se si utilizza la Sword and Sorcery invece che la Fantasy di Morris, Dunsany, Eddison e Tolkien. Si pensi al racconto Intrusi a Palazzo e il realismo dei combattimenti risolutivi con Nabonidus e Thak, talvolta criticati addirittura perchè uccidere con il lancio di uno sgabello o con un pugnale è per alcuni lettori una soluzione “troppo poco epica” per uno Sword and Sorcery. Non si può dire che combattimenti come quello di Oberyn Martell contro La Montagna vantino maggior realismo eppure nessuno si è lamentato. Ovviamente si potrebbe dire che perfino il Milan di Ancelotti, che vinceva 3-0 con il Liverpool in finale alla fine fu beffato dai Reds con il 3-3 per poi perdere ai rigori, ed infatti il duello in questione è nell’insieme plausibile, nonchè piacevole da leggere e da visionare, ma di certo non più realistico dei combattimenti di Howard.  Lo stesso Howard non ha mai scritto uno degli assedi meno realistici della storia della Fantasy: quello della Battaglia delle Acque Nere. Si può dire che i segmenti di battaglia dei profughi di Pontelagolungo contro gli Orchetti (Lo Hobbit) non siano il massimo del realismo, ma ben poca cosa sono rispetto ad un assedio dove un comandante esperto, dopo aver conquistato Capo Tempesta si muove via terra verso le porte di Approdo del Re, aspettando alla sponda del fiume che circonda le mura parte delle navi della sua flotta solo per fare guado al fiume. Un’operazione che nella realtà sarebbe macchinosa e spegnerebbe l’efficacia dell’assedio. Di certo sarebbe stato più realistico che Stannis avesse saccheggiato le campagne e si fosse approvigionato nelle zone rurali attorno ai potentati di Westeros. Il fatto che Abercrombie e Martin amino rappresentare personaggi cinici che finanziano la guerra, eminenze grigie di vario genere, vomitate, rutti, peti e scatarrate o entità come la Banca di Ferro è senza dubbio una cosa apprezzabile, che contribuisce a rendere questi scrittori meritevoli dei loro successi ma definirli più realistici e meno ingenui di scrittori fantasy vecchia scuola è un paralogismo, soprattutto nel rendersi conto che la qualità di Martin e Abercrombie è superiore a quella media della Grimdark. Nella serie televisiva Il Trono di Spade (HBO) lo specifico della Battaglia delle Acque Nere è di gran lunga più delirante – bisogna ammettere – rispetto alla narrazione del Martin che rimane nel complesso buona. Nella puntata della serie La flotta di Stannis Baratheon attacca la sera stessa dell’arrivo diretto Approdo del Re, con il viaggio in mare alle spalle. Ma di questo George Martin ovviamente non ha alcuna colpa.

Si potrebbe concludere quindi che il principio di innovazione della Grimdark Fantasy è basato sul distacco dagli archetipi mitologici e dall’antimodernismo, sulla diffusione dell’antieroismo come paradigma più che come caratterizzazione del singolo; un antieroismo che non gode più quindi del contrasto con l’eroismo stesso da cui esso trae valore, ma che è semplicemente l’unica cosa proponibile in un romanzo. L’ esempio sopracitato delle tre potenze polari del Mondo Circolare di Abercrombie si rende interessante per farci capire che l’innesto antropologico e Folk è in effetti del tutto assente dalla letteratura fantastica modernista e Post-modernista e va dissipandosi con il distacco stesso dall’antimodernismo della Fantasy e della radicazione al mito come “chiara soluzione”, sempre nel riprendere le parole di Joseph Capbell. Vi è inoltre il basamento sulla focalizzazione di alcuni aspetti della realtà (economia, geopolitica, ricalco storico) riproposti tuttavia in maniera del tutto approssimativa, per proporre una cultura storica per i non cultori e un realismo per chi non ha cognizione della realtà, mantenendo infatti inossidabile il tropo del secondary world, unica componente della Fantasy “vecchia scuola” con cui gli aderenti alla Grimdark “flirtano” volentieri. L’ uso costante del Secondary World a contrasto con la ricerca di iper-realismo estetico del genere Grimdark consente un paracadute per la libera ispirazione approssimativa , per un obiettivo finale che più che essere volontà di superamento della retorica antiquata è un’estetizzazione del cinismo e dell’antiretorica, ottenendo per tutto paradosso qualcosa di più pedissequo della stessa retorica.

Se l’espressione di imitazione della realtà risultasse troppo lapidaria, potrebbe essere più accettabile quella di “Realtà Rappresentabile” , ovvero un senso del realismo trasformabile molto velocemente in prodotto televisivo. Non da trascurare l’impressione che il movimento della Grimdark, teorizzato da Abercrombie e irrobustito da riviste ufficiali e intellettuali orientativi da manifesto, potrebbe essere in futuro una fucina di romanzi traducibili a “pronta presa” in sceneggiature e quindi un potenziale rubinetto per l’industria televisiva e cinematografica che non potrà certo ricorrere a Star Wars o Marvel in eterno. Si ha un caso totalmente analogo in scrittori come Nic Pizzolatto, Tom Perotta o Gyllan Flynn, soggetti “nativi della TV” introdottisi – chi definitivamente, chi saltuariamente – nella letteratura di best sellers. Abercrombie, produttore e montatore cinematografico è fuor di dubbio un profilo piuttosto simile ed ha notevolmente accresciuto il suo prestigio nel diffondere “tutorial” per scrittori in erba su come si scrivono romanzi “non ingenui” e molto più “visual” rispetto alla vecchia scuola della Fantasy.

La radicazione verso il mito che caratterizza l’antimodernismo di The House of the Wolfings e dei romanzi di William Morris restituisce certamente il più archetipico del percorso eroico che troviamo in ogni mitologia. Nel Viaggio dell’Eroe, qualcosa sconvolge l’iniziale quotidianità del protagonista, costui dovrà quindi accedere ad una realtà non più ordinaria. In quest’ultima dovrà affrontare il pericolo. Una volta “vinto il drago” riporterà a casa il premio, come la salvezza della “fanciulla in pericolo“, un tesoro, un oggetto magico o una qualità astratta che lo farà crescere. Tale dinamica fornisce quindi il percorso avventuroso ed è piuttosto chiara nella Fantasy se si considera quest’ultima come diretta ereditaria della letteratura mitologica. Una tale applicazione tuttavia avviene anche nella Fantascienza di “vecchia concezione“, egualmente basata in modo imprescindibile sul percorso avventuroso, ma non esprimendosi propriamente con il Viaggio Eroico, bensì con il “Viaggio Misterico“, poichè il protagonista; che sia scienziato, archeologo, avventuriero o soldato, esce dalla sua quotidianità per incontrare un mistero insoluto e il suo successo dipenderà dalla risoluzione dello stesso. Egli tornerà indietro quindi con un’informazione da diffondere alla sua civiltà. L’eventuale fallimento sarà per lui insopportabile e diverrà ossessione.

Quanto spesso abbiamo visto archeologi perdere il sonno per non essere riusciti a recuperare una statuetta o per non saper decifrare un pittogramma, un gereoglifico o un’enigma scientifico nascosto dietro la metafora mitologica? 

Si osservi quindi che il ruolo del mito degrada ad un compito puramente indiziario per l’indagine, ma permane la struttura del percorso ove al posto dell’eroe si pone il risolutore dell’esperienza misterica. Se volessimo partire dall’esempio più cristallino di Giulio Verne dovremmo dire che al posto di accedere in castelli occupati da stregoni, dungeon popolati da trappole e mostri, boschi che pullulano di Goblin o fonde caverne sorvegliate da Draghi, o in ultimo; negli inferi come l’Ade verso cui discese Eracle, il protagonista si spinge invece al mistero. Un mistero che può essere in mondi sepolti (Viaggio al Centro della Terra, 1853), verso segreti archeologici, protostorici e paleontologici, ma anche legati alla Terra e al Fuoco; o mondi sommersi (Ventimila Leghe sotto i Mari, 1869), e quindi segreti biologici e naturali dell’abisso, legati ovviamente all’acqua; mondi d’alta quota (Il Giro del Mondo in 80 Giorni, 1872), verso quindi l’ alpinismo estremo su montagne ostili e ghiacciai, viaggi in mongolfiera o più raramente in tecnologie volanti e vaporifere; realtà legate all’elemento dell’aria, all’altezza del volo e della montagna. Non è poi molto diverso in H.R. Haggard  ne Le Miniere di Re Salomone, o in Salgari nelle Caverne dei diamanti, o nei romanzi di Abraham Merrit, sebbene questi tre esempi non siano propriamente inerenti alla fantascienza, essendo romanzi d’avventura pura.

L’evoluzione naturale del “viaggio misterico” verso mondi sommersi, sepolti o d’alta quota culmina quindi verso quella del diretto erede: il viaggio planetario , talvolta declinato nel futuro planetario che ben viene narrato da scrittori come Jack Vance o nei casi più singolari che sfuggono alle classificazioni come F. Herbert e il suo Dune, o i vastissimi cicli di Darkover e Shannara. Nella Fantascienza avventurosa diretta ereditaria di Verne vi è quindi il principio d’innovazione nell’evolvere naturalmente verso avventure extraterrestri o in lontani futuri terrestri, dove il Planetary World extraterrestre o futuro sostituisce il Secondary World e i Mondi Perduti della Fantasy e i Mondi Misterici della Fantascienza avventurosa. Non sarà un caso che si andrà incontro o a mondi selvaggi e arretrati rispetto alla Terra, o se avanzati talvolta decadenti e di stampo atlantideo. Nello stesso modo in cui i “Planetary Worlds” sostituiscono i Secondary Worlds, la terra assume il ruolo dell’occidente progredito mentre i pianeti visitati si sostituiscono ai continenti esotici come l’Africa e l’Asia. Una naturale e ulteriore, nonchè forse definitiva prosecuzione evolutiva di questo lavoro si ha nella Space Opera o nell’avventura fantascientifica di “alto profilo”, dove il dogma si inverte e le civiltà aliene sono generalmente superiori a quella terrestre.

wellsDa questo è deducibile che l’evoluzione naturale della Fantascienza rientra certamente sulla linea di Edgar Rice Burroughs e – prendendo per buone queste considerazioni – ben altri “principi di innovazione” sono stati creati nel “riformismo” assoluto di Herbert G. Wells, che è sorgente a sè, ove non vi è alcun mito, non esiste viaggio individuale, nè misterico nè eroico, di alcun protagonista. Al contrario viene assunto il ruolo protagonistico dalla società stessa o dalle grandi masse sociali, i personaggi individuali sono testimoni d’un mondo già cambiato e che trova adito in una linea interminabile e quasi litanica di distopie. Se nella Fantasy il ruolo mitologico e delle divinità è di importanza mediamente assoluta, e nella fantascienza avventurosa di vecchia concezione quest’ultimo, pur svilito, assume importanze indiziarie, marginali o relativamente sensibili, nella Fantascienza Riformista nello stile di Wells la mitologia e il folk sono rimossi totalmente, al posto dei “capricci delle divinità” compaiono casuali incombense del Caos che si tramutano in emergenze; alieni, intemperie, cataclismi, carestie, pandemie, sotto le quali le grandi masse soccombono ritrovandosi sempre impreparate e in una fase di smarrimento e assenza di memoria storica, quindi educate da oligarchi ossessivi, talvolta sociopatici, altre volte ambiguamente filantropici, ma in entrambi i casi quest’ultimi, per garantire la serenità del popolo e contrastare le emergenze superiori sono costretti ad imporre rinunce e cancellare le memorie mitologiche, poichè in maniera opposta a come avviene nella linea Morris-Howard-Tolkien, i miti non offrono “chiare e luminose risposte” ma risposte pericolose provenienti da un mondo sempre definito “peggiore di quello odierno” o “buio come il medioevo“. Nella Sci-Fi riformista che Wells insieme al dimenticatissimo Edward P. Mitchell ha organizzato si tende quindi a creare un “Primary World Predittivo” in sostituzione dei Secondary Worlds e dei Lost Worlds della Fantasy (inclusa la Sword and Sorcery), dei Mistery Worlds (immersi, sepolti o d’alta quota) della Fantascienza classica avventurosa, e dei Planetary Worlds (principalmente extraterrestri) della Fantascienza avventurosa moderna (Planetary Romance) di Burroughs. Vi sono esempi di “Primary Worlds predittivi” al di fuori dei quadri riformisti di Herbert G. Wells. Tre dei più importanti sono Erewhon (Butler, 1972), Notizie da Nessun Luogo (Morris, 1890), Le Maraviglie del 2000 (Salgari, 1912). Romanzi d’importanza sensibile che tuttavia, noterete;… hanno un gusto e una filosofia di fondo che è opposta a romanzi come La Guerra dei Mondi (1897), ovvero la prima invasione aliena; A Modern Utopia (Wells, 1905)  Shape of Things to come (Wells, 1933) e altri come Il Mondo Nuovo di Huxley o 1984 di Orwell.

Non si può negare certamente che i distopisti presentino tali realtà come derive e quindi avvertimenti, ma al contempo quest’ultimi, non avendo come “fonte” i miti (come nel viaggio dell’eroe e quello misterico) ma anzi, operando al contrario un’assoluta rimozione di quest’ultimi, reperiscono come unica ispirazione quella della scienza e della morale che sostituisce la religione e impone che una oligarchia di ricchissimi ed esperti “competenti” sia l’unica che possa educare le grandi masse a sopravvivere alle emergenze. Vi è come risultato l’esatto opposto della “soluzione chiara e inequivocabile del mito”, pertanto l’opposto dell’eroismo, sostituiti da morali ambigue e piccoli gruppi di scienziati e oligarchi che prendono nell’ombra decisioni per tutta l’umanità che è una via di mezzo tra un’orda mondiale di figli immaturi e una mandria globale di bestiame. I fattori che discriminano il bene dal male sono raffigurati al massimo da “agenti inerti“, come la cinica sottolineatura del grottesco in Huxley, che fornisce lo spiraglio critico al lettore ma non offre soluzioni alcune,  e i poveri Winston e Julia in 1984, inghiottiti nell’imbuto del gatekeeping e protagonisti d’una vicenda che dipinge l’idea della libertà come un’illusione per ingenui.

Come detto, William Morris sollevò la “distopia di contrasto” nel romanzo ispirato alla mitologia islandese Storia della Pianura Seducente, quaranta anni prima del quesito che Huxley sollevò in Brave new World. Tuttavia il primo trova “le chiare soluzioni” nel mito e nella più genuina individualità, l’altro rimane incompiuto in una morale ambigua, ironica e paradossale, nell’individualismo collettivizzato e nel fatto che l’uomo, per ottenere la serenità ed eliminare le sue inquietudini deve perdere le ragioni che rendono la propria vita accettabile. Pur appalesando la condanna verso i pericoli per la democrazia Huxley opera al contempo una condanna verso il genere umano. Non un caso che i romanzi di soggetti come Huxley, Orwell e altri, ripresi da quelli di Wells di gran lunga più creativi, rappresentino una che grande fucina di aforismi citabili da ambo le parti, usati come indicatori d’accusa a doppio senso di circolazione da conservatori e progressisti e destinati anche e soprattutto a coloro che non hanno letto e mai leggeranno i loro libri. Proprio come è ironico, paradossale e ambiguo il pensiero di Huxley lo è il fatto che la sua opera, come quella di Orwell sia destinata principalmente a “Chi non lo leggerà” , poichè l’aforisma, ovvero la “saggezza in pillole” è una forma di saggezza orientale che deriva dall’osservazione passiva della natura da parte del Guru, che elargisce poi in un secondo momento delle frasi, a forma di “compresse concentrate di saggezza” da diffondere soprattutto a chi non capirà il significato, ma che dovrà ripeterle. La saggezza ridotta in pasticche è utile appositamente ad essere diffusa anche a chi non ricerca le proprie fonti o le proprie chiare soluzioni, e che trae la sua informazione quindi dall’aforisma, o da una guida “con una voce troppo accattivante per essere contraddetta“, come scrisse Morris riguardo al Re, e certamente una voce molto accattivante la possiedono le oligarchie ritratte da Huxley, Orwell o nel sottovalutato Il Gregge alza la testa di Brunner del 1972. Si direbbe l’opposto delle “chiare soluzioni del mito” che di ambiguo non hanno nulla.

La domanda più frequente di un seguace dello sciamano orientale per capire il caos, la natura e la realtà sarà:

Chi lo ha detto?

poichè non vi è cosa più importante in tal contesto di sapere quale maestro eremita ha prodotto un proverbio, quale “voce accattivante” ha donato una pillola di saggezza concentrata per illuminare le grandi masse, che sia Budda, Gandhi, Yogananda o Osho non fa alcuna differenza in linea generale. Ed è stato facile introdurre alla fine degli anni ’60 tutte le saggezze “in pillole” tramite la New Age, per far credere all’occidente tecnologico e infettato che la vera saggezza è solo orientale.

Un monoteista , o forse dovremmo dire in special modo un ebreo o protestante domanderà:

Dove è scritto?

poichè non esiste cosa migliore, in questo secondo contesto, che rimettere ad una fonte unica e incontestabile le risposte sul Caos e sulla Natura, che diventa quindi “il protocollo”. Anche qui il “competente” del “protocollo” avrà una voce troppo accattivante per essere contraddetta, la sua unica fonte sarà quella “certificata”. Più che una “saggezza in pillole” in questo caso si direbbe una saggezza a forma di “Dieta” o “Cura” in ciclo continuo , che risponde ad una ignoranza, quella del popolo, che è ritenuta pandemica. Rifiutare quindi l’unica fonte di saggezza sarà come accogliere l’eresia o essere malati.

Un pagano, inteso come politeista occidentale, o se preferite, uscendo dalla religione ed aprendo anche a fuori dell’occidente e al mondo intero; la saggezza del mito, e con essa quella antica occidentale, che nell’essere rappresentata più d’ogni altro da quella dell’Antica Grecia risponderebbe invece diversamente:

Dimostralo

In fondo Aristotele, nel suo metodo dimostrativo, più che ambire a dimostrare la verità in sè, ambisce maggiormente a dimostrare la verosimiglianza e correttezza di un ragionamento che si prefigge di ricercare la verità. Forse per questo secondo Joseph Campbell ogni mito mostra un presupposto corretto per fornire le “Chiare Soluzioni“.

Non è possibile “ridurre a pasticche” o ad un protocollo di cura la saggezza occidentale e in generale quella antropologica del mito che William Morris riassumerebbe in “Folk-Mote“. Non si può in egual modo sostituire l’aforisma alle fonti, così come non si è dimostrato educativo alla realtà colonizzare l’immaginario dei popoli con ciò che si ritiene realistico. Non è il realismo nel proprio immaginario e quindi nell’immaginazione a fornire le soluzioni per la realtà, al contrario è ciò che popola atavicamente il proprio immaginario a migliorare ciò che è reale se la riflessione è verosimile. Ciò che si basa sull’intimazione con la natura e sulla radicazione al mito è certamente bisognoso di qualcosa di più che un aforisma citabile o un testo che rappresenti la totalità delle fonti, poichè è su questo che si fonda l’immaginario e la salute di una Città-stato, popolo o regno e sono le risposte avute dal mito a elevare l’essere umano a qualcosa in più di uno spettatore del caos indisturbato.  Non troppo diversamente da Aristotele rispondeva in fondo il Druido, il Vigobrete, La Sibilla o le varie forme di Druidismo e Sciamanesimo Norreno. Di certo suggerire al proprio folk, inteso come popolo, di non cacciare un animale in determinati periodi dell’anno perchè sacro per certi dei, o non tagliare un preciso bosco perchè ritenuto sacro ad uno dei tanti di quegli stessi dei, potrebbe sembrare poco realistico rispetto ad una santona bambina, ad esempio, che fonda il proprio ecologismo sul pragmatico e realistico principio della plastica, viaggiando tuttavia per il mondo grazie ai finanziamenti di chi le produce. Ma se si tentasse di interpretare la saggezza greca, sarebbe un fulminante baleno quello impiegato per capire che le chiare soluzioni del mito hanno la realtà stessa come dimostrazione, mentre i principi pratici del realismo sono dimostrabili solo nella propaganda, generando per tutta conseguenza una realtà imitata ma non reale.  Eracle, oltre ad essere eroe di per sè, è il risultato del tessuto del popolo che attraverso il mito eroico tutela la propria individualità e si conforma solo e soltanto nei valori della conservazione e dell’ identità. Cosa diversa è invece nutrire il proprio individualismo solo per conformarsi – non ai valori dell’identità-  ma al pensiero che l’unica identità umana è quella d’una specie biologica, più realistico?…certamente, ma non certo più reale nella nostra vita di tutti i giorni, composta di emozioni, sogni e affetti.

Per tutte queste motivazioni, si ha la sensazione che niente come la Letteratura Fantasy radicata al mito e all’antimodernismo che William Morris creò distaccandosi dal decadentismo e – che lo si accetti o no – anche dal socialismo, è stata e continua ad essere la risposta più seria, chiara e reale ad Oswald Spengler e al Tramonto dell’Occidente. Concludendo quindi nel tornare alla letteratura, sarebbe certamente futile, presuntuoso e pretenzioso esprimere un’analisi per arrivare a sentenziare un “migliore“; cosa da cui ci si dissocia, nel confidare in tutta onestà che non vi è nessuna voglia di elargire una medaglia da parte di chi non ha alcun titolo per attribuirla. Si potrebbe anzi dire che più gli anni trascorrono tra le pagine di questo genere letterario e meno si è decisi su chi preferire.

Difficilmente si può negare tuttavia che Morris, Howard e Tolkien, alle loro differenti maniere e con le loro differenti ricerche, influenze e peculiarità individuali abbiano raggiunto un palpabile stato di “Community Leadership” all’interno della Fantasy, secondo valori che vanno perfino oltre alle loro innovazioni nel genere o le loro straordinarie abilità letterarie, lo si potrebbe dire, vi assicuro, anche confidando di ritenerli al pari, superiori, e perfino inferiori secondo gusti e opinioni letterarie ad altri soggetti oggi scomodati come Lord Dunsany, Eddison, Moorcock, Lewis e chiunque vi venga in mente.

Si riconosce in Morris, Howard e Tolkien, una capacità di portare il principio primo della Fantasy sulle proprie spalle e proseguirlo secondo le sue immanenze e risposte antimoderniste, mitologiche, folk e antropologiche; che dalla letteratura si estendono al pensiero, individuale e sociale, rivitalizzando valori che alla radice dell’immaginazione e della fantasia, lungo il tronco della memoria, e quindi ai rami della cultura, trovano le soluzioni che, per quanto antiche, saranno sempre in grado di ringiovanire la società  che nel progresso sfrenato è ben presto invecchiata ma sempre giovane rimarrà invece in una reale consapevolezza per l’essere umano; quella che ancor prima di essere figlio delle realistiche, ma non sempre reali, risposte della storia egli è indiscusso figlio delle risposte chiare del mito!

Note Dirette e Citazioni

[1] Scandinavian Elements in the Work of William Morris, Di Karl Anderson, Harvard University Press, 1940

[2] The Roots of the Mountain, Di William Morris, Introduzione di Graham Seaman , David Price Edition, 2003

[3] Lettere 1914-1973, Di J.R.R. Tolkien, A Cura di C. Tolkien e H. Carter , Bompiani, 2018

[4] Noblesse Oblige: Image of Class in Tolkien, Di Thomas A. Shippey, Zollikofen, Walking Tree Publishers, 2007

[5] Lavoro utile fatica inutile, bisogni e piaceri oltre il capitalismo, Di William Morris, Saggine, Donzelli Editore, 2009

[6] Morris German Romance as Socialist History, Di Florence Boos, Victorian Studies, Iowa University, 1984

[7] No Idle Singer – The Poems and Romance of William Morris, Di Carol Silver, Columbia University, 1967

[8] Heroes and Villains of the British Empire, Di Stephen Basdeo, Pen and Sword, 2020

[9] L’Eroe dai Mille volti, Di Joseph Campbell, Lindau, 2016

[10] Il Bosco oltre il Mondo, Di William Morris, Introduzione di Carmine Mezzacappa, Il Ponte e la Corda, Edizioni Empiria, 1993

Altri riferimenti generali secondari

The House of the Wolfings, Di William Morris, Prefazione di Andrea Comincini, Traduzione di Elena Rambaldi, Illustrazioni di Elena Massola, Black Dog Edizioni, 2019

The House of the Wolfings, Di William Morris, Introduzione di Graham Seaman , David Price Edition, 2003

Lord Dunsany – Il Libro delle Meraviglie e altre fantasmagorie, Di Lord Dunsany, A Cura di Massimo Scorsone, Oscar Draghi Mondadori, Mondadori, 2020

L’Origine della Famglia, Di Friederich Engels, A Cura di Fausto Codino, Editori Riuniti, 1976

¹ Esempi casuali: Flash Gordon (Fumetto di Alex Raymond 1934), Mistborn (Trilogia di Romanzi di Brandon Sanderson 2006-2008) e innumerevoli altri casi.

² Si segnala che non essendo esistente alcuna edizione italiana di The Roots of the Mountain il nome “Volto Divino” non esiste da nessuna altra parte che in questo articolo, essendo il personaggio chiamato “Face-a-God”

³ Harry Harrison: conosciuto romanziere di Fantasy e Fantascienza. Molti dei suoi romanzi Sci-Fi sono stati pubblicati dalla Editrice Nord (principalmente serie “Cosmo Oro“) è autore anche della Saga Fantasy-Epica “Saga del Martello della Croce” (Hammer and the Cross, 1993-1997)

⁴ Tratto da “Facing the Worst it”

⁵ Si è omesso Beowulf essendo stato tradotto fuori dal periodo indicato entro il 1887

⁶ Si tiene presente che Robin Hood fece per la prima volta la sua comparsa in letteratura nel citato poema datato ufficialmente 1377 e scritto da William Langland

⁷ In questi ultimi anni è entrato nelle dieci opere letterarie più lette anche Cronache di Narnia.

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